Marxismo oggi in risposta ad alcune riflessione di Niko

Aperto da green demetr, 18 Giugno 2021, 15:37:16 PM

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anthonyi

Citazione di: Ipazia il 30 Giugno 2021, 23:08:53 PM
Citazione di: daniele22 il 30 Giugno 2021, 22:35:49 PM
Da che parte stai Ipazia? Da quella in cui qualcuno debba insegnarci come vivere giustamente, o da quella del tuo post nr.10?
Dalla parte di chi non gradisce essere borseggiata, neppure da chi lo fa nel rispetto delle sue regole etniche. Gli ebrei in questa faccenda c'entrano come i cavoli a merenda, visto che hanno sempre rispettato il 7.mo comandamento. Marx non confondeva i rapinatori coi rivoluzionari: tra le "capacità" richieste a ciascuno nell'eden comunista non rientra la rapina. Quando ti borseggiano o rapinano mica fanno prima un'indagine sulla liceità dei tuoi beni. Anzi, le vittime preferite sono le più indifese, non certo le opulente che sanno come difendere i loro averi e sono prede più difficili.
Marx ha anche detto: "la proprietà è furto", per cui chi possiede una borsetta con denaro si presuppone l'abbia rubato. Forse gli zingari hanno letto quel passo di Marx, ed è per questo che si sentono legittimati a rubare, forse sono proprio loro gli ultimi marxisti rimasti sulla faccia della terra.

Ipazia

La proprietà privata dei mezzi di produzione, risorse naturali e schiavi (full o part time) è un furto. Al netto di ogni semplificatoria demonizzazione capitalistica del pensiero marxista. Il denaro è sterco del demonio, ma finchè non si realizzerà una società diversa senza denaro, anche i poveracci, finchè non vengono derubati, ci sopravvivono.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

atomista non pentito

Una vecchia canzone di un gruppo pseudo sedicente sinistrorso cantava dell'"esercito delle forchette". Sia l'invasione delle forchette ( che ha una sua causa ovviamente) sia la presenza degli "ultimi veri marxisti" come qualcuno qui sopra li ha definiti , hanno ragion d'essere. Legittima ritengo pero' sia anche anche la reazione a questa ragion d'essere. Questa mi pare sia in soldoni la dinamica della sopravvivenza ( piu' o meno opulenta). Alle leggi sta regolarla. In vacanza di leggi si autoregola in modo (forse) piu' cruento ma sicuramente piu' "naturale"( considerato che quando i conflitti non ci sono si cerca , da quando esiste l'uomo , un motivo per accenderli).

niko

Citazione di: anthonyi il 01 Luglio 2021, 08:46:25 AM
Citazione di: Ipazia il 30 Giugno 2021, 23:08:53 PM
Citazione di: daniele22 il 30 Giugno 2021, 22:35:49 PM
Da che parte stai Ipazia? Da quella in cui qualcuno debba insegnarci come vivere giustamente, o da quella del tuo post nr.10?
Dalla parte di chi non gradisce essere borseggiata, neppure da chi lo fa nel rispetto delle sue regole etniche. Gli ebrei in questa faccenda c'entrano come i cavoli a merenda, visto che hanno sempre rispettato il 7.mo comandamento. Marx non confondeva i rapinatori coi rivoluzionari: tra le "capacità" richieste a ciascuno nell'eden comunista non rientra la rapina. Quando ti borseggiano o rapinano mica fanno prima un'indagine sulla liceità dei tuoi beni. Anzi, le vittime preferite sono le più indifese, non certo le opulente che sanno come difendere i loro averi e sono prede più difficili.
Marx ha anche detto: "la proprietà è furto", per cui chi possiede una borsetta con denaro si presuppone l'abbia rubato. Forse gli zingari hanno letto quel passo di Marx, ed è per questo che si sentono legittimati a rubare, forse sono proprio loro gli ultimi marxisti rimasti sulla faccia della terra.




La frase "La proprietà è un furto" è di Proudhon, non di Marx...


nella mia delusione non mi resta che la pignoleria, visto che una discussione su marxismo e nichilismo in cui il comunitarismo ci sarebbe dovuto entrare solo marginalmente, è diventata prima una discussione sul comunitarismo, e poi sugli zingari che rubano.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Workers of world unite. Il marxismo è la redenzione del lavoratore da ogni forma di parassitismo, incluso quello degli straccioni. È etica del lavoro in quanto fondamento di civiltà e benessere. La solidarietà sociale non può fondarsi su nessun tipo di sfruttamento. 
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Quanto al rapporto col nichilismo, la natura umanistica del marxismo lo esclude. Semmai si facciano l'esame di coscienza i fedeli e propalatori del "mondo dietro il mondo".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

daniele22

Citazione di: niko il 01 Luglio 2021, 11:29:49 AM
Citazione di: anthonyi il 01 Luglio 2021, 08:46:25 AM
Citazione di: Ipazia il 30 Giugno 2021, 23:08:53 PM
Citazione di: daniele22 il 30 Giugno 2021, 22:35:49 PM
Da che parte stai Ipazia? Da quella in cui qualcuno debba insegnarci come vivere giustamente, o da quella del tuo post nr.10?
Dalla parte di chi non gradisce essere borseggiata, neppure da chi lo fa nel rispetto delle sue regole etniche. Gli ebrei in questa faccenda c'entrano come i cavoli a merenda, visto che hanno sempre rispettato il 7.mo comandamento. Marx non confondeva i rapinatori coi rivoluzionari: tra le "capacità" richieste a ciascuno nell'eden comunista non rientra la rapina. Quando ti borseggiano o rapinano mica fanno prima un'indagine sulla liceità dei tuoi beni. Anzi, le vittime preferite sono le più indifese, non certo le opulente che sanno come difendere i loro averi e sono prede più difficili.
Marx ha anche detto: "la proprietà è furto", per cui chi possiede una borsetta con denaro si presuppone l'abbia rubato. Forse gli zingari hanno letto quel passo di Marx, ed è per questo che si sentono legittimati a rubare, forse sono proprio loro gli ultimi marxisti rimasti sulla faccia della terra.




La frase "La proprietà è un furto" è di Proudhon, non di Marx...


nella mia delusione non mi resta che la pignoleria, visto che una discussione su marxismo e nichilismo in cui il comunitarismo ci sarebbe dovuto entrare solo marginalmente, è diventata prima una discussione sul comunitarismo, e poi sugli zingari che rubano.


Hai perfettamente ragione niko, ma purtroppo i Topic rappresentano solo uno specchietto per le allodole. In questo forum si esercita il solipsista, colui che parla con se stesso attraverso la conoscenza che ha degli altri. A volte si riesce a dialogare, ma il più delle volte no. Questo fatto costituisce in fondo la crisi della dialettica. L'impedimento al libero fluire della dialettica è dato dalla disonestà intellettuale, la quale non nasce da una capacità razionale che non è capace di comprendere, ma da una imperscrutabile interiorità. Per quel che riguarda la mia ragione gli straccioni di Ipazia hanno tutto il diritto di esercitare il loro linguaggio dedicato alla loro straccionaggine, come gli zingari hanno tutto il diritto di rubare, dato pure che non sono nè l'uno, nè l'altro a fare le leggi, e se Ipazia è onesta intellettualmente deve rendere conto della ragione razionale per tanto disprezzo. Da quel che ho capito forse Ipazia non intende che ci si debba sedere ad un tavolo con gli zingari (gli straccioni sanno già come vanno le cose) per cercare di capire come mai loro ci giudicano cattivi, o perché rubano, ma questo concorre a dare pari dignità ai dimenticati di tutto l'occidente. O forse ho capito male e sono troppo solipsista. C'è del marcio in danimarca

daniele22

Citazione di: Ipazia il 01 Luglio 2021, 15:10:15 PM
Quanto al rapporto col nichilismo, la natura umanistica del marxismo lo esclude. Semmai si facciano l'esame di coscienza i fedeli e propalatori del "mondo dietro il mondo".


Il mondo dietro il mondo dell'opera d'arte è il pezzo di marmo su cui è fatto

Kobayashi

Cit. niko "[...] io credo che la natura sia slancio verso l'infinito, e credo nel progresso, ovvero credo che il capitalismo, al netto delle sue contraddizioni e assurdità, sia la migliore integrazione storicamente mai apparsa del soggetto-diveniente umano con la natura"

Ma la natura è ciclica, non punta verso l'infinito.
Tutta questa infinità: profitti infiniti, consumi infiniti, desideri infiniti... La Terra sta già confutando queste convinzioni con la fine delle sue risorse.
E anche sul desiderio degli uomini mi viene in mente che forse homo sapiens sia più simile al pacifico gibbone che al giovane Werther... (ma forse sono io che sono più simile a una scimmia che a un romantico tedesco).

Su Preve, come è stato già notato, il punto fondamentale del suo articolo è la valutazione del nichilismo.
Che il nichilismo venga analizzato in riferimento al tempo piuttosto che al divenire della materia, non cambia molto, la cosa che conta è l'espressione del terrore di fronte alla catastrofe sempre imminente della caduta nel niente, della sparizione, della dissoluzione del proprio corpo e di quello di chi ci circonda, della perdita completa del senso della vita.
Quindi la filosofia come rimedio tramite sistemi che vorrebbero isolare un fondamento sottratto al tempo.
Preve però pensa anche che il nichilismo "sia più una rinuncia consapevole ai fondamenti [...] che un tema della perdita dei fondamenti". Questo vuol dire essere straordinariamente ottimisti perché significa che la filosofia, esaurite le correnti post-moderne, ritornerà a lavorare per la costruzione dei fondamenti.
Preve riconosce per esempio la genialità di Nietzsche come diagnostico del nichilismo occidentale, ma d'altra parte considera il nichilismo come il prodotto di una critica culturale, come il frutto di scelte filosofiche "sbagliate", che in fondo sono destinate a esaurirsi da se'.

Preve dichiara in apertura che "per fare filosofia bisogna, innanzitutto, credere nella filosofia e nell'esistenza di un suo oggetto e di un suo metodo specifici". La filosofia contemporanea sembra aver perso questa fede, trattando se stessa come una contingenza storica che ha avuto un inizio materiale specifico e avrà una fine (o forse è già finita...).
Mi chiedo se tale fede sia recuperabile.

Ipazia

#54
Citazione di: daniele22 il 01 Luglio 2021, 15:14:15 PM
Citazione di: Ipazia il 01 Luglio 2021, 15:10:15 PM
Quanto al rapporto col nichilismo, la natura umanistica del marxismo lo esclude. Semmai si facciano l'esame di coscienza i fedeli e propalatori del "mondo dietro il mondo".
Il mondo dietro il mondo dell'opera d'arte è il pezzo di marmo su cui è fatto
Il pezzo di marmo non bandisce crociate contro infedeli, eretici e miscredenti. Si parla d'altro.

Lo zingaro ha la facoltà di rubare, il derubato quella di difendersi. Onesta intellettuale vuole che il carico della sopravvivenza sia equamente condiviso attraverso una specifica forma cooperativa che si chiama lavoro. Appropriarsi del lavoro altrui e del suo equivalente in beni o denaro, in quanto padrone o ladro da strada, non è negoziabile sedendosi intorno ad un tavolo ma va riconosciuto per il crimine che è.

Gli zingari non sono Robin Hood e non rubano solo ai ricchi. E tantomeno ridistribuiscono il maltolto ai poveri. Sono ladri e basta e colpiscono preferibilmente gli anelli più deboli e indifesi della società. E i più creduloni nella loro buona fede. Come don Bizzotto.

Nella Russia comunista li avessero trovati a rubare il rame delle linee elettriche pubbliche finivano in Siberia senza se e senza ma. In Cina idem. Anche oggi.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: niko il 19 Giugno 2021, 15:27:38 PM
Costanzo Preve su nichilismo e marxismo I (kelebekler.com), ( il link rimanda al punto 1, poi si dovrebbe poter sfogliare fino alla fine)
Dopo una prima lettura del testo, vi ho rintracciato una connotazione del nichilismo troppo affine a quella del divenire (come da distopia parmenidea in salsa severiniana), soprattutto se tale nichilismo è chiamato a dialogare con fenomeni storici e politici facendo appello ad un'ontologia (tener distinte, e all'occorrenza anche separate, la "semantica del vivere" dall'ontologia costituisce uno degli spunti del novecento, tanto facoltativo quanto futuribile; l'implicito aut aut ontologia/nichilismo mi sembrerebbe, se fosse davvero proposto, già più inattuale).

Per quanto riguarda il richiamo a Sartre: «Il filosofo Jean-Paul Sartre ha dato nel 1960 una formulazione filosofica sostanzialmente insuperata a questa natura progettuale dell'essere compagni, attraverso la sua teoria del cosiddetto gruppo-in-fusione che persegue una finalità-progetto, a sua volta sempre minacciata dalla serializzazione e dalla inevitabile burocratizzazione, denominate da Sartre il pratico-inerte. In questo modo, secondo Sartre, si è compagni soprattutto se si ha un progetto comune da compiere insieme. È il progetto che costituisce antropologicamente i compagni. Senza progetto, nessun compagno.» chiedo (da analfabeta di marxismo militante): si può declinare tale progettualità in un progetto personale, come pare proporre Preve, ammiccando all'ideale di libertà, seppur guardandosi tanto dal liberismo quanto dall'anarchismo, senza confidare che sia poi (almeno) una propizia eterogenesi dei fini ad inverare gli ideali marxisti? Oppure la portata veritativa, onto-logica, dei presupposti dell'analisi marxista farà da garante che tali ideali non vengano disattesi, a prescindere dalle combinazioni e incastri dei vari progetti personali? In sintesi (hegeliana): quale dialettica fra libertà del progetto personale (su cui mi pare Preve metta l'accento) e, se non "profezia onto-logica in corso di inveramento" almeno "legittimazione dell'ideale comune per il futuro"?
Da quel che mi sembra, la storia umana ha sbrogliato finora (ma non è detto sia per sempre) tale dialettica con il capitalismo (ora in versione globalizzata e finanziaria), a discapito degli ideali e delle "ontologie" non nichilistiche, dando sicuramente un senso al finale ottimisticamente sconsolato del testo di Preve; dove rintracciare la possibilità di una dialettica differente, a parte la fiducia di Preve nel clinamen che porterà alla "parusia senza escatologia" dei super-giovani (più che super-uomini)?

«Ciò che non vuole diventare filosofia, perché sceglie il nichilismo, è poi costretto a diventare religione, ma una religione depotenziata ed indebolita perché non dice nulla sulla malattia a sulla morte, ed abbandona la vita quotidiana ai contenuti della modernizzazione industriale e tecnologica» (cit.). Un progetto umano (politico, sociale, etc.), se non umanistico, che non cerchi legittimazioni metafisiche o ontologiche da mettere nel suo pedigree, ma ha l'onestà filosofica di proporsi come progetto pensato da alcuni uomini per tutti gli uomini (essenza della visione politica in generale, almeno agli occhi di chi non ha ideologia), può essere una possibile forma di filosofia politica che non diventa religione e si tiene a distanza di sicurezza dal nichilismo (come probabilmente è scritto fra le righe della logologia della Cassin, citata da Preve e "liquidata" come visione parziale in quanto complementare, senza colpo di scena, alla "ontologia della verità", per dirla in sintesi).

«Sociologismo (il quarto lato del nichilismo, dopo l'umanesimo, lo storicismo e l'economicismo)» (cit.); non è questo il quadrato fondamentale del materialismo (prima di voler ammiccare all'ontologia, come insiste Preve), più che del nichilismo? Ogni cultura e società non trova forse la sua quadratura, il suo contenuto (non il suo nulla) proprio nella sua idea di uomo, nella sua storia, nei suoi rapporti economici e nelle sue connotazioni sociologiche? Quale nichilismo è quello fondato in ciò che rende una(/ogni) cultura tale? Se in questo quadrato si lascia la finestra aperta, non si finisce con il farvi rientrare quella "religiosità" (seppur in veste di "messianismo politico") che era stata già accompagnata fuori dalla porta, rea di aver alienato proprio da quell'ontologia che ora, ironicamente, non soddisfa più e fa sorgere nostalgia dell'Onto(teo)logia unificatrice e redentiva? Detto altrimenti: se proprio necessario, il superamento del nichilismo (quello dei valori, non del tempo ontologico del divenire), può essere solo un distogliere lo sguardo da ciò su cui il nichilismo ha fatto (sgradevolmente?) luce, un ritornare alla visione pre-nichilistica, ma con meno altari e il cielo vuoto (di dei, ma ancora pieno di ideali politici in dissimulata ricerca di fondamento forte), oppure (nonostante Preve) il nichilismo può essere il sintomo della necessità filosofica di ripensare l'ontologia fuori da programmi e ideali politici universalizzanti (dunque a partire dall'epistemologia e dall'ermeneutica non politicizzate, senza cercare leve ontologiche per fazioni ontiche)?

Ipazia

Citazione di: Kobayashi il 01 Luglio 2021, 18:00:12 PM
Su Preve, come è stato già notato, il punto fondamentale del suo articolo è la valutazione del nichilismo.
Che il nichilismo venga analizzato in riferimento al tempo piuttosto che al divenire della materia, non cambia molto, la cosa che conta è l'espressione del terrore di fronte alla catastrofe sempre imminente della caduta nel niente, della sparizione, della dissoluzione del proprio corpo e di quello di chi ci circonda, della perdita completa del senso della vita.
Quindi la filosofia come rimedio tramite sistemi che vorrebbero isolare un fondamento sottratto al tempo.
Preve però pensa anche che il nichilismo "sia più una rinuncia consapevole ai fondamenti [...] che un tema della perdita dei fondamenti". Questo vuol dire essere straordinariamente ottimisti perché significa che la filosofia, esaurite le correnti post-moderne, ritornerà a lavorare per la costruzione dei fondamenti.
Preve riconosce per esempio la genialità di Nietzsche come diagnostico del nichilismo occidentale, ma d'altra parte considera il nichilismo come il prodotto di una critica culturale, come il frutto di scelte filosofiche "sbagliate", che in fondo sono destinate a esaurirsi da se'.
Il "nichilismo" di Nietzsche è la presa d'atto della fine del falso fondamento religioso, nichilista in quanto negazione dell'immanenza, dello spirito della terra, che è il fondamento reale. La fine di un fondamento farlocco, ma universale, ovviamente comporta " terrore di fronte alla catastrofe sempre imminente della caduta nel niente, della sparizione, della dissoluzione del proprio corpo e di quello di chi ci circonda, della perdita completa del senso della vita." Ma la scelta filosofica sbagliata è l'invenzione dei numi e quindi si tratta davvero di reinventare la filosofia...

CitazionePreve dichiara in apertura che "per fare filosofia bisogna, innanzitutto, credere nella filosofia e nell'esistenza di un suo oggetto e di un suo metodo specifici". La filosofia contemporanea sembra aver perso questa fede, trattando se stessa come una contingenza storica che ha avuto un inizio materiale specifico e avrà una fine (o forse è già finita...).
Mi chiedo se tale fede sia recuperabile.
... recuperando l'antico e il nuovo di una filosofia immanente, come l'epicureismo, l'umanesimo marxista e l'amor fati nicciano, hanno indicato. Si tratta, accogliendo l'esortazione di Nietzsche, di credere nella terra, nella natura da cui tutto è nato. Altro fondamento non v'è.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

niko

#57
Citazione di: Kobayashi il 01 Luglio 2021, 18:00:12 PM
Cit. niko "[...] io credo che la natura sia slancio verso l'infinito, e credo nel progresso, ovvero credo che il capitalismo, al netto delle sue contraddizioni e assurdità, sia la migliore integrazione storicamente mai apparsa del soggetto-diveniente umano con la natura"

Ma la natura è ciclica, non punta verso l'infinito.
Tutta questa infinità: profitti infiniti, consumi infiniti, desideri infiniti... La Terra sta già confutando queste convinzioni con la fine delle sue risorse.
E anche sul desiderio degli uomini mi viene in mente che forse homo sapiens sia più simile al pacifico gibbone che al giovane Werther... (ma forse sono io che sono più simile a una scimmia che a un romantico tedesco).

Su Preve, come è stato già notato, il punto fondamentale del suo articolo è la valutazione del nichilismo.
Che il nichilismo venga analizzato in riferimento al tempo piuttosto che al divenire della materia, non cambia molto, la cosa che conta è l'espressione del terrore di fronte alla catastrofe sempre imminente della caduta nel niente, della sparizione, della dissoluzione del proprio corpo e di quello di chi ci circonda, della perdita completa del senso della vita.
Quindi la filosofia come rimedio tramite sistemi che vorrebbero isolare un fondamento sottratto al tempo.
Preve però pensa anche che il nichilismo "sia più una rinuncia consapevole ai fondamenti [...] che un tema della perdita dei fondamenti". Questo vuol dire essere straordinariamente ottimisti perché significa che la filosofia, esaurite le correnti post-moderne, ritornerà a lavorare per la costruzione dei fondamenti.
Preve riconosce per esempio la genialità di Nietzsche come diagnostico del nichilismo occidentale, ma d'altra parte considera il nichilismo come il prodotto di una critica culturale, come il frutto di scelte filosofiche "sbagliate", che in fondo sono destinate a esaurirsi da se'.

Preve dichiara in apertura che "per fare filosofia bisogna, innanzitutto, credere nella filosofia e nell'esistenza di un suo oggetto e di un suo metodo specifici". La filosofia contemporanea sembra aver perso questa fede, trattando se stessa come una contingenza storica che ha avuto un inizio materiale specifico e avrà una fine (o forse è già finita...).
Mi chiedo se tale fede sia recuperabile.





Io con natura mi riferisco a un concetto complesso, che tiene conto della termodinamica, della relatività generale, del darwinismo e dell'evoluzione delle specie, della genetica, dell'astrofisica moderna e della meccanica quantistica, insomma alla natura per come ce l'ha raccontata negli ultimi due secoli la scienza, e non per come ce la raccontano i miti e i testi sapienziali e nemmeno l'evidenza empirica e sensoriale.


Ora, tale natura non ha più quasi niente di ciclico, anzi il destino ultimo dell'universo è/sarà conseguenza diretta della termodinamica e/o dell'inflazione cosmica e sarà un destino di morte, e questo destino è proprio intrinseco: se è un sistema chiuso, morirà di certo, se non è un sistema chiuso, potrebbe anche non morire, ma allora il suo essere "solo fino a un certo punto" universo, sistema aperto, non corrisponderebbe più precisamente alla definizione che ne diamo. 


Dal big bang al big rip, le esperienze più tipicamente umane, come la nascita e la morte, sono state "trasposte" sull'universo. Ma tante strutture fondamentali, ad accettare di farsi descrivere il mondo fisico dalla scienza, sono così. La temperatura per esempio, ha un minimo assoluto, ma non un massimo. La vita sulla terra non si sa precisamente come nasca, ma si sa quale antenato minimo in comune ha e come è fatta all'origine, ma poi diviene in una serie di modi e direzioni che non hanno soluzione di continuità, non hanno apparentemente senso se non continuo divenire motivato da piacere e dolore o da istinti di sopravvivenza ancora più semplici.
Le forze fondamentali cominciano ed esistere ad intervalli di tempo diversi dopo il big bang.
Vi sono proprietà emergenti come tutte quelle della termodinamica, la freccia stessa del tempo è una proprietà emergente, ovvero ci vuole una certa complessità dei processi perché si possa imputare ad alcuni di essi l'irreversibilità, e questa complessità stessa non è originaria, ma viene raggiunta a un certo punto nel tempo nella storia dell'universo. Come dire che il fatto che il tempo vada verso il futuro è di per sé un fatto meno antico del "puro" tempo, e dunque originato.


La coscienza stessa che fisicamente "non si riesce a trovare", potrebbe essere una proprietà emergente.


E a ben guardare non è la stessa cosa di tutte le altre cultura che hanno miti secondo cui l'universo nasce e muore, a partire, per fare un esempio banale, dalla bibbia, dalla cosmogonia di Esiodo o dal Timeo di Platone, perché qui, con questa descrizione scientifica degli ultimi due secoli, si sta affermando che l'universo nasce e muore in se stesso, non che qualcuno o qualcosa di almeno entro certi limiti esterno lo faccia e lo disfi, quindi si cambia il giudizio sulla ciclicità, appunto, della natura, non delle entità sovrannaturali, o extranaturali o sovrasensibili (Dio, Demiurgo eccetera), che mai, o quasi mai, sono state descritte come cicliche.


Prendendo sul serio questi e altri punti, bisognerebbe sospendere il giudizio su tutte le attribuzioni di ciclicità alla natura.


La natura ci appare ciclica banalmente perché ne vediamo un pezzo


A: troppo poco esteso, troppo piccolo, nello spazio e nel tempo.


B: troppo fortunatamente al sicuro dai grandi cataclismi cosmici.


E' vero che l'omogeneità dell'universo dovrebbe portare all'esistenza di pianeti simili alla terra e quindi potenzialmente abitati, e quindi tanti altri punti di osservazione distorti/fortunati in cui si avrebbe l'illusione della ciclicità, ma, di nuovo, evidenze non ne abbiamo.


Il modello di cosmo e di uomo che ne risulta, secondo me, anziché contraddire direttamente l'eterno ritorno e ogni idea di ciclicità, non tanto della natura, quanto della vita come esperienza della natura, è estremamente nietzschano, perché l'elemento ciclico che manca alla -nuova- natura potrebbe essere reintrodotto da un atto ultraumano di volontà, da uno slancio verso l'infinito che accetti anche, ma non solo, la fine come destino.


Il pensiero di tale possibilità nasce dall'unità, o meglio dalla contraddizione, che si forma in me tra il concetto e il sentimento del tempo: il tempo, almeno considerato come puro concetto, come tempo a disposizione della natura, dovrebbe essere infinito, o comunque non ho bisogno di un limite di tipo "data di scadenza" del tempo per pensare il tempo, quindi il tempo, almeno per come è in me, è infinito, questo da una parte, eppure tale infinità non ha impedito l'evento della mia vita ne ogni altro evento singolarmente considerato, dall'altra, che hanno attraversato l'infinito per essere nel qui è ora così come io li percepisco; è la vita, come evento minimo dell'esperienza, che sembra decidere della ciclicità della natura, e stante la realtà della mia vita e l'innegabilità del mondo intorno a a me, essa sembra aver deciso di sì: questo mio tempo esiste nel tempo, quindi esiste nell'infinito, quindi è un attributo generico ma reale tra i tanti dell'infinito, un infinito che emerge a tratti tollerando la sovrapposizione di altri infiniti, le cui parti visibili non possono che essere i punti, gli intervalli, di una serie, e il cui seppellimento è oblio della coscienza e dissoluzione del corpo, sonno tra una vita e l'altra. Ovviamente tutto questo perché, per me, l'infinito non è una cosa e non è un puro spirito, è un'insieme di infiniti discreti trascorrenti su un'infinito continuo, non c'è niente di finito nell'infinito, è non c'è niente di continuo perché qualunque cosa possa essere il continuo è escluso dall'apparire stesso perfettamente formato, o comunque illusivo, dei discreti. Un pezzo di ferro è, e resta, fatto di ferro in ogni suo punto e frammento estraibile, e così pure un pezzo di infinito, ma rimane il rapporto di minorità e partecipazione, che rende il pezzo pezzo di un qualcosa di più grande.


La vita riporta ciclicità nella natura opponendosi all'entropia dell'ambiente, tale processo non è perfetto, ma esprime un desiderio e una nostalgia del passato, come stato meno probabile e più ordinato; l'uomo mi sembra essere una vita atipica perché esprime un senso di dominio e non accettazione del passato che è estraneo alla normale tendenza degli altri viventi, che almeno tematizzano la decadenza a problema.


Ma tale ciclicità non è l'incurvarsi del tempo su se stesso, piuttosto una spirale protesa come una molla in cui il cui ogni ciclo del tempo procede in uno spazio che non si identifica con il tempo stesso ed esiste realmente ed autonomamente, plasmato dalla volontà. Di ogni attimo si deve poter predicare l'identicità con infiniti altri attimi e insieme l'estraneità trascendente ad essi. Perché la volontà di potenza non ha una materia passiva su cui operare, ma opera sulle parti più deboli di se stessa secondo l'ordine del tempo, in modo tale che ogni singolo attimo è voluto e il voluto non è mai la permanenza, e quindi l'oggetto idealizzato, del volere. E seguendo una linea che unisce il punto corrispondente allo stesso attimo su più cicli del tempo, e non ripetendo lo stesso ciclo, si deve poter constare l'eterno ritorno del differente, e non dell'eguale.


A questa visione si oppongono quella del tempo banalmente circolare, appunto il nichilismo passivo come male della modernità, e quella del tempo lineare, che sono insostenibili perché esistenzialmente svalutanti, visioni in cui il fatto di essere e di trovarsi a vivere nel medium, nel mezzo, tra punti privilegiati del tempo di origine e fine non attuali, ha conseguenze esistenziali, negative per giunta. Esse portano all'edonismo di un godimento cieco o allo stoicismo di un esercizio vano della virtù. Ogni metafisica della storia può essere così, eden-giudizio universale, preistoria-comunismo, psicoanalisi-guarigione materialismo in cui l'universo nasce-muore. Se sono in un tempo della prova, non posso che esercitare la virtù in quanto tale, se sono nell'imminenza del nulla non solo individuale, ma anche cosmico, non posso che esercitare il godimento acefalo in quanto tale.


Solo il senso dell'infinito come aggiunta e contributo proprio della vita a un mondo che di suo ciclico non sarebbe, mi permette la creazione di nuovi valori, il senso correttamente inteso di lavoro.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Ottimo manifesto niko di una metafisica dialettica matura. Ich lebe mein leben in wachsenden ringen, vivo la mia vita in cerchi crescenti, cantava un poeta. Sempre uguali, sempre diversi, gli rispondeva un altro. A partire dal primo della serie, quell'Eraclito al di sopra di ogni sospetto, che di certo non cercava "leve ontologiche per fazioni ontiche".

L'unica attenzione che mi permetto di consigliare è  non insistere troppo su leve ontologiche cosmogoniche che non sono fotocopiabili sulla dimensione di un universo antropologico dai tempi più ristretti e cangianti, coi suoi bisogni e desideri particolari, con una declinazione dell'infinito tarata su unità di misura altrettanto particolari.  Non per trascendenza, ma per immanente accidentalità.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

daniele22

Citazione di: Ipazia il 01 Luglio 2021, 22:35:21 PM
Citazione di: Kobayashi il 01 Luglio 2021, 18:00:12 PM
Su Preve, come è stato già notato, il punto fondamentale del suo articolo è la valutazione del nichilismo.
Che il nichilismo venga analizzato in riferimento al tempo piuttosto che al divenire della materia, non cambia molto, la cosa che conta è l'espressione del terrore di fronte alla catastrofe sempre imminente della caduta nel niente, della sparizione, della dissoluzione del proprio corpo e di quello di chi ci circonda, della perdita completa del senso della vita.
Quindi la filosofia come rimedio tramite sistemi che vorrebbero isolare un fondamento sottratto al tempo.
Preve però pensa anche che il nichilismo "sia più una rinuncia consapevole ai fondamenti [...] che un tema della perdita dei fondamenti". Questo vuol dire essere straordinariamente ottimisti perché significa che la filosofia, esaurite le correnti post-moderne, ritornerà a lavorare per la costruzione dei fondamenti.
Preve riconosce per esempio la genialità di Nietzsche come diagnostico del nichilismo occidentale, ma d'altra parte considera il nichilismo come il prodotto di una critica culturale, come il frutto di scelte filosofiche "sbagliate", che in fondo sono destinate a esaurirsi da se'.
Il "nichilismo" di Nietzsche è la presa d'atto della fine del falso fondamento religioso, nichilista in quanto negazione dell'immanenza, dello spirito della terra, che è il fondamento reale. La fine di un fondamento farlocco, ma universale, ovviamente comporta " terrore di fronte alla catastrofe sempre imminente della caduta nel niente, della sparizione, della dissoluzione del proprio corpo e di quello di chi ci circonda, della perdita completa del senso della vita." Ma la scelta filosofica sbagliata è l'invenzione dei numi e quindi si tratta davvero di reinventare la filosofia...

CitazionePreve dichiara in apertura che "per fare filosofia bisogna, innanzitutto, credere nella filosofia e nell'esistenza di un suo oggetto e di un suo metodo specifici". La filosofia contemporanea sembra aver perso questa fede, trattando se stessa come una contingenza storica che ha avuto un inizio materiale specifico e avrà una fine (o forse è già finita...).
Mi chiedo se tale fede sia recuperabile.
... recuperando l'antico e il nuovo di una filosofia immanente, come l'epicureismo, l'umanesimo marxista e l'amor fati nicciano, hanno indicato. Si tratta, accogliendo l'esortazione di Nietzsche, di credere nella terra, nella natura da cui tutto è nato. Altro fondamento non v'è.


Buongiorno a tutti, a Kobayashi e Ipazia in particolare.
@Ipazia
Tu parli spesso di lavoro, parli di redenzione del lavoratore dai parassiti, Ma mi piacerebbe sapere a cosa ti riferisci col termine "lavoro", appunto. Io faccio riferimento alla fisica classica, quindi "forza x spostamento". Cosa abbiamo noi esseri umani di diverso dalla legge della fisica classica? Nulla, giacché se stiamo fermi facciamo resistenza (lavoro negativo) e se ci muoviamo compiamo delle azioni e quindi un lavoro. C'è chi costruì chiese e ancora le costruisce, c'è chi fa i computer, c'è chi impone la sua regalità, c'è pure chi truffa, chi ammazza e chi ruba facendo al tempo stesso tutte le altre cose già citate. Poi mi sembra che ci sei anche tu, che releghi straccioni e fuorilegge (zingari, delinquenti abituali mafie comprese, e forse anche lo Stato italiano anche se non lo dici) nel mondo degli esclusi tout court assecondando, pur ammettendo che si tratta di un'etica, il concetto di lavoro come fosse il lavoro stesso un valore, dandogli un valore aggiunto selezionandolo a tuo arbitrio. E ho ben ragione a dirlo perché di fatto tu compi una trattazione morale sul lavoro. Tu non riesci nemmeno ad immaginare che i valori di quella che tu definisci feccia possano essere simili se non uguali ai tuoi. Come già ebbi modo di dire nel topic dedicato alla cattura di Riina, spero che non mi farei scrupolo di ammazzare Brusca se avesse offeso a morte qualcuno dei miei cari, dato che lo stato in base alle sue leggi l'ha rimesso in circolo ... e quindi di compiere un lavoro in quel senso. Non valuto l'assassinio come crimine in sè. Dovrei valutare le sue motivazioni, ma mi è impossibile farlo dato che non posso fidarmi di quel che dice l'imputato, ma devo tener conto di questo fatto che in fondo censura una presunzione di innocenza da parte dell'imputato di fronte a se stesso e al suo crimine. Per questo forse non ti sei votata ad una risposta sulla mia interpretazione della colpa di Raskolnikov e della sua purga. Raskolnikov si è autocondannato in virtù del secondo omicidio, per il quale si sentiva giustamente in colpa, non del primo. Certo dostoevsky lo accenna appena, ma qui sta la sua grandezza


@Kobayashi
Avrei dovuto riprendere l'altro post in cui dici che Preve dice che il nichilismo "sia più una rinuncia consapevole ai fondamenti [...] che un tema della perdita dei fondamenti".
Non conosco certo Preve e non andrò certo a studiarlo, ma sono senz'altro d'accordo con lui. L'uomo è un animale e il suo istinto animalesco non si è perso, come taluni pensano. E' stato dirottato verso l'attenzione alla "fonte della verità", ma anche quest'ultima, come ogni cosa di questo mondo, può essere oggetto di desiderio o di repulsione. Non tutti vogliono sapere la verità (una verità, tra l'altro, non la verità. Da un punto di vista fenomenologico la verità corrisponde ad una attesa di verità). La mia opinione in merito è che vi sono persone che non vogliono sapere certe cose perchè spaventate dal loro atteggiamento troppo falso nei confronti dei propri valori. La falsità si concede a tutti, ma il troppo storpia. Però ora ci sono i mezzi per stanare queste falsità insostenibili, almeno agli occhi delle persone normali. Abbiamo un artista, tra l'altro, all'interno di questo forum, che non sono certo io

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