Ma davvero chi non è d'accordo con i darwiniani è un retrogrado?

Aperto da Donalduck, 16 Aprile 2016, 01:02:16 AM

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sgiombo

Citazione di: Loris Bagnara il 21 Aprile 2016, 12:57:57 PMLoris Bagnara ha scritto:

No, non approfitto di nulla. Mi limito a prendere atto del tuo pensiero, rilevando però come vi siano, a mio avviso, delle incongruenze; e invitandoti ad essere meno ostile alla discussione.
Ma chiudiamo pure qui questa disputa e passiamo ad altro.

Rispondo:

Apprezzo la decisione (anche da parte tua) di finirla con questa penosa discussione.
Sono lieto di apprender che ero stato troppo possimista e malevolo in proposito nei tuoi confronti



Loris Bagnara ha scritto:

Vorrei sgombrare il campo da un equivoco. Chi parla di "disegno intelligente" non è necessariamente un "creazionista" che invoca un intervento trascendente. Non è necessariamente irrazionalista chi parla di "disegno intelligente". Io non invoco il trascendente e non sono irrazionalista.

Rispondo:

Se chi parla di "disegno intelligente" non è un "creazionista" che invoca un intervento trascendente, allora penso che non possa che attribuire il "disegno intelligente" stesso a un' entità (una "creatura") naturale, e questo mi sembra, certamente meno irrazionalistico del creazionismo, ma pur sempre molto più irrazionalistico della teoria dell' evoluzione biologica (implicante ipotesi non provate -e a mio modesto parere decisamente "strampalate"- in numero enormemente maggiore: rasoio di Ockam!).

Innanzitutto chi mai sarebbe e dove starebbe questo fantomatico personaggio? Un extraterrestre? E dove mai ci sarebbe traccia nell' universo di un siffatto personaggio dotato di una tecnologia in grado di orientare finalisticamente le mutazioni genetiche (cosa che mi sembra molto più inverosimile e improbabile della naturale, non tecnologicamente prodotta, evoluzione biologica in conseguenza di mutazioni genetiche casuali e selezione naturale).

Inoltre, anche ammesso e non concesso, in questo modo si sposterebbe semplicemente il problema e non lo si risolverebbe affatto; si riproporrebbe infatti la domanda: "da dove salta fuori" (come si è formato; naturalmente nel corso del divenire naturale scientificamente noto almeno nelle sue leggi più semplici, visto che si escludono interventi trascendenti e si vuole restare razionalisti) un siffatto personaggio dotato di una tecnologia per noi umani "fantascientifica"?
Escluso si stato fatto da un' altro simile personaggio per non cadere in un regresso all' infinito, si ripropongono tali e quali (anzi molto più complicatamente: Dove nell' universo? Attraverso quali grandi ere paragonabili a quelle geologiche, eventi di speciazione e di estinzione, ecc.?) gli stessi interrogativi che già trovano un' ottima risposta nella teoria scientifica dell' evoluzione biologica.

Per ovviare a una presunta complicazione e "improbabilità di eventi" (provati) si cadrebbe una complicazione e improbabilità di eventi enormemente maggiore (e senza traccia empirica alcuna)!



Loris Bagnara ha scritto:

Forse è questo presunto irrazionalismo che disturba te e probabilmente anche altri.
Quel che si vuole suggerire è che la qualità dell'intelligenza (e della coscienza) possa essere intrinseca all'universo, e pertanto oggetto di studio della scienza quanto ogni altro fenomeno.
La realtà dell'universo è semplicemente molto più vasta di quanto lo sguardo della scienza, oggi, possa abbracciare; ma non perché la scienza non possa farlo, quanto per i limiti che la scienza stessa si è imposta.
Io credo che la scienza dovrebbe ridefinire i suoi limiti e i suoi strumenti.


Rispondo:


Che significa l' affermazione che "la qualità dell'intelligenza (e della coscienza) possa essere intrinseca all'universo, e pertanto oggetto di studio della scienza quanto ogni altro fenomeno"?
Per me la realtà umanamente conoscibile (per lo meno quella conoscibile direttamente per esperienza) si distingue in due ambiti separati e reciprocamente trascendenti (anche se in divenire per così dire "parallelo, biunivocamente corrispondente" su diversi "piani ontologici reciprocamente incomunicanti"), entrambi fenomenici cioé costituiti unicamente, puramente e semplicemente da sequenze di sensazioni ("esse est percipi", Berkeley), a grandi linee e mutatis mutandis identificabili con le cartesiane "res extensa" e "res cogitans".
La prima, essendo costituita da enti ed eventi misurabili attraverso rapporti esprimibili con numeri e dunque "matematizzabili", se inoltre si ammettono alcune condizioni indimostrabili (per lo meno la sua intersoggettività e il suo divenire ordinato secondo modalità generali universali e costanti astraibili dai particolari concreti variabili: le "leggi di natura"), è conoscibile scientificamente.
La seconda, non essendo intersoggettiva, e inoltre non essendo misurabile (e dunque il suo divenire non essendo "matematizzabile", così da poterne astrarre e verificare leggi universali e costanti rigorose e ben definite) non è scientificamente conoscibile: se ne può astrarre solo "una certa quale universalità e costanza molto vaga e indefinita, decisamente imprecisa", e dunque ben lontana dal rigore e dalla sicurezza scientifica propria della conoscenza possibile della "res extensa").

In particolare, affinché si dia conoscibilità scientifica della "res extensa", anche il nostro comportamento umano "intelligente" deve (e può) secondo me essere ridotto al divenire materiale del nostro cervello e alle sue conseguenze, e dunque alle leggi biologiche della neurofisiologia, a loro volta perfettamente riducibili a quelle delle fisica-chimica.
Pe me la scienza può occuparsi unicamente della "res extensa" il cui divenire è in ultima analisi (anche nelle manifestazioni umane di "intelligenza") perfettamente riducibile alle leggi fisiche.
La "res cogitans" diviene "di pari passo" ma senza interferenza reciproca alcuna con la "res extensa", è "piena di intelligenza e di altre magnifiche e importantissime qualitàumane (bontà etica, bellezza estetica, ecc.)", ma non è scientificamente conoscibile.

Ovviamente non pretendo di persuaderti (per lo meno "sui due piedi") di queste mie convinzioni (però non tanto peregrine come potrebbero sembrare a prima vista; per esempio in gran parte sono implicate anche dalla filosofia di Spinoza, in parte minore dall' occasionalismo). Però credo che in alternativa dovresti mostrare come (in che senso, attraverso quali dinamiche naturali) l' intelligenza opera all' interno della "res extensa" scientificamente conoscibile (e dunque come può la scienza oltrepassare i limiti che si è imposta a se stessa per includerla, integrandola con quanto già ci dice del mondo naturale materiale; eventualmente con qualche congruo emendamento di questo).



sgiombo

Citazione di: anthonyi il 21 Aprile 2016, 17:56:58 PMAnthonvi ha scritto:


Vorrei rispondere a Sgiombo, risposta 2, tu hai detto che qualsiasi causa soprannaturale, cioè contraria alle leggi meccaniche o statistiche è caotica, imprevedibile ...
Supponiamo che non sia così, supponiamo cioè che gli eventi cosiddetti soprannaturali seguano una razionalità di tipo finale, in relazione alla quale eventi reali non spiegati dalle leggi causali possono essere analizzati, spiegati, al limite previsti. In tal caso non ci troveremmo in una situazione di
imposizione teorica maggiore di quella che fa la scienza.
Per la scienza infatti va bene formalizzare una ipotesi teorica su eventi causalmente determinati che però deve essere confermata dai fatti.
Per cui dovrebbe andar bene anche una formalizzazione teorica, su eventi finalisticamente determinati, che però deve anch'essa essere confermata dai fatti.


Rispondo:

Mi sembra un' ipotesi gratuita: la scienza oltre a presupporre un divenire naturale "causalmente ordinato" propone anche ipotesi concrete circa questo divenire e le sottopone a conferma/falsificazione empirica.
Invece non vedo in che cosa possano consistere ipotesi concrete circa un divenire naturale finalistico" da sottoporre a conferma/falsificazione empirica.

Inoltre se si ammette che in natura (nel mondo materiale) agiscano (anche) cause soprannaturali contrarie alle leggi meccaniche o statistiche del suo divenire, allora non è possibile conoscenza scientifica, né calcolo razionale dei mezzi necessari (se e quando effettivamente possibili) per conseguire determinati scopi (calcolo che necessita di avvalersi della conoscenza delle leggi incontrovertibili del divenire per applicarla ai dati di fatto reali).
Se supponiamo che gli eventi cosiddetti soprannaturali seguano una razionalità di tipo finale, allora è necessario che accadano in un contesto di divenire ordinato (per lo meno "debole", cioè ordinato probabilisticamente statisticamente) per poter individuare mezzi necessari e sufficienti a conseguire gli scopi: ma allora non sarebbero più eventi "soprannaturali", ma per esempio quelli intenzionali, finalizzati conseguenti l' operare umano (e in qualche misura animale).
Dei fini possono essere conseguiti unicamente tramite mezzi (o al limite, alquanto raramente –come vincere alla lotteria- del tutto casualmente, ma allora così non si spiega nulla); e i mezzi si possono applicare efficacemente solo a una realtà in divenire "causale", ordinato meccanicisticamente o per lo meno probabilisticamente:

il finalismo non può prescindere dal causalismo.

La scienza razionalisticamente pone dei limiti alla realtà da essa conoscibile (non può pretendere l' impossibile; contrariamente a un' irrazionalistico e antiscientifico modo corrente "scientistico" di intendere la tecnica); pretendendo si superare tali limiti (per esempio ammettendo che vi siano interferenze non causali nel divenire ordinato della realtà naturale) si precluderebbe la possibilità di conoscerla.

Non vedo pertanto come possa darsi una razionalità di tipo finale, in relazione alla quale eventi reali non spiegati dalle leggi causali possono essere analizzati, spiegati, al limite previsti: anche le azioni finalizzate umane necessariamente sono spiegate dalle leggi causali del divenire scientificamente conoscibili.

Loris Bagnara

Citazione di: sgiombo il 21 Aprile 2016, 20:36:41 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Aprile 2016, 12:57:57 PMLoris Bagnara ha scritto:

Vorrei sgombrare il campo da un equivoco. Chi parla di "disegno intelligente" non è necessariamente un "creazionista" che invoca un intervento trascendente. Non è necessariamente irrazionalista chi parla di "disegno intelligente". Io non invoco il trascendente e non sono irrazionalista.

Rispondo:

Se chi parla di "disegno intelligente" non è un "creazionista" che invoca un intervento trascendente, allora penso che non possa che attribuire il "disegno intelligente" stesso a un' entità (una "creatura") naturale, e questo mi sembra, certamente meno irrazionalistico del creazionismo, ma pur sempre molto più irrazionalistico della teoria dell' evoluzione biologica (implicante ipotesi non provate -e a mio modesto parere decisamente "strampalate"- in numero enormemente maggiore: rasoio di Ockam!).
[...]
Ho tagliato la citazione del tuo messaggio per non appesantire questo post.

Le riflessioni filosofiche che esponi sono assolutamente legittime e hanno tutte un loro posto nella storia del pensiero. Potrei dire che anche io stesso le ho attraversate un po' tutte per arrivare infine alla mia visione attuale.
L'accenno solo in due parole, perché qui sarebbe "out of topic", magari apriremo in seguito una discussione su questo argomento.
Io sono un teosofo. La mia visione è quella della tradizione esoterica più antica (quella che si dice la philosophia perennis).
Contrariamente a quel che potreste pensare, in questa visione non c'è assolutamente nulla di irrazionalistico, di fideistico, di teistico. L'esoterismo afferma la validità assoluta del principio di causalità e accetta di buon grado tutto quanto ha da dire la scienza, perché non c'è nulla di quel che dice la scienza che sia in contrasto con i suoi principi. Anzi. E' noto come la meccanica quantistica sia arrivata a concezioni che l'esoterismo afferma da migliaia di anni (si pensi alla posizione di David Bohm, ad esempio, o a Fritjof Capra con Il tao della fisica).

In sostanza, con un semplice ribaltamento di prospettiva tutto è molto più comprensibile.
Alcuni dei principi dell'esoterismo sono:
1) La realtà è UNA: non c'è una realtà fisica ed una realtà metafisica, trascendente. Ci sono solo gradazioni, non compartimentazioni. La materia è spirito "denso" e lo spirito è materia "sottile".
2) La realtà è anche COSCIENZA e VITA. La vita non sorge: è. La coscienza non si forma: è. La realtà una è una MENTE VIVENTE. L'universo manifestato è una CREAZIONE MENTALE.
3) Noi siamo frammenti individualizzati della coscienza una.

Concludo con questo. Nella tradizione indiana c'è l'antichissimo concetto delle tre qualità fondamentali della realtà: tamas (inerzia), rajas (azione), sattva (intelligenza). Se ne può dare una perfetta interpretazione fisica.
Tamas è la materia/energia nel suo aspetto denso e pesante, che chiamiamo comunemente materia.
Rajas è la materia/energia nel suo aspetto più sottile, che comunemente chiamiamo energia.
Sattva è l'intelligenza dei fenomeni, ossia le leggi dell'universo fisico.
Possibile che non ci si chieda mai per quale motivo esistono le leggi fisiche? Perché la realtà non è un semplice caos, privo di leggi e di forma? Perché la realtà è intelligibile?
Come si fa allora a dubitare che l'universo è intelligenza, quando è la scienza stessa a scoprire che non c'è un angolo dell'universo dove non esista un ordine?

Finito. Chiedo scusa a tutti per l'OOT. ::)

maral

Citazione di: Loris Bagnara il 21 Aprile 2016, 19:55:21 PM
Mi sono guardato il video. Sono concetti sicuramente interessanti, anche se, a ben vedere, fanno sorgere più domande di quante siano le risposte che danno.
E' vero, ma trovo che questo sia il valore maggiore di un discorso scientifico.
CitazioneMa qui sorge la prima grande domanda: se non sono i geni a controllare le forme, che cos'è a controllarle, allora? Dove stanno scritte le informazioni che descrivono le forme e le regole delle loro evoluzioni?
La seconda domanda che mi è sorta, vedendo il video, è la seguente: qual è il processo che seleziona le forme?
Non sono un biologo, quindi la mia risposta va presa con le pinze, ma penso che in entrambi i casi sia l'adattamento reciproco tra la forma vivente e il contesto in cui realizza la sua autopoiesi come unità. L'organismo vivente è (da un punto di vista strettamente scientifico) fondamentalmente un trasformatore di energia che persiste finché riesce costantemente a mantenere integra a ogni variazione di contesto la propria complessa unità biostatica e, a differenza di un elemento non vivente, può fare questo solo interagendo con l'ambiente in modo ciclico. Secondo l'Evo Devo non dovremmo allora più pensare che la forma sia determinata semplicemente dal genoma, ma proprio da questa costante interazione genoma - ambiente, a volte essa funziona, altre no. Il genoma stesso alla fine non è che l'espressione di questa interazione.
La cosa più spettacolare secondo me è proprio l'ontogenesi dell'organismo vivente. Come si spiega quella straordinaria differenziazione cellulare che mette in atto a partire da un'unica informazione genetica, che resta identica in ogni cellula del nostro corpo nonostante la loro straordinaria differenziazione? E' chiaro che questa differenziazione non dipende dal DNA e allora cos'è che la detta? Un biologo direbbe che è l'azione delle proteine, ma probabilmente non solo, entrano in gioco fattori chimici, fisici e stereospecifici, tutto un contesto ambientale di contorno che fa funzionare il genoma in quel modo e questa interazione, se funziona, determina la sopravvivenza.
Non c'è un progetto, perché il disegno si costruisce continuamente, un po' come un'orchestra che via via riesce a trovare un accordo di suoni che stanno insieme senza che vi sia alcuna partitura predefinita. Ogni orchestrale incide sul modo in cui suona l'altro e viceversa e a volte può accadere che il tutto, per un po' per ciascuno, stia straordinariamente insieme.


CitazioneCredo abbiate tutti compreso cosa intendo dire. Il primo processo di tirare a indovinare in maniera graduale è statisticamente molto più vincente del secondo, perché il processo di selezione del risultato, intervenendo ad ogni passaggio, opera in maniera costruttiva, come un insegnante che in qualche modo indirizza l'alunno, nell'intero corso di studio, verso il "successo". Invece il secondo modo di tirare a indovinare è statisticamente quasi impossibile, perché il processo di selezione interviene solo alla fine, come un insegnante che si limita a correggere il compito d'esame e a dare il giudizio: promosso o bocciato.

Ecco, l'evo-devo mi pare sia affine a questo secondo modo di tirare a indovinare, mentre il neodarwinismo gradualista al primo.
In conclusione, l'evoluzione a salti, di cui parla evo-devo, mi sembra implicare l'esistenza di una intelligenza delle forme, che però è ancora tutta da spiegare.
Secondo l'Evo Devo infatti non si procede variando un risultato per volta nel compilare la schedina e attendendo l'esito, perché una singola variazione può variare in un colpo solo tutti gli altri risultati che, tutti insieme, producono un adattamento riuscito o meno.
Noi, a posteriori possiamo pensare che vi sia una sorta di intelligenza preordinatrice delle forme , per spiegarci come mai quell'organismo abbia fatto 13 e per un po' continui a farlo, ma questo è solo il risultato del modo con cui a posteriori, da osservatori, interpretiamo il risultato finale.
Ogni forma vivente è di per sé un grande successo di cui il DNA è solo uno degli attori in gioco, ma ogni successo, per quanto grande sia, è destinato prima o poi all'insuccesso, è inevitabile. Forse con l'eccezione dei batteri che continuano ad avere enorme e incontrastato successo da quando è comparsa la vita sul pianeta. Quella è senza dubbio la base imprescindibile del vivente, da cui continuamente tutto il resto sorge e si estingue. Ma anche i batteri devono mutare continuamente e assai rapidamente per poter restare.

maral

Citazione di: green demetrSu questo punto hai ragione, non penso Sgiombo o Maral possano argomentare contro.
Nel senso che la scienza (che io sappia) non l'ha ancora scoperto.

Se il motore che varia il vivente è conosciuto.
Il motore che varia l'organico in "vivente" è sconosciuto
Non solo è sconosciuto, ma ritengo che sia impossibile conoscerlo senza un approccio essenzialmente filosofico che stabilisca questo confine, che dia un criterio per poter dire cosa è vivente e cosa no. E il problema è che di criteri ne sono stati dati tanti, troppi, ma ognuno alla fine può essere messo del tutto lecitamente in discussione. E allora rassegnamoci: il vivente si distingue dal non vivente solo in virtù dell'opinione che la cultura a cui apparteniamo determina in noi su di essi e solo il senso di questa opinione alla fine merita di essere filosoficamente esplorato.

Loris Bagnara

Citazione di: maral il 21 Aprile 2016, 23:00:05 PM
CitazioneSu questo punto hai ragione, non penso Sgiombo o Maral possano argomentare contro.
Nel senso che la scienza (che io sappia) non l'ha ancora scoperto.

Se il motore che varia il vivente è conosciuto.
Il motore che varia l'organico in "vivente" è sconosciuto
Non solo è sconosciuto, ma ritengo che sia impossibile conoscerlo senza un approccio essenzialmente filosofico che stabilisca questo confine, che dia un criterio per poter dire cosa è vivente e cosa no. E il problema è che di criteri ne sono stati dati tanti, troppi, ma ognuno alla fine può essere messo del tutto lecitamente in discussione. E allora rassegnamoci: il vivente si distingue dal non vivente solo in virtù dell'opinione che la cultura a cui apparteniamo determina in noi su di essi e solo il senso di questa opinione alla fine merita di essere filosoficamente esplorato.
Questo pensiero mostra bene come siano gli scienziati, più che i filosofi, a creare il regno della metafisica, e altri regni più o meno immateriali e irrazionali, per usarli come comodi contenitori di tutto ciò che non riescono a spiegare. E all'ingresso di quei regni mettono su un bel cartello: "Lasciate ogni speranza o voi che entrate". Trovano più facile fare così, anziché ridefinire i propri paradigmi e i propri strumenti concettuali.
Paradossalmente, se applicassimo lo stesso ragionamento alla nostra origine individuale, dovremmo concludere che la nostra stessa nascita è un problema metafisico, poiché quand'è che siamo veramente nati? Quando siamo usciti da nostra madre? Quando siamo stati concepiti? Oppure esistevamo già nello spermatozoo e nell'ovulo dei nostri genitori? Oppure ancora niente di tutto questo?
Eppure è chiaro a tutti che ora ci siamo, e prima non c'eravamo. Tutto il resto è... non noia, come diceva Califano, ma sterili sofismi.

Loris Bagnara

Citazione di: maral il 21 Aprile 2016, 22:31:40 PM

Citazione[...] Ecco, l'evo-devo mi pare sia affine a questo secondo modo di tirare a indovinare, mentre il neodarwinismo gradualista al primo.
In conclusione, l'evoluzione a salti, di cui parla evo-devo, mi sembra implicare l'esistenza di una intelligenza delle forme, che però è ancora tutta da spiegare.
Secondo l'Evo Devo infatti non si procede variando un risultato per volta nel compilare la schedina e attendendo l'esito, perché una singola variazione può variare in un colpo solo tutti gli altri risultati che, tutti insieme, producono un adattamento riuscito o meno.
Noi, a posteriori possiamo pensare che vi sia una sorta di intelligenza preordinatrice delle forme , per spiegarci come mai quell'organismo abbia fatto 13 e per un po' continui a farlo, ma questo è solo il risultato del modo con cui a posteriori, da osservatori, interpretiamo il risultato finale.
Ogni forma vivente è di per sé un grande successo di cui il DNA è solo uno degli attori in gioco, ma ogni successo, per quanto grande sia, è destinato prima o poi all'insuccesso, è inevitabile. Forse con l'eccezione dei batteri che continuano ad avere enorme e incontrastato successo da quando è comparsa la vita sul pianeta. Quella è senza dubbio la base imprescindibile del vivente, da cui continuamente tutto il resto sorge e si estingue. Ma anche i batteri devono mutare continuamente e assai rapidamente per poter restare.
L'idea, avanzata dall'evo-devo, che un salto evolutivo possa avvenire in "toto" con una singola variazione, a mio avviso produce l'ingannevole percezione che questo salto, questa singola variazione "di successo" possa avvenire in maniera relativamente facile, relativamente probabile.
La questione è legata alla quantità di informazione codificata in una forma. Maggiori sono le differenze fra due forme, maggiore è la quantità informazione che serve per descrivere la variazione dall'una all'altra. Non ci sono scorciatoie. Sarebbe bello se intervenisse in questo forum un esperto in materia di contenuto informativo codificato nelle forme biologiche... Provo io a fare alcune considerazioni puramente qualitative, per rendere l'idea.
Torniamo all'esempio dell'arto e dell'ala. Coniamo il termine generale di "appendice funzionale", che include tutte le possibili varianti di un'appendice. In questa categoria saranno incluse tutte le possibili varianti di arti, ali, pinne etc etc, che si possano immaginare: fallimentari o di successo, teoriche o effettivamente realizzate in natura.
Quanta informazione serve per codificare un'appendice funzionale in tutte le sue varianti? Se dico che dovrà servire almeno l'informazione codificata in un tweet, non vi sembrerà esagerato, vero? In realtà è un'assunzione ridicolmente riduttiva, ma fa lo stesso.
Quanta informazione è codificata in un tweet? Sappiamo che un tweet ha al massimo 140 caratteri. Quanti sono i caratteri? Lettere, più numeri, più punteggiatura e qualche altro simbolo, diciamo almeno 40.
Possiamo allora calcolare quanta informazione è codificata in un tweet, vale a dire quante sono le possibili varianti di un tweet: 40^140.
Il numero di possibili partite a scacchi si dice che sia di circa 10^120, un numero enormemente più piccolo.
Il numero di particelle elementari dell'universo è ancora più piccolo, si stima meno di 10^100.
Secondo l'assunzione fatta, abbiamo dunque 40^140 possibili varianti di appendici funzionali: in questo numero ci stanno tutte quelle che funzionano e tutte quelle che non funzionano (arti, ali, pinne etc).
L'evo-devo sostiene che modificando un solo tweet d'informazione, nel codice complessivo dell'organismo, si può modificare d'un colpo l'appendice che l'organismo ora possiede in un'altra appendice. Vale a dire, si può saltare in un colpo solo da una variante ad un'altra di quelle 40^140 possibili appendici. Vi domanderete quante siano le varianti di successo, rispetto a quelle fallimentari. Non lo so, lascio la risposta alla vostra sensibilità; la mia, mi dice che il numero di successi dev'essere enormemente più piccolo del numero di insuccessi. Inoltre, un successo non è assoluto, ma relativo all'organismo: ad esempio, una pinna perfettamente formata che spunta al posto di una zampa di un cane non serve a nulla...
Insomma, se il processo evolutivo si basa su "salto casuale – verifica – nuovo salto – nuova verifica - ..." capite bene in questo modo non si arriverebbe mai a nulla. L'evoluzione non si potrebbe spiegare. Eppure l'evoluzione è avvenuta.
A meno che... a meno che il codice bio-informativo (perdonatemi il neologismo) non possegga una sorta filtro che esclude gran parte delle varianti inutili. Cioè, il codice dovrebbe essere in qualche modo pre-codificato. Per intenderci, faccio l'esempio della musica in rapporto ai suoni.
Le possibili frequenze sonore sono innumerevoli.
L'uomo ha filtrato il "mare" dei suoni costruendo le scale musicali, che predefiniscono i rapporti fra i suoni.
Poi l'uomo ha costruito strumenti progettati sulla base di quelle scale, strumenti che forniscono accordi: strumenti strutturati in modo "debole" (come il violino, dove l'esecutore può muovere il dito lungo la corda); o in modo "forte" (come il pianoforte, dove l'esecutore non può variare la nota); o addirittura in modo "fortissimo" (come l'armonica a bocca, che produce sempre accordi validi, comunque si muova la bocca).
Ecco, per poter produrre qualche risultato sensato, il codice bio-informativo dovrebbe essere strutturato almeno come un violino, se non come un pianoforte o un'armonica. Ma questo implicherebbe che tale codice sia stato pre-codificato... Ma da chi o da che cosa, e quando?

anthonyi

rispondo a Sgiombo 46

Tu dici che l'accettazione di una legge finalististica impedirebbe la definizione di leggi causali, a me non sembra. Il mio parere è che la definizione di leggi causali è la premessa dalla quale è necessario partire anche per riconoscere leggi finalistiche. Nei tuoi ragionamenti sul ruolo della scienza secondo me sottovaluti il ruolo del principio di completezza, del bisogno scientifico di spiegare il più possibile. Consideriamo ad esempio la teoria Darwiniana, ha spiegato un sacco di cose, ma quando si va ad osservare la specie umana nell'ottica di tale teoria vediamo troppi comportamenti non conformi alle leggi di sopravvivenza biologica (Tra cui in particolare molti comportamenti religiosi), come si spiegano? Certo la spiegazione standard è che è la società a definire queste variazioni, ma la società è un prodotto umano, per cui dovrebbe essere sottoposta alle stesse leggi ...

maral

Citazione di: Loris Bagnara il 22 Aprile 2016, 09:20:24 AM
Questo pensiero mostra bene come siano gli scienziati, più che i filosofi, a creare il regno della metafisica, e altri regni più o meno immateriali e irrazionali, per usarli come comodi contenitori di tutto ciò che non riescono a spiegare. E all'ingresso di quei regni mettono su un bel cartello: "Lasciate ogni speranza o voi che entrate". Trovano più facile fare così, anziché ridefinire i propri paradigmi e i propri strumenti concettuali.
Paradossalmente, se applicassimo lo stesso ragionamento alla nostra origine individuale, dovremmo concludere che la nostra stessa nascita è un problema metafisico, poiché quand'è che siamo veramente nati? Quando siamo usciti da nostra madre? Quando siamo stati concepiti? Oppure esistevamo già nello spermatozoo e nell'ovulo dei nostri genitori? Oppure ancora niente di tutto questo?
Eppure è chiaro a tutti che ora ci siamo, e prima non c'eravamo. Tutto il resto è... non noia, come diceva Califano, ma sterili sofismi.
Ma mi pare che qui si diano troppe cose per scontate. Cos'è la materia? E perché mai la metafisica dovrebbe essere immateriale e irrazionale?
Certamente la scienza istituisce una metafisica, ma il suo peccato non sta nell'istituirla, né nell'aderirvi coerentemente, ma nel negarla benché la istituisca.
Per quanto paradossale possa sembrare la cosa, sì anche la "nostra" nascita è un problema metafisico, al pari della "nostra" morte (entrambe tutto fuorché nostre), di entrambe non ne abbiamo alcuna diretta conoscenza. Il sofisma, se tale è, è mio, non della scienza, che ha una visione metafisica ben precisa sia della nascita che della morte dell'organismo e crede di poterle definire con la massima precisione e senza ambiguità alcuna, nei termini che competono alla biologia. Ma io non lo ritengo un sofisma, bensì una pura evidenza: l'origine e la fine ci sono entrambe ontologicamente estranee, servono solo a raccontarci storie sulle quali poter fantasticare, perché ogni storia ha bisogno di un inizio e di una fine, ed è delle storie che non possiamo fare a meno.
CitazioneL'idea, avanzata dall'evo-devo, che un salto evolutivo possa avvenire in "toto" con una singola variazione, a mio avviso produce l'ingannevole percezione che questo salto, questa singola variazione "di successo" possa avvenire in maniera relativamente facile, relativamente probabile.
La questione è legata alla quantità di informazione codificata in una forma. Maggiori sono le differenze fra due forme, maggiore è la quantità informazione che serve per descrivere la variazione dall'una all'altra.
Non credo che nell'evo devo si consideri il salto di per sé facilmente funzionale: solo che la grande differenza di forme non è più considerata solo di stretta dipendenza genomica e se una forma sussiste semplicemente essa, come tale, in un determinato contesto, può con successo sussistere senza necessità di dover pensare a un fine che guida questa sussistenza.
Il contenuto informativo di una forma non è un contenuto che possa essere preso in sé, oggettivamente, ma è sempre legato a un'interazione soggettiva con l'osservatore, con ciò che questi può cogliere nel contesto in cui esiste partecipando di ciò che osserva, in termini biologici è anche la quantità di informazione è collegata alla omeostasi conservativa dell'osservatore. La differenza tra le forme è sempre un fenomeno relativo a chi percepisce e intende questa differenza nell'ambito della soggettività che lo determina.

sgiombo

@ Loris Bagnara

Ovviamente anche Le riflessioni filosofiche che esponi tu sono assolutamente legittime e hanno tutte un loro posto nella storia del pensiero.

Data la notevolissima distanza fra noi mi sembra giusto limitami (almeno in questa occasione) a segnalare, nell' ambito di un' interessante informazione reciproca, che non le condivido e che (ed é soprattutto per questo) secondo il mio moddesto parere sono irrazionalistiche e in larga misura fideistiche.
Fra l' altro "da humeiano" non posso non respingere categoricamente l' affermazione della validità assoluta del principio di causalità proposta dall' esoterismo.
ça va sans dire che non sono affatto d' accordo che l' esoterismo accetta di buon grado tutto quanto ha da dire la scienza, perché non c'è nulla di quel che dice la scienza che sia in contrasto con i suoi principi.
Per me c' é per lo meno la teoria "in larga misura darwiniana" dell' evoluzione biologica.
Dissento pure drasticamente dall' affermazione secondo cui la meccanica quantistica sia arrivata a concezioni che l'esoterismo afferma da migliaia di anni (di David Bohm, che credo di conoscere un poco avendone letto negli anni passati due libri che in questo momento non ho a portata di mano per verificarne i titoli, condivido entusiasticamente quanto ha sostenuto in proposito nella prima parte della sua vita -anni '50- decisamente contro l' interpretazione di Copenhagen e in sostanziale accordo con i "deterministi delle variabili nascoste" -per così dire- Plank, Einstein, de Broglie e Schroedinger; personalmente ritengo che nell' ultima parte della sua vita abbia subito una deprecabile -e per me inspiegabile- involuzione irrazionalistica).
Mi interessa invece commetare le tue ultme affermazioni.



Loris Bagnara ha scrtto:

Possibile che non ci si chieda mai per quale motivo esistono le leggi fisiche? Perché la realtà non è un semplice caos, privo di leggi e di forma? Perché la realtà è intelligibile?
Come si fa allora a dubitare che l'universo è intelligenza, quando è la scienza stessa a scoprire che non c'è un angolo dell'universo dove non esista un ordine?

Rispondo:

La realtà (secondo me la sola realtà materiale naturale, almeno per molti aspetti identificabile con la cartesiana res extensa e nettamente separata -trascendente- dal pensiero, la res cogitans) si può assumere indimostrabilmente (Hume) divenire secondo leggi universali e costanti, non essere un semplice caos, privo di leggi e di forma e dunque essere scientificamente conoscibile.
La domanda del perché di queste sue caratteristiche (se reali, cosa indimostrabile) secondo me é mal posta, non ha senso.
Infatti proprio partendo dal presupposto che la realtà fisica diviene ordinatamente secondo leggi universali e costanti ci si può cheidere "perchè" qualcosa (di particolare nel suo ambito, e non essa tutta intera), accade, e la risposta alla domanda sta nell' applicazione delle leggi universai e costanti del divenire alla situazione "iniziale" di fatto delle circostanze che hanno preceduto e accompagnato tale "qualcosa".
Cioé solo di particolari eventi nell' ambito di un più ampio insieme di eventi in divenire ordinato ha senso chiedersi quali ne siano le cause; e di tale più ampio insieme solo nell' ambito di un insieme ancora più ampio, in un eventuale regresso all' infinito che non potrà mai terminare all' "insieme universale di tutto ciò che siste", in quanto per definizione non inquadrabile in un ulteriormente più vasto insieme con cause - ovvero leggi generali del divenire e circostanze particolari o "iniziali"- dalle quali possa essere determinato (e spiegato), anziché essere determinato (e spiegato) qualcosa d' altro o di diverso.

Inoltre ci si potrebbe chiedere "perché la realtà é (e diviene) propio così come é (e diviene) anziché diversamente (per esempio perché non esiste invece alcunché)?" solo se la realtà potessere essere (realmente) diversa da così come é.
Ma in realtà poiché é così come é, allora non può non esserlo (per le definizioni di "essere e di "non essere", o di affermazione e negazione: al massimo può ***essere pensata*** essere diversamete da come é, ma non ***esserlo realmente***), la domanda non può sensatamente porsi; quindi la domanda dovrebbe casomai essere "perché si può pensare (anche) che la realtà sia (e divenga) diversamente da come é e diviene (per esempio la non esistenza, invece, di alcunché; oltre che così come é e diviene)?".
Ma non mi sembra una domanda degna di interesse: semplicemente sta di fatto che il pensare (o, in forma grammaticalmente passiva, l' essere pensato) é diversa cosa dall' essere reale.

sgiombo

Anthonyi ha scritto:
Tu dici che l'accettazione di una legge finalististica impedirebbe la definizione di leggi causali, a me non sembra. Il mio parere è che la definizione di leggi causali è la premessa dalla quale è necessario partire anche per riconoscere leggi finalistiche. Nei tuoi ragionamenti sul ruolo della scienza secondo me sottovaluti il ruolo del principio di completezza, del bisogno scientifico di spiegare il più possibile. Consideriamo ad esempio la teoria Darwiniana, ha spiegato un sacco di cose, ma quando si va ad osservare la specie umana nell'ottica di tale teoria vediamo troppi comportamenti non conformi alle leggi di sopravvivenza biologica (Tra cui in particolare molti comportamenti religiosi), come si spiegano? Certo la spiegazione standard è che è la società a definire queste variazioni, ma la società è un prodotto umano, per cui dovrebbe essere sottoposta alle stesse leggi ...

Rispondo:

Non ci siamo intesi: io ho sostenuto proprio che la definizione di leggi causali è la premessa dalla quale è necessario partire anche per poter ammettere comportamenti (e non leggi) finalistici.

Concordo ovviamente sul bisogno scientifico di spiegare il più possibile (senza cadere nello scientismo).
E mi pare che la teoria dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche e selezione naturale (correttamente intesa e non assolutizzata) fornisca la "cornice teorica" in grado di "inquadrare alla perfezione" i fatti: non ovviamente una dettagliata ricostruzione dei singoli particolari, che però per essere stabilita e compresa nella sua dinamica generale non ne può prescindere.

Comportamenti "non conformi alle leggi di sopravvivenza biologica" per definizione non sopravvivono.
Ne sopravvivono, e non pochi, non "conformi, per così dire, a un' errata assolutizzazione della selezione naturale" come pretesa "lotta egoistica all' ultimo sangue per la sopravvivenza" che consentirebbe solo ai "massimamente adatti" i spravvivere.
Infatti la selezione naturale si limita a determinare (in negativo) l' estinzione solo dei "troppo inadatti".
A parte che come dici anche tu si tratta di una questione in sostanza culturale (e non semplicemente naturale), pssiamo comunque dire che i comporatmenti religiosi evidentemente non sono proppo inadatti al' ambiente naturale (e sociale) per essere eliminati dalla selezione naturale.

sgiombo

Maral ha scritto

Se il motore che varia il vivente è conosciuto.
Il motore che varia l'organico in "vivente" è sconosciuto.

Non solo è sconosciuto, ma ritengo che sia impossibile conoscerlo senza un approccio essenzialmente filosofico che stabilisca questo confine, che dia un criterio per poter dire cosa è vivente e cosa no. E il problema è che di criteri ne sono stati dati tanti, troppi, ma ognuno alla fine può essere messo del tutto lecitamente in discussione. E allora rassegnamoci: il vivente si distingue dal non vivente solo in virtù dell'opinione che la cultura a cui apparteniamo determina in noi su di essi e solo il senso di questa opinione alla fine merita di essere filosoficamente esplorato.


Rispondo:

Mi sembra un' ottima definizione quella che tu stesso proponi in un altro intervento:

"L'organismo vivente è (da un punto di vista strettamente scientifico) fondamentalmente un trasformatore di energia che persiste finché riesce costantemente a mantenere integra a ogni variazione di contesto la propria complessa unità biostatica e, a differenza di un elemento non vivente, può fare questo solo interagendo con l'ambiente in modo ciclico".
Aggiungerei "e che si riproduce".

Ovviamente restano indefiniti i "margini" o "confini" della vita (l' inizio della vita in generale, l' inizio dell' esistenza di una data specie, l' inizio e la fine della vita di un individuo, l' inizio e la fine dell' "umanità" della vita di un individuo appartemnente alla specie homo sapiens, ecc.); e questo é un problema soprattutto etico, che a mio avviso si risolve positivamente cercando sempre di stare "ben al di qua di ogni ragionevole dubbio" circa l' inizio e la fine (non affatto precisamente individuabili) dell' esistenza di una persona umana.

Secondo me le definizioni dei concetti impiegati dalle scienze é almeno in gran parte "pragmatica", determinata dalla loro "fecondità euristica": se la definizione di inerzia come "invariabilità dello stato di quiete o moto rettilineo uniforme in assenza dell' applicazione di forze" "funziona meglio" per comprendere la realtà di quelllo di "invariabilità dello stato quiete in assenza dell' applicazione di forze", allora é la prima di esse che si sceglie; e lo stesso vale ad esempio per i concetti di "gene" o di "specie".

Secondo me a determinare (e spiegare) le spettacolari differenziazioni di sistemi, tessuti e organi dei metazoi pluricellulari sono le interazioni fra genoma e ambiente (intra ex extracellulare), in ultima analisi riducbili a reazioni chimiche o ad eventi fisici (va tenuto conto che esistono "interruttori citoplasmatici" -enzimi- che regolano diversamente nelle varie circostanze in ciascun tessuto la trascrizione dei geni e la sintesi delle proteine da essi codificate e "interruttori genetici" o geni regolatori che, dipendentemente dalle loro interazioni con l' ambiente intracellulare e indirettamente extracellulare, regolano diversamente nei vari tessuti la trascrizione dei diversi geni e la sintesi delle diverse proteine).

anthonyi

Rispondo a Sgiombo 55.
Quando io parlo di finalismo io mi riferisco a leggi astratte, non a comportamenti e credo di essere formalmente coerente, ti spiego perché.
La relatività di Einstein E=mC2 è una formula vera perché gli esperimenti fatti la dimostrano, non perché questa legge è scritta su un qualche supporto fisico, essa è cioè, per definizione astratta, immateriale. Allo stesso modo una legge finalistica immateriale può essere accettata se confermata da tanti fatti reali.
Il principio universale che unifica le due categorie di leggi è il Rasoio di Occam, il principio cioè per il quale un'argomentazione è tanto più vera quanto più riesce a spiegare fenomeni reali usando il numero minimo di argomenti.
Banalizzare poi i residui non spiegati che la legge di Darwin lascia nella specie umana come marginali mi sembra inaccettabile.
Naturalmente la specie umana ha sviluppato, in quanto animale dominatore del territorio, una forte spinta alla violenza. Tale spinta, tutt'oggi risulta sostanzialmente annichilita e questo è inspiegabile sulla base della logica Darwiniana.
La natura sociale della specie umana ha predisposto la stessa, per ragioni di equilibrio interno alla comunità, ad accettare e costruire rigorosi rapporti di autorità. Tale predisposizione studiata per i primati in generale e anche per l'uomo, contrasta con quei meccanismi culturali che hanno prodotto la democrazia e più in generale l'idea che noi uomini siamo tutti uguali.
Non violenza ed uguaglianza sono i fondamenti della nostra società moderna, ma contrastano(non posso dilungarmi c'è comunque un paper esaustivo al riguardo https://www.academia.edu/20428344/Il_disegno_della_civilt%C3%A0 ) con le leggi evoluzionistiche.
Preciso che con concetti come culturale o sociale io intendo sintetizzare qualcosa che non per questo è spiegato, l'uso è, cioè, puramente tautologico, per cui non interpretare le mie descrizioni come spiegazioni di qualcosa che oggi non è spiegabile.

green demetr

#58
Citazione di: maral il 21 Aprile 2016, 23:00:05 PM
CitazioneSu questo punto hai ragione, non penso Sgiombo o Maral possano argomentare contro.
Nel senso che la scienza (che io sappia) non l'ha ancora scoperto.

Se il motore che varia il vivente è conosciuto.
Il motore che varia l'organico in "vivente" è sconosciuto
Non solo è sconosciuto, ma ritengo che sia impossibile conoscerlo senza un approccio essenzialmente filosofico che stabilisca questo confine, che dia un criterio per poter dire cosa è vivente e cosa no. E il problema è che di criteri ne sono stati dati tanti, troppi, ma ognuno alla fine può essere messo del tutto lecitamente in discussione. E allora rassegnamoci: il vivente si distingue dal non vivente solo in virtù dell'opinione che la cultura a cui apparteniamo determina in noi su di essi e solo il senso di questa opinione alla fine merita di essere filosoficamente esplorato.

Sono d'accordo, più che la teoria è la prassi a determinare la storia, e quindi anche la storia delle idee.
(Non capisco cosa c'entri la "rassegnazione" però)

Citazione di: sgiombo il 22 Aprile 2016, 14:18:11 PM

Rispondo:

Mi sembra un' ottima definizione quella che tu stesso proponi in un altro intervento:

"L'organismo vivente è (da un punto di vista strettamente scientifico) fondamentalmente un trasformatore di energia che persiste finché riesce costantemente a mantenere integra a ogni variazione di contesto la propria complessa unità biostatica e, a differenza di un elemento non vivente, può fare questo solo interagendo con l'ambiente in modo ciclico".
Aggiungerei "e che si riproduce".

....
....

Secondo me a determinare (e spiegare) le spettacolari differenziazioni di sistemi, tessuti e organi dei metazoi pluricellulari sono le interazioni fra genoma e ambiente (intra ex extracellulare), in ultima analisi riducbili a reazioni chimiche o ad eventi fisici (va tenuto conto che esistono "interruttori citoplasmatici" -enzimi- che regolano diversamente nelle varie circostanze in ciascun tessuto la trascrizione dei geni e la sintesi delle proteine da essi codificate e "interruttori genetici" o geni regolatori che, dipendentemente dalle loro interazioni con l' ambiente intracellulare e indirettamente extracellulare, regolano diversamente nei vari tessuti la trascrizione dei diversi geni e la sintesi delle diverse proteine).

La definizione mi sembra corretta, anche dopo un breve giro sul web.
Potremmo dire ancora più brevemente:
Un vivente è quando ha un programma genetico (o ciclo vitale).

Ma appunto a livello di informazione pubblica, e a questa altezza storica (prassi scientifica).

Probabilmente è derivato da iterazioni genoma-ambiente: oggi come nell'articolo, postato da me sopra su scienze, possiamo bypassare miliardi di anni di "evoluzione" e creare una forma cluster, direttamente da laboratorio.

Nei prossimi anni ne sapremo di più.(Si tratta di leggere scienze ogni mese. Cosa che non faccio: mea culpa ovviamente).

Ora non ho tempo/voglia di controllare (se è ancora così, parlo di 10 anni fa) la questione del motore interattivo tra genoma e ambiente: rimango all'impasse che non era un fenomeno chimico (non almeno direttamente, benchè osservabile come tale, infatti mancavano i fattori di scatenamento: semplicemente ad un certo punto il citoplasma "si apre" a contatto con enzimi, mi sembra, ma quale siano le informazioni tra enzima e citoplasma scambiate questo rimane un mistero), e quindi dovendosi trattare di un fenomeno fisico, richiama possibilità tecniche di controllo atomico che non so se siamo ancora in grado di fare.

Se qualcuno corregge, magari tu Sgiombo, se avete letto qualcosa di simile, o di nuovo, grazie.


per anthonyi

Guarda che l'"evoluzione" sociale è completamente diversa da quella naturale, in quanto la prima è frutto della prassi umana, la secondo da meccanismi genetici.

Tra l'altro affermare che la violenza umana sia annichilita è talmento grossolana e infondata, che a me fa arrossire che tu l'abbia potuta formulare.

Ma scusa ma sai quante guerre sono in atto a livello globale? e intendo proprio a livello armato!

Per fare selezione la stiamo facendo:se quello è il tuo "problema", il che poi rimanderebbe anche ad una serie di considerazioni politiche che qui tralascerei.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Loris Bagnara

Citazione di: maral il 22 Aprile 2016, 12:59:29 PM

CitazioneL'idea, avanzata dall'evo-devo, che un salto evolutivo possa avvenire in "toto" con una singola variazione, a mio avviso produce l'ingannevole percezione che questo salto, questa singola variazione "di successo" possa avvenire in maniera relativamente facile, relativamente probabile.
La questione è legata alla quantità di informazione codificata in una forma. Maggiori sono le differenze fra due forme, maggiore è la quantità informazione che serve per descrivere la variazione dall'una all'altra.
Non credo che nell'evo devo si consideri il salto di per sé facilmente funzionale: solo che la grande differenza di forme non è più considerata solo di stretta dipendenza genomica e se una forma sussiste semplicemente essa, come tale, in un determinato contesto, può con successo sussistere senza necessità di dover pensare a un fine che guida questa sussistenza.
Il contenuto informativo di una forma non è un contenuto che possa essere preso in sé, oggettivamente, ma è sempre legato a un'interazione soggettiva con l'osservatore, con ciò che questi può cogliere nel contesto in cui esiste partecipando di ciò che osserva, in termini biologici è anche la quantità di informazione è collegata alla omeostasi conservativa dell'osservatore. La differenza tra le forme è sempre un fenomeno relativo a chi percepisce e intende questa differenza nell'ambito della soggettività che lo determina.
Io avevo fatto qualche anche considerazione sull'improbabilità del successo di questi salti (non ho parlato di finalità), che però non sono state commentate.
Non c'è nulla di soggettivo nell'approccio alla forma: l'analisi di una forma può essere condotta in modo assolutamente matematico, come l'analisi di una struttura in cemento armato. Preso l'organismo biologico da studiare, se ne deve definire un modello parametrico (ogni parametro corrisponde a un aspetto rilevante) e di ogni parametro si deve definire la variabilità. Anche il modello più semplice e grossolano genera una variabilità straordinariamente elevata; il mio esempio del tweet ne è un'approssimazione per enorme difetto.

La tua (ma non solo tua) spiegazione lascia troppo nel vago. Le forme sembrano essere quasi idee platoniche (che stanno non si sa dove) che in determinate circostanze (non si sa bene quali) riescono a realizzarsi concretamente. E quando parlate della produzione di nuove forme biologiche come conseguenza dell'interazione fra genoma e contesto ambientale, be', tutto molto bello, ma concretamente come avviene?

Si torna al punto di partenza: perché si possa accettare questa spiegazione, perché questa spiegazione non sembri più una lettera d'intenti che una spiegazione scientifica, è necessario scendere sul concreto e descrivere (se non provare, almeno descrivere) come sia avvenuta la comparsa di una nuova forma biologica. Ma che sia veramente nuova, però, non parliamo del millepiedi che raddoppia le sue zampe. Quello è lo stesso animale. Che sia la questione arto-ala, o qualunque altra, ma che sia una questione veramente rilevante.

Esiste la descrizione convincente di anche uno soli di questi salti? Io non l'ho mai letta.
E parlo di semplice, ipotetica descrizione, non di prova (per il momento).

Concludo con una domanda. Nell'ottica dell'evo-devo, se avviene un salto che produce una nuova forma, come si trasmette ereditariamente questa nuova forma? Non con il DNA, perché sappiamo che il DNA non è in grado di definire da solo il risultato formale.
La nuova forma è stata acquisita come frutto di una specialissima interazione fra genoma e ambiente, e se questo risultato non si trasmette ereditariamente, come si conserva nella progenie? Si perderebbe. Non possiamo pensare che lo stesso "miracolo" si ripeta nei figli, no?
Quindi, dove sta il supporto delle informazioni che codificano le forme? Anche questo, mi pare, non ha una risposta.

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