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Lo spazio dell'assoluto

Aperto da Ipazia, 18 Gennaio 2020, 17:43:01 PM

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davintro

Citazione di: Phil il 22 Gennaio 2020, 17:05:42 PM
Citazione di: Ipazia il 21 Gennaio 2020, 22:54:39 PMPer riprendersi l'anima che l'avversario ha sequestrato in un territorio di sua esclusiva pertinenza e che continua a fungere, come la pietra nera, da polo di attrazione in grado di garantire una rendita non meritata.
Per "riprenderci l'anima", intesa metaforicamente suppongo, rischiamo di ritrovarci a parlare, da atei, di ricerca dell'anima (ricordo che il divino è infalsificabile), in senso meno metaforico di quanto siamo consapevoli; ovvero (uso un'immagine di guerra in omaggio al tuo spirito pugnace), ritirando dentro le mura il "cavallo di Troia" dello spiritualismo, dobbiamo poi fare i conti con lo "spirito" che esso inevitabilmente "contiene", e non solo etimologicamente. Come chiedevo altrove: da cosa nasce questo bisogno(?) di non lasciarlo al suo posto (da chi glielo concede) e, ancor un passo indietro, cosa intendiamo (parlando da ateo ad atea) davvero per «spirito»? Se
Citazione di: Ipazia il 21 Gennaio 2020, 22:54:39 PMRicompattare il tutto (spirito, mente, anima, psiche,...) ritengo sia opera dovuta indipendentemente dall'ortodossia semantica.
tale ricompattare (in che senso "dovuto"?) non tiene presente le peculiarità distintive delle discipline che coinvolge e le sacrifica, non rendendole sacre, ma ammutinandole (e mutilandole) drasticamente. Sebbene gli ambiti indubbiamente si intersechino, la ricerca spirituale non è la ricerca psicologistica che non è la ricerca esistenziale; il maestro spirituale non è il docente di psicologia (né lo psicologo) che non è il consulente filosofico; un problema spirituale non è un problema psicologico che non è un problema esistenziale, etc. Qual'è dunque il "valore aggiunto" di chiamare «spirituale» qualcosa che non ha a che fare con lo spirito, se non allegoricamente (cioè, se non ho frainteso, chiamando «spirito» il famigerato «senso della vita»)? Si tratta di un'escamotage per adescare i delusi delle ecclesiae e gli agnostici, emulando la strategia di McDonalds quando dice «anche da noi si mangia vegano»? Qual'è l'etica del discorso dietro questa "rivincita" che mira a prendere in ostaggio lo spirito per negare alla concorrenza una «rendita non meritata»? Mi pare che quanto più ci si addentri in una questione, in un campo di indagine, tanto più il linguaggio debba essere conseguentemente "decompattato", calibrato, analitico, preciso, etc. perché più restiamo nel generale e più diventa "povera" la mappa con cui ci orientiamo (non a caso ogni disciplina ha sviluppato nei secoli il proprio linguaggio settoriale: oggi la psiche non è lo pneuma che non è il chi orientale che non è lo spiritus, etc.). Anche se (tanto più se) siamo «una piccola comunità in cui si pestano i tasti»(cit.), non credo questo sia un alibi per poter, seguendo un trend che mi pare in crescita anche fuori da questa comunità, sinonimizzare parole vagamente affini per licenzioso amor di babeliche allusioni e dissoluta "trasversalità": se (non mi riferisco a te) «filosofia» è sinonimo di «ragionamento senza empiria», «etico» è sinonimo di «sociale», «metafisico» è sinonimo di «astratto», «assoluto» è sinonimo di «oggettivo», «spirituale» è sinonimo di «esistenziale», etc. significa che siamo già in ritardo per il funerale della possibilità (buon'anima) di parlare di filosofia e spiritualità con un minimo di (a)cura(tezza). Capisco l'esigenza divulgativa della "filosofia per tutti" a prescindere dalla storia diacronica delle parole chiave, tuttavia se confondiamo viti, chiodi e bulloni perché in fondo tutti loro penetrano e reggono, non sono sicuro che riusciremmo a montare nemmeno un mobile Ikea. P.s.
Citazione di: davintro il 21 Gennaio 2020, 17:49:28 PMDunque l'assoluto non è solo una necessità logica di garanzia di verità del discorso, ma proprio in virtù di ciò, è anche principio reale ontologico.
La forma logica presuppone regole e principi formali; definirli assoluti (aggettivo) non aggiunge né toglie nulla alla loro funzionalità e al fatto che ognuno di essi è "assoluto" (aggettivo) solo relativamente al sistema logico (e al discorso) di riferimento. Di assoluti (sostantivo) ontologici, che non siano le leggi della natura (di cui non credo si occupi la speculazione filosofica e che, in quanto leggi, non hanno bisogno del ridondante appellativo di «assolute»), se ne possono congetturare molti, come sono molti i discorsi che fanno duellare i rispettivi assoluti (sostantivo). Se
Citazione di: davintro il 21 Gennaio 2020, 17:49:28 PMIl compito di un'autentica filosofia sta nella speculare circa le corrette implicazioni logiche discendenti da quest'idea di assoluto, di per sé ancora generica e informale, in modo coerente e consequenziale.
conseguentemente non fanno «autentica filosofia» quei pensatori che non presuppongono assoluti (sostantivo); l'elenco dei nomi è già lungo, scandito da coloro che non pongono le proprie riflessioni nell'ambito del "veritativo trascendente" (monistico, metafisico, etc.), ma piuttosto nell'interpretativo, nel contingente, nel possibile, etc. senza nessuna pretesa di giungere a (la) verità, a valori o sistemi assoluti, né ad assoluti intesi in senso non metaforico. Qual'è, ad esempio, l'assoluto (sostantivo) degli ermeneuti come Gadamer, dei decostruzionisti come Derrida, degli epistemologi come Putnam, etc.? Direi che oggi "non di soli assoluti vive la filosofia". Da notare che il chiedersi se costoro pretendano di dire una verità assoluta (o addirittura dicano l'assoluto), è ironico sintomo di un domandargli circa un orizzonte ad essi estraneo, e quindi significa applicargli categorie non pertinenti in quanto da essi stessi inutilizzate (un po' come chiedersi come mai un un pittore surrealista non faccia una rappresentazione fotografica della realtà). Parimenti, la sensatezza di riflessioni che invece si occupano di assoluti, etc. non viene minimamente intaccata (né tantomeno falsificata) da coloro che non se ne occupano.

le leggi di natura sono contenuti indagabili sia dalla filosofia che dai saperi sperimentali, solo cambia l'angolatura. Le seconde mirerebbero a attribuire un contenuto specifico a queste leggi, entro i limiti in cui l'esperienza sensibile legittima ciò, mentre la filosofia riflette se quelle leggi necessitino o meno di princìpi estrinseci che ne consentano l'applicabilità: nel caso le necessitino avremmo una metafisica della trascendenza, nel quale si ammette una Causa sovrannaturale responsabile dell'esistenza dell'universo e delle leggi ordinarie che lo regolano, altrimenti si perverrà a una metafisica dell'immanenza, in cui l'universo ha in se stesso la ragion d'essere delle leggi che lo governano, senza bisogno di rifarsi a una realtà sostanziale, trascendente, cioè non coincidente con il complesso degli enti che compongono l'universo. In entrambe le soluzioni, c'è una posizione della categoria di assoluto, sia che lo si immanentizzi nella natura, che lo si ponga come trascendente. Che ci siano molto orientamenti filosofici contemporanei, tra cui quelli citati, che apparentemente si presentano come non più interessati a tematizzazione di "assoluti" vari, questo non toglie loro la qualifica di "filosofie", nella misura in cui l'impossibilità di un sapere razionale dell'assoluto è fatto discendere da una considerazione dello scarto che rende l'assoluto irriducibile alle possibilità della conoscenza umana. Ma, come è evidente, questa considerazione implica una nozione di assoluto, cioè un suo livello di conoscibilità. Quindi, definendo "filosofia" ogni discorso sull'assoluto, anche questi orientamenti manterrebbero il diritto a fregiarsi dell'appartenenza ad essa. Il punto del mio intervento non era affatto quello di escludere (operazione sempre antipatica, anche quando viene svolta,  dall'altra parte, quando, definendo filosofia solo ciò che sarebbe vincolato ai risultati delle altre scienze, si esclude dal novero delle autentiche filosofie la metafisica classica, relegata a mera "teologia" o residuo di storia della filosofia senza attualità) dal campo della filosofia gli orientamenti APPARENTEMENTE postmetafisici che sembrano essersi sbarazzati della categoria di assouto, anzi, al contrario proprio cercare di mostrare come, essendo il riferimento all'assoluto una necessità logica che resta tale anche quando inavvertita dal soggetto che la utilizza, un presupposto anche silenzioso, il campo della filosofia si apra e si allarghi anche a discorsi nei quali il riferimento all'assoluto resta solo implicito, o anche quando è esplicitamente rigettato. Non era mirante a escludere dalla filosofia alcunché, anzi a riconoscerne l'universale inclusività a ogni pensiero mirante a fondare razionalmente le proprie proposte di verità

Phil

Citazione di: davintro il 25 Gennaio 2020, 22:52:08 PM
Che ci siano molto orientamenti filosofici contemporanei, tra cui quelli citati, che apparentemente si presentano come non più interessati a tematizzazione di "assoluti" vari, questo non toglie loro la qualifica di "filosofie", nella misura in cui l'impossibilità di un sapere razionale dell'assoluto è fatto discendere da una considerazione dello scarto che rende l'assoluto irriducibile alle possibilità della conoscenza umana. Ma, come è evidente, questa considerazione implica una nozione di assoluto, cioè un suo livello di conoscibilità. Quindi, definendo "filosofia" ogni discorso sull'assoluto, anche questi orientamenti manterrebbero il diritto a fregiarsi dell'appartenenza ad essa.
Quelle filosofie e quegli autori, correggimi se sbaglio, non ritengono l'assoluto un implicito oltre i limiti della conoscibilità umana, non vogliono fregiarsi come "filosofie dell'assoluto inattingibile", ma semplicemente non lo considerano elemento del loro discorso filosofico propositivo (per motivi che cambiano a seconda dell'autore), semmai eventualmente solo tema delle loro riflessioni storiche su autori passati.
Sostenere che tali autori contemporanei presuppongano comunque un assoluto e/o se ne occupino implicitamente, andrebbe argomentato e dimostrato caso per caso (per gli autori che ho citato, per quel che li conosco, direi che non mi sembra affatto un'ipotesi pertinente, metafore a parte). Che sia possibile filosofare senza coinvolgere l'assoluto (soprattutto come sostantivo, in senso ontologico), nemmeno implicitamente, credo lo dimostri l'ermeneutica in quanto tale.

Citazione di: davintro il 25 Gennaio 2020, 22:52:08 PM
Il punto del mio intervento non era affatto quello di escludere (operazione sempre antipatica, anche quando viene svolta,  dall'altra parte, quando, definendo filosofia solo ciò che sarebbe vincolato ai risultati delle altre scienze, si esclude dal novero delle autentiche filosofie la metafisica classica, relegata a mera "teologia" o residuo di storia della filosofia senza attualità)
Definire una filosofia poco o per niente attuale, non significa considerarla una non-filosofia, né, come dicevo, ritenerla falsificata da altre impostazioni filosofiche più attuali (dove per «attuale» non intendo solo l'esser recente ma, come già spiegato altrove, l'essere ancora viva come ricerca, produzione di testi non solo storiografici, etc.), così come non significa non rispettare la contestualizzazione storica di ogni filosofia, oppure non distinguere i differenti settori del filosofare (ad esempio riconoscendo la differenza fra la riflessione gnoseologica e quella etica). A scanso di equivoci, lo stereotipo del pensatore (post)moderno che riduce tutto a scienza contro teologia, a sua volta erigendosi a cavaliere dell'unica verità, in nome della quale attaccare o rinnegare il valore storico delle correnti precedenti o dei pensieri contemporanei differenti, non è un identikit in cui credo di rispecchiarmi.

Citazione di: davintro il 25 Gennaio 2020, 22:52:08 PM
orientamenti APPARENTEMENTE postmetafisici che sembrano essersi sbarazzati della categoria di assouto, anzi, al contrario proprio cercare di mostrare come, essendo il riferimento all'assoluto una necessità logica che resta tale anche quando inavvertita dal soggetto che la utilizza, un presupposto anche silenzioso, il campo della filosofia si apra e si allarghi anche a discorsi nei quali il riferimento all'assoluto resta solo implicito, o anche quando è esplicitamente rigettato.
Sull'"apparente" postmetafisicità di alcuni orientamenti, il discorso richiederebbe un'excursus filologico non riassumibile in poche righe (comunque reperibile nei manuali di storia della filosofia); tuttavia, che tale postmetafisicità non sia solo apparente credo lo abbia spiegato e argomentato ciascun autore, definito tale da altri o autodefinitosi tale (si può anche criticarlo, ovviamente, cercando di superare la sua autocomprensione o il modo in cui altri filosofi lo abbiano inteso, ma personalmente non mi sento adeguato a farlo...).
Sulla necessità logica di riferimento all'assoluto (che già dunque non è più l'assoluto dei filosofi speculativi, ma sconfina nell'epistemologia, seppur solo in senso funzionale-astratto), ho già ricordato la differenza fra l'aspetto formale (tautologico) della logica e quello sostanziale, compilativo, fruibile, (poli)semantico, etc. e come ogni "assoluto" logico sia tale per il sistema che, appunto, lo pone come tale (ad esempio, basta temporalizzare il principio di identità e anch'esso può risultare meno "assoluto" di come formalmente appaia, come già si discusse nel vecchio topic sulla nave di Teseo... fermo restando che «assoluto» come aggettivo non va confuso con l'assoluto come sostantivo).

green demetr

Tema molto importante e compreso nella mia ricerca filosofica.

Ho letto tutti i post, in effetti quando si parla di assoluto non si può che oscillare all'interno della storia della filosofia, passando dai formalismo logici alle emendazioni dell'intelletto fino alla fede in Dio.

Come sapete a me interessa in particolare l'asse dell'idealismo, ma qui non mi soffermerò sull'ennesima disanima complessiva di quello.

La morte del già infinitamente compianto Severino, ci lascia in eredità un terribile abisso di domande inevase.
(Ero rimasto alla domanda se il tempo fosse un ente o meno. Anche qui forse un giorno qualcuno vorrà riprenderla, mandatemi messaggio privato)

E insieme la sua maestria nel tenere il filo rosso che percorre l'intera filosofia occidentale, e di cui l'assoluto è una tappa imprescindibile.
Ma in effetti non è ancora venuto fuori il tema dell'episteme.
Nella grande lezione severiniana, l'episteme come parola greca significa "ciò che sta sopra".
Ciò che garantisce qualsiasi forma del sociale, che è sempre una forma dell'ideologia (e anche qui sorvoleremo, anche se a spizzichi e bocconi molti di voi hanno provato a introdurli come discorso), è proprio la sicurezza della propria individualità.
Ma l'individualità è garantita come parte, e dunque presupposto è sempre che esista una totalità.
Cercare lo spazio di questo assoluto, è ovviamente uno dei punti cardinali del pensiero cristiano.

Ma appunto è sempre qualcosa che ci stà sopra, che ci determina.

Come sappiamo oggi è la scienza ad avere il primato (ideologico) epistemico.

E dunque il destino della desertificazione dell'umano è già in atto. Il trans-umanesimo è solo uno degli infiniti aspetti in cui si presenta.
Oggi come oggi nessuno si pone la domanda dello spazio dell'assoluto.

E' finito il tempo delle domande. La filosofia è morta

Ma è proprio questa contraddizione che porterà la verità ad affermarsi come gloria: ossia che l'anima esiste.

Dunque non è qualcosa che possiamo controllare ma solo analizzare.

In poche parole la domanda dovrebbe essere una analitica dello spazio.  E qui torniamo a Locke, Berkley e Kant.

Come dire ovviamente che la filosofia non è mai morta davvero. Si tratta però di ricomprendere le domande, sopratutto quando sono così complessive nella loro tensione storica.

Far finta che non siamo nell'età della tecnica, significa non comprendere più il senso del nostro domandare.
Non è questione di Locke, Berkley o Kant singolarmente, ma la comprensione di quello che con una felice frase Severino chiamo il sottosuolo della Terra (isolato).

Questo naturalmente non è facile.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

viator

Salve green demetr. Solo un piccolo inciso che non incresperà neppure il "mare magnum" nel quale sei solito navigare.
A proposito de : "(Ero rimasto alla domanda se il tempo fosse un ente o meno. Anche qui forse un giorno qualcuno vorrà riprenderla, mandatemi messaggio privato)" vorrei solo evidenziare quella che a mio parere è la differenza tra un ente ("ciò che è in modo determinato e riconoscibile" ed un'entità ("ciò che è in modo indeterminato e (almeno per il momento) inconoscibile").

Ecco...............secondo me il tempo proprio non esiste in quanto esiste l'accadere, in mancanza del quale - con ogni evidenza, viene a cadere sia la capacità percettiva che quella concettiva che ogni e qualsiasi "realtà" fisica connettibile all'esistenza di un qualsiasi "tempo". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

green demetr

Citazione di: viator il 11 Febbraio 2020, 12:21:04 PM
Salve green demetr. Solo un piccolo inciso che non incresperà neppure il "mare magnum" nel quale sei solito navigare.
A proposito de : "(Ero rimasto alla domanda se il tempo fosse un ente o meno. Anche qui forse un giorno qualcuno vorrà riprenderla, mandatemi messaggio privato)" vorrei solo evidenziare quella che a mio parere è la differenza tra un ente ("ciò che è in modo determinato e riconoscibile" ed un'entità ("ciò che è in modo indeterminato e (almeno per il momento) inconoscibile").

Ecco...............secondo me il tempo proprio non esiste in quanto esiste l'accadere, in mancanza del quale - con ogni evidenza, viene a cadere sia la capacità percettiva che quella concettiva che ogni e qualsiasi "realtà" fisica connettibile all'esistenza di un qualsiasi "tempo". Saluti.

Ciao viator, si dici bene, l'accadere, l'evento sono i fatti principali su cui poi l'indagine scientifica si concentra. Hai però dimenticato lo spazio.
Infatti l'accadere avviene sempre in un posto. Anzi il posto, lo spazio è proprio determinato da un accadimento (l'insieme degli enti e la loro correlazione), è esattamente la filosofia di locke.

Da cui poi si innesta però la nuova concezione del tempo, inventata da kant.

Ossia che appunto il tempo è una estensione dello spazio, ossia la correlazione degli spazi/evento.

Dunque sì il tempo non esiste in sè.

Il punto è che fosse anche una estensione spazio-temporale (e con einstein la cosa è stata supposta e forse dimostrata) essa indica comunque una contraddizione.

infatti noi determiniamo l'intera nostra vita come se il tempo fosse reale.

io ho percezione del tempo che passa. mi chiedevo se questo fosse la contradizione del nostro tempo ossia del suo nichilismo secondo severino, o se invece il tempo stesso fosse un ente, e dunque una necessità della contraddizione affinchè qualcosa nel mondo APPAIA.

Se no tutto accade e avviene nello stesso istante di questo ente totale che è lo spazio-tempo.

il che non ha senso! in quanto noi stessi umani siamo parte della distinzione che qualcosa appare e qualcosa no.

mi rimane un rompicapo. infatti se togliamo la contraddizione allora noi siamo questo spazio-tempo universale, e non esiste alcun soggetto.

Insomma la problematica del tempo rimane, sebbene non esista!!!!

quindi siamo insieme d'accordo e no!  ;)  ;D



Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

Noi siamo il tempo antropologico che non è lo spazio-tempo fisico il quale a sua volta, con buona pace di Severino, è temporizzato pure lui variando al variare del tempo. Il che contraddice un'altra superstizione metafisica: che non si possa studiare un fenomeno dall'interno. Forse la filosofia dovrebbe lasciare lo spazio-tempo ai fisici e a chi ci deve fare sopra calcoli per centrare il bersaglio nei viaggi interplanetari e nella standardizzazione degli apparati di comunicazione e concentrarsi di più sul tempo antropologico che è l'ente da cui è nato l'universo antropologico, Dio compreso.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve green demetr. Io ti ho fornito una precisazione soggettiva circa ciò di cui avevi parlato (il tempo). Se vogliamo spostarci allo spazio, esso sarà la dimensione complementare al tempo, legata all'inesistenza fisica del primo. Che le scienze fisiche (costruzione razionale immateriale) non possano funzionare in mancanza di parametri spazio-temporali è appunto conseguenza paradossale della loro propria natura (costruzioni immateriali convenzionali che si occupano di mettere ordine nella fisicità "obbiettiva" del mondo materiale !!).

Il mondo fisico, al di fuori della osservazione ed interpretazione umana, contiene solamente materia ed energia.
Se in esso includiamo l'osservatore umano, ecco allora che inesorabilmente costui porterà – a propria confusione – il proprio contenuto dimensionale a ciò che sta osservando. Aggiungerà al mondo - come osservato - il proprio psichismo sotto forma di spazio (dimensione appunto solo psichica con la quale noi percepiamo gli effetti dell'esistenza della materia) e di tempo (idem, idem per gli effetti dell'energia).
Infatti la proprietà tipica della materia è quella di occupare uno "spazio" (e questa è la percezione di chi la osservi) mentre la proprietà tipica dell'energia è quella di operare dei cambiamenti, degli eventi i quali appunto richiedono un "tempo" per verificarsi (altra percezione di chi vi assista).

Chi di noi è in grado di concepire un puro spazio privo di riferimenti materiali oppure un tempo nel quale nulla mai accada ?. Come mai la velocità (spazio / tempo) per venir da noi percepita o anche solo concepita necessita di riferimenti materiali od energetici ? Guardando dall'oblò di un'astronave verso un cielo privo di stelle non si percepirà mai il movimento per riferimento materiale, a meno che si verifichi una accelerazione o decelerazione ed il conseguente stavilirsi di un riferimento energetico con la variazione di stato inerziale generante una forza-peso. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

green demetr

Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2020, 13:47:36 PM
Noi siamo il tempo antropologico che non è lo spazio-tempo fisico il quale a sua volta, con buona pace di Severino, è temporizzato pure lui variando al variare del tempo. Il che contraddice un'altra superstizione metafisica: che non si possa studiare un fenomeno dall'interno. Forse la filosofia dovrebbe lasciare lo spazio-tempo ai fisici e a chi ci deve fare sopra calcoli per centrare il bersaglio nei viaggi interplanetari e nella standardizzazione degli apparati di comunicazione e concentrarsi di più sul tempo antropologico che è l'ente da cui è nato l'universo antropologico, Dio compreso.

Ma il filosofo che non legga della fisica non è un filosofo.

Comunque se intendi dire che il tempo antropologico è assai più importante del supposto tempo fisico, con me sfondi una porta aperta.

Naturalmente sono due campi della critica (della analisi) completamente differenti.

Sebbene Severino abbia fatto notare che nel destino della contradizione dell'apparire, ossia nella fenomenologia del tempo di cui si occupa l'antropologia, il tema della tecnica è inaggirabile.

Serve sia una attenzione particolare per non rimanere negli iperurani, ma anche mantenere una certa visione d'insieme dei processi fenomenologici. (essi siano un destino o meno).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: viator il 12 Febbraio 2020, 22:39:58 PM
Salve green demetr. Io ti ho fornito una precisazione soggettiva circa ciò di cui avevi parlato (il tempo). Se vogliamo spostarci allo spazio, esso sarà la dimensione complementare al tempo, legata all'inesistenza fisica del primo. Che le scienze fisiche (costruzione razionale immateriale) non possano funzionare in mancanza di parametri spazio-temporali è appunto conseguenza paradossale della loro propria natura (costruzioni immateriali convenzionali che si occupano di mettere ordine nella fisicità "obbiettiva" del mondo materiale !!).



Il mondo fisico, al di fuori della osservazione ed interpretazione umana, contiene solamente materia ed energia.
Se in esso includiamo l'osservatore umano, ecco allora che inesorabilmente costui porterà – a propria confusione – il proprio contenuto dimensionale a ciò che sta osservando. Aggiungerà al mondo - come osservato - il proprio psichismo sotto forma di spazio (dimensione appunto solo psichica con la quale noi percepiamo gli effetti dell'esistenza della materia) e di tempo (idem, idem per gli effetti dell'energia).
Infatti la proprietà tipica della materia è quella di occupare uno "spazio" (e questa è la percezione di chi la osservi) mentre la proprietà tipica dell'energia è quella di operare dei cambiamenti, degli eventi i quali appunto richiedono un "tempo" per verificarsi (altra percezione di chi vi assista).

Chi di noi è in grado di concepire un puro spazio privo di riferimenti materiali oppure un tempo nel quale nulla mai accada ?. Come mai la velocità (spazio / tempo) per venir da noi percepita o anche solo concepita necessita di riferimenti materiali od energetici ? Guardando dall'oblò di un'astronave verso un cielo privo di stelle non si percepirà mai il movimento per riferimento materiale, a meno che si verifichi una accelerazione o decelerazione ed il conseguente stavilirsi di un riferimento energetico con la variazione di stato inerziale generante una forza-peso. Saluti.


Naturalmente la materia deriva da un processo entropico, in cui emerge il materiale.
Il soggetto non è sensibilmente attrezzato a intendere il mondo fisico come processo entropico.
Ma il segno matematico gli permette di intendere come processo puro, la sua ordinazione caotica (ossia statistica laddove riguarda lo spazio che emerge dalla materia che emerge dall'energia, vedi bosone di Higgs).


E' un modo di procedere scientifico più che filosofico, ovviamente per me.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

Citazione di: green demetr il 14 Febbraio 2020, 09:56:15 AM
Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2020, 13:47:36 PM
Noi siamo il tempo antropologico che non è lo spazio-tempo fisico il quale a sua volta, con buona pace di Severino, è temporizzato pure lui variando al variare del tempo. Il che contraddice un'altra superstizione metafisica: che non si possa studiare un fenomeno dall'interno. Forse la filosofia dovrebbe lasciare lo spazio-tempo ai fisici e a chi ci deve fare sopra calcoli per centrare il bersaglio nei viaggi interplanetari e nella standardizzazione degli apparati di comunicazione e concentrarsi di più sul tempo antropologico che è l'ente da cui è nato l'universo antropologico, Dio compreso.

Ma il filosofo che non legga della fisica non è un filosofo.

assolutamente d'accordo.

CitazioneComunque se intendi dire che il tempo antropologico è assai più importante del supposto tempo fisico, con me sfondi una porta aperta.

Prima di me l'ha rimarcato qualcuno ben più autorevole: "Noi sentiamo che anche qualora tutte le possibili domande scientifiche avessero avuto risposta, i problemi della vita non sarebbero stati ancora neppure toccati. Certo, allora non resta più domanda alcuna, e questa appunto è la risposta." (L.Wittg.)

CitazioneNaturalmente sono due campi della critica (della analisi) completamente differenti.

Sebbene Severino abbia fatto notare che nel destino della contradizione dell'apparire, ossia nella fenomenologia del tempo di cui si occupa l'antropologia, il tema della tecnica è inaggirabile.

Inaggirabile fin dalla prima scena di "Odissea nello spazio". Se invece di nasconderlo per millenni nelle nebbie dell'iperuranio lo avessimo posto sempre al centro della nostra attenzione, forse oggi non saremmo così sprovveduti innanzi ad esso.

CitazioneServe sia una attenzione particolare per non rimanere negli iperurani, ma anche mantenere una certa visione d'insieme dei processi fenomenologici. (essi siano un destino o meno).

Meglio tardi che mai.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

davintro

#40
Green demetr scrive
"ma il filosofo che non legga della fisica non è un filosofo"

Si può dire che chi non legge fisica si precluda la conoscenza di un certo ambito del reale, ma non che necessariamente gli si debba precludere della qualifica di filosofo. A meno che si consideri l'ambito fisico come quello totalizzante, nei confronti del quale ogni trascendenza, e dunque ogni punto di vista non ad esso riferito è impossibile. Questa è a tutti gli effetti una premessa filosofica, non fisica (il fisico in senso stretto dovrebbe limitarsi a stare nel suo campo senza avere la pretesa di sporgersi al di sopra e pretendere che oltre non vi sia nulla e dunque nessuna possibilità di riportare ogni forma di sapere diversa dalla sua al suo territorio). Questa premessa è quantomeno discutibile, ma penso che la si possa discutere senza che ci si ponga il problema, da una parte o dall'altra, di arrivare a delegittimare il modo in cui personalmente ci si definisce. Personalmente penso che ciascuno debba rivendicare la libertà di definirsi "filosofo" nella misura in cui ci dedica a delle tematiche, a cui corrisponderanno una adeguata forma mentis, distinte da quelle di cui si occupano le altre scienze, compresa la fisica. Un discorso filosofico che per definirsi tale necessiterebbe di vincolarsi a delle conoscenze di fisica sarebbe impossibilitato ad accedere ad un livello di realtà distinto da tali conoscenze, e dunque resterebbe a tutti gli effetti un discorso di fisica, fisica, che in questa ottica positivista e materialista resterebbe l'unica possibile. Delegittimare ogni filosofia che prescinda dalla fisica vorrebbe dire in pratica delegittimare ogni filone filosofico divergente dal materialismo e dal positivismo, e allora mi chiedo: in che definizione dovremmo squalificare ogni tesi tesa a rivendicare l'autonomia e l'irriducibilità di una dimensione spirituale rispetto alla materia (idealismo, fenomenologia trascendentale, realismo metafisico, personalismo ecc.)? Tutti mistici? Io troverei più corretto evitare questo atteggiamento un po' da "doganiere" in cui ci si arroga la pretesa di escludere dal novero dei filosofi tutti quelli che non sarebbero in possesso di requisiti la cui indispensabilità è affermata sulla base di premesse teoriche del tutto discutibili, come un bodyguard, senza offesa per nessuno, che lascia fuori dal concerto chi non ha il biglietto... molto meglio discutere e contestare il rigore logico o la validità dei ragionamenti, ma senza pensare di escludere nessuno da una comunità, i filosofi, in cui tutti possono riconoscersi, semplicemente in nome della passione riguardo certi temi e dell'approccio mentale, senza essere obbligati a condividere stessi assunti teorici

Sariputra

#41
@Davintro
Concordo e rivendico anch'io la stessa libertà (anche se non capisco 'na mazza di fisica...e non sono un filosofo  ;D ). E che è?  Per fare il falegname occorre conoscere per filo e per segno tutta la fotosintesi clorofilliana delle piante? Se la conosci meglio, ma se non la conosci fai lo stesso delle sedie che sono sicuramente belle e interessanti "in sè" (nonchè utili)...  
Chi non è un positivista materialista non può accettare un simile aut -aut... ::)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

niko

La filosofia indaga il rapporto tra nomos e fisis, tra convenzione e natura, ma se vi dico che non potete prescindere nemmeno dal diritto mi sa che vi viene un colpo...
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Sariputra

Citazione di: niko il 14 Febbraio 2020, 18:44:46 PMLa filosofia indaga il rapporto tra nomos e fisis, tra convenzione e natura, ma se vi dico che non potete prescindere nemmeno dal diritto mi sa che vi viene un colpo...

Ma no!...Il cuore è sano e saldo... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

viator

Salve. Secondo me la filosofia non può prescindere dall'evidenza fisica, dalla quale trarrà le "leggi" (i dettami) che stanno alla base di sua figlia, cioè della fisica scientifica. La quale ultima si occuperà di leggi, convenzioni, assiomi che NON SONO DIRETTAMENTE RICAVABILI DALL'EMPIRISMO, ma che VANNO INTERPRETATE ALLA LUCE DI UN NUOVO LINGUAGGIO, appunto quello inaugurato dalla scienza. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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