Lo "zero matematico", lo "zero fisico", lo "zero metafisico" e l'"Uno".

Aperto da Eutidemo, 13 Maggio 2021, 13:06:29 PM

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Eutidemo

Al riguardo, a mio avviso, possono farsi le seguenti (sia pur molto sommarie) considerazioni.

1) LO ZERO MATEMATICO
Lo "zero" matematico, cioè lo "0", può essere espresso sia con una parola, sia con un segno.
Ed infatti:
a)
La parola "zero" deriva dall'arabo  صفر (sifr), da cui il nostro termine "cifra"; la quale, a differenza di quanto molti credono, non corrisponde affatto al concetto di "numero", bensì ai "segni grafici" dallo 0 al 9 , che servono per esprimere un numero.
Come,  infatti, scriveva nel 1228 Leonardo Fibonacci,  formatosi sui libri di al-Khwārizmī: "Novem <<figurae >>(n.d.a., ancor oggi in greco, "cifra" si dice <<φιγούρα>>) indorum hae sunt 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Cum his itaque novem figuris, et cum hoc signo 0, quod arabice zephirum (n.d.a., "zero") appellatur, scribitur quilibet numerus, ut inferius demonstratur." (Leonardo Fibonacci, "Liber Abbaci", 1228)
In altre parole, i "numeri", i quali sono un modo per esprimere la "quantità", possono essere rappresentati da  una o più "cifre"; come, ad esempio, il "numero" 120, che è composto dalle "cifre" 1, 2 e 0.
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Per cui, lo "zero", è una cifra come le altre; e, da solo, rappresenta anch'esso un "numero"; sebbene di natura molto particolare.
b)
Il segno "0", invece, deriva dal greco, e, a quanto pare, fu usata per la prima volta da Tolomeo all'incirca nel 150 d. C.; esso corrisponde alla prima lettera della parola "οὐδέν" ("niente"), e, cioè all'"omicron", che ha forma circolare, come, appunto, lo "zero".
Robert Kaplan, nel suo libro "Zero", avanza un'ulteriore ipotesi suggestiva sull'origine del segno "0".
Ed infatti, secondo lui, i matematici greci, anche prima di Tolomeo, rappresentavano i numeri con ciottoli scuri posati  sulla sabbia e li rappresentavano, nei loro disegni su pergamena, con cerchietti neri pieni; ma, poichè quando si toglieva un ciottolo, ne restava soltanto un impronta circolare vuota sulla sabbia, a suo parere potrebbe essere risultato naturale, nei loro disegni su pergamena,  rappresentare lo "zero" con un cerchietto vuoto (proprio per indicare l'assenza del numero).
Inoltre, visto che lo zero grafico non è propriamente tondo, ma oblungo (0), lui spiega: "Come mai questa "o" rotonda si è allungata nei secoli in forma di 0? Perché con penne d'oca e pennini era più difficile tracciare un cerchio continuo che due parentesi curve accostate".
***
Queste "curiosità" etimologiche, come vedremo più avanti, possono avere una loro incidentale rilevanza anche a livello filosofico; ma ne parleremo più avanti.
***
Allo stesso modo, secondo me, possono avere una loro più sostanziale rilevanza a livello filosofico anche alcune caratteristiche matematiche dello "zero".
Ad esempio:
a)
Lo zero, ancorchè associato a un "insieme privo di elementi" (→ insieme vuoto) tuttavia è anch'esso un "numero"; e, benchè di primo acchito non ci si pensi, è un "numero intero pari" (né positivo né negativo), essendo un multiplo intero di 2, dato dal fatto che 0 × 2 = 0.
b)
Ancora più strana, almeno di primo acchito, è la circostanza per la quale un qualsiasi numero elevato a potenza "0", è uguale a "1"; però, "0" a potenza "0" è uguale a "0" (o meglio, "0" elevato a potenza "0",  non ha alcun senso matematico)
Ed infatti, dalle proprietà delle potenze sappiamo che dividendo due potenze aventi la stessa base x, otteniamo sempre un numero con la stessa base e come esponente la differenza tra gli esponenti.
Per cui:
- sia x un numero diverso da zero:
xn:xm=xn−m
dove n ed m sono numeri interi qualsiasi.
- se è così, allora possiamo scrivere un numero elevato a zero come:
x0=xn−n
Adesso è chiaro perché fa 1, infatti:
x0=xn−n=xn:xn=1
Ed infatti, ogni numero diviso per se stesso dà come risultato "1"; il che pure può avere, come vedremo, un suo risvolto filosofico.

2) LO ZERO FISICO
In un certo senso, potrebbe esserne un esempio il cerchietto "vuoto" lasciato nella sabbia a seguito del prelievo del ciotolo nero rotondo che c'era sopra prima; di cui, appunto, parla Robert Kaplan nel suo libro "Zero", laddove avanza la sua suggestiva ipotesi sull'origine del segno "0".
Ed invero, a livello fisico, lo "zero" richiama molto il "Śūnya" ("vuoto"), che risale all'antico sanscrito; molto prima che Budda ne traesse la sua dottrina del "Śūnyatā".
Ma esiste davvero il "vuoto" a livello fisico; o almeno in modo tale da poterlo definire uno "zero fisico"?
***
Al riguardo,  Guido Tonelli, professore di fisica all'Università di Pisa nonché uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs al CERN di Ginevra, in un'aula universitaria all'aperto nella cornice di Piazza Mantegna, ha recentemente spiegato: "Un centimetro cubo è l'unità di misura utilizzata per iniziare il ragionamento. Ipotizzando di estrarre aria, polvere e quant'altro contenuto al suo interno, potrebbe venir spontaneo di concludere che si sia ottenuto il <<vuoto>>. In realtà è proprio qui che si apre un intero universo ricco di tantissime entità fisiche. Fotoni, neutrini, raggi cosmici, energia termica, tutte entità che è difficile schermare e dominare."
***
Tuttavia, occorre porsi anche un'altra domanda: è vero che tutto l'universo è "pieno" di atomi, ma gli atomi quanto sono "pieni"?
Ed infatti un atomo è composto da un nucleo, contenente protoni e neutroni, e da elettroni, i quali attorno ad esso girano, in regioni chiamate orbitali; ma la raffigurazione che di solito se ne fa, per necessità di spazio grafico, è completamente fasulla per quanto concerne le dimensioni e le distanze tra le particelle in questione.
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In proporzione, se il nucleo atomico fosse grande quanto una mela, gli elettroni gli ruoterebbero attorno ad una distanza pari a circa un chilometro; cioè se il nucleo fosse una "mela" posta al centro del Colosseo, gli elettroni, grandi in proporzione come un "grano di sabbia", si troverebbero a ruotargli intorno all'incirca dalle parti della Stazione Termini.
E, tra di loro, ci sarebbe soltanto il "vuoto"!
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***
Ed infatti un nucleo atomico ha una massa quasi 1800 volte superiore a quella di un elettrone (da 1,67 × 10−27 a 4,52 × 10−25 kg); quindi, considerate le dimensioni e le distanze, questo significa che gli atomi, che, pure,  sono dappertutto, sono "fatti" al 99,9% di vuoto (fotoni, neutrini, raggi cosmici, energia termica ecc. a parte).
Cioè, per fare un altro esempio, se togliessimo tutto lo spazio vuoto tra nucleo ed elettroni, tutti i 6 miliardi di abitanti della terra ci starebbero dentro nello spazio di una mela.
***
Passando dall'infinitamente piccolo all'infinitamente grande, secondo le ultime stime, sembra che il nostro universo potrebbe essersi espanso per circa 46,5 miliardi di anni luce; quindi, il diametro del "pallone" che si sta tuttora gonfiando, sarebbe attualmente pari a  circa 93 miliardi di anni luce, e  sarebbe tutt'ora in espansione.
Già, ma in espansione dentro che cosa?
***
Possiamo raffigurare visivamente il nostro universo come se fosse un cerchietto bianco, che si espande in uno spazio nero infinito.
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Ed infatti, il nostro universo, per quanto immenso esso sia, se è vero che si sta ancora espandendo, deve necessariamente avere dei confini che si stanno estendendo sempre di più rispetto a prima; ma si stanno estendendo e stanno avanzando dentro che cosa?
***
Se è vero che fuori dall'universo, per definizione scientifica comunemente accettata, non esiste nè lo spazio nè il tempo, dove lo collochiamo il nostro "piccolo" universo in espansione?
Nel "nulla"?
Il paradosso è questo:
- non ci si può espandere se non ampliando i propri confini;
- ma non si posso ampliare i propri confini in "ciò che non c'è", e che è fuori del tempo e dello spazio.
***
Per cui, forse, ciò che è oltre il perimetro in espansione, non è il  "nulla", bensì un "vuoto" analogo a quello che c'è tra il nucleo di un atomo e i suoi elettroni.
Ma che differenza può esserci tra tale "vuoto" e il "nulla"?
La questione è molto controversa, e finisce per sfociare in ambito filosofico.
CONTINUA SOTTO

Eutidemo

PROSEGUE

3) LO ZERO METAFISICO
Lo "zero metafisico", in sostanza, almeno per come viene inteso dalla maggioranza dei filosofi, è puramente e semplicemente il "nulla".
Ed invero, lo "0" corrisponde alla prima lettera della parola "οὐδέν" ("niente"); e, cioè all'"omicron", che ha forma circolare, come, appunto, lo "zero"
***
Il che, però, innesca subito la cosiddetta "aporia del nulla" esposta per la prima volta da Platone nel "Sofista", il quale la formulò per bocca del "Forestiero d'Elea" con queste parole: "Amico, non ti rendi conto che, in base a quanto detto, <<ciò che non è">>, fa cadere in un vicolo senza via d'uscita anche chi ne nega l'esistenza? Ed infatti,  ogni volta che uno tenti di negarne l'esistenza, finisce per essere costretto a esprimersi su di esso in modo contraddittorio."
Ed invero, ogni volta che che il "nulla" viene indicato come "esso", lo si identifica come "reale".
Il che, come abbiamo visto, vale anche:
- per lo "zero matematico", che viene utilizzato per effettuare delle operazioni:
- per lo "zero fisico", dentro il quale si agitano particelle e fluisce l'energia.
***
Ma, sotto il profilo semantico, il "nulla non è nulla" o il "nulla è nulla"?
Benchè "linguisticamente", almeno in italiano, la prima proposizione sia formalmente più corretta della seconda, tuttavia, in base al "principio di non contraddizione" (ammesso di volerlo recepire):
- la prima proposizione risulterebbe contraddittoria, perchè "A non può <<non essere>> A";
- la seconda proposizione, invece, risulterebbe corretta, perchè "A non può che <<essere>>, appunto, A".
***
Il problema è quando ad A corrisponde il "nulla".
***
Al riguardo, tuttavia, secondo me è bene distinguere tra:
1)
Il "nulla relativo".
Cioè, ad esempio, quando io, rivolgendomi ad un politico da strapazzo, gli dico "Guarda che la vera politica non è <<nulla>> di tutto questo".
2)
Il "nulla assoluto".
Cioè, ad esempio, quando io, affermo in astratto: "Secondo me, il <<nulla>> in sè e per sè, a mio parere, è un concetto intrinsecamente ambiguo".
***
Si tratta di due locuzioni di significato molto diverso, la prima delle quali, secondo me, non presenta particolari problemi, mentre la seconda sì!
***
Ed infatti, quando si discute di qualcosa, in generale, la prima cosa da fare sarebbe di "definirla"; ma come si fa a definire il "nulla"?
Dire che "il <<nulla>> è ciò che <<non è>>", in fondo, è solo una tautologia; perchè <<nulla>>  equivale esattamente a dire <<ciò che non è>> (come dire che un quadrupede ha quattro zampe).
***
Peraltro, nel dire o pensare che "il nulla non è", secondo alcuni, come il "Forestiero d'Elea", lo si investe della realtà che gli si nega; innescando, appunto, la cosiddetta "aporia del nulla".
Si passa, cioè, dal pensiero "logico-semantico" a quello"ontologico".
***
Secondo Bergson, invece, si tratta di un termine "impredicabile"; cioè,  di "una semplice parola", ovvero, di "una pseudo-idea".
Salvo che, come avevo premesso, non si tratti di una parola usata in senso relativo!
Cioè, per Bergson, quando io sto negando che una certa determinatezza competa al mio essere, alla mia identità, al mio volere, al mio pensare:
- non sto affatto affermando l'esistenza di una dimensione chiamata "nulla";
- sto solo affermando l'insussistenza di un certo stato di cose imputato a me o ad altra cosa a me nota.
Quindi, per il detto filosofo, si tratta solo di un "problema di linguaggio"; altrimenti, considerato in senso assoluto, diverrebbe un concetto "autocontraddittorio", o, ancor meglio, "auto-distruttivo".
***
Ed in effetti, sotto l'aspetto "oggettivo", ovvero "fenomenologico",  non c'è "niente" (appunto) che possa fare da  "ὑποκείμενον", cioè da "substrato",   a tale (non)entità puramente formale.
Parlare del "nulla" in senso assoluto, cioè, significa porre alcunché di autocontraddittorio; cioè un (non)qualcosa che elimina se stesso nel momento stesso in cui viene formulato, un po' come nel famoso "paradosso del mentitore".
In altre parole, secondo Bergson, chi "pensa il nulla", in realtà, semplicemente "non pensa", in quanto si astrae da ogni determinatezza e quindi dissolve il suo pensiero nell'indeterminato.
***
Il che, però, in effetti accade anche per il contrario del "non essere", e, cioè, per l'"essere"; ed infatti, anche pensando all'"essere" (in assoluto) ci si astrae da ogni determinatezza, e quindi il nostro pensiero cade nell'indeterminato.
***
Ed infatti, almeno secondo Aristotile, ciò che esiste viene identificato per "genere prossimo" e per "differenza specifica"; ad esempio, per definire l'uomo:
- il "genere prossimo" di uomo è "animale";
- la "differenza specifica" è che l'"uomo" è un animale capace di "ragionare" (sebbene non in tutti i casi), mentre l'"animale" no!
***
Ma come si fa a identificare per "genere prossimo" e per "differenza specifica", l'"essere" in generale?
Possiamo forse dire che il "genere prossimo" dell'"essere" è il "nulla", e che la "differenza specifica" dell'"essere", è che, mentre il "nulla" non è, l'"essere", invece, è?
Suona un po' paradossale!
***
Secondo me, quindi, il nocciolo dell'aporia consiste proprio in questo:  il minimo semantico – il nulla – e il massimo semantico – l'essere – hanno un punto in comune, quello, cioè, di essere astrazioni assolute dalla determinatezza (e, in quanto astrazioni vuote di contenuto, finiscono per giustapporsi).
***
In effetti, nella "Dottrina dell'essere", Hegel dice più o meno qualcosa del genere: "Il puro essere e il puro nulla son dunque lo stesso. Il vero non è né l'essere né il nulla, ma che l'essere, – non passa, – ma è passato, nel nulla, e il nulla nell'essere".
E poi conclude: "In pari tempo però il vero non è la loro indifferenza, la loro indistinzione, ma è anzi ch'essi non sono lo stesso, ch'essi sono assolutamente diversi, ma insieme anche inseparati e inseparabili e che immediatamente ciascuno di essi sparisce nel suo opposto ("jedes in seinem Gegenteil verschwindet")".
***
Però, "si licet parva componere magnis", secondo me quello che dice Hegel è vero  soltanto per il "nulla" e per l'"essere" relativi; ed infatti, io, adesso, nel momento in cui scrivo, "sono"...però, una volta morto, svanirò nel "non essere" (almeno come individuo).
Ma questo non ha niente con vedere con il concetto di "non essere" e di "essere" in senso assoluto.
Si tratta di cose diverse!
***
Quanto scrive Hegel è verissimo: "La verità dell'essere e del nulla è pertanto questo movimento ("Bewegung") consistente nell'immediato sparire ("des unmittelbaren Verschwindens") dell'uno di essi nell'altro: il "divenire" ("das Werden")".
Ma quando lui parla del divenire dell'uno nell'altro, si riferisce alle singole cose e ai singoli individui; in quanto non serve certo un filosofo della stazza di Hegel per capire che l'"<<essere>> adesso Pippo un bambino", quando Pippo diverrà un "adolescente", diverrà "il <<non essere>>  più Pippo un bambino".
Ma questo, secondo me,non significa affatto che l'"essere" divenga, o meglio, si trasformia, nel "non essere"; significa soltanto che quel singolo individuo è passato da una modalità di "essere" ad un'altra modalità di "essere", che ha posto nel "nulla" la  precedente.
Ma sempre "essere" è!
***
E, poichè l'"essere" è il minimo comun denominatore di tutte le cose che "sono", quando quel singolo "individuo" morirà, passerà egualmente da una modalità di "essere" ad un'altra modalità di "essere", che ha posto nel "nulla" la  precedente; cioè, da "organismo vivente", diverrà un "cadavere" (ma anche il cadavere "è", sebbene qualcosa di "molto" diverso da quello che era prima).
E comunque, fermo restando che quell'individuo, come singola entità autocosciente, ha cessato per sempre di "esistere", ciò non significa che l'"essere" che era (in) lui, come in tutte le cose (pure prima che lui nascesse), inizi ad "essere" o cessi per questo di "essere".
Ma questo è un altro discorso, che potrebbe portarci troppo O.T. (Off Topic)!

4) L'UNO METAFISICO
Per concludere, secondo me, lo "zero metafisico" può essere compreso solo facendo riferimento all'"uno metafisico".
I numeri sono infiniti:
- piccoli, come il 2, il 3, il 6 ecc.
- grandi, come il 345, il 654, il 453 ecc.
- enormi, come 234.000.000.000 alla miliardesima potenza.
Però, tutti quanti, singolarmente presi, divisi per se stessi, sono uguali a "1"; perchè l'"1" è l'unico numero che si trova in tutti i numeri, pur non corrispondendo a nessuno di essi (salvo se stesso)
Allo stesso modo, per analogia, tutti gli esseri, quando si "dividono per se stessi", disgregandosi come identità individuali, tornano all'"essere", di cui non erano altro che epifenomeni; un po' come le "onde" tornano ad essere "mare".
Per altro verso, così come qualsiasi numero elevato a potenza "0", è uguale a "1", allo stesso modo ogni singolo essere, nel momento in cui si annulla come individuo "zerificandosi", potenzialmente diventa l'"Uno"; cioè l'"essere" senza "qualificazioni" individuali.
"Io sono Eutidemo", ma, se tolgo l'"Eutidemo", allora "Io sono", e basta!
Ed infatti, "Jahvè", deriva dal verbo sostantivo arcaico "hāwāh" (essere), e non è un nome: quindi, a Mosè che scioccamente voleva sapere il suo nome, rispose:   "Dirai agli Israeliti: <<Io-Sono>> mi ha mandato a voi".
In altre parole, l'Uno è l'"Essere", contrapposto allo Zero, che corrisponde al "Non Essere"; del quale Plotino dice che "Il nulla non è essere, affinché l'essere sia".
***

Ipazia

Lo zero è strumento matematico, fisico e metafisico che risponde ottimamente al principio mensurale di Protagora.

Matematicamente è necessario per esprimere il continuo numerico e non a caso sta all'origine degli assi cartesiani. Anche nel conteggio, dove parrebbe non avere senso, ne ha invece molto, come rivelano le scorte di magazzino quando si svuotano.

Fisicamente esprime la sensibilità della misura ed è sempre relativo al nostro armamentario rivelativo di tipo fisico, chimico o biologico.

Metafisicamente esprime la fervida fantasia umana e si avvale di facezie e aporie a non finire, in particolare perché la metafisica tende all'assoluto mentre lo zero/nulla è saldamente radicato nel relativo cartesiano.

Tra le facezie linguistiche: Il nulla non è nulla è ovviabile in lingue che escludono la doppia negazione e ci riconciliano col principio di uguaglianza e di non contraddizione; "il nulla è nulla" fila perfettamente semanticamente, e non dice nulla ontologicamente, in quanto, come aveva già capito Parmenide: il non essere non è. Cosa che il suo più entusiasta supporter, Platone, doveva sapere a menadito, ma gli piaceva gigioneggiare con menti meno scafate della sua.

Che il nulla faccia da sfondo a qualcosa (essere, uno) resta pur sempre nell'ambito del relativo e contestuale. Se un frigo serve a contenere il cibo, è corretto dire "è vuoto" o "(non) c'è nulla" quando il cibo non c'è. Senza scomodare la metafisica o la fisica delle particelle.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

I concetti di finito e infinito sono necessari per il pensiero razionale. Ma se li approfondiamo... ci ritroviamo inevitabilmente al limite del comprensibile.
Perché di per se stessi, cioè uno a prescindere dall'altro, sono un non senso.

Se cerco il finito, mi ritrovo immancabilmente ad affrontare l'infinito.
E viceversa l'infinito deve tutto il suo significato al finito.
Sono infatti, il finito e l'infinito, uno la negazione dell'altro. Ed è in questa stessa negazione tutta la loro realtà.

Di modo che il nostro universo è finito, tuttavia... illimitato!
Quindi un finito che sfuma nell'infinitamente piccolo.
Perciò un finito che non è proprio finito... Perché se lo fosse davvero, ci dovrebbe essere necessariamente qualcos'altro.

Imbrigliati dalla nostra stessa razionalità, per la quale A = A, ci inventiamo ogni arzigogolo pur di non fermarci attoniti di fronte al limite del comprensibile.

Allo stesso modo è davvero difficile non dare per scontata l'esistenza del componente elementare, l'indivisibile, ciò che non dovrà mai a sua volta rimandare ad altri componenti, perché assoluto.
E magari questa particella elementare possiamo identificarla con l'uno. Proprio perché assoluta.

Il pensarla invece inesistente, questa particella elementare, causa angoscia. Perché se così fosse, questa nostra realtà sarebbe fondata sul Nulla!
E questo è difficilmente tollerabile.

Ma è davvero così importante che vi sia davvero qualcosa?

Cosa conta davvero in questa nostra vita?

Cosa è davvero Assoluto?

Se è il Bene, allora richiede proprio questo sacrificio: Essere = Nulla
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Eutidemo

Citazione di: Ipazia il 13 Maggio 2021, 15:15:01 PM
Lo zero è strumento matematico, fisico e metafisico che risponde ottimamente al principio mensurale di Protagora.

Matematicamente è necessario per esprimere il continuo numerico e non a caso sta all'origine degli assi cartesiani. Anche nel conteggio, dove parrebbe non avere senso, ne ha invece molto, come rivelano le scorte di magazzino quando si svuotano.

Fisicamente esprime la sensibilità della misura ed è sempre relativo al nostro armamentario rivelativo di tipo fisico, chimico o biologico.

Metafisicamente esprime la fervida fantasia umana e si avvale di facezie e aporie a non finire, in particolare perché la metafisica tende all'assoluto mentre lo zero/nulla è saldamente radicato nel relativo cartesiano.

Tra le facezie linguistiche: Il nulla non è nulla è ovviabile in lingue che escludono la doppia negazione e ci riconciliano col principio di uguaglianza e di non contraddizione; "il nulla è nulla" fila perfettamente semanticamente, e non dice nulla ontologicamente, in quanto, come aveva già capito Parmenide: il non essere non è. Cosa che il suo più entusiasta supporter, Platone, doveva sapere a menadito, ma gli piaceva gigioneggiare con menti meno scafate della sua.

Che il nulla faccia da sfondo a qualcosa (essere, uno) resta pur sempre nell'ambito del relativo e contestuale. Se un frigo serve a contenere il cibo, è corretto dire "è vuoto" o "(non) c'è nulla" quando il cibo non c'è. Senza scomodare la metafisica o la fisica delle particelle.
Molto sintetico, ma, indubbiamente, encomiabile!
Chapeau!
:)

Eutidemo

Ciao Bobmax :)
Veramente il mio tema era lo "zero" (e, in appendice conclusiva, anche l'"uno"), e non i concetti di "finito" e di "infinito"; i quali, con lo "zero" (e con il "nulla") non hanno molto a che fare, se non in modo molto "incidentale".
Ed infatti, lo "zero" è un "numero intero  pari", mentre, per Leibniz, un "numero infinitesimale" è un numero dx "maggiore di zero" e al tempo stesso minore di qualsiasi numero reale per quanto piccolo (0<dx<1N).
Sono due cose diverse, in quanto lo "zero"  non ha niente a che vedere nè con l'"infinitamente piccolo" nè con l'"infinitamente grande": e, a ben vedere, è difficilmente comparabile anche con un qualcosa che possa definirsi propriamente "finito".
***
Quindi, secondo me, discutere circa il "finito" e l'"infinito", argomenti di per sè molto interessanti, dovrebbe costituire l'oggetto di un apposito autonomo "thread"; ma non di quello che ho aperto io.
***
Diversamente, il noto principio "A = A", ha decisamente a che vedere col mio tema; sebbene anch'esso avrebbe diritto ad un apposito topic (che avevo già iniziato a scrivere).
***
Quanto al componente elementare, l'"indivisibile", cioè quello che, come tu scrivi, non dovrà mai a sua volta rimandare ad altri componenti, perché "assoluto", occorre vedere il senso da attribuire al concetto di "uno" e di "divisibile"; ed infatti, in matematica, l'"uno" può essere benissimo diviso (1/2, 1/3 ecc.), mentre, sebbene non sia possibile dividere un numero per "zero", nulla però vieta di dividere lo "zero" per un numero qualsiasi (ossia di calcolare 0:N).
***
Quanto al fatto se sia davvero così importante che vi sia davvero "qualcosa", questo dipende dai punti di vista; però, che lo si ritenga o meno importante, "qualcosa indubbiamente c'è."
Di che cosa poi si tratti, magari, è un altro discorso.
***
Un saluto! :)
***

bobmax

Il mio intervento era relativo al contenuto dei due post di apertura, più che al titolo di per se stesso.

Che qualcosa debba necessariamente esistere è il pregiudizio che fa da pietra tombale alla ricerca filosofica.
Perché è proprio il "qualcosa" a dover essere messo in discussione.

Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

iano

Le cifre e i simboli in genere sono ben definiti e ben distinti.
Di essi abbiamo perfetta conoscenza nella misura in cui li abbiamo creati consapevolmente.
La loro  esistenza è tanto certa quanto arbitraria in quanto nascono da un atto creativo.
Nella misura in cui riusciamo a metterli in corrispondenza con la realtà trasferiamo a questa esistenza e certezza.
Questo non significa che parimenti creiamo la realtà, perché diverse sono le possibili corrispondenze.
Ma di fatto operiamo sulla realtà nella misura in cui operiamo coi simboli.
Di volta in volta la natura della corrispondenza andrebbe specificata, ma non sempre lo facciamo e/o ne abbiamo coscienza.
Il rischio è di usare diverse corrispondenze contemporaneamente.
Quindi, pur a fronte di una perfetta definizione e distinzione fra simboli, ci ritroviamo a volte in un caos operativo, dove il vuoto è pieno e il pieno è vuoto, dove cioè un simbolo vale l'altro.
Le cose vanno meglio quando mettiamo in corrispondenza i simboli fra loro, specie quando li sfrondiamo da ogni riferimento non voluto e/0 inconscio con la realtà , così che a zero ed uno non corrisponda nulla di speciale se non nella misura in cui lo decidiamo noi.
In questa ultima corrispondenza, che è quella della matematica pura, possono pure presentarsi situazioni poco chiare, pur a fronte di chiare definizioni. Ma di solito sono situazioni dipanabili , e soprattutto lo sono una volta per tutte. Una volta risolto un problema matematico lo si è risolto per sempre.
Conviene quindi scoprire tutte le possibili contraddizioni insite nella matematica prima di metterla in corrispondenza con la realtà.
La matematica è, della realtà, la parte che di essa risulta ben distinta e definita , in quanto da noi creata, e nella misura in cui riusciamo a metterla in corrispondenza col resto della realtà, riusciamo a trasformare innocue operazioni fra simboli in azioni sulla realtà.
Non occorre una perfetta conoscenza della realtà, impossibile nella misura in cui non la abbiamo creata noi, ciò che equivarrebbe a conoscere la verità, cosa che in effetti possiamo in campo matematico.
Quando andiamo alla ricerca della teoria del tutto cerchiamo la corrispondenza perfetta ed esclusiva fra simboli e realtà, e quindi in sostanza crediamo possibile mettere in corrispondenza il nostro arbitrio con la realtà una volta per tutte.
Cerchiamo la fine del nostro arbitrio.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Eutidemo

Citazione di: bobmax il 14 Maggio 2021, 09:38:02 AM
Il mio intervento era relativo al contenuto dei due post di apertura, più che al titolo di per se stesso.

Che qualcosa debba necessariamente esistere è il pregiudizio che fa da pietra tombale alla ricerca filosofica.
Perché è proprio il "qualcosa" a dover essere messo in discussione.
Non puoi postulare l'esistenza del "nulla", se non implicitamente ammettendo che esiste "qualcosa"; secondo me non avrebbe alcun senso logico.
:)

Eutidemo

Ciao Iano. :)
Hai ben individuato il nocciolo del problema; cioè, la corrispondenza perfetta ed esclusiva fra i "simboli" e la "realtà", che, secondo, è difficilmente realizzabile.
Come, appunto, l'OMICRON che i Greci usavano per indicare lo ZERO, come "simbolo" di OUDEN, e, cioè, del NULLA;  gli Arabi, invece, assunsero tale "simbolo" con un significato ontologico molto simile, ma, matematicamente, alquanto differente  da quello dei Greci.
***
D'altronde il termine "simbolo" deriva dall'unione del prefisso "σύν"(syn(m)), che significa "con",  ovvero "insieme", con il verbo greco "βάλλω" (ballo) che significa "getto": quindi, etimologicamente, significa "mettere insieme", unire, armonizzare.
Il che ci permette subito di cogliere nella sua etimologia il significato profondo dell'unità, quasi  metafisica, tra significante e significato, idea e rappresentazione che questo termine racchiude in sé: non a caso il suo contrario è διαβάλλω (diabàllo) da cui il termine moderno "diavolo", colui che divide per antonomasia.
***
Un saluto! :)
***

iano

Ciao Eutidemo.
Suggestiva l'etimologia di simbolo, che non conoscevo.
Gli Arabi sono capaci di commerciare qualunque cosa, e sono riusciti a raccattare le cifre Indiane, acquistate poi come souvenir dal figlio di un ambasciatore pisano in terra Araba , detto il bonaccione, da cui Fibonacci, quando ancora i simboli posti a nostra corrispondenza  ci qualificavano, non limitandosi a distinguerci.
Un uso dei nomi, che se fosse ancora di moda, io mi chiamerei Nivaloro, venditore di neve.
Un nome che dice da dove venivano e cosa facevano i miei avi.
Oggi si preferisce svincolare i simboli dai significati , lasciandone libera la corrispondenza.

Nel duecento così inizia in Occidente l'uso della numerazione Indiana che soppianta quella  romana.
Ciò che è equivalso a una rinascita della matematica occidentale per ibridazione. La rinascita e' partita di fatto dal distinguere il modo di comporre le cifre per indicare numeri, dall'operazione di comporre i numeri per sommarli.
Svincolare il modo di indicare i numeri dalle operazioni fatte fra numeri, ne ha reso l'uso libero per operazioni più generalizzate.
Quindi si è potuto porre una cifra accanto all'altra senza che ciò implicasse sommarli.
Il misticismo simbolico indiano quindi si è sposato alla  mentalità ingegneristica dei romani, per i quali i numeri si costruivano aggiungendo una cifra all'altro, come fossero mattoni per fare ponti, in un proficuo matrimonio che continua ancora adesso a figliare.
Certamente l'origine dei simboli è in un processo di astrazione, avvenuto però senza uso di coscienza, per cui nella cultura passata non si distinguevano bene i simboli da ciò che essi indicavano.
C'era fra simboli e realtà un matrimonio d'amore.
Oggi si sono separati, ma sono rimasti buoni amici.
Uno dei motivi per cui invece non vi è intimità in generale fra noi è la matematica è il fatto che dobbiamo accettarne per convenzione i simboli scelti da altri, e come tutti i matrimoni fatti per convenienza, e non per amore, non funzionano.
Altro sarebbe potersi scegliere i propri simboli e costruirsi la propria matematica, come figli nati dall'amore.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Ognuno dovrebbe poter sperimentare liberamente quanto in matematica la forma sia sostanza., per potersene innamorare. I simboli hanno il loro fascino e si possono amare come odiare e ogni scarabocchio è bello a mamma so'.
A me ad esempio il simbolo di integrale mi sta sullo stomaco.
Come potrei dunque comprendere la analisi matematica? 😄
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Per innamorarsene basta pensare quanta matematica c'è negli apparati che ci permettono di comunicare. Senza l'analisi matematica non ci saremmo arrivati mai. E per l'analisi matematica servono lo zero e gli assi cartesiani. Tutto torna ...
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Citazione di: Eutidemo il 14 Maggio 2021, 11:07:55 AM
Citazione di: bobmax il 14 Maggio 2021, 09:38:02 AM
Il mio intervento era relativo al contenuto dei due post di apertura, più che al titolo di per se stesso.

Che qualcosa debba necessariamente esistere è il pregiudizio che fa da pietra tombale alla ricerca filosofica.
Perché è proprio il "qualcosa" a dover essere messo in discussione.
Non puoi postulare l'esistenza del "nulla", se non implicitamente ammettendo che esiste "qualcosa"; secondo me non avrebbe alcun senso logico.
:)

L'esistenza del nulla è una contraddizione in termini.
Equivale a postulare l'esistenza della non esistenza.

La famosa domanda "Perché c'è qualcosa piuttosto che il nulla?" è erronea.
In quanto pure il nulla ha senso solo in funzione del possibile qualcosa.

Ma è proprio il qualcosa che deve essere messo in discussione!

Quindi sia il suo esistere come il suo non esistere.
Occorre andare oltre l'esistenza e la non esistenza.

E qui abbiamo l'Essere.
Che essendo oltre l'esistenza equivale al Nulla.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Eutidemo

Citazione di: iano il 14 Maggio 2021, 12:10:07 PM
Ciao Eutidemo.
Suggestiva l'etimologia di simbolo, che non conoscevo.
Gli Arabi sono capaci di commerciare qualunque cosa, e sono riusciti a raccattare le cifre Indiane, acquistate poi come souvenir dal figlio di un ambasciatore pisano in terra Araba , detto il bonaccione, da cui Fibonacci, quando ancora i simboli posti a nostra corrispondenza  ci qualificavano, non limitandosi a distinguerci.
Un uso dei nomi, che se fosse ancora di moda, io mi chiamerei Nivaloro, venditore di neve.
Un nome che dice da dove venivano e cosa facevano i miei avi.
Oggi si preferisce svincolare i simboli dai significati , lasciandone libera la corrispondenza.

Nel duecento così inizia in Occidente l'uso della numerazione Indiana che soppianta quella  romana.
Ciò che è equivalso a una rinascita della matematica occidentale per ibridazione. La rinascita e' partita di fatto dal distinguere il modo di comporre le cifre per indicare numeri, dall'operazione di comporre i numeri per sommarli.
Svincolare il modo di indicare i numeri dalle operazioni fatte fra numeri, ne ha reso l'uso libero per operazioni più generalizzate.
Quindi si è potuto porre una cifra accanto all'altra senza che ciò implicasse sommarli.
Il misticismo simbolico indiano quindi si è sposato alla  mentalità ingegneristica dei romani, per i quali i numeri si costruivano aggiungendo una cifra all'altro, come fossero mattoni per fare ponti, in un proficuo matrimonio che continua ancora adesso a figliare.
Certamente l'origine dei simboli è in un processo di astrazione, avvenuto però senza uso di coscienza, per cui nella cultura passata non si distinguevano bene i simboli da ciò che essi indicavano.
C'era fra simboli e realtà un matrimonio d'amore.
Oggi si sono separati, ma sono rimasti buoni amici.
Uno dei motivi per cui invece non vi è intimità in generale fra noi è la matematica è il fatto che dobbiamo accettarne per convenzione i simboli scelti da altri, e come tutti i matrimoni fatti per convenienza, e non per amore, non funzionano.
Altro sarebbe potersi scegliere i propri simboli e costruirsi la propria matematica, come figli nati dall'amore.
Buon parte del merito va a Fibonacci: vedi il suo testo da me riportato nel mio post iniziale.
:)