L’essere e il divenire.

Aperto da iano, 26 Maggio 2021, 01:29:13 AM

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iano

Essere e divenire sono argomenti pesanti nella storia della filosofia, questo lo so', e sarebbe doveroso quindi introdurre questa discussione con una loro breve storia, se io fossi in grado di farlo.
Diversamente , dovrò dire almeno a che titolo ne vorrei parlare.
È un titolo, almeno quello, che pur senza merito, condivido con voi.
L'essere qui qualche millennio dopo, integrato in una nuova cultura, e in quanto, tale portatore involontario di punti di vista che i primi filosofi greci non potevano avere, mentre noi, seppur con qualche incertezza, possediamo  i loro.
Sappiamo che uno di questi era la visione geometrica, che poi si sarebbe detta Euclidea, del mondo.
Un punto di vista che non contemplava alternative, e che noi ben sappiamo cosa sia senza aver letto Euclide, perché è così che continuiamo a vedere il mondo, proprio come lo vedevano loro.
Era un mondo coerente, come ancora lo è, e su questa coerenza loro fondavano la sua corrispondenza alla realtà.
Oggi non possiamo più farlo.
Abbiamo imparato a conoscere infatti nuove geometrie, non euclidee, ma parimenti coerenti, che siamo perciò in grado di mettere in corrispondenza con la coerente realtà, ma non più nel modo necessariamente univoco di chi,  conoscendo una sola geometria , altro non avrebbe potuto fare.
In questo pluralismo di visioni molti dei paradossi degli antichi filosofi possono sciogliere o hanno già sciolto  i loro nodi ?
Anche qui ci sarebbe una storia da raccontare che ancora io non posso raccontare.
Faccio prima a inventarne una verosimile  che possa servire da spunto a voi per andare a sciogliere tutti i nodi di cui sopra che vorrete.
Uno è infatti il paradosso dell'essere che diviene, come da titolo.
Io propongo che l'essere non è ciò che diviene, ma ciò che rimane.
Ciò che resiste al mutamento , non perché essenziale, ma che resiste a quel particolare mutamento, così che è il mutamento a definire l'essere, come ciò che rimane.
C'è però una difficoltà di fondo che equivale ad una asimmetria nella nostra percezione.
Vediamo meglio ciò che ha resistito al mutamento, come se altro non ci fosse mai stato, l'essere in se' nella sua, appunto, evidenza, e non ciò che non è più in se', scalzato dal mutamento.
Cosìcche', pur in presenza del divenire constatiamo la persistenza dell'essere, che sembra perciò fondarsi su se stesso.
L'essere è ciò che è.
Sul che non è difficile esser tutti noi d'accordo, come se avessimo detto chissà che', pur tutti sapendo di non aver detto nulla.
Siamo tutti d'accordo in verità per il motivo che ben condividiamo la stessa asimmetria percettiva.
Siamo ben in grado di dire banali ovvietà sulle quali poi non possiamo che esser tutti d'accordo.
Il fatto è però che di regola non le diciamo a caso , e se tutti insistono su alcune, sempre quelle, generazione dopo generazione, fra le infinite possibili, allora ci sarà pure un motivo per tale insistenza.
È normale che un pazzo dica le cose più assurde prodotte dalla sua irrazionalità.
Ma se tutti insistono nel tempo sulla stessa assurdità allora ci sarà una ragione.
Con terminologia moderna lo spazio euclideo è quello che contiene ciò che non muta per traslazione.
Esistono diversi spazi, ognuno definito dalla sua invarianza.
Se un matematico legge, abbia pietà, ma la sostanza è questa.
Cosa è cambiato in un triangolo se lo,trasliamo?
Nulla. È sempre un triangolo non avendo mutato la sua "essenza".
Così a noi sembra nella nostra percezione asimmetrica.
Vediamo del triangolo quel che rimane, ma dimentichiamo che di esso più non rimane la sua vecchia posizione.
Lo spazio Euclideo secondo un punto di vista moderno, contiene ciò da cui si può astrarre la posizione.
Cambia la posizione del triangolo , ma non cambia il triangolo , ma solo perché così oggi definiamo in modo cosciente  lo spazio Euclideo, come ciò che contiene ciò che non muta per traslazione .
Lo si faceva anche prima, ma senza aver coscienza di farlo.
Non avevamo coscienza di ciò che si perdeva nel mutamento, come se nulla cambiasse.
Sembrava ovviò dovesse esser così, ma non c'è mai nulla di veramente ovvio , come di ciò che è perché è.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

#1
Gli antichi si concentrarono sull'Essere almeno fino a Kant cercando di sottrarlo alle infinite contraddizioni che il Divenire poneva alla sua permanenza. Lo hanno fatto rendendolo sempre più astratto e onnicomprensivo fino a renderlo nulla più che una Idea. Questa è la storia della metafisica classica. Hegel con la dialettica ha inserito un correttivo "moderno" all'Essere, incorporandovi il Divenire. Tale modello filosofico trova conferme anche nel modello scientifico vigente dello spaziotempo di Einstein.

Tornando alla filosofia e alla sua intenzione di essere una logica capace di rappresentare e spiegare il mondo nello spirito galileiano dello "io vi racconto l'universo" trovo assai bene esplicativa nella sua sinteticità la spiegazione di Ludwig Wittgenstein (LW) nel suo TRACTATUS LOGICO-PHILOSOPHICUS del 1918 che sono pure gli anni di nascita della relatività einsteiniana. Sotto la proposizione, tra parentisi, il mio commento. Grassetto e corsivo nel testo di LW sono originali.

1  Il mondo è tutto ciò che accade.
(ciò che accade è divenire)

1.1    Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose.
(le cose da sole non spiegano il mondo, i fatti sono "cose in divenire")

1.11 Il mondo è determinato dai fatti e dall'essere essi tutti i fatti.
(L'Essere/mondo di tradizione Parmenidea-Severiniana è sussunto sotto una categoria spazio-temporale...)

1.12 (Per)Ché la totalità dei fatti determina ciò che accade, ed anche tutto ciò che non accade.
(...la quale determina, usando un linguaggio "antico" che va da Parmenide a Protagora, l'Essere e il Non-Essere)

1.13 I fatti nello spazio logico sono il mondo.
(Il Tutto perviene a noi attraverso la sua rappresentazione logica. Verrebbe da ripetere come un mantra: en archè en o logos. L'archè dell'universo antropo-logico)

1.2    Il mondo si divide in fatti.
(Il Tutto è logicamente scomponibile in entità spaziotemporali definite...)

1.21 Qualcosa può accadere o non accadere e tutto il resto rimanere eguale.
(... le quali sono logicamente analizzabili a prescindere dal rimanente Tutto...)

2 Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose.
(...e fissabili in una istantanea, potremmo dire Euclidea, con una propria sussistenza...)

2.01  Lo stato di cose è un nesso d'oggetti (entità, cose).
(...determinata dai nessi che nell'istantanea si stabiliscono tra le cose)

2.011 E' essenziale alla cosa il poter essere parte costitutiva d'uno stato di cose.
(tali nessi hanno una carattere "essenziale" e ci permettono di avere un approccio "scientifico" alle cose costituite in una stato determinato)

Queste prime definizioni del Tractatus pongono in relazione logica Essere e Divenire, così come il pensiero moderno li ha risolti logicamente. E ci danno le categorie logiche, gli attrezzi del mestiere, per poterne discutere con cognizione di causa nel punto di approdo della filosofia moderna.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Alexander

#2
Buongiorno a tutti


L'essere e il divenire sono prospettive, o punti di vista. L'esempio del caleidoscopio ci permette di afferrare il concetto. Se noi osserviamo l'interno del caleidoscopio, facendolo ruotare, vediamo che muta in continuazione e, se assumiamo questo punto di vista, diremmo che tutto diviene. Però se osserviamo il caleidoscopio all'esterno vediamo che il caleidoscopio non diviene; il suo essere caleidoscopio non muta. Assumendo un particolare punto di vista il mondo ci appare in continuo mutamento; assumendone un altro il mondo è sempre lo stesso mondo e tutto il mutamento è semplicemente un'apparenza del mondo.Il caleidoscopio non può mutare in continuazione se viene a mancare la sua struttura, così il mondo non diviene se cessa di essere un mondo. Similmente un essere vivente cambia in continuazione durante la propria vita, ma non diviene un altro essere. Sono solo metafore perché la mente non può afferrare contemporaneamente l'essere di una cosa e il suo divenire, ma solo assumendo una particolare prospettiva dirà: "quella cosa è..." distinguendola da quello che quella cosa non-è. E' la distinzione che determina l'essere di una cosa. Senza un soggetto conoscente che distingue non può esserci distinzione tra le cose, né si può dire nulla di esse: né che sono , né che divengono.

Jacopus

Il tracciato della filosofia, molto grossolanamente, epurando le moltissime eccezioni ed inversioni di marcia, può essere descritto come un passaggio dall'essere al divenire. La ricerca dell'Uno, dell'immobile, del fondamento ultimo è stata sostituita dalla constatazione del "polemos" del "tutto scorre" eracliteo.


Non solo. Per lo meno nell'ambito degli studi psicologici, è venuta meno anche la percezione di una soggettività, di un essere unico e in grado di essere padrone almeno in casa propria. Con Darwin l'essere umano è stato umilmente riallineato agli altri esseri viventi, con i quali condivide codice genetico e processi biologici di riproduzione cellulare, con Freud si è giunti a considerare le azioni umane il prodotto di scelte inconsapevoli, frutto di dinamiche interagenti di razionalità ed emotività, di pensieri ed atti, di esperienze positive e traumi.
L'essere umano moderno ha deposto la precedente identità monolitica per accettarne una fluida, multiversica, testimone della nostra natura collettiva e sociale. Attraverso di essa, il divenire è l'unica lente che si può utilizzare e il futuro l'unico tempo sensato.
Il poeta Withman lo spiega nel seguente modo:
"Do I contradict myself? Very well, then I contradict myself. I am large, I contain moltitudes".


A partire da queste considerazioni generali, si può tentare di interpretare il discorso iniziale di Iano, che definisce l'essere ciò che resta immutabile, ciò che resta, dopo che il divenire fa il suo corso.
In psicologia questa intuizione viene definita come pattern comportamentale, intendendo con essa la attitudine generalizzata da parte di tutti gli esseri viventi a riprodurre comportamenti che si sono dimostrati adatti al proseguimento della vita. In altri termini, più comuni, si può dire che "l'uomo si abitua a tutto" e con questa abitudinarietà risponde a importanti funzioni adattive, ovvero al risparmio di energie (c'è già una strada tracciata), e alla capacità di far fronte alle avversità, se quell'abituarsi è relativo ad un ambiente ostile.
La scommessa è riuscire a modificare " ciò che rimane" se quel che rimane risponde a principi comportamentali che l'etica vigente ritiene non rispondente alle sue leggi.
E qui si aprono altri immensi campi di riflessione, su chi decide ciò che è etico e su come si conciliano etiche divergenti. L'essere platonico, della filosofia antica, nella sua centratura sull'essere poteva risolvere questo problema, rischiando l'autoritarismo. L'essere wittgensteiniano, della filosofia moderna, nella sua centratura sul divenire, non risolve il problema etico ma permette di superare l'autoritarismo come fondamento sociale.

Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

#4
@Ipazia.
Vista la sinteticità del Tractatus potrei leggerlo.
Anzi lo leggo e nel mentre lo commento, visto che alla lettura della prima frase in prefazione sembra presentare spunti non da poco.
Già a commentare quella corro il rischio di volerlo come scrivere, immaginando come continua, pur riscrivendolo e ex novo, se già non lo avessi scritto o pensato, essendo questo l'unico modo per comprenderlo, secondo l'autore:


"Questo libro, forse, lo comprenderà solo colui che già a sua volta abbia pensato i pensieri ivi espressi, o , almeno simili."

Sembra dire LW intanto che bisogna che condividiamo almeno in parte la stessa cultura che ci permetta perciò  di fare in dipendenza di essa , ma in modo indipendente fra noi, pensieri simili, e sembra lo scopo del libro sia verificare se ciò sia possibile, che almeno un altro abbia fatto i suoi stessi pensieri.
LW sembra chiedersi se vi è la possibilità che non sia solo dentro ai suoi pensieri.
Se noi non siamo dentro ai suoi pensieri l'unica chance di comprenderlo, partendo dai primi spunti che ci offre, è di costruire un nostro percorso autonomo, e verificare a fine lettura se non abbiamo letto ciò che prima abbiamo pensato.
Per quel che vale la mia esperienza, questo è l'unico modo che io ho di comprendere, dove la lettura diventa la constatazione di una piacevole coincidenza, piacevole perché mi dice che non sono solo.
Una piena comprensione di un pensiero altrui è un relativamente processo autonomo di ricostruzione di quel pensiero, come se io lo avessi pensato.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

La sinteticità del Tractatus non tragga in inganno. Proseguendo la lettura ci si inoltra nel tentativo di un linguaggio logico-matematico universale, perseguito in quegli anni da Frege e Russell, non proprio di facile comprensione. Invece sono fondamentali le proposizioni finali che coinvolgono la filosofia e lasciano aperte domande la cui risposta è ancora ben nascosta al loro interno. Il mistico, appunto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#6
Citazione di: Alexander il 26 Maggio 2021, 09:44:50 AM
Buongiorno a tutti


L'essere e il divenire sono prospettive, o punti di vista. L'esempio del caleidoscopio ci permette di afferrare il concetto. Se noi osserviamo l'interno del caleidoscopio, facendolo ruotare, vediamo che muta in continuazione e, se assumiamo questo punto di vista, diremmo che tutto diviene. Però se osserviamo il caleidoscopio all'esterno vediamo che il caleidoscopio non diviene; il suo essere caleidoscopio non muta. Assumendo un particolare punto di vista il mondo ci appare in continuo mutamento; assumendone un altro il mondo è sempre lo stesso mondo e tutto il mutamento è semplicemente un'apparenza del mondo.Il caleidoscopio non può mutare in continuazione se viene a mancare la sua struttura, così il mondo non diviene se cessa di essere un mondo. Similmente un essere vivente cambia in continuazione durante la propria vita, ma non diviene un altro essere. Sono solo metafore perché la mente non può afferrare contemporaneamente l'essere di una cosa e il suo divenire, ma solo assumendo una particolare prospettiva dirà: "quella cosa è..." distinguendola da quello che quella cosa non-è. E' la distinzione che determina l'essere di una cosa. Senza un soggetto conoscente che distingue non può esserci distinzione tra le cose, né si può dire nulla di esse: né che sono , né che divengono.
Ciao Alexander.
Il tuo è un interessante punto di vista cui sembra mancare qualcosa però.
Credo che il mutamento possa osservarsi da diversi punti di vista se si ripete, quindi la possibilità di farlo implica comunque  una costanza relativa nel mutamento. Quindi si, occorre una struttura relativamente immutabile, ma non necessariamente statica dove l'unico segno di vita sia un puro cambio di prospettiva da cui osservare ciò che perciò sembra mutare, senza che muti davvero.
La metafora del caleidoscopio mi sembra efficace ma insufficiente.
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iano

#7
Citazione di: Jacopus il 26 Maggio 2021, 09:56:48 AM
Il tracciato della filosofia, molto grossolanamente, epurando le moltissime eccezioni ed inversioni di marcia, può essere descritto come un passaggio dall'essere al divenire. La ricerca dell'Uno, dell'immobile, del fondamento ultimo è stata sostituita dalla constatazione del "polemos" del "tutto scorre" eracliteo.


Tutto,scorre, è vero, ma in particolare cosa?
Non so' se questo Eraclito c'è lo dice, o usi quel "tutto" per sorvolare sulla problematicità della questione.
Il fiume scorre se lo fa' con sufficiente  costanza per un certo tempo, perché non scorre sempre allo stesso modo in effetti, per cui è torrente o rivo oppure letto asciutto, ma per un tempo sufficiente che ci permetta di constatarlo.
Ciò che chiamiamo fiume è la relativa costanza di fondo nel suo scorrere.
Facile concordare su ciò parlando di un fiume, meno parlando di una montagna, che infatti Eraclito non ha portato ad esempio, ma la sostanza non cambia.
L'essere non muta nel senso che è ciò che rimane di un contesto mutevole, quindi non è mai a priori, ma sempre a posteriori.
Se tutto fosse divenire in un contesto completamente mutevole di esso nulla potremmo trattenere e quindi affermare.
Non escludo ciò sia anche possibile, ma non sembra esserlo in modo esclusivo.
Quel tutto scorre di Eraclito sembra essere volutamente provocatorio per attrarre la nostra distratta, fino a quel momento , attenzione.
Per uscire da un torpore e-statico.
È ciò che rimane del contesto a definire l'essere.
Cosa rimane di un contesto che scorre? Magari un fiume , come inadeguata metafora del contesto intero.
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iano

#8
Citazione di: Jacopus il 26 Maggio 2021, 09:56:48 AM
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A partire da queste considerazioni generali, si può tentare di interpretare il discorso iniziale di Iano, che definisce l'essere ciò che resta immutabile, ciò che resta, dopo che il divenire fa il suo corso.
In psicologia questa intuizione viene definita come pattern comportamentale, intendendo con essa la attitudine generalizzata da parte di tutti gli esseri viventi a riprodurre comportamenti che si sono dimostrati adatti al proseguimento della vita. In altri termini, più comuni, si può dire che "l'uomo si abitua a tutto" e con questa abitudinarietà risponde a importanti funzioni adattive, ovvero al risparmio di energie (c'è già una strada tracciata), e alla capacità di far fronte alle avversità, se quell'abituarsi è relativo ad un ambiente ostile.
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La metafora di uomo come abitudine mi sembra ottima. Siamo sufficientemente abitudinari da apparirci ovvi, pur essendo una possibile scelta fra tante dentro una moltitudine.

Siamo quel che rimane di quella moltitudine dopo la scelta.
L'essere vivente è una astrazione di ciò che nel suo complesso comunque rimane.
Mentre non si può dire che , ciò che mancando definisce una montagna , sia ancora lì a disposizione se volessimo mutare la nostra scelta, ridefinendo la montagna, come altro che rimanga.
Ciò perché siamo noi a doverci adattare alla montagna con le nostre scelte, e non viceversa.
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Alexander

Buongiorno Iano


L'essere di una cosa non è dato dalla sua staticità o immutabilità, ma dal suo essere distinto dalle altre cose. La relativa costanza percettiva intersoggettiva del divenire non inficia la sua particolarità. Se consideriamo l'Essere metafisico per eccellenza, cioè Dio, non possiamo catalogarlo come statico, infatti crea, o immobile, infatti agisce, restando sempre nel suo essere dio, non divenendo altro da sé. Naturalmente, se esistesse un simile Essere, noi non potremmo mai averne una prospettiva, ma possiamo averne solo dell'essere delle cose, distinguendole le une dalle altre. In pratica non possiamo assumere per vera una parte senza l'altra. Non può esserci divenire senza essere, e viceversa. Cosa diviene è la domanda? Per notare il divenire stesso dobbiamo prima stabilire l'essere di una cosa (esempio:" Quel cane è invecchiato"). Se poi l'essere è anche una prospettiva relativa al soggetto conoscente, si capisce dal fatto che "quel cane" è un essere cane per me, ma per un gatto è un'altra cosa (anche il gatto però lo distingue da un uccellino ). Uso "essere" per indicare quindi l'esistenza  di un ente particolare.

iano

#10
Citazione di: Alexander il 26 Maggio 2021, 12:24:22 PM
Buongiorno Iano


Per notare il divenire stesso dobbiamo prima stabilire l'essere di una cosa ...
Quindi il divenire è basato sull'essere, ma come ho cercato di illustrare si può abbracciare anche la prospettiva inversa.
Chiediamoci poi quale prospettiva spieghi meglio le cose.
Proviamo a spiegare dalle due  diverse prospettive le stesse cose come ad esempio il classico fiume Eracliteo.
Da un punto di vista il fiume è ciò che cambia restando se stesso indipendentemente dal cambiamento, dall'altro è il tipo di cambiamento che definisce il suo essere, se scorre lento o impetuoso.
Con la seconda prospettiva al variare di un solo parametro otteniamo un fiume , un torrente, un lago o un pantano.
La prima prospettiva richiede invece per ogni soggetto una esistenza indipendente dal particolare cambiamento.
Possiamo descrive in un caso la realtà con una equazione ad una variabile , nell'altro come una infinita collezione di cose che esistono.
Da un punto di vista quanto meno pratico la scelta sembrerebbe obbligata dunque.
Laddove pure dovessimo ricorrere a una causa prima divina, da una delle due prospettive sembra dover richiamare in continuo la causa per ogni cosa che esiste.
Quindi ogni cosa ha una origine diversa che la distingue, pur a fronte di causa comune divina.
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iano

#11
Citazione di: Alexander il 26 Maggio 2021, 12:24:22 PM
Buongiorno Iano


Non può esserci divenire senza essere, e viceversa. Cosa diviene è la domanda? Per notare il divenire stesso dobbiamo prima stabilire l'essere di una cosa .
Ma al mio precedente post tu replicheresti che non ho letto bene.
Non può esserci un essere se non perché diviene tu dici.
Non può esistere dunque un triangolo se non perché trasla, e non si può avere traslazione senza il triangolo.
Ma per poter traslare qualcosa di esso deve esser parte la sua posizione, perché se non l'avesse non potrebbe perderla traslando.
Il triangolo è ciò che rimane dopo che quel qualcosa ha perso la sua posizione, e perciò è un triangolo e non più quel qualcosa di prima.
È quel che rimane a causa del particolare cambiamento.
In un certo senso dunque cambiamento ed essere sono speculari , ma dato che essi posseggono varietà e distinzione tu la noti meglio nelle cose che non nei mutamento .
Ma come fa' allora la varietà dell'uno a non riflettersi sulla varietà dell'altro e viceversa.
Come si fa' adire che vi è un verso privilegiato in questa riflessione se non per questione di scelte pratiche e contingenti?
Non possiamo certo delegare una verità  filosofica a ciò che meglio notiamo in base alle nostre preferenze percettive del momento.

Quindi avremmo ragione entrambi e potremmo solo limitarci a notare , come fa' notare Jacopus , un netto cambio di prospettiva nella storia dell'uomo, ma in fondo solo per questioni di moda non essenziali, se non fosse che le prospettive sono parte di noi e noi siamo quel che rimane ogni volta da questi acquisti e dismissioni.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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iano

#12
Direi che in questo giocoo di riflessi fra essere e divenire la scienza non ha un senso privilegiato, perché è ciò che vuole dare un senso ad ogni cosa senza escludere alcun senso possibile..
Mentre Dio è un senso unico che indica il bene, perché non vi è azione che possa descriversi se non come costanza nel mutamento.
L'una cosa aiuta a capire l'altra ad agire.
Una rileva la costanza nel mutamento, l'altra promuove la costanza nell'azione.
C'è modo e modo nel mutare e modo e modo nell'agire.
Il mutamento in se' contempla la casualità e l'etica la determinazione.
Il caso si ripete determinando l'essere, l'etica ripete determinando il bene.
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Ipazia

Tornando a LW ogni "essere" è un fatto, ovvero un sussistere nel tempo di stati di cose, collegate (nesso) tra loro, di adeguata consistenza da permetterne una durevole costituzione. L'unità psicosomatica individuale corrisponde a tale definizione nell'intervallo di tempo tra la nascita e la morte, che non viene inficiata dalla mutazione dell'invecchiamento, essendo fenomeno comune riconosciuto da ogni individuo umano per sè e per tutti gli altri individui animati.

Preso atto di ciò conviene non fermarsi su istantanee per conoscere un tale "fatto" ma, se interessati a tale conoscenza, seguirlo nella serie di istantanee della sua intera vita. Ogni umano è un fatto spaziotemporale; tale presa d'atto supera la metafisica antica dell'Essere e Divenire, relegando tali categorie al museo della storia del pensiero.

La fenomenologia del fatto (ontologico) "individuo umano" è stata ben descritta da Jacopus. Da lui e Alexander traggo due elementi "essenziali": persistenza in sè e distinzione rispetto a "tutto il resto" che può rimanere uguale.
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iano

#14
Citazione di: Ipazia il 26 Maggio 2021, 17:37:40 PM
Tornando a LW ogni "essere" è un fatto, ovvero un sussistere nel tempo di stati di cose, collegate (nesso) tra loro, di adeguata consistenza da permetterne una durevole costituzione
Diciamo meglio di adeguata consistenza e durata da potersi configurare in esistenza.
Quindi certamente persistenza ma non persistenza in se' .
Io parto da una certezza, che la mia percezione è sufficientemente consistente da farmi sopravvivere nella realtà in cui agisco, ma che essa può mutare, e che io posso di determinarla nella misura in cui la comprendo prendendone coscienza.
Nel mutare la percezione rimane la sua funzione di percepire.Dice bene Alexander quando afferma che non vi è essere se non vi è chi lo percepisca, perché l'essere è appunto il prodotto di una percezione possibile come di cio' mutando si fa' notare.
Non esistendo un modo di percepire in se' non esiste nulla in se'.
L'essere è quella preda che il predatore nota, perché scappa invece di mimetizzarsi immobile.
Ma secondo me è più interessante quel che sfugge di quel che fugge.
Così può sfuggire che l'essere è il prodotto di una invarianza la quale non può darsi senza mutamento, ma di quale invarianza si tratta è la nostra relativa percezione a decidere, creando distinzione dove non v'è una precisa distinzione in se'.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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