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Leopardi e il Nulla.

Aperto da Socrate78, 09 Gennaio 2019, 20:39:49 PM

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Socrate78

Ho sempre considerato (sia pur non condividendolo o forse comprendendolo del tutto....) affascinante il pensiero del poeta Giacomo Leopardi, soprattutto ritengo che la sua statura filosofica sia da approfondire e sia stata sottovalutata. La filosofia di Leopardi, così come ci è stata tramandata dai testi scolastici, si basa sul concetto secondo cui ogni essere umano (o in generale essere vivente) tende istintivamente al piacere, alla felicità, ma si tratta di una felicità senza limiti nel tempo e nello spazio. Ora, il gravissimo problema consiste nel fatto che tutti i piaceri della vita sono invece FINITI, hanno un termine nel tempo e sono limitati nello spazio, di conseguenza l'uomo è condannato ad un'infelicità costante; di fatto per Leopardi il piacere è una somma illusione, poiché in realtà si tratta sempre o di un ricordo di una felicità provata in passato o dell'attesa di una felicità che verrà in futuro, per cui metaforicamente il sabato che preannuncia la festa è per il poeta ben più piacevole della domenica stessa. Il piacere è come un fantasma che ci sembra reale e vivo ma in realtà non c'è MAI! Tali concetti sono espressi nello Zibaldone e in maniera sistematica nelle Operette morali, un tipo di prosa spesso molto vicino alla poesia.
Ora mi chiedo: è proprio vero che il raggiungimento della felicità sia l'unico fine per cui la vita è degna di essere vissuta, tale che se non viene raggiunto la vita stessa è priva di valore? Inoltre Leopardi usa spesso il termine Nulla, egli afferma che tutte le cose vengono dal nulla e ad esso ritornano, ma poi egli dice che questo nulla è l'essenza stessa della vita. Non è chiaro però che cosa egli intenda con questo termine, infatti esso sembra essere considerato da Leopardi stesso in due accezioni: A) Nulla come NON-essere; B) Nulla come MALE, come senso di angoscia e di vuoto, equiparabile quindi al concetto di noia. Le due diverse accezioni sono inoltre ben poco sovrapponibili, tali quindi da generare una notevole ambiguità. Inoltre è opportuno precisare come la filosofia leopardiana entri in crisi se si considera come felicità e piacere non siano la stessa cosa: si può infatti provare godimento fisico ma essere infelici dentro, mentre si possono avere molti problemi ma essere comunque felici perché si crede in un ideale, in una fede religiosa o umana, e quindi pur nel dolore si prova comunque un senso di utilità e di realizzazione.
Inoltre nel caso della passione amorosa effettivamente si può dire come due amanti, quando raggiungono una profonda comunione e fusione dell'uno nell'altra, provino qualcosa che va oltre il tempo e lo spazio, quella felicità indefinita appunto che Leopardi vedeva come chimera: di conseguenza sembrerebbe si possa, nel pessimismo leopardiano, individuare un'eccezione nel panorama desolante dei piaceri negati. Ovviamente terminati quei momenti tutto torna come prima, ma mi sembra veramente arduo ritenere che anche la felicità derivata dall'amore sia così illusoria. Secondo voi le mie critiche a Leopardi sono fondate o l'impianto filosofico del poeta resta comunque valido?

acquario69

#1
Secondo me il pensiero di leopardi può esser vero e condivisibile fino a un certo punto.
Dal mio punto di vista, considerare tutta l'esistenza basata sul piacere (inteso come unico movente) e che questa poi si vada pure riconfigurando sostanzialmente con la felicita e' molto fallace e riduttivo

E se più che essere istintivamente portati al piacere (o non solo quello) non vi sia anche una propensione, sia pure più nascosta ma ancora più potente a trovare invece un equilibrio e/o una permanenza?

infatti (e tra parentesi) siamo talmente abituati all'agitazione, al "fare"..che difficilmente ce ne rendiamo più conto..

cosi mi sembra altrettanto ovvio che leopardi (e con lui, almeno in tal senso, tutto il pensiero occidentale) arrivi conseguentemente a considerare la cosiddetta felicita una chimera..tante' vero che la felicita, tra l'altro, non la puoi inseguire, questa finira sempre per sfuggire..

E dunque cosa sarebbe equilibrio/permanenza?...

be in poche parole esattamente il contrario di quanto sopra o forse in altri termini e solo apparentemente paradossali,nella sua .. assenza
che riprendendo il "nulla" o il NON ESSERE, non e' il male, il senso di vuoto cosi come lo intendeva (?) leopardi ma la fonte stessa di Tutto...insomma sta più "vicino" di quanto possiamo immaginare (o di quanto ci e' stato ripetutamente ed erroneamente inculcato...un mondo decisamente schizzato per non arrivare facilmente a comprenderlo  :)  )

green demetr

Leopardi insieme a Nietzche è il pensatore più grande che la storia ci ha consegnato.

Ma infatti anche per Leopardi l'amore è una forza in grado di piegare per un attimo le maglie della gerarchia naturale, in alcuni momenti, e in particolare nella Ginestra, egli sembra vicino nel credere che questo squarcio temporale, sia destinabile come apertura dello spazio della speranza.

Ma è solo un attimo, mi dice un amico addetto ai lavori, che nelle ultime pagine dello Zibaldone (in cui è contenuta la filosofia grande del Maestro) egli torni alla nuda constatazione che ogni pensiero positivo sia solo una fantasma, destinato a schiantarsi contro la morte, la noia, la vecchiaia.

L'uomo è destinato a fare i conti con questo destino, Leopardi è il portatore fiero di vedere il Mondo quale esso è, e non tale quello che noi sognamo esso sia.

La poesia all'interno di un Mondo sognato, non avrebbe senso. La poesia è il dicibile ultimo con cui l'uomo indica una dimensione originaria a cui l'uomo tende, ma entro cui mai può navigare.
Vedi in particolare "L'infinito".

Dunque la critica che fai è senz'altro errata, Leopardi non nega affatto una dimensione trascendente del mondo, semplicemente egli fa notare che questa dimensione è all'interno di questo mondo, e perciò è una dimensione fantasmatica, illusoria, che produce le più efferate considerazioni non solo private ma anche pubbliche, quando venga scambiata per verità.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

baylham

Secondo me le tue critiche verso la concezione filosofica di Leopardi non sono fondate.

In effetti nella poetica leopardiana il tema principale è l'infelicità di fondo. Perciò la distinzione tra piacere e felicità è irrilevante e l'amore non è libero dalla catena dell'illusione.

La riflessione filosofica di Leopardi non è un impianto chiuso e coerente. Il materialismo entropico del Cantico del gallo silvestre è ben diverso dal materialismo eterno del Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco: nel secondo caso, che condivido, il nulla non esiste. Anche la reazione all'infelicità è ben diversa nella chiusa finale del Dialogo di Plotino e di Porfirio, che condivido, da quella del Dialogo di Tristano e di un amico. Considero comunque sbagliato l'accostamento tra Leopardi e il nichilismo.

green demetr

Citazione di: baylham il 16 Gennaio 2019, 11:05:48 AM
Secondo me le tue critiche verso la concezione filosofica di Leopardi non sono fondate.

In effetti nella poetica leopardiana il tema principale è l'infelicità di fondo. Perciò la distinzione tra piacere e felicità è irrilevante e l'amore non è libero dalla catena dell'illusione.

La riflessione filosofica di Leopardi non è un impianto chiuso e coerente. Il materialismo entropico del Cantico del gallo silvestre è ben diverso dal materialismo eterno del Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco: nel secondo caso, che condivido, il nulla non esiste. Anche la reazione all'infelicità è ben diversa nella chiusa finale del Dialogo di Plotino e di Porfirio, che condivido, da quella del Dialogo di Tristano e di un amico. Considero comunque sbagliato l'accostamento tra Leopardi e il nichilismo.

Non so bene di cosa tu stia parlando non conosco quei pezzi che citi, non sopporto viceversa chi vuol far credere che in Leopardi non esista un pensiero di fondo coerente e unitario

Mi par di capire che tu lo veda come un materialista, evidentemente non ha mai letto l'infinito o la Ginestra.

Per quanto riguarda il nichilismo sono d'accordo, d'altronde non so bene cosa significhi nichilismo per te.

La svalutazione di tutti i valori, è una semplice ricostruzione storica della morale. Anche Leopardi era in grado di riesumarla.

Ma infine ti prego di approfondire, perchè mi interessa, essendo un autore ai margini del mio ricercare, e a cui dedico troppo poco spazio.

nb
La noia e la malattia e la morte non sono il nulla comunque, non capisco il tuo travisamento.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

sgiombo

Citazione di: green demetr il 17 Gennaio 2019, 10:05:09 AM
Mi par di capire che tu lo veda come un materialista, evidentemente non ha mai letto l'infinito o la Ginestra.


Spericolatissima e del tutto insostenibile acrobazia filologica o ermeneutica!

(intendo dire la negazione del materalismo leopardiano).

green demetr

Citazione di: sgiombo il 17 Gennaio 2019, 10:19:46 AM
Citazione di: green demetr il 17 Gennaio 2019, 10:05:09 AM
Mi par di capire che tu lo veda come un materialista, evidentemente non ha mai letto l'infinito o la Ginestra.


Spericolatissima e del tutto insostenibile acrobazia filologica o ermeneutica!

(intendo dire la negazione del materalismo leopardiano).

Devi seguire quello che ci siamo scambiati, io nel mio primo post di risposta ho detto che la metafisica leopardiana è da rintracciare come impossibilità all'interno del mondo materiale.

Dire che Leopardi è un materialista come fanno i manuali scolastici, non vuol dire niente, per me materialisti sono gli utilitaristi, i liberali politici, gli scienziati apodittici.

Se vogliamo dire che è un materialista dobbiamo intenderlo nella sua giusta accezione, perchè quello che interessava a Leopardi era l'anima  e non il mondo piccolo borghese, asfitico italiano, e non è che molto è cambiato, l'italia rimane provincia, ora in più colonia americana (dico a livello strettamente intelletule, culturale, nel ronzio dell'opinione pubblica comunque provinciale).

Ecco dunque si Leopardi materialista ma con tutti i CAVEAT del caso.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

acquario69

Citazione di: green demetr il 17 Gennaio 2019, 10:36:39 AM
Dire che Leopardi è un materialista come fanno i manuali scolastici, non vuol dire niente, per me materialisti sono gli utilitaristi, i liberali politici, gli scienziati apodittici.

Se vogliamo dire che è un materialista dobbiamo intenderlo nella sua giusta accezione, perchè quello che interessava a Leopardi era l'anima  e non il mondo piccolo borghese, asfittico italiano, e non è che molto è cambiato, l'italia rimane provincia, ora in più colonia americana (dico a livello strettamente intelletule, culturale, nel ronzio dell'opinione pubblica comunque provinciale). 

Non farti ingannare dagli utenti materialisti di questi forum da chi come Ipazia ritiene che la filosofia non debba occuparsi di anima 

green .... quando ti ci metti hai delle fiammate geniali !!  :) (non fa una grinza)

Socrate78

Invece era un materialista assoluto e tra i più convinti della storia del pensiero, leggendo a fondo lo Zibaldone (io l'ho letto TUTTO) si può notare come egli riducesse ogni ideale dell'uomo (anche quelli più apparentemente nobili....) all'utile e all'amor proprio (di fatto a motivi egoistici), a motivazioni di utile materiale, quindi negava fortemente che esistesse una dimensione spirituale come movente dell'agire umano.  Bisogna dire le cose come stanno, non cercare di strumentalizzarne il pensiero per adattarlo alle nostre convinzioni, e la realtà del pensiero di Leopardi è appunto una visione disincantata di tutto l'agire umano.

mtt94

A prescindere dal fatto che il pensiero di Leopardi resta valido, credo che si possa conseguire una felicità duratura, quell'armonia d'animo che rende il flusso della vita un piacevole viaggio. Bisogna fare un distinguo tra felicità e scellerato edonismo. I piacere fatui della vita ti portano fuori rotta, rendendoti la vita faticosa e stressante.

Ipazia

Ipazia non ha mai detto che la filosofia non debba occuparsi di anima, bensì che ha già dato facendo per millenni da ancella ai numi. L'anima è ciò che anima ogni animale. E' la trascendenza delle creature senzienti rispetto alla materia inanimata. Compito supremo della filosofia è occuparsi dell'anima umana e dei suoi sogni. Realizzarli il più possibile senza lasciarsi affondare dallo spirito di gravità che in Leopardi era esacerbato dall'ipocrisia delle "magnifiche sorti e progressive" di una borghesia che tra guerre e sfruttamento umano realizzava piuttosto un inferno in terra. Contro quel positivismo tronfio elevava l'amor fati della ginestra che vive sulle pendici di un vulcano, trovando il senso del suo esserci nel non chiederselo e indorarlo. Riportando l'anima all'infinito ritorno di stagioni e generazioni che riempiono di senso il nostro destino umano. Vivendo l'attimo fuggente di tutto ciò come fosse eterno.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

baylham

Scusami green demetr per l'equivoco, la mia risposta era rivolta a Socrate78.

Sariputra

#12
Sull'ateismo di Giacomino io sarei un pò dubbioso. Secondo una mia personale interpretazione, data da quel  poco che ho letto di lui (letto però intensamente, versando lacrime e con un serio accapponamento di pelle...) direi che la sua era quasi una concezione buddhista del nulla nel quale l'esistenza o meno di Dio non era il problema principale dell'uomo perché, se c'era, questo Dio non s'occupava del destino delle 'sue' creature'.A  corroborare la mia tesi che trattasi di caso tipico di 'disperato' che anela all'annientamento definitivo  porto l'entusiasmo verso li suoi scritti di un altro 'ottimista' , cioè Schopenauer...anche lui  'anima indiana' in corpore occidentale...tra simili ci s'intende ovviamente...

Il prof Davide Casagrande osserva:

...a proposito di Dio e il suo rapporto con il nulla che lo fonda – e quindi non lo fonda –, Leopardi scrive:
«Io non credo che le mie osservazione circa la falsità d'ogni assoluto, debbano distruggere l'idea di Dio. [...] Ego sum qui sum, cioè ho in me la ragione di essere: grandi e notabili parole! Io concepisco l'idea di Dio in questo modo. [...] Io considero dunque Iddio non come il migliore di tutti gli esseri possibili, ma come racchiudente in se stesso tutte le possibilità, ed esistente in tutti i modi possibili. [...] Così resta in piedi tutta la Religione, e l'infinita perfezion di Dio».

Questa citazione spariglia le carte; chiunque voglia fare di Leopardi un gigante dell'ateismo non si è, evidentemente, preso la briga di leggere queste annotazioni del 1821. Rolando Damiani, in una conferenza dell'ottobre 2014, riguardo il tema della "religione" leopardiana, affermò che, d'essa, occorre parlare:
«In un senso anomalo [...] perché in Leopardi la religione non è un fatto né semplicemente confessionale, cioè di adesione confessionale alla dogmatica cristiana, questione che evidentemente per Leopardi si pone solo fino a un certo periodo della sua vita [...] e neanche nel senso di rifiuto del religioso in una prospettiva di laicismo ottocentesco, che è uno dei modi per i quali è passata l'accoglienza di Leopardi".
Nel  dettato di Zibaldone 1619-1621; Leopardi legge la tradizionale formula di presentazione che Dio fa di sé stesso in Esodo 3, 14, come una dichiarazione ontologica di autosussitenza. Dio esiste in quanto deve esistere e, per riprendere alcune osservazioni fatte da Kierkegaard negli Atti dell'amore, il dover-essere fonda l'eternità dell'essere; Dio deve essere, dunque è eternamente. Avendo in sé la propria ragione necessaria – e sufficiente – d'esistenza, il Dio di Leopardi esiste "in tutti i modi possibili", ovvero ci appare come ci deve apparire.
Osserva ancora Damiani:
«Nel 1824, cioè nella piena maturità del pensiero, il Dio di Leopardi non è un dio malvagio, è un dio casomai impotente. Un dio che non può fino in fondo essere padrone del manifestato, cioè di ciò che egli stesso ha creato. Perché? Perché al di sopra di lui c'è un potere inconoscibile [...] che viene chiamato da Leopardi, tradizionalmente, 'ordo fatorum'. [...] Esso ha a che fare con l'Ἀνάγκη, la necessità [...]. Di essa, Leopardi fa un'ipostasi, ma un'ipostasi maligna» (perché era pessimista; nota del Sari. Se Giacomino fosse stato amato e di carattere ottimista forse diventava un'ipostasi begnigna...).
Da questo punto di vista, la necessità è un Über–Gott che sovrintende a Dio, ma prima ancora alle cose di questo mondo. In questo quadro, Dio si inserisce come motore, e pro-motore, di quel poco di bene che possiamo rintracciare nella storia: Dio è esperibile nello straordinario, certo, ma anche nella quotidianità del dolore, in cui Egli, pur volendo inserirsi per modificarla, non può:
«Dio poteva manifestarsi a noi in quel modo e sotto quell'aspetto che giudicava più conveniente: [...] Egli si è rivelato perché ha voluto e l'ha stimato conveniente, secondo le diverse circostanze delle sue creature»
«I suoi rapporti con gli uomini e verso le creature note, sono perfettamente convenienti a essi: sono dunque perfettamente buoni, e migliori di quelli che vi hanno le altre creature, non assolutamente, ma perché i rapporti di queste sono meno perfettamente convenienti»
Il che significa che Dio tenta d'accompagnare le sue creature e lo farebbe, se potesse. Vi è però la Necessità che, in qualche modo, fa resistenza e s'oppone all'assolutà bontà di Dio. Ciò che ciascuno di noi ottiene dal suo rapporto con Dio, è sempre e comunque il massimo che potrebbe avere. Ergo, ciò che otteniamo da Dio come atto d'amore puro, è il massimo che possiamo ottenere: chiedere di più sarebbe sfidare non solo Dio, ma la necessità che lo sovrasta.

L'abisso che ci separa da Dio è incolmabile, vasto, non giungiamo a lui se non saltuariamente. E questa Necessità, che supera Dio e supera l'uomo, questo ordo fatorum, insondabile e invincibile, come lo chiameremo? Lo chiameremo nulla: nulla di buono, nulla di razionale, nulla in ogni forma.

In questo senso dunque, l'Ἀνάγκη – il nulla – fonda tanto le cose del mondo quanto Dio, perché ordina le prime e frena l'azione del secondo. Ma affermare che Dio c'è, ma non può agire, è ben diverso dal dire ch'Egli non (c')è! Leopardi, esattamente come l'ultimo Sartre (ricordate la famosa intervista a Lèvy del 1980?) non era un ateo, piuttosto il testimone disincantato d'una sorta di "eclissi contemporanea del divino".

Leopardi sentiva la mancanza di Dio. N'era ossessionato. Lo cercava nelle forme del rito tradizionale (come dimostra l'ultima lettera prima della morte a Monaldo, in cui afferma d'essersi confessato e comunicato) ma faticava a scovarlo, assuefatto com'era dal "piacere fremebondo della disperazione". ( attaccamento al piacere della disperazione direbbe un buddhista di livello medio-basso... :( )

Il dibattito resta aperto, come si conviene di fronte a questi giganti...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

baylham

Una conferma che il pensiero, le teorie, individuali e collettive, evolvono, maturano, con ripensamenti, parziali arresti, contraddizioni.
Poi ciascuno prende ciò che gli piace e respinge ciò che non gli piace.

Di Leopardi ho letto in gioventù i Canti e le Operette Morali, le sue pubblicazioni, e alcuni estratti scolastici dello Zibaldone.

Non sono leopardiano perché penso che la felicità sia effettivamente transitoria, ma non illusoria, e che allo stesso modo lo sia l'infelicità.

Comunque considero parti della filosofia di Leopardi superiori a tutte le filosofie di carattere religioso, buddismo compreso.
Anche le brevi citazioni che hai riportato Sariputra per me lo dimostrano. "Io non credo che le mie osservazione circa la falsità d'ogni assoluto, debbano distruggere l'idea di Dio" riafferma la negazione di ogni assoluto.

Il nulla leopardiano espresso nel Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco è un nulla relativo. La chiusura del Dialogo di Plotino e di Porfirio e il proposito della Ginestra è assai differente dalla noluntas di Schopenhauer e dal nichilismo.

sgiombo

Citazione di: baylham il 18 Gennaio 2019, 10:52:41 AM
Una conferma che il pensiero, le teorie, individuali e collettive, evolvono, maturano, con ripensamenti, parziali arresti, contraddizioni.
Poi ciascuno prende ciò che gli piace e respinge ciò che non gli piace.

Di Leopardi ho letto in gioventù i Canti e le Operette Morali, le sue pubblicazioni, e alcuni estratti scolastici dello Zibaldone.

Non sono leopardiano perché penso che la felicità sia effettivamente transitoria, ma non illusoria, e che allo stesso modo lo sia l'infelicità.

Comunque considero parti della filosofia di Leopardi superiori a tutte le filosofie di carattere religioso, buddismo compreso.
Anche le brevi citazioni che hai riportato Sariputra per me lo dimostrano. "Io non credo che le mie osservazione circa la falsità d'ogni assoluto, debbano distruggere l'idea di Dio" riafferma la negazione di ogni assoluto.

Il nulla leopardiano espresso nel Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco è un nulla relativo. La chiusura del Dialogo di Plotino e di Porfirio e il proposito della Ginestra è assai differente dalla noluntas di Schopenhauer e dal nichilismo.

Hai descritto, meglio di come potessi farlo io stesso, quello che é anche il mio atteggiamento verso questo grandissimo filosofo (oltre che poeta stratosferico).

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