Le possibili critiche al "Cogito ergo sum" di Cartesio

Aperto da Eutidemo, 01 Ottobre 2024, 11:54:35 AM

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Jacopus

Cerco di fare chiarezza. Il contro-transfert è l'innamoramento del terapeuta nei confronti del paziente così come il transfert è l' innamoramento del paziente nei confronti del terapeuta. Da questo rapporto scaturisce la riesibizione delle dinamiche evolutive del paziente, strutturate dalla sua infanzia. Da T e CT non si può uscire se si vuole che la terapia sia efficace, ma deve muoversi in uno spazio simbolico. Quindi nel Ct non vedo nulla di diabolico ma uno strumento della relazione terapeutica. Uno strumento delicato. Inoltre non esiste più la psicoanalisi interpretativa con un terapeuta che "interpretando", risolve le nevrosi. Anche Freud si domandò spesso se questo era sufficiente e molte sue intuizioni vanno verso la psicoanalisi dell'attaccamento (winnicott, Bowlby ed altri).

Sulla inguaribilità dell'uomo apriamo un altro grande tema. Il fatto è che Freud, oltre ad aver avuto un grande rispetto per il metodo scientifico era anche un grande filosofo oltre che un grande letterato. Incarna in sè una delle ultime figure universali della cultura, dopo di che la cultura si è frammentata a causa della sua stessa mole. E il suo modello culturale è il modello Hobbes-Freud a cui ha dato parte del nome. Vi è in Freud un pessimismo di fondo a cui si oppone eroicamente. Infatti pur dicendo che guarire, educare e governare siano missioni impossibili, continua ad esercitare la professione di medico, stoicamente. Sarebbe interessante fare un lavoro di confronto Conrad/Freud, proprio attraverso la lente di questa opposizione fra indecifrabilità del mondo e sua eroica ricerca di un senso. Freud in questo, pur con i limiti della sua biografia storica, comune a tutti noi, è il diretto erede di Sofocle e del pensiero greco, del "gnothi sauton".

L'ultima tua riflessione mi trova d'accordo. La religione è stata per secoli con i suoi limiti, anche un richiamo alla fratellanza umana. Sentimento eroso e colonizzato dal pensiero tecnico-capitalista nel quale siamo immersi. Ed è per questo che siamo attraversati e dominati da pensieri alienati e mortiferi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Koba II

Tornando a Cartesio: la formula "cogito ergo sum" può risultare ambigua solo perché per amore di sintesi è stata ridotta all'essenziale, ma in realtà dovrebbe essere ampliata in questo modo:
"penso, dunque, al di là di quello che penso, sono una cosa pensante, e in questo nessuno può ingannarmi".
Sono una cosa che pensa. Che pensa in senso ampio: quindi che ha idee delle cose del mondo, ma anche immagini prodotte dalla fantasia etc.
Ora, perché arrivare a ipotizzare di poter essere ingannati da qualche potenza al punto da interrogarsi se non sia pura illusione che esista il mondo o che 2+3 sia uguale a 5?
Perché il Nostro era un po' paranoico e temeva di essere circondato da automi?
No, Cartesio non è Philip Dick...
Il pensiero di Descartes va visto come reazione al ritorno del movimento scettico.
Per questo uno studioso di altissimo livello come Augusto Del Noce poteva sostenere (esagerando, probabilmente, anzi sicuramente) che il nemico di Cartesio e quindi il suo obiettivo polemico fosse la filosofia dei libertini e che la sua metafisica andasse letta come un tentativo autentico interno alla riforma cattolica.

L'articolazione del ragionamento di Cartesio è il seguente:
- dubito di tutto (non perché sono paranoico, ma perché è necessario rispondere agli argomenti dello scetticismo);
- scopro che indipendentemente dal contenuto della mia attività mentale ciò che non può essere messo in discussione è il fatto di essere qualcosa che pensa;
- ma per poter tornare al mondo ho bisogno che ci sia qualcosa che mi garantisca che le nostre conoscenze, anche quelle che appaiono più evidenti, non siano pure illusioni;
- questa garanzia è Dio.

Ora, si potrebbe sostituire a "Dio" il concetto di natura e il discorso sarebbe lo stesso: per quale motivo la natura avrebbe dovuto produrre l'uomo con facoltà conoscitive e istinti che ci legano indissolubilmente ad un sogno, ad un'illusione? Perché ciò che della realtà ci sembra chiara ed evidente dovrebbe essere solo un inganno?

[Si può notare come l'intera storia della filosofia occidentale sia caratterizzata da queste ondate di scetticismo, relativismo, nichilismo e da reazioni ad esse che possono assumere poi differenti e anche opposte forme, come rielaborazioni della metafisica classica o filosofie progressiste (che credono di rispondere alle prime e invece, inconsciamente, cercano di salvarci dal pensiero negativo).]

Cartesio dimostra l'esistenza di Dio tramite il principio secondo cui ogni idea ha una causa, e ogni causa deve avere tanta realtà quanto il suo effetto.
Così l'idea che ho di Dio non può essere stata originata da qualcosa di ontologicamente più debole. Quindi non da un uomo.
Dunque l'analisi della stessa sua essenza comporta di necessità l'esistenza: l'essenza è cioè tale da non poter essere solo una fantasia prodotta dall'immaginazione dell'uomo, magari come puerile ribaltamento della propria impotenza.

La cosa a molti fa ridere, ma attenzione che pure Spinoza (l'eroe di tanti atei e filosofi postmoderni) utilizza un ragionamento simile.

Comunque bisognerebbe analizzare il testo delle Meditazioni metafisiche, che è di appena 70 pagine. Un grande testo.
Se Cacciari (giustamente) consigliava ad ogni aspirante filosofo di tenersi sul comodino il "Trattato sull'emendazione dell'intelletto" di Spinoza, io per le Meditazioni di Cartesio non mi spingo al comodino, ma almeno la scrivania... la scrivania sì.

Jacopus

Bell'intervento Koba. Io purtroppo, tranne che per la scuola di Francoforte, Hobbes, Freud e qualche classico greco/romano non conosco direttamente i pensatori, ma spesso attraverso la lente (distorta) della psicologia, delle neuroscienze e della psichiatria. Questione di tempo ma anche di capacità di interpretare correttamente pensatori che pensavano secoli fa. Tradurli e comprenderne il senso o attualizzarli non è semplice. Mi affido ad altri. Cartesio lo conosco per le letture liceali, ma essendo uno snodo fondamentale della filosofia me lo ritrovo spesso, affrontato da angolazioni molto diverse, che ne offrono interpretazioni molto diverse. È un po' il contraltare filosofico di Phineas Gage, che mi ritrovo spesso nei testi di neuroscienze come esempio del collegamento fra neocorteccia e autocontrollo. E come tutti i grandi filosofi se ne possono dare interpretazioni addirittura opposte. Cartesio era addirittura ossessionato dalla possibilità di essere inquisito per le sue idee da scappare in Svezia, conosciuta già allora per la tolleranza e dove invece morì di polmonite, anche se altri storici ritengono che sia stato avvelenato da un frate proprio per le sue idee contrarie alla tradizione. Il sum cogitans infatti è anche un grande assist al protestantesimo germogliante in quell'epoca, perché autoriferiva alle qualità dell'uomo le sue capacità. Non "penso per concessione divina" ma "penso dunque sono". L'individuo centrato sulla misurazione scientifica, sulla separazione, sulla soggettivazione esasperata, sulla supremazia dell'alto (cervello) sul basso (corpo) nasce da Cartesio.
Quest'ultima tematica ovviamente può essere connessa anche con la controriforma, che tendeva a vedere nel rilassamento "artistico" del rinascimento la causa dell' affermarsi del Protestantesimo e in Cartesio la riproposta medioevale e molto desiderabile, del corpo come un fardello a cui contrapporre la purezza dell'anima. La storia del pensiero infatti non è mai lineare e raccoglie pezzi della storia precedente e li riassembla. Il puzzle di Cartesio fu particolarmente potente, visto che continua ad emanare la sua influenza a distanza di secoli (come del resto tutti i grandi filosofi).
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Scepsis

Sull'utilizzo del Cogito ergo sum da parte di Cartesio, viene da sempre posta grande attenzione al corto circuito tra principio di evidenza e Dio. E' il primo che fonda e garantisce l'esistenza del secondo o e' il contrario ? Cartesio fornisce nel tempo varie soluzioni, ma la principale e' che il principio di evidenza valga per se stesso (senza la garanzia di Dio), ma che Dio garantisce la veridicita' della nostra memoria e delle verita' presenti in essa, verita' frutto di precedenti applicazioni del principio di evidenza. Senza la garanzia di Dio, che garantisce i nostri ricordi, dovremmo ogni volta riapplicare il principio di evidenza per sapere che qualcosa e' vero, e non potremmo fidarci della nostra memoria.
Osservando il processo con cui si passa dal cogito ergo sum al principio di evidenza e poi a Dio, a me sembra che vi sia un elemento forse altrettanto grave del corto circuito sopra evidenziato.
Con il dubbio metodico cartesiano si effettua sostanzialmente una doppia verifica sulle presunte verita' da analizzare: la verifica del sogno (una certa cosa viene percepita da svegli
oppure si sta sognando ?) e quella del genio maligno (un genio maligno potentissimo potrebbe indurmi in errore ?). Nessuna realta' materiale, nessuna percezione sensibile supera la verifica del sogno (un oggetto potrebbe essere solo sognato e non reale), mentre le verita' matematiche e geometriche si (un teorema, se corretto, anche se concepito in sogno rimane vero). Le verita' matematiche e geometriche pero' non superano la verifica del genio maligno, lo dice esplicitamente Cartesio (ogni teorema ed ogni dimostrazione potrebbero apparirmi vere solo per opera del genio). Che cosa supera tale verifica ? Solo ed esclusivamente il cogito ergo sum, che per sua stessa natura supera qualsiasi obbiezione ed e' un'intuizione talmente auto evidente da non poter essere negata.
L'elaborazione (si potrebbe dire scoperta) del cogito ego sum consegue ad un rigoroso processo di messa in dubbio ed esclusione di tutto cio' di cui si potrebbe dubitare (praticamente tutto) e che possa presentarsi nel pensiero (stimoli sensoriali, verita' e certezze acquisite, persino ricordi) tramite il dubbio metodico. Il processo di esclusione procede con un rigore mai applicato prima nella storia del pensiero e la sfida e l'obiettivo e', alla fine di questo processo condotto con rigore feroce, potersi porre la domanda "Che cosa rimane" e verificare l' indubitabilita' ed auto evidenza di cio' che rimane, oltre il quale non c'e' nulla. Per Cartesio "cio' che rimane" e' il pensiero stesso, il cogito del cogito ergo sum, indubitabile ed auto evidente: alla fine del processo l'uomo ha di fronte a se' solo il proprio pensiero, unica cosa che gli e' rimasta e a cui, anche volendo non potrebbe rinunciare ne' gli potrebbe essere tolta. Per questo, in questa condizione, il genio maligno non ha alcun potere su di lui.
Una volta acquisito il superamento della verifica del genio maligno da parte del cogito ergo sum, Cartesio fa una cosa che sopra ho definito forse altrettanto grave del corto circuito tra principio di evidenza e Dio. In maniera del tutto arbitraria afferma che il cogito ergo sum (che e' e sara' l'unica verita' sottoposta da Cartesio alla verifica del genio maligno) non e' valido di per se', ma solo in quanto facente parte della vasta categoria delle idee chiare e distinte (cioe' evidenti), di cui il cogito ergo sum non e' che uno dei tanti possibili esempi.
Scrive Cartesio: "infatti dato che ne avevo scoperta una (il cogito ergo sum) che sapevo essere tale (vera e certa), stimai di poter sapere in che consisteva tale certezza....pensai di poter assumere come regola generale che son tutte vere le nozioni che concepiamo in modo del tutto chiaro e distinto". E poi aggiunge "sorge qualche difficolta' quando si deve determinare quali sono in effetti quelle (le nozioni) che concepiamo distintamente".
E' chiaramente arbitraria l'improvvisa introduzione del principio di evidenza (le idee chiare e distinte) che assorbe il cogito ergo sum, senza che ci si ponga il problema se quest'ultimo, anziche' uno dei tanti possibili esempi di idea chiara e distinta, sia invece l'unico ed il solo in grado di superare il dubbio metodico.
Il principio di evidenza e' poi utilizzato per affermare l'idea di Dio (non quella delle verita' matematiche, che precedentemente si erano definite non in grado di superare il dubbio metodico), e quest'ultimo, in virtu' della sua bonta' ed in quanto non ingannatore, garantisce l'esistenza del mondo materiale e, con il circolo vizioso sopra detto, in qualche modo le idee chiare e distinte. Del dubbio metodico e del genio maligno non si parlera' piu'.
Ora il problema e' se il cogito ergo sum sia un concetto singolo e a se' stante, unico a poter superare il dubbio metodico, o se tale superamento sia avvenuto in quanto appartenente alla piu' ampia categoria delle idee chiare e distinte (pur avendo in effetti affrontato l'esame del dubbio metodico solo il cogito ergo sum).
Nel primo caso pur avendo istituito il dubbio metodico per rifondare la conoscenza su nuove basi, l'introduzione del principio di evidenza risulterebbe arbitraria e tale principio non potrebbe fondarsi sull'applicazione del dubbio metodico e del cogito ergo sum. Nascerebbe pertanto in modo arbitrario (cosi' come arbitrarie venivano giustamente considerate le basi delle vecchie conoscenze).
Specifico che il cogito ergo sum ed il principio di evidenza (idee chiare e distinte) costituiscono entrambe elementi concettuali fondamentali ed importantissimi del pensiero.
Cio' di cui si discute e' solo la coerenza formale del processo con cui dal primo si e' passati al secondo.
A mio parere il cogito ergo sum e' un concetto singolo e a se' stante, isolato nella sua singolarita' ed eccezionalita', tale da non poter essere ricompreso ed assorbito in categorie piu' vaste e generali e da non poter originare a sua volta derivazioni concettuali ed applicazioni, in quest'ultimi casi se non snaturandone e tradendone l'essenza. Una sorta di "punto di singolarita", concetto con cui in fisica si indica una situazione mai presentatasi prima e che non si ripetera' piu', con proprie ed esclusive regole (tipo il Big Bang).
Un'altra volta volta nella storia del pensiero si era avuta l'ideazione di un concetto con caratteristiche assai simili, e mi riferisco all'Essere in Parmenide, pur se rivolto al mondo esterno anziche' a quello interiore, come in Cartesio. Il processo di ideazione e' presumibilmente simile, con un processo mentale di progressiva esclusione ed eliminazione in questo caso di ogni determinazione fisica del reale e di negazione della molteplicita' del mondo in quanto ritenute apparenze illusorie. Alla fine di questo processo di "svuotamento" del mondo e di eliminazione di ogni determinazione fisica il "che cosa resta" e' in questo caso l'essere in quanto essere, l'essere in quanto tale privo di determinazioni ed oltre il quale non c'e' nulla. Si potrebbe dire che, sebbene la nostra percezione della realta' possa essere sbagliata ed il molteplice illusorio, pure dietro questi errori e queste illusioni si trova qualcosa che in ogni caso e', l'Essere in quanto tale. Questa intuizione (come il cogito ergo sum) e' indubitabile ed autoevidente. Dice Parmenide in Sulla natura: "l'essere e' e non e' possibile che non sia...il non essere ne' lo puoi pensare (non e' infatti possibile), ne' lo puoi esprimere", aggiungendo tra l'altro una affermazione "cartesiana": "...infatti il pensare implica l'esistere".
Il "che cosa resta" relativo alle due intuizioni, (l'Essere ed il Cogito) per il loro carattere di indubitabilita' e per il processo con cui sono state ideate, ha avuto un vasto eco nelle rispettive epoche ed ha rivoluzionato l'immagine che i contemporanei avevano del mondo e di se stessi. Con l'Essere di Parmenide per la prima volta la Verita' del mondo non poggia su miti o dei, ma sulla mente dell'uomo non solo capace di indagarla, ma anche in grado di relazionarsi e compenetrarsi con essa, come il fatto di concepire intuitivamente l'Essere parmenideo sembra suggerire (l'innatismo e la metafisica si originano presumibilmente da qui). Con il Cogito di Cartesio il pensiero umano e l'Io, indistruttibile nella sua consapevolezza di se', assume nuovi e fondamentali significati, simili ad un nuovo mondo sconosciuto da scoprire. Dal pensiero umano e dall'Io non si potra' piu' prescindere nel pensiero successivo.
Relativamente al fatto che le due intuizioni costituiscano concetti singoli e a se' stanti, isolati ed eccezionali, e che solo snaturandone e tradendone l'essenza possano essere ricomprese ed assorbite in categorie piu' vaste e generali, o si possa da queste determinare derivazioni concettuali ed applicazioni, per Cartesio gia' si e' detto di come il fatto di voler assorbire il cogito ergo sum nella piu' vasta categoria delle idee chiare e distinte e del principio di evidenza appaia di fatto arbitrario e strumentale. Per quanto riguarda Parmenide, si rileva come lui stesso, anziche' confinare la sua scoperta dell'Essere nell'ambito di una intuizione teoretica, ne abbia formulato applicazioni al mondo reale che ad oggi appaiono sostanzialmente ridicole, con l'dea di un mondo immobile e la negazione del molteplice. Parmenide rimane comunque fedele alla sua idea di metafisica negativa, che verra' poi successivamente soppiantata dalla metafisica positiva da Platone gia' con il suo "parricidio di Parmenide" nel Sofista.
Tale metafisica subentra alla precedente prendendo le mosse proprio da quest'ultima, volendo mantenere il piu' possibile le suggestioni e la carica evocativa che il pensiero di Parmenide aveva tra i contemporanei, per poi modificarne progressivamente e completamente i presupposti ed approdare ad esiti finali opposti. Il "che cosa resta" dell'intuizione dell'Essere di Parmenide era un essere necessariamente privo di determinazioni, e solo tradendo il senso dell'Essere parmenideo si sarebbe potuto attribuire a quest'ultimo una qualche determinazione. Con la metafisica positiva di Platone le determinazioni, al contrario, hanno natura ontologica e la loro origine e' nel mondo delle idee.
Il mondo delle idee di Platone, in qualche modo posto arbitrariamente (pur se carico delle suggestioni proprie dell'innatismo) aveva la stessa potenza e forza evocativa dell'Essere di Parmenide, auto evidente ed indubitabile ? Certamente no, ma conservava sulla scorta di quest'ultimo una sua carica emotiva ed una sua suggestione, che per la metafisica positiva si e' mantenuta nei secoli successivi, in misura pero' sempre minore.
E' significativo che Cartesio, alla ricerca di nuove basi e di nuova forza per la "conoscenza" ufficiale sempre piu' in crisi, ritorni allo stesso punto dove tutto era iniziato, 20 secoli prima, con l'ideazione di una nuova intuizione indubitabile ed auto evidente (allora l'Essere di Parmenide, ora il Cogito ergo sum).
Tali intuizioni, proprio per il loro stesso carattere di indubitabilita' ed auto evidenza, risultano assai potenti e con grande forza evocativa, e dovrebbero essere mantenute in un loro proprio ambito relativo alla coscienza individuale, alla consapevolezza che l'essere umano ha di se' e delle proprie potenzialita', al senso generale da attribuire all'uomo ed al mondo. Su queste basi potranno poi svilupparsi teorie e concezioni comunque sempre fallibili ed opinabili. Se invece le intuizioni di cui sopra risultassero applicate direttamente (anche dai loro stessi autori) ad un piano logico formale, questo potrebbe originare contraddizioni ed arbitrii, e se applicate ad un piano concreto e reale determinare delle assurdita' (come sopra detto)

Jacopus

Bel post, Scepsis. Una scrittura chiara e comprensibile per spiegare Cartesio non è da tutti. L'analogia con i "punti di singolarità" è davvero ottima e se è farina del tuo sacco, dovresti prendere in considerazione l'idea di diventare un "filosofo professionista".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Koba II

L'unica verità che supera l'esame del dubbio radicale è quella che afferma che il soggetto è una sostanza pensante.
Cartesio, al riguardo, è esplicito.
Tuttavia, uscendo fuori dal contesto metafisico in cui è articolato il suo discorso, questa verità, di per sé, non serve a nulla.
Credo sia corretto dire che la finalità dell'opera di Cartesio sia soprattutto epistemologica. Il problema di dare un fondamento al sapere che non fosse basato sulla tradizione della Scolastica tardo-medievale.
Per ottenere questo risultato bisogna poter collegare quella prima verità, il soggetto come sostanza pensante, al mondo.
La garanzia che questo sia possibile ci viene da Dio, che non ci può ingannare.
Il corto circuito consiste nella dimostrazione dell'esistenza e della natura di Dio, che fa uso di un argomento tradizionale, quindi culturale, non auto-evidente, diciamo così, per quanto quell'argomento in quel periodo storico sia potuto apparire solido.
Se ci si volesse attenere al criterio di fare a meno di qualsiasi elemento che viene dalla Tradizione, la fondazione del nuovo sapere si arresterebbe alla verità della sostanza pensante.

Nella Quarta Meditazione viene affrontato il tema dell'errore.
Perché si sbaglia? Per uno squilibrio tra intelletto e volontà. Si giudica (o in campo etico, si compie un'azione) lasciandosi trascinare dalla volontà anche se l'intelletto, in quella situazione, non è nelle condizione adeguate per poter deliberare.
Maggiore è la chiarezza che l'intelletto ha della situazione, più sicura è la scelta. Anzi, necessaria, dirà poi Spinoza.
"L'indifferenza che io sento, quando non sono portato verso un lato più che verso un altro, è il più basso grado di libertà" (p. 54, ed. Laterza).
Quindi il libero arbitrio non è affatto la condizione di poter sempre scegliere di fare o non fare qualcosa, anzi l'indifferenza di fronte alle alternative è quasi l'espressione di una mancanza di libertà.
Spinoza dirà, sviluppando fino in fondo questo discorso, che libertà e necessità coincidono: la libertà è l'espressione della propria natura. Solo Dio, che non è ostacolato da niente, è totalmente libero. Gli uomini invece essendo condizionati da fattori interni ed esterni esprimono se stessi solo parzialmente. Ma ciò che esprimono è il risultato necessario dell'incontro tra la propria natura concreta e i condizionamenti, il concatenamento di cause ed effetti interni ed esterni, per cui non potrebbe mai darsi scelta differente.
Questo ci dovrebbe liberare dal rimpianto per ciò che è stato, ma come amarlo essendo il passato espressione solo parziale di se stessi? Accettarlo sì, ma perché arrivare all'amor fati?

Il determinismo è, probabilmente, confutabile dalla scienza moderna.
L'esperimento del gatto di Schrödinger dimostra che l'evento che uccide o salva la povera bestiola è indeterminato (non nel senso che non sia prevedibile per un deficit di sapere, ma proprio nel senso che non c'è una causa al decadimento atomico della sostanza usata per avviare il meccanismo mortale: può avvenire così come non avvenire, senza un perché).
Dunque se si danno eventi non causati, non c'è nessuna catena di cause ed effetti, ma tale catena è semplicemente l'interpretazione che ne diamo noi di ciò che accade nel mondo o dentro di noi.
Eppure che la situazione sia determinata da sempre o semplicemente prodotta dal puro caso, ad essa noi reagiamo sempre esprimendo quello che siamo (quello che siamo in quel determinato periodo, dal momento che io non sono il bambino che ero, e nemmeno l'uomo di dieci anni fa).

Dunque questa idea di libertà, iniziata da Cartesio e sviluppata poi da Spinoza, è ancora valida?

Koba II

Sulla questione delle idee chiare e distinte in Cartesio riporto qui un brano interessante di Emanuela Scribano, in cui viene sottolineata la diversa soluzione del rapporto tra certezza e verità data da Cartesio e da Spinoza.

"Secondo Cartesio la certezza soggettiva che accompagna tutte le idee chiare e distinte non implica di per sé la verità, ed è sempre legittimo chiedere se ciò che pare vero lo sia veramente. Da qui un atteggiamento così caratteristico di Cartesio: il dubbio e la richiesta che ciò che appare certo alla mente finita sia garantito da Dio per poter essere detto vero.
Questa problematica è eliminata alla radice in Spinoza. Chi ha un'idea vera sa di averla, non può dubitarne, e non necessita di alcuna ulteriore garanzia". (p. 67, "Guida alla lettura dell'Etica di Spinoza", Laterza)

Jacopus

Complimenti anche a Koba II per i suoi interventi. Ora vorrei stimolarvi non più nel versante "critico" ma in quello "apologetico". Il nesso che forse qualcuno avrà già notato è quello fra Cartesio e Nietzsche. Il cogito infatti separando ogni sè, evidenzia la forza eroica di ognuno di noi, in grado di emanciparsi attraverso il pensiero da ogni tradizione. È evidente come Cartesio non sia altro, qui, che il portavoce (pregiato) dell' ascendente borghesia seicentesca. Tradizione che forgia i comportamenti, che si oppone ai cambiamenti e che comprime il bisogno creativo e innovativo dell'uomo. In questo, credo, vi sia un quid in più rispetto alla ricerca di un metodo, che è il tipico approccio a Cartesio.Ed è questo quid in più che si ricollega a Nietzsche, al concetto di "eterno ritorno", così come interpretato da Severino. In questo senso Nietzsche e Cartesio presentano una assonanza, pur nella notevole diversità, ovvero la capacità di cancellare temporaneamente la storia/tradizione per poter muovere la storia senza che la storia/tradizione ne blocchi l'evoluzione. In questa visione nessun "corso e ricorso" è più inevitabile. L'uomo diventa adulto, dopo l'infanzia medioevale. Cartesio apre la porta alla modernità, al tempo-freccia che sostituisce il tempo-cerchio. Nietzsche userà ferocemente il suo martello contro la tradizione, ma già Cartesio, con un metodo travisato, gesuitico, l'aveva fatto due secoli prima.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Koba II

Citazione di: Jacopus il 08 Ottobre 2024, 22:45:31 PMComplimenti anche a Koba II per i suoi interventi. Ora vorrei stimolarvi non più nel versante "critico" ma in quello "apologetico". Il nesso che forse qualcuno avrà già notato è quello fra Cartesio e Nietzsche. Il cogito infatti separando ogni sè, evidenzia la forza eroica di ognuno di noi, in grado di emanciparsi attraverso il pensiero da ogni tradizione. È evidente come Cartesio non sia altro, qui, che il portavoce (pregiato) dell' ascendente borghesia seicentesca. Tradizione che forgia i comportamenti, che si oppone ai cambiamenti e che comprime il bisogno creativo e innovativo dell'uomo. In questo, credo, vi sia un quid in più rispetto alla ricerca di un metodo, che è il tipico approccio a Cartesio.Ed è questo quid in più che si ricollega a Nietzsche, al concetto di "eterno ritorno", così come interpretato da Severino. In questo senso Nietzsche e Cartesio presentano una assonanza, pur nella notevole diversità, ovvero la capacità di cancellare temporaneamente la storia/tradizione per poter muovere la storia senza che la storia/tradizione ne blocchi l'evoluzione. In questa visione nessun "corso e ricorso" è più inevitabile. L'uomo diventa adulto, dopo l'infanzia medioevale. Cartesio apre la porta alla modernità, al tempo-freccia che sostituisce il tempo-cerchio. Nietzsche userà ferocemente il suo martello contro la tradizione, ma già Cartesio, con un metodo travisato, gesuitico, l'aveva fatto due secoli prima.

Non credo che si ottenga alcun guadagno conoscitivo asserendo che nell'opera di Cartesio vi sia (inconsciamente?) l'espressione dello spirito della borghesia del Seicento.
Piuttosto se si vuole intercettare in Cartesio qualcosa di ideologico è alla sua implicita difesa della scienza moderna che bisogna guardare (difesa che assume la forma di un duplice attacco: alla tradizione aristotelico-scolastica, da una parte, allo scetticismo dall'altra).
Da questo punto di vista accogliere le provocazioni degli scettici sviluppandone le estreme conseguenze nel dubbio metodico per arrivare a qualcosa di indissolubile (la certezza della sostanza pensante) e nello stesso tempo mostrando così come la nuova episteme sia fondata su ben altre basi che le sentenze verbose delle autorità accolte dalla Tradizione, si può dire sia stata una mossa geniale. Scacco matto a tutti e due gli avversari, con una sola mossa.
Nell'opera di Cartesio non c'è nulla di gesuitico (la sua cautela è la stessa di Spinoza). La sua teologia non è una finzione, il suo sistema metafisico, lo abbiamo visto, ha bisogno di un Dio. Nella sua opera c'è un'esplicita religiosità. La cosa può anche non piacere, me ne rendo conto, ma è così, basta leggere i testi (a meno di ipotizzare che l'autore abbia voluto dissimulare convinzioni atee o libertine costruendo ad hoc una metafisica basata sulla teologia cattolica – ma questo non va solo ipotizzato, va dimostrato documenti alla mano).

L'effetto di porre un nuovo inizio comunque è vero, è ravvisabile.
Come in Nietzsche. Il quale però non prende a martellate in generale la tradizione, ma una precisa e specifica tradizione, quella platonica e cristiana, metafisiche della trascendenza, riconoscendo in altre tradizioni, in altri filoni di pensiero, i propri alleati (Epicuro e Lucrezio, il Rinascimento, Spinoza, Goethe, Schopenhauer, Leopardi).

green demetr

Il pensiero che pensa se stesso, è la solita fuffa tautologica.
L'unico merito di Cartesio è quello di aver introdotto la parola "io".
Se una cosa è evidente per definizione non va dimostrata.
E dunque ha in sè i caratteri formali che pur già sopra scepsis metteva ad ammonimente a calce del suo intervento su questa presunta evidenza.
Infatti la matematica parte da precetti completamente a caso.
Lo scopo di Cartesio sta scritto proprio a prefazione della sua algebra, ossia l'intento di unire geometria (realtà) e algebra (teoria).
Come esiste una matematica cos' esiste una epistemologia secondo il cartesio.
Penso che Cartesio non possa che portare inevitabilmente che a Kant, ossia che il problema di rispondere allo scettecismo sia semplicemente quello di porre fuori dal sè indagante (o conoscitivo, al fine non cambia) il noumeno.
Nella morale formalista di Kant, sta scritto che non si può mentire.

Ma l'uomo mente. Lo fa costantemente.
Nietzche vorrei far notare parte proprio da quello.
La filosofia indaga sempre sul vero, ma perchè invece non indaga sul falso?

Freud si riferisce all'antichità, ma può benissimo essere letto come proseguitore del metodo nicciano.

L'introduzione dell'Edipo ci riporta cosi di nuovo ai greci.
Lo svelamento della menzogna porta Edipo ad accecarsi: basta! distogliamo gli occhi dalla modernità!

Penso che la filosofia moderna e contemporanea siano topolini rispetto alla balena che era l'antichità.

E francamente penso che più ancora che Nietzche, sia stato Leopardi a porre un fiore sulla tomba dell'occidente, quando parla di un ritorno ad omero, impossibile.

O si torna a Platone e al cristianesimo, magari passando per il progetto Moraldi, ovvero di come la gnosi si trasformi dall'egitto alla grecia alla romanità fino al cristianesimo.
O rimarremo prigionieri di questo sudoku eterno che sono le questioni filosofiche dell'oggi.
Mero intrattenimento.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Jacopus il 04 Ottobre 2024, 08:34:30 AMCerco di fare chiarezza. Il contro-transfert è l'innamoramento del terapeuta nei confronti del paziente così come il transfert è l' innamoramento del paziente nei confronti del terapeuta.

Sono proprio queste semplificazioni che non mettono a tema il problema.
Il transfert è l'apertura al senso erotico del soggetto nevrotico (ossia castrato).
Che Freud lo usi nella sua terapia (ove l'analista fa da partner amicale), non toglie che la sua valenza sia molto più ampia, come lo stesso Freud continuava ad ammonire (insascoltato).
Il contro-transfet nella terapia è l'analista che accondiscende alla richiesta erotica-amicale dell'analizzando, che però potrebbe essere una manipolazione dello stesso analizzando. Questa "manipolazione" serve a creare la suggestione di essere guariti secondo Freud. Ma in realtà la nevrosi torna, e dunque la terapia non è terminata.
Nella psicanalisi contemporanea invece la suggestione è la cura.
(nella società consumista e schiavista è necessario che il soggetto sia nevrotico per poterne dirigere il desiderio di consumo, attraverso la suggestione delle pubblicità dei costumi e dell'industria culturale).
Per questo il contro-transfert può essere si visto positivamente (guarigione effettiva) ma anche NEGATIVA.
In questo senso, nel vero senso freudiano, il controtransfert è una pulsione mortifera.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Il_Dubbio

E' da tempo che non scrivevo un termine che secondo me descrive il cogito ergo sum: autoreferenziale

non stabilisce cioè l'esistenza di altro da se. Stabilisce solo l'esistenza del sè. 

Infatti non è detto che quello che pensa (o quello che vede o sente) esista, ma il fatto di pensare su qualcosa che lui sta pensando ovviamente lo porta alla conclusione che almeno lui esista. 

Quella di Cartesio la reputo una intuizione ancora oggi difficilmente attaccabile. Sono le conseguenze che portano a quella intuizione che potrebbero essere (e lo sono state e lo sono ancora oggi) attaccate. Ovvero che esista in ogni caso una dualità all'interno di una unità. Oggi diremmo corpo e mente. Ma l'autoreferenza indica una cosa diversa, forse piu sofisticata. Non si potrebbe parlare ne di mente ne di corpo in caso di autoreferenza. Si deve parlare solo di una unica unità autoreferenziale. Chi ha precedentemente cercato di dividere in due l'unico ente autoreferenziale si è ritrovato oggi a dover affrontare lo stesso problema di sempre, quello che divide la mente dal corpo. 

Jacopus

CitazioneSono proprio queste semplificazioni che non mettono a tema il problema.
Il transfert è l'apertura al senso erotico del soggetto nevrotico (ossia castrato).
Che Freud lo usi nella sua terapia (ove l'analista fa da partner amicale), non toglie che la sua valenza sia molto più ampia, come lo stesso Freud continuava ad ammonire (insascoltato).
Il contro-transfet nella terapia è l'analista che accondiscende alla richiesta erotica-amicale dell'analizzando, che però potrebbe essere una manipolazione dello stesso analizzando. Questa "manipolazione" serve a creare la suggestione di essere guariti secondo Freud. Ma in realtà la nevrosi torna, e dunque la terapia non è terminata.
Nella psicanalisi contemporanea invece la suggestione è la cura.
(nella società consumista e schiavista è necessario che il soggetto sia nevrotico per poterne dirigere il desiderio di consumo, attraverso la suggestione delle pubblicità dei costumi e dell'industria culturale).
Per questo il contro-transfert può essere si visto positivamente (guarigione effettiva) ma anche NEGATIVA.
In questo senso, nel vero senso freudiano, il controtransfert è una pulsione mortifera.
Non so da dove prendi questi spunti, Green. La psicoanalisi, nella sua versione detta "teoria dell'attaccamento", quindi successiva a Freud, per prima cosa ha ridotto il peso dell'erotismo nella relazione terapeuta-paziente. C'è l'aspetto erotico ma vi è, altrettanto potente, l'aspetto di cura parentale che la psicoanalisi fa riaffiorare. Cura parentale che non si può ridurre a semplice eros. Poi tracimi verso Deleuze e Guattari e le macchine desideranti, se ho ben capito, mantenendo una sorta di culto di Freud, anche laddove lo stesso Freud riteneva che le sue teorie, nel nome della scienza, avrebbero dovuto e/o potuto essere modificate. La cura psicoanalitica non avviene tramite suggestione che, benevolmente, il terapeuta concede al paziente. Si tratterebbe, appunto come scrivi, di una manipolazione e da una manipolazione, da una finzione non viene, di solito, nulla di buono, tranne che nell'arte. L'atto terapeutico è quello che Freud chiama semplicemente "Nebenmensch" (in parodistico contrasto con l'Ubermensch), ovvero la capacità di ascoltare, di essere vicini, di riepilogare i passaggi della vita del paziente, di scoprire gli atti mancati, le vergogne, le debolezze, le azioni vili. La psicoanalisi è un viaggio che arricchisce entrambi i viaggiatori e dove rischiano per vie diverse, sia il terapeuta che il paziente. La nevrosi torna, perchè la cura è impossibile, come riconosce lo stesso Freud, ma non tutte le nevrosi sono uguali e non tutti i disturbi classificati sono identici. La psicoanalisi è allora un percorso che sostanzialmente serve a fare la pace con la nostra imperfezione nevrotica. Sul controtransfert come pulsione mortifera, sono invece rimasto a bocca aperta, in primo luogo perchè non esiste mai guarigione totale, proprio per la nostra natura e per il trauma irreparabile causato dal nascere, in secondo luogo perchè se è una pulsione mortifera allora bisognerebbe evitarla, facendo tornare in auge, la figura del terapeuta "interprete cognitivo" della nevrosi. Ma nessuno è mai guarito o semplicemente "cambiato" perchè qualcuno gli ha interpretato la sua nevrosi. La guarigione come accettazione del proprio stato di malattia avviene solo connettendo gli aspetti cognitivi con quelli affettivi in un setting simbolico dato dal dialogo.
Mi piacerebbe che spiegassi meglio la tua posizione, affinchè possa capire e magari anche modificare o arricchire la mia posizione sull'argomento.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Eutidemo

I vostri interventi sono tutti interessantissimi (come quelli dei miei interlocutori onirici); ma nessuno mi ha ancora dimostrato, in modo incontrovertibile, il fatto che esiste. ;D

Koba II

Citazione di: Eutidemo il 11 Ottobre 2024, 20:07:00 PMI vostri interventi sono tutti interessantissimi (come quelli dei miei interlocutori onirici); ma nessuno mi ha ancora dimostrato, in modo incontrovertibile, il fatto che esiste. ;D
Che esiste cosa?
Il pensiero?
L'essere?
Cartesio non dimostra l'essere a partire dal pensiero, perché l'essere – il fatto che ci sia qualcosa – non ha bisogna di alcuna dimostrazione.
Cartesio dimostra invece che proprio il dubitare di tutto ci conduce a non poter dubitare di essere una sostanza che dubita, quindi che pensa. Cioè il dubitare radicale ci conduce alla certezza di essere una sostanza che ha dei pensieri, una sostanza che produce pensieri e immagini.
Ciò che però Cartesio non può dimostrare in modo incontrovertibile, secondo i suoi paradigmi di evidenza, è che quelle immagini che si formano nella sostanza pensante e che apparentemente vengono dall'esterno abbiano un'esistenza reale.
Cioè, il destino della mente cartesiana è il solipsismo, o meglio, sul piano di ciò che si può ritenere assolutamente certo, è il solipsismo, mentre di fatto si continuerà ad avere proficui rapporti con il mondo, senza però la certezza che tale mondo sia reale e non un sogno.
Lo scetticismo radicale anche se non può indurci a pensare di essere, che so, una pietra anziché una mente, ci inchioda a questa condizione solipsistica.
So di non essere un cactus, un sasso, ma non posso avere la certezza assoluta che queste cose esistano realmente nel mondo, anche se le percepisco con chiarezza. Volendo contare solo sulla forza del pensiero, mi devo arrendere al dubbio.
Per uscirne Cartesio si affida a Dio.
Mossa evidentemente disperata.
O si accetta l'approssimazione, l'incertezza, l'instabilità, oppure si deve avere fede in un Dio che garantisca la bontà delle correlazioni tra le rappresentazioni mentali e le cose del mondo.

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