Le invenzioni non esistono

Aperto da acquario69, 30 Aprile 2016, 04:40:41 AM

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acquario69

Si sente dire spesso della creazione di nuove invenzioni,di qualsiasi natura,dal semplice manufatto o magari un opera musicale,letterale o altro ancora
ma si può sostenere il fatto che siano inventate o non sarebbe corretto invece dire scoperte?
per inventare credo venga comunemente inteso come il far "nascere" una cosa,e che questa sia dipesa da chi l'avrebbe appunto inventata,come se fosse lui l'autore,invece io sono del parere che quella cosa sia soltanto una scoperta di cio che già esisteva da prima e da sempre in potenza.

quindi secondo me non può esistere invenzione di nulla, perché si potrebbe anche banalmente dire che tutto e' creato al principio,(e anche dire più sottilmente,che nulla nasce e nulla muore),ma che si può solo arrivare a scoprirlo o anche rivelare e renderlo manifesto.

Marco Dolivo

Credo che il concetto sia giusto, perché comunque tutto nasce da un potenziale esistente, ma a volte, come nel campo dell'arte, le potenzialità sono talmente vaste che anche una nuova scoperta potrebbe essere definita invenzione. In altre parole, scoperta la assocerei ad un processo lineare dove arriva in conseguenza ad un percorso evolutivo, mentre invenzione la assocerei ad un processo astratto come l'abbinamento di due colori mai associati prima.

maral

Sono d'accordo sul fatto che fondamentalmente non si inventa nulla, ma si scopre solo e quello che si scopre sono nuove possibilità di significare di quello che c'è, che, in determinate condizioni di contesto, vengono a manifestarsi al soggetto. La scoperta è quindi una manifestazione di rapporti di relazione in cui sono implicati uno o più soggetti come eventi relazionali.

acquario69

#3
si,si manifestano in relazione di rapporti e contesti e questo credo sia come dice anche Marco come "processo lineare evolutivo" (che io lo definirei in altre parole come processo di conoscenza) cio non toglie comunque sia,che cio che alla fine si manifesta già esisteva...allora si può dire che l'abilita dell' "inventore" sia quella di farla venire fuori.
esempio semplice semplice; la corrente elettrica non perché sia stata scoperta che questa esiste ma esisteva già da prima di venir scoperta.
ad ogni modo a parte le diverse forme interpretative il concetto mi sembra chiaro e credo univoco

e' interessante secondo me poter considerare questa trasposizione sul potenziale che possono avere le idee e sul loro scambio anche dai più diversi punti di vista ma che abbiano appunto l'obiettivo sotteso di arrivare ad una scoperta,intesa come rendere manifesto cio che esiste già di per se - e in questo caso riguarderebbe in maniera più specifica il potenziale in ognuno di noi,(in maniera più o meno analogo espresso sopra) e che percio per sua stessa natura e' inconfutabile..quantomeno come obiettivo

davintro

#4
Certamente ciò che definiamo come "invenzioni" implica necessariamente la dimensione della "scoperta", riconoscere delle potenzialità insite nella natura che possono poi essere sviluppate in modo utile all'uomo. Non sarebbe stato possibile inventare la tv o il computer senza la scoperta delle onde elettromagnetiche. Ma d'altra parte queste scoperte non erano di per sè sufficienti a spiegare queste invenzioni, senza un intervento attivo dell'uomo. La scoperta lascierebbe il rapporto dell'uomo col mondo in un'ottica puramente passiva, contemplativa. L'inventore inventa nel senso di intervenire sulla materia del reale, una volta appuratene le potenzialità, imprimendo su di essa una forma, plasmandola producendo oggetti artificiali sulla base di esigenze pratiche. Anche se per fini diversi la tecnologia condivide con l'arte quest'idea della creazione come dare una forma alla materia (l'esempio più calzante di questa convergenza è la scultura). Siamo ovviamente lontani dall'accezione teologica della creazione (creatio ex nihilo) dove ciò che si crea è sia materia che forma... tuttavia l'inventore e l'artista invece operano su una materia preesistente di cui scoprono le potenzialità, ma la forma che su di essa imprimono rende le loro opere assolutamente originali e dunque, seppur in chiave più debole rispetto al senso teologico del termine, "creative". E la "forma" non è astrazione, è la causalità che di fatto produce nuovi enti, distinti tra loro, superando l'indeterminismo della materia, che di per sè appiattirebbe, omologandoli, tutti i diversi significati delle cose reali

Efonyo

#5
La differenza sostanziale fra invenzione e scoperta è che entrambi riguardano novità, ma nella scoperta quell'ente era già esistente, è nuovo alla nostra coscienza che prima pensava non esistesse nel cosmo. Una cosa si definisce invenzione invece quando quel determinato ente non è mai oggettivamente esistito e la nostra creatività lo ha reso esistente, da ni-ente siamo passati ad ente.

I virus che si trovano nel nostro corpo esistono da milioni di anni, ma li abbiamo scoperti grazie al microscopio, questa è scoperta.

Ma la brain radio che serve a captare le onde cerebrali per sintonizzarsi nei pensieri altrui è un invenzione perché oggettivamente in natura o in cultura ancora non esiste. Diventa una scoperta perché tale idea emerge nella nostra coscienza, è stata creata e allo stesso tempo scoperta.

È normale che se io attualmente immagino una zanzara a forma di stufetta che emette calore, ho creato una nuova forma di vita, ma allo stesso tempo l'ho scoperta perché tale rappresentazione mentale si è manifestata nella mia coscienza.

In un certo senso il nostro subconscio è l'inventore, mentre il nostro conscio lo scopritore? La coscienza è un Edwin Hubble della psiche, mentre il subconscio un demiurgo che si diverte a costruire il cosmo?

Domanda: se io osservo la mela la sto scoprendo o la sto inventando con le mie percezioni? Logos inteso come log-os, log in into the operative system, il logos come tentativo di loggarsi dentro la mente, accedere ai suoi contenuti e renderli visibili all'utente che sarebbe la coscienza. Cosa se questo sistema operativo mentale arrangia gli atomi in forme concrete e ben definibili? Proprio come dei pixels si arrangiano per costruire immagini concrete? Stessa cosa accade quando osserviamo la mela?

sgiombo

Se il mondo (fisico - materiale; ma esiste anche il mondo mentale!) diviene secondo modalità o leggi universali e costanti, allora, rispettandole e applicandole finalisticamente a una situazione data (adottando opportuni mezzi), la si può -limitatamente!- cambiare nei suoi aspetti particolari - concreti, nel permanere immutabili degli aspetti generali  - astratti del divenire naturale.

iano

Citazione di: acquario69 il 30 Aprile 2016, 04:40:41 AM
Si sente dire spesso della creazione di nuove invenzioni,di qualsiasi natura,dal semplice manufatto o magari un opera musicale,letterale o altro ancora
ma si può sostenere il fatto che siano inventate o non sarebbe corretto invece dire scoperte?
per inventare credo venga comunemente inteso come il far "nascere" una cosa,e che questa sia dipesa da chi l'avrebbe appunto inventata,come se fosse lui l'autore,invece io sono del parere che quella cosa sia soltanto una scoperta di cio che già esisteva da prima e da sempre in potenza.

quindi secondo me non può esistere invenzione di nulla, perché si potrebbe anche banalmente dire che tutto e' creato al principio,(e anche dire più sottilmente,che nulla nasce e nulla muore),ma che si può solo arrivare a scoprirlo o anche rivelare e renderlo manifesto.
Bella scoperta....😄
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

doxa

#8
Acquario ha scritto:
CitazioneSi sente dire spesso della creazione di nuove invenzioni, di qualsiasi natura, dal semplice manufatto o magari un opera musicale, letterale o altro ancora
ma si può sostenere il fatto che siano inventate o non sarebbe corretto invece dire scoperte?
per inventare credo venga comunemente inteso come il far "nascere" una cosa, e che questa sia dipesa da chi l'avrebbe appunto inventata, come se fosse lui l'autore, invece io sono del parere che quella cosa sia soltanto una scoperta di cio che già esisteva da prima e da sempre in potenza.


Un esempio, le modificazioni genetiche effettuate dall'uomo nell'ambito agricolo sono atti creativi voluti e non scoperte casuali.

Nella biologia vegetale si usa  la tecnica del "genome editing" (revisione o correzione del genoma) per il miglioramento genetico delle colture o per ottenere nuove varietà.

Invece si  possono considerare "scoperte" da parte del biologo agrario o del botanico le modifiche genetiche che avvengono casualmente in natura, senza l'intervento dell'uomo.


Molte piante oggi coltivate sono il risultato di un lungo processo di selezione di piante mutate dalle specie selvatiche.

epicurus

Secondo voi questo è un problema filosofico? A me pare un mero problema linguistico, risolvibile con l'uso di un dizionario, o comunque studiando l'uso della lingua italiana.

Secondo il Treccani:

Inventare. Trovare, con l'immaginazione o l'ingegno, e per lo più attraverso studî, esperimenti, calcoli, ecc., qualche cosa che prima non esisteva, soprattutto oggetti utili, mezzi o metodi che agevolino il lavoro, migliorino la produzione, e in genere tutto ciò che contribuisce al progresso dell'umanità e a cui si dà il nome di «invenzione»: i. una macchina, uno strumento, una tecnica di fabbricazione, un nuovo sistema di coltivazione; la stampa è stata inventata da Giovanni Gutenberg. Con senso più generico, escogitare, ideare qualche cosa di nuovo: i. una moda, un ballo, un nuovo gioco; è una pietanza che ho inventato io; non sapresti i. qualche cosa per ammazzare il tempo?; bisognerà i. qualche espediente per passare inosservati.

Scoprire. Acquisire alla conoscenza e all'esperienza umana nozioni, fatti, oggetti, luoghi prima ignoti: s. la verità; s. un segreto; s. una nuova legge fisica; Galileo scoprì l'isocronismo delle oscillazioni del pendolo; è stato scoperto un complotto contro lo stato; s. un giacimento di petrolio; s. nuove terre; nel 1642 A. Tasman scoprì la Tasmania.

Quindi si inventa qualcosa che prima non esisteva, si scopre qualcosa di già esistente. L'autore del topic parla di "esistenza in potenza", un modo come un altro per parlare di qualcosa che non esiste ma che potrebbe esistere, quindi in questo caso si deve usare "inventare".

L'autore del topic scrive "secondo me non può esistere invenzione di nulla, perché si potrebbe anche banalmente dire che tutto e' creato al principio,(e anche dire più sottilmente,che nulla nasce e nulla muore)". Ma perché mai dovremmo esprimerci in questo modo? Che valore aggiunto avrebbe un modo di parlare così metaforico e, in ultima analisi, forviante?

Ci sono anche casi ambigui in cui è permesso parlare sia di invenzioni che di scoperte, ma fa parte della natura del linguaggio (e della sua grande potenza espressiva) essere non perfettamente preciso.

acquario69

Citazione di: epicurus il 15 Gennaio 2018, 17:00:59 PM
Secondo voi questo è un problema filosofico? A me pare un mero problema linguistico, risolvibile con l'uso di un dizionario, o comunque studiando l'uso della lingua italiana.

Secondo il Treccani:

Inventare. Trovare, con l'immaginazione o l'ingegno, e per lo più attraverso studî, esperimenti, calcoli, ecc., qualche cosa che prima non esisteva, soprattutto oggetti utili, mezzi o metodi che agevolino il lavoro, migliorino la produzione, e in genere tutto ciò che contribuisce al progresso dell'umanità e a cui si dà il nome di «invenzione»: i. una macchina, uno strumento, una tecnica di fabbricazione, un nuovo sistema di coltivazione; la stampa è stata inventata da Giovanni Gutenberg. Con senso più generico, escogitare, ideare qualche cosa di nuovo: i. una moda, un ballo, un nuovo gioco; è una pietanza che ho inventato io; non sapresti i. qualche cosa per ammazzare il tempo?; bisognerà i. qualche espediente per passare inosservati.

Scoprire. Acquisire alla conoscenza e all'esperienza umana nozioni, fatti, oggetti, luoghi prima ignoti: s. la verità; s. un segreto; s. una nuova legge fisica; Galileo scoprì l'isocronismo delle oscillazioni del pendolo; è stato scoperto un complotto contro lo stato; s. un giacimento di petrolio; s. nuove terre; nel 1642 A. Tasman scoprì la Tasmania.

Quindi si inventa qualcosa che prima non esisteva, si scopre qualcosa di già esistente. L'autore del topic parla di "esistenza in potenza", un modo come un altro per parlare di qualcosa che non esiste ma che potrebbe esistere, quindi in questo caso si deve usare "inventare".

L'autore del topic scrive "secondo me non può esistere invenzione di nulla, perché si potrebbe anche banalmente dire che tutto e' creato al principio,(e anche dire più sottilmente,che nulla nasce e nulla muore)". Ma perché mai dovremmo esprimerci in questo modo? Che valore aggiunto avrebbe un modo di parlare così metaforico e, in ultima analisi, forviante?

Ci sono anche casi ambigui in cui è permesso parlare sia di invenzioni che di scoperte, ma fa parte della natura del linguaggio (e della sua grande potenza espressiva) essere non perfettamente preciso.

Quello che l'autore (cioè il sottoscritto  :)  ) avrebbe voluto far intendere e' che chi inventa qualcosa non l'ha crea lui di sana pianta..non e' un suo prodotto ma l'ha "solo" rilevata (rivelazione = rendere noto cio che era nascosto) e se era nascosto vuol dire che già c'era indipendentemente dal suo "inventore"

secondo me infatti,se una cosa non la si conosce, non e' perché questa non esiste ma perché ancora la ignoriamo

Al contrario tuo trovo invece fuorviante dire : "quindi si inventa qualcosa che prima non esisteva"
Perche non mi sembra che sia cosi e proprio per le ragioni spiegate sopra...ed e' pure il motivo per cui si ha la necessita di parlare in maniera metaforica (o simbolica)  

Angelo Cannata

Forse in questa discussione c'è qualcosa di più profondo di ciò che può sembrare in apparenza.

Alla base vedo la distinzione aristotelica tra potenza e atto: per esempio, un bambino è in potenza un uomo; ma questo significa anche che l'uomo non è nulla di più di tutto ciò che il bambino era già in potenza. Allo stesso modo, ciò che in questa discussione avete cercato di porre in evidenza è che qualsiasi invenzione è solo un aver posto in atto qualcosa che in potenza già esisteva per intero.

Ora, questa mi sembra essere la logica che ha portato Severino (per quel poco che so e ho capito di lui) a negare il divenire: infatti, la distinzione aristotelica tra potenza e atto non è altro che un inglobare ogni evento all'interno della prospettiva dell'essere. Cioè, dire che un bambino è un uomo in potenza non significa altro che sforzarsi di inglobare la differenza, provocata dal divenire uomo del bambino, all'interno di una concezione comunque statica. Il bambino è (verbo presente: è già) un uomo in potenza. Insomma, non è altro che un trucco del linguaggio per unificare tutto nella prospettiva dell'essere. In questo senso il futuro non è altro che ciò che il passato era già in potenza. Tutto ciò che troveremo nel futuro si trova già interamente nel presente, in potenza, e sempre in potenza si trovava già interamente nel passato. Parlare di essere "in potenza" non serve ad altro che a conservare l'essere. Questo ha permesso a Severino di sostenere che, di conseguenza, il passato non smette mai di esistere: tutto ciò che esisteva nel passato esiste ancora nel futuro e viceversa; insomma, Severino, una volta che lo stratagemma dell'essere "in potenza" ha consentito di conservare il concetto di essere in riferimento a ciò che diviene, ha pensato giustamente di eliminare lo stratagemma e conservare l'essenziale, cioè l'essere. In questo senso è come se Severino dicesse: "Se dobbiamo dire che un bambino è in potenza un uomo, andiamo all'essenziale, alla sostanza del discorso, semplifichiamo e diciamo direttamente che un bambino è già l'uomo che sarà in futuro e l'uomo è ancora il bambino del passato". Tutto esiste in un eterno presente.

A questo punto è anche evidente l'errore di Severino: egli ha portato a coerenza massima la decisione di includere ogni concezione nella prospettiva dell'essere, ma ha tralasciato di sottoporre a critica proprio tale decisione: chi ha detto che quella dell'essere sia la prospettiva universale entro cui tutto va compreso? Non è forse vero che, tutte le volte che affiniamo la vista, sparisce ogni essere e ciò che ci appare sono solo particelle in divenire?

In questo senso, io personalmente preferisco (dico "preferisco", non dico che le cose stiano effettivamente come penso io) la prospettiva del divenire: tutto si crea in continuazione, nulla esiste in maniera statica, l'attimo presente è solo una nostra invenzione/astrazione mentale. Di conseguenza sostengo l'opposto: se un cercatore scopre una miniera d'oro, la sua scoperta fa esistere quella miniera in un tipo di esistenza che prima non c'era, quindi, in realtà, il cercatore ha reinventato quella miniera, l'ha creata come cosa nuova, poiché, dal momento della scoperta, quella miniera non sarà mai più ciò che era prima.

Nulla si scopre, tutto s'inventa e si crea in continuazione.

epicurus

Citazione di: acquario69 il 16 Gennaio 2018, 04:23:10 AMQuello che l'autore (cioè il sottoscritto  :)  ) avrebbe voluto far intendere e' che chi inventa qualcosa non l'ha crea lui di sana pianta..non e' un suo prodotto ma l'ha "solo" rilevata (rivelazione = rendere noto cio che era nascosto) e se era nascosto vuol dire che già c'era indipendentemente dal suo "inventore"

secondo me infatti,se una cosa non la si conosce, non e' perché questa non esiste ma perché ancora la ignoriamo

Al contrario tuo trovo invece fuorviante dire : "quindi si inventa qualcosa che prima non esisteva"
Perche non mi sembra che sia cosi e proprio per le ragioni spiegate sopra...ed e' pure il motivo per cui si ha la necessita di parlare in maniera metaforica (o simbolica) 
Ciao Acquario, è forviante perché tu proponi di cambiare l'uso e il significato delle parole. In linea teorica potrei accettare questa revisione linguistica, ma è solo una questione linguistica, non c'è nulla di sostanziale. Ed è per questo che poi, di fatto, preferisco restare nel solco del linguaggio preesistente che già tutti conoscono e capiscono.

Tu implicitamente affermi che per inventare qualcosa si deve creare qualcosa di sana pianta (cioè in modo radicale, dalle fondamenta). Invece l'italiano prevede che affinché si possa dire "io ho inventato X" semplicemente tale X prima non esistesse. Certo, ogni cosa che noi inventiamo concretamente è fisicamente possibile (quindi "esistente in potenza"), ma non era già esistente (cioè "esistente in atto"). Tutto qui. E' una convenzione linguistica, nulla di più.

Un altro modo di vedere la questione è abbandonare la visione ingenua del significato come definizione esplicita e verbale, in favore di una visione più globale dove il significato è definito anche dall'uso delle parole. Quindi si osserva che si parla di inventare una macchina, uno strumento, una tecnica di fabbricazione, un nuovo sistema di coltivazione, una moda, un ballo, un gioco, una pietanza. Mentre si parla di scoprire una verità, un segreto, una legge fisica, un complotto contro lo stato, un giacimento di petrolio, nuove terre. Questi sono usi paradigmatici di tali verbi.

Questo è l'uso linguistico corretto di "inventare" e "scoprire" in italiano. Tra l'altro risulta molto comodo, perché quando io dico "Io ho inventato un gioco" o "Io ho scoperto un gioco" sto dicendo due cose completamente diverse e chi mi ascolta (tu compreso) capisce perfettamente la differenza. Differenza, questa, che andrebbe persa se non esistesse il verbo "inventare" ma solo il verbo "scoprire".

epicurus

Citazione di: Angelo Cannata il 16 Gennaio 2018, 05:55:27 AM
Forse in questa discussione c'è qualcosa di più profondo di ciò che può sembrare in apparenza.

Alla base vedo la distinzione aristotelica tra potenza e atto: per esempio, un bambino è in potenza un uomo; ma questo significa anche che l'uomo non è nulla di più di tutto ciò che il bambino era già in potenza. Allo stesso modo, ciò che in questa discussione avete cercato di porre in evidenza è che qualsiasi invenzione è solo un aver posto in atto qualcosa che in potenza già esisteva per intero.

Ora, questa mi sembra essere la logica che ha portato Severino (per quel poco che so e ho capito di lui) a negare il divenire: infatti, la distinzione aristotelica tra potenza e atto non è altro che un inglobare ogni evento all'interno della prospettiva dell'essere. Cioè, dire che un bambino è un uomo in potenza non significa altro che sforzarsi di inglobare la differenza, provocata dal divenire uomo del bambino, all'interno di una concezione comunque statica. Il bambino è (verbo presente: è già) un uomo in potenza. Insomma, non è altro che un trucco del linguaggio per unificare tutto nella prospettiva dell'essere. In questo senso il futuro non è altro che ciò che il passato era già in potenza. Tutto ciò che troveremo nel futuro si trova già interamente nel presente, in potenza, e sempre in potenza si trovava già interamente nel passato. Parlare di essere "in potenza" non serve ad altro che a conservare l'essere. Questo ha permesso a Severino di sostenere che, di conseguenza, il passato non smette mai di esistere: tutto ciò che esisteva nel passato esiste ancora nel futuro e viceversa; insomma, Severino, una volta che lo stratagemma dell'essere "in potenza" ha consentito di conservare il concetto di essere in riferimento a ciò che diviene, ha pensato giustamente di eliminare lo stratagemma e conservare l'essenziale, cioè l'essere. In questo senso è come se Severino dicesse: "Se dobbiamo dire che un bambino è in potenza un uomo, andiamo all'essenziale, alla sostanza del discorso, semplifichiamo e diciamo direttamente che un bambino è già l'uomo che sarà in futuro e l'uomo è ancora il bambino del passato". Tutto esiste in un eterno presente.

A questo punto è anche evidente l'errore di Severino: egli ha portato a coerenza massima la decisione di includere ogni concezione nella prospettiva dell'essere, ma ha tralasciato di sottoporre a critica proprio tale decisione: chi ha detto che quella dell'essere sia la prospettiva universale entro cui tutto va compreso? Non è forse vero che, tutte le volte che affiniamo la vista, sparisce ogni essere e ciò che ci appare sono solo particelle in divenire?

In questo senso, io personalmente preferisco (dico "preferisco", non dico che le cose stiano effettivamente come penso io) la prospettiva del divenire: tutto si crea in continuazione, nulla esiste in maniera statica, l'attimo presente è solo una nostra invenzione/astrazione mentale. Di conseguenza sostengo l'opposto: se un cercatore scopre una miniera d'oro, la sua scoperta fa esistere quella miniera in un tipo di esistenza che prima non c'era, quindi, in realtà, il cercatore ha reinventato quella miniera, l'ha creata come cosa nuova, poiché, dal momento della scoperta, quella miniera non sarà mai più ciò che era prima.

Nulla si scopre, tutto s'inventa e si crea in continuazione.

Ciao Angelo, capisco che il bandire il verbo "inventare" a favore del verbo "scoprire" possa poggiare sulla questione dell'essere in potenza e dell'essere in atto. Volendo tralasciare la prima questione, ci potremmo concentrare sulla seconda ma, temo, le mie risposte, nella sostanza, non cambierebbero.

(Premetto, non voglio parlare delle idee specifiche di Severino, ma solo sulla questione generale di potenzialità, attualità e affini.)

La questione, ancora, mi pare tutta linguistica, quindi non sostanziale. Vogliamo abbandonare il modo ordinario di parlare per parlare di "essere in atto" ed "essere in potenza", o addirittura spingerci a forme più contratte come "Un bambino è un adulto"? Ok, se si ha ben chiaro di cosa si sta parlando (cercando di porre sotto la lente di un'analisi linguistico-concettuale i termini e le espressioni usate), nessun problema. Ma questo è solo un altro modo di parlare, con tutte le sue peculiarità e con i propri scopi e limiti... Basta non farsi ipnotizzare dal nostro modo di parlare ritenendolo l'unico modo legittimo perché magicamente aderente alla realtà in sé.

acquario69

Citazione di: epicurus il 16 Gennaio 2018, 12:04:40 PMCiao Acquario, è forviante perché tu proponi di cambiare l'uso e il significato delle parole. In linea teorica potrei accettare questa revisione linguistica, ma è solo una questione linguistica, non c'è nulla di sostanziale. Ed è per questo che poi, di fatto, preferisco restare nel solco del linguaggio preesistente che già tutti conoscono e capiscono.

Tu implicitamente affermi che per inventare qualcosa si deve creare qualcosa di sana pianta (cioè in modo radicale, dalle fondamenta). Invece l'italiano prevede che affinché si possa dire "io ho inventato X" semplicemente tale X prima non esistesse. Certo, ogni cosa che noi inventiamo concretamente è fisicamente possibile (quindi "esistente in potenza"), ma non era già esistente (cioè "esistente in atto"). Tutto qui. E' una convenzione linguistica, nulla di più.

Un altro modo di vedere la questione è abbandonare la visione ingenua del significato come definizione esplicita e verbale, in favore di una visione più globale dove il significato è definito anche dall'uso delle parole. Quindi si osserva che si parla di inventare una macchina, uno strumento, una tecnica di fabbricazione, un nuovo sistema di coltivazione, una moda, un ballo, un gioco, una pietanza. Mentre si parla di scoprire una verità, un segreto, una legge fisica, un complotto contro lo stato, un giacimento di petrolio, nuove terre. Questi sono usi paradigmatici di tali verbi.

Questo è l'uso linguistico corretto di "inventare" e "scoprire" in italiano. Tra l'altro risulta molto comodo, perché quando io dico "Io ho inventato un gioco" o "Io ho scoperto un gioco" sto dicendo due cose completamente diverse e chi mi ascolta (tu compreso) capisce perfettamente la differenza. Differenza, questa, che andrebbe persa se non esistesse il verbo "inventare" ma solo il verbo "scoprire".

Ti confesso che mi rimane molto nebulosa la tua spiegazione..perche dal mio punto di vista tu riduci tutto al solo fattore linguistico, non penetrando pero l'essenza stessa di tale parole, (che sarebbero perciò solo il mezzo ma non il fine) o in altri termini scambi il dito per la luna

ad ogni modo da parte mia notifico pure due cose.

La prima e' che io NON affermo implicitamente (come dici tu e non io,e non capisco nemmeno dove lo avresti estrapolato dalle mie parole ) che per inventare qualcosa si deve creare qualcosa di sana pianta...bensi scrivo; chi inventa qualcosa non l'ha crea lui di sana pianta..ma la rivela..il che mi sembra davvero tutt'altra cosa

Un altra e' nell'etimologia stessa della parola invenzione, che e' questa: 
Invenzione ...dal latino inventionem ..da inventus/in-venire = trovare investigando, scoperta di cosa nascosta e non per anco conosciuta

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