La volontà di potenza da un altro punto di vista

Aperto da 0xdeadbeef, 13 Luglio 2018, 10:29:25 AM

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Carlo Pierini

#90
Citazione di: paul11 il 22 Luglio 2018, 01:07:44 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 18:14:03 PM
Citazione di: paul11 il 17 Luglio 2018, 10:54:23 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 02:34:25 AM
Citazione di: paul11 il 16 Luglio 2018, 23:21:30 PMCARLO Secondo me, tu fai lo stesso errore dei preti: scambi dei racconti mitici per racconti storici. Magari credi anche tu che Cristo sia un personaggio storico capace di moltiplicare pani e pesci, di resuscitare i morti e poi di morire, risorgere e di salire al cielo senza tuta spaziale? ...Che Mosè abbia aperto fisicamente le acque del Mar Rosso, che Elia sia stato rapito in cielo dagli extraterrestri, ecc.? ...Che Atlantide sia una storia vera? Non ti seguo su questo terreno. Le esperienze visionarie che ho vissuto io si intrecciano profondamente con molte delle mitologie di tutto il pianeta, ma non hanno nulla a che vedere con razze superiori, ma solo con "spiriti" superiori che "confinano" con le profondità di noi stessi. Non riesco a capire come una persona intelligente e perspicace come te possa credere alla storia delle razze superiori, senza alcuna prova oggettiva, ma solo sulla base di antichi racconti in bilico tra mito e storia. Leggiti qualche trattato di storia comparata dei simboli mitico-religiosi e comincerai a capire che molti dei "luoghi" e dei "personaggi" da te citati come reali, sono in realtà dei simboli tipici, anzi, ...archetipici riconoscibilissimi che, magari, "hanno preso in prestito" dei luoghi e dei fatti reali per esprimere il loro contenuto simbolico. ...Ah, adesso ho capito perché non sei d'accordo con la seconda citazione di Evola che ho riportato sopra! :)
PAUL11
Che i numeri dati da un certo Yahweh a Noè per la costruzione dell'Arca e Mosè per la costruzione prima dell'arca dell'alleanza e poi saranno date le misure per costruire il tempio di Gerusalemme, hanno significati di orientamento astronomico planetario.

CARLO
Come fai a credere al mito di Noè come ad un racconto storico? Ti sembra credibile che un uomo di più di tremila anni fa sia stato in grado di raccogliere in un'arca TUTTE le specie animali (un centinaio di milioni) di ogni parte del mondo, come: orsi polari, koala e canguri australiani, lemuri del Madagascar, formiche rosse dell'Amazzonia, pinguini del polo Sud, tartarughe delle Galapagos, ecc.?
Sulla base DI COSA puoi sostenere che non si tratta di un mito, ma di un evento storico?
PAUL11
quando un racconto lo trovi in preesistenti racconti;spoglialo dalla metafore e cerca.
Noè in sumero è  Ziusudra,in accadico Atrahasis e in babilonese Ut-Napishtim.
Cercalo quindi in altri racconti............

CARLO
Bravo. Questi sono gli effetti degli archetipi: la loro diffusione universale.
Per interpretarlo come dici tu, invece, devi manipolarlo, cioè,<<spogliarlo della metafora>>. Ma se leggi il mio thread: "Alcune varianti dell'archetipo del Diluvio universale":
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/alcune-varianti-dell'archetipo-del-'diluvio-universale'/
...ti rendi conto che è proprio la metafora la componente centrale del mito. Quindi la saggezza di cui un mito è portatore non proviene da fantomatiche razze superiori, ma da una *Mente* superiore.
Ripeto: il "mio" caduceo è diffuso in ogni angolo del mondo NON perché ho avuto contatti con razze superiori, ma perché si tratta di un simbolo ispirato da un medesimo archetipo: l'archetipo della Complementarità degli opposti.
Anzi, ad essere sinceri, nel periodo delle "visioni" ho fatto un sogno - breve e intenso - molto simile al mito del "Diluvio"; ma, nel mio caso, al posto della classica Arca, c'era una sfera che io avrei dovuto riempire con "qualcosa", sulla base di un criterio preciso, affinché essa potesse (paradossalmente) "alleggerirsi" ed emergere dalle acque che la sommergevano. Solo qualche anno più tardi (grazie ad una maggiore dimestichezza con i simboli) ho capito che quel "qualcosa" erano delle idee, anzi, delle coppie di idee 8in analogia alle coppie di animale del mito classico).

0xdeadbeef

#91
A Sgiombo
Vi sono stati, lungo la storia, molti casi in cui si sono disseppelliti i morti allo scopo di oltraggiare i vivi
nella loro "genia" (vedi ad esempio il disseppellimento dei morti della famiglia De Pazzi ad opera dei De Medici dopo
la famosa congiura).
Quindi no, non credo che l'onoranza ai defunti sia da annoverare fra le cose davvero innate nell'uomo. L'onoranza
per il defunto è semmai da considerare assolutamente sacra, e uno degli esempi davvero più profondi dell'"assolutamente
sacro", solo all'interno di una specifica "gens", di una cultura particolare. Ma non voglio divagare su questioni tutto
sommato marginali (almeno per come il discorso si è venuto a sviluppare fra noi due).
Per quanto io mi sia dato a pensare nel corso degli anni a quali cose potessero, nell'essere umano, considerarsi davvero
innate ed universali, non sono arrivato a contarne più di quante ne stanno nelle dita di una mano...
La più, diciamo, "forte" mi sembra essere proprio questa del perseguimento del piacere e dell'utile individuale (chiaramente,
ma a questo punto oso sperare sia appurato, non è del "contenuto" di questo perseguimento che parlo ma della "forma").
Da questo punto di vista, chissà, magari quel tangentista un "piccolo" rimorso certamente l'avrà (vedi anche la metafora di
Giuda), ma altrettanto certamente è da considerare che l'utile, il piacere, che egli ricava dall'aver incassato la tangente
supererà in "forza" la "voce della coscienza" (salvo poi, come accade in Giuda, che l'utile rappresentato dalla coscienza
non arrivi a superare in forza l'utile immediato del gretto guadagno di denaro).
Perchè il perseguimento dell'utile e del piacere è da considerare sempre in relazione comparativa ad un altro piacere o utile
(ad esempio nel suicida l'utile che gli dà la morte è da lui considerato comparativamente superiore all'utile che gli è
tramesso dall'istinto per la sopravvivenza).
Non amo portare esempi patetici di esperienze personali, ma giusto ieri ho assistito ad una scena che ho giudicato altamente
immorale (niente di che: l'uccisione di un serpente da parte di un mio vicino). Certamente la mia idea di moralità è ben
diversa da quella del mio vicino (una persona perbene, che mai immaginerebbe di essere da me giudicato un immorale per...
aver ucciso un serpente!).
E vengo con questo al discorso sulle "idee" (per cui mi riallaccio all'altra discussione).
La mia idea di moralità è "reale" quanto la sua: non esiste un riferimento oggettivo per cui si possa parlare di una maggiore
o minore moralità (qui mi riallaccio anche a quanto dicevo sulla moralità come non innata, quindi come relativa).
Il pensiero è certamente pensiero di "qualcosa" (la mia idea di moralità, per "essere", deve essere riferita ad un qualcosa che
io assumo "artificiosamente" come un assoluto, come un oggetto - sapendolo non tale).
A questo livello non ha nessuna importanza che il pensiero sia o meno riferito ad un qualcosa di sensibile (si diceva del cavallo
e dell'ippogrifo), cioè ad un "oggetto" ("ab-soluto" per sua stessa definizione in quanto oggetto). Perchè il linguaggio (cui
Pierce accosta acutamente anche il pensiero) DEVE appunto assumere "artificiosamente come un assoluto, come un oggetto - sapendolo
non tale" il riferimento ad un qualcosa. O altrimenti, dicevo, non potrebbe "essere" (non potrebbe cioè nè essere "detto" né pensato
"qualcosa").
Come dicevo altrove, il linguaggio e il pensiero procedono necessariamente per assoluti.
E tuttavia le persone consapevoli (mi verrebbe da dire i "filosofi"...) sanno che questo procedere è un artificio. Cioè sanno che
vi è differenza fra cosa "pensata" e cosa "reale" (solo gli Idealisti non lo sanno - e bada bene che gli Idealisti infestano il
mondo...).
E' per questo che Kant insiste molto sul "dato empirico". Cioè insiste sulla differenza fra il pensare una cosa "reale" e una cosa
"pensata" (un cavallo e un ippogrifo) PUR SAPENDO che anche la cosa "reale" è un pensato, e che quindi "ad un certo livello" non
si dia differenza con la cosa pensata.
E' questo, comunque, un argomento davvero di estrema complessità.Che richiede un grandissimo sforzo di astrazione, proprio
perchè pensare il "reale" è pur sempre pensare un pensato.
La "cosa in sè", cioè il REALE (l'autentico REALE...), a rigor di logica non può né essere detta né essere pensata.
E, specularmente, la cosa pensata (il "fenomeno") deve a rigor di logica essere assunta necessariamente come una "cosa in sè",
come un oggetto assoluto (per "dire" la mia idea di moralità io la devo assumere artificiosamente come un assoluto).

saluti

Carlo Pierini

OXDEADBEEF
E' per questo che Kant insiste molto sul "dato empirico". Cioè insiste sulla differenza fra il pensare una cosa "reale" e una cosa "pensata" (un cavallo e un ippogrifo) PUR SAPENDO che anche la cosa "reale" è un pensato, e che quindi "ad un certo livello" non si dia differenza con la cosa pensata.

CARLO
Stando a quello che scrivi, siccome una cosa non può essere che una cosa pensata, non avrebbe alcun senso parlare di FALSA idea su una cosa, come, per esempio tutte le idee che la scienza ha sconfessato come false nel corso della sua evoluzione.
Per cui ti domando: che differenza c'è tra un'idea vera e un'idea falsa? Per esempio, perché l'idea <<la Terra è piatta>> pur essendo pensata deve essere considerata falsa?

0xdeadbeef

A Carlo Pierini
Certo che devi tenere in ben poca considerazione non dico le mie affermazioni (sulle quali potresti non aver torto),
ma l'intera filosofia dal momento che pensi questa non abbia riflettuto a sufficienza su certe tesi alla base delle
tue considerazioni. Non si sia mai posta, per usare la tua terminologia, le "domande cruciali"...
Noto fra l'altro che, nonostante io te l'abbia già detto, continui imperterrito a non distinguere fra "episteme" e "sophia"
(prova ad esempio a sostituire alla domanda sulla terra piatta o sferica la domanda: "è morale l'aborto?", e vedi se
riesci a distinguere un vero e un falso).
Comunque lasciamo perdere e veniamo alla cosa in questione...
Nella mia riposta all'intervento di Daveintro sull'altro post (dove tu mi chiedevi cosa significassero in lingua "umana"
le cose che dicevo), io ho citato la metafora della montagna, di Popper (un epistemologo, fra l'altro, forse il maggiore)
che così recita: "la verità è la cima di una montagna coperta da nubi. Sappiamo che è lì, da quella parte, ma non
sappiamo esattamente dove".
Ecco, questo è esattamente ciò che penso anch'io (e che, presumo, penserebbe anche Kant). Non possiamo conoscere la verità
ma alla verità possiamo avvicinarci; della verità possiamo cioè conoscere la "direzione".
Come dunque vedi, sono molto lontano dal "non esistono fatti ma solo interpretazioni" di Nietzsche (mentre tu ne sei,
inconsapevolmente, molto vicino, ma non divago con cose che ci porterebbero troppo lontano).
E ti ripeto ancora una volta: a me sembra che la moderna concezione di "scienza" dia ragione ad una tale tesi, visto
che la scienza odierna (odierna nel senso di post-relatività) parla del sapere come di un sapere "probabile".
Ti invito pertento ad uscire una volta e per tutte dal tuo mondo antico fatto di oggetti fissi nella loro "datità",
di verità definitive (aggettivo che spesso usi e che dimostra molto di come tu ragioni...) ed irrevocabili.
Prendi finalmente atto che la scienza "autentica" si pone fin da principio come "confutabile", e che le verità
definitive ed inconfutabili sono patrimonio della Fede.
Per poter arrivare a ciò, ti ho consigliato e ti consiglio di nuovo di pensare non a Kant, ma a questa affermazione
di Einstein: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare".
saluti

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 10:47:01 AM
A Sgiombo
Vi sono stati, lungo la storia, molti casi in cui si sono disseppelliti i morti allo scopo di oltraggiare i vivi
nella loro "genia" (vedi ad esempio il disseppellimento dei morti della famiglia De Pazzi ad opera dei De Medici dopo
la famosa congiura).
Quindi no, non credo che l'onoranza ai defunti sia da annoverare fra le cose davvero innate nell'uomo. L'onoranza
per il defunto è semmai da considerare assolutamente sacra, e uno degli esempi davvero più profondi dell'"assolutamente
sacro", solo all'interno di una specifica "gens", di una cultura particolare. Ma non voglio divagare su questioni tutto
sommato marginali (almeno per come il discorso si è venuto a sviluppare fra noi due).
Citazione
Però, scusa, qui siamo sempre al fraintendimento per il quale la violazione dell' etica (ovviamente sempre esistita, senza ombra di dubbio da parte di nessuno, che io sappia) equivarrebbe alla negazione dell' etica.



Per quanto io mi sia dato a pensare nel corso degli anni a quali cose potessero, nell'essere umano, considerarsi davvero
innate ed universali, non sono arrivato a contarne più di quante ne stanno nelle dita di una mano...
La più, diciamo, "forte" mi sembra essere proprio questa del perseguimento del piacere e dell'utile individuale (chiaramente,
ma a questo punto oso sperare sia appurato, non è del "contenuto" di questo perseguimento che parlo ma della "forma").
CitazioneMa questo, scusa ancora, Mauro, mi sembra una banalissima "scoperta dell' acqua calda": 

perseguimento del piacere e dell'utile =/= perseguimento di ciò che si persegue (qualsiasi cosa sia: bene, male, cose eticamente irrilevanti, ecc.).

Pe me questa "forma" non é di alcun ineteresse (anche per l' appunto per la sua banale ovvietà tautologica), al contrario dei ben diversi e spesso reciprocamente opposti  "contenuti" (specialmente quelli eticamente rilevanti) delle aspirazioni e finalità umane.




Da questo punto di vista, chissà, magari quel tangentista un "piccolo" rimorso certamente l'avrà (vedi anche la metafora di
Giuda), ma altrettanto certamente è da considerare che l'utile, il piacere, che egli ricava dall'aver incassato la tangente
supererà in "forza" la "voce della coscienza" (salvo poi, come accade in Giuda, che l'utile rappresentato dalla coscienza
non arrivi a superare in forza l'utile immediato del gretto guadagno di denaro).
CitazioneBella scoperta: si tratta di un malvagio e  disonesto!

Come per chi sia magnanimo, generoso, onesto, la virtù é premio a se stessa, così lo é il vizio per il malvagio, gretto, egoista.




Non amo portare esempi patetici di esperienze personali, ma giusto ieri ho assistito ad una scena che ho giudicato altamente
immorale (niente di che: l'uccisione di un serpente da parte di un mio vicino). Certamente la mia idea di moralità è ben
diversa da quella del mio vicino (una persona perbene, che mai immaginerebbe di essere da me giudicato un immorale per...
aver ucciso un serpente!).
CitazioneQui secondo e andrebbe condotta una profonda analisi delle intenzioni e delle convinzioni tue e del tuo vicino di casa (é convinto che il serpente soffre? Che é cosciente? Sei convinto che sia autocosciente? Pensava di fare un bene maggiore del male evitando probabili sofferenze a umani che considerava, magari contrariamente al serpente, coscienti, oltre che, quasi certamente al contrario del serpente, autocoscienti)?

Come spesso accade, e anche assai più che in altre questioni, la moralità dei singoli comportamenti é spesso difficile da comprendere (e a maggior ragione da giudicare: "chi é senza peccato scagli la prima pietra").
Ma non credo che ciò confuti l' esistenza di fatto di imperativi etici generali universali (oltre che di più particolari regole socialmente condizionate e variabili, "relativamente meno universali").




E vengo con questo al discorso sulle "idee" (per cui mi riallaccio all'altra discussione).
La mia idea di moralità è "reale" quanto la sua: non esiste un riferimento oggettivo per cui si possa parlare di una maggiore
o minore moralità (qui mi riallaccio anche a quanto dicevo sulla moralità come non innata, quindi come relativa).
Il pensiero è certamente pensiero di "qualcosa" (la mia idea di moralità, per "essere", deve essere riferita ad un qualcosa che
io assumo "artificiosamente" come un assoluto, come un oggetto - sapendolo non tale).
A questo livello non ha nessuna importanza che il pensiero sia o meno riferito ad un qualcosa di sensibile (si diceva del cavallo
e dell'ippogrifo), cioè ad un "oggetto" ("ab-soluto" per sua stessa definizione in quanto oggetto). Perchè il linguaggio (cui
Pierce accosta acutamente anche il pensiero) DEVE appunto assumere "artificiosamente come un assoluto, come un oggetto - sapendolo
non tale" il riferimento ad un qualcosa. O altrimenti, dicevo, non potrebbe "essere" (non potrebbe cioè nè essere "detto" né pensato
"qualcosa").
Come dicevo altrove, il linguaggio e il pensiero procedono necessariamente per assoluti.
E tuttavia le persone consapevoli (mi verrebbe da dire i "filosofi"...) sanno che questo procedere è un artificio. Cioè sanno che
vi è differenza fra cosa "pensata" e cosa "reale" (solo gli Idealisti non lo sanno - e bada bene che gli Idealisti infestano il
mondo...).
E' per questo che Kant insiste molto sul "dato empirico". Cioè insiste sulla differenza fra il pensare una cosa "reale" e una cosa
"pensata" (un cavallo e un ippogrifo) PUR SAPENDO che anche la cosa "reale" è un pensato, e che quindi "ad un certo livello" non
si dia differenza con la cosa pensata.
CitazioneQui é questione di che cosa siano questi "livelli" di realtà.

Per me c'é un abisso ontologico fra il "livello di realtà" di un certo cavallo reale (quello di mio nonno, per esempio) e qualsiasi immaginario ippogrifo (in generale; e in particolare quanto agli imperativi etici che si avvertono verso di essi).




E' questo, comunque, un argomento davvero di estrema complessità.Che richiede un grandissimo sforzo di astrazione, proprio
perchè pensare il "reale" è pur sempre pensare un pensato.
CitazioneConcordo sulla estrema complessità della questione.

Ma c'é una differenza enorme (direi "ontologicamente infinita") fra il "reale" (inoltre anche eventualmente) pensato (ma tale anche indipendentemente dall' eventuale essere inoltre pensato: cavallo) e il reale unicamente in quanto pensato (ippogrifo).




La "cosa in sè", cioè il REALE (l'autentico REALE...), a rigor di logica non può né essere detta né essere pensata.
E, specularmente, la cosa pensata (il "fenomeno") deve a rigor di logica essere assunta necessariamente come una "cosa in sè",
come un oggetto assoluto (per "dire" la mia idea di moralità io la devo assumere artificiosamente come un assoluto).
CitazioneSecondo me qui si deve ancora una volta distinguere fra "inseità" del pensato reale (denotazione o estensione reale di un concetto: il cavallo realmente esistente, che lo si pensi o meno) in contrasto con (diversamente da) "non inseità" del pensato irreale (connotazione o intensione cogitativa di un concetto privo di denotazione o estensione reale: ippogrifo da una parte; e dal' altra "inseità" del sentito (noumeno reale anche allorché non si danno sensazioni fenomeniche: quel che esiste anche quando il cedro del Libano non esiste -"esse est percipi"!- e fa sì che nonappena osservo "adeguatamente", allora puntualmente il cedro torni ad esistere; oppure quel che esiste anche quando non penso a me stesso, non avverto i miei pensieri, sentimenti, ecc., ovvero anche quando io -come insiemi-successioni di determinati fenomeni mentali: "esse st percipi"!- non esisto e fa sì che nonappena "si riaccende" la mia autocoscienza, allora puntualmente ricompaiono i miei pensieri, sentimenti, ecc, ovvero io ri-esisto come insieme-successioni di fenomeni mentali).




saluti
CitazioneRiccambiati di cuore!

Carlo Pierini

#95
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 13:48:44 PM
Noto fra l'altro che, nonostante io te l'abbia già detto, continui imperterrito a non distinguere fra "episteme" e "sophia"


CARLO
...E tutto quello che scrivi tu è episteme o sophia?

OXDEADBEEF
(prova ad esempio a sostituire alla domanda sulla terra piatta o sferica la domanda: "è morale l'aborto?", e vedi se
riesci a distinguere un vero e un falso).

CARLO
Già ho detto altrove che, finché non giungeremo alla scoperta di un principio universale (di validità dimostrabile in ogni disciplina dell'esperienza) alla cui conformità poter riferire anche le questioni morali, le risposte a domande come la tua non possono che scaturire dalla sensibilità soggettiva.
Ma il problema è che i pensatori come te negano a priori e del tutto arbitrariamente l'esistenza di qualunque criterio di verità oggettiva, oltre che qualunque criterio di moralità. Quando invece la filosofia si fonda e trova la propria ragione d'essere sull'intuizione che il mondo e l'uomo siano conoscibili e che i concetti di verità e di giustizia, siano ontologicamente fondabili.
La verità è per un filosofo come Dio per un prete: se non ci credi, devi abbandonare l'abito talare, invece di "cantare messa" come fai tu in un "circolo di filosofia". Se non credi nella verità, come puoi pretendere che si debba prendere per VERO tutto ciò che predichi?
Per questo sono partito dalla domandina più facile: per capire se sei cieco fino al punto di negare verità assoluta persino all'idea di "rotondità della Terra".

OXDEADBEEF
ho citato la metafora della montagna, di Popper (un epistemologo, fra l'altro, forse il maggiore)
che così recita: "la verità è la cima di una montagna coperta da nubi. Sappiamo che è lì, da quella parte, ma non
sappiamo esattamente dove".

CARLO
Infatti non è la prima volta che sottolineo la cattiva abitudine di Popper di sparare cazzate. La scienza ci ha regalato migliaia di verità inconfutabili, e quello che dice Popper, se mai, è valito solo se per "verità" si intende l'onniscienza.

OXDEADBEEF
E ti ripeto ancora una volta: a me sembra che la moderna concezione di "scienza" dia ragione ad una tale tesi, visto
che la scienza odierna (odierna nel senso di post-relatività) parla del sapere come di un sapere "probabile".

CARLO
Infatti è "probabile" anche l'affermazione di un sapere necessariamente probabile. La scienza ha solo tre secoli d'età, cioè, è poco più di una bambina. E non sta scritto da nessuna parte che ciò che oggi appare probabile non sia tale per l'inadeguatezza dei paradigmi interpretativi oggi in uso nella Scienza.

OXDEADBEEF
Ti invito pertanto ad uscire una volta e per tutte dal tuo mondo antico fatto di oggetti fissi nella loro "datità",

CARLO
E io ti invito a riflettere sul fatto che chiunque neghi l'esistenza della verità, non può pretendere che qualcuno prenda per vere le sue prediche. L'esistenza del vero deve essere ammessa da chiunque decida di aprir bocca e darle fiato. Se non lo fa deve tacere.

0xdeadbeef

A Sgiombo
Chiuderei la, per così dire, "prima fase" del ragionamento con queste considerazioni: non dico certamente che: "non
esiste l'etica". L'etica esiste non fosse altro che per il solo fatto di essere pensata. Ciò che dico è che non esiste
un'etica "universalmente valida", per cui la "violazione" non può essere tale se non intesa come comportamento non
conforme a quelle che sono le usanze in vigore entro una certa cultura che "una certa" etica esprime.
Beh, la ricerca dell'utile e del piacere individuali come "scoperta dell'acqua calda" fino a un certo punto.
Per me quello è il "motore primo", l'autentico universale necessariamente presente in ogni essere umano, l'assoluto
della forma che contrasta con il relativo del contenuto. Boh, un qualche interesse mi parrebbe averlo...
Sulla scena dell'uccisione del serpente ritornano infatti le considerazioni or ora fatte.
Come possono due persone che condividono le medesime radici culturali avere un'idea della moralità cosi diversa?
Bah, forse sarò io troppo immerso in certe considerazioni, ma ti confesso che quella scena mi ha letteralmente
inorridito (e non che fossi inconsapevole del fatto che si trattasse di un serpemte e non di una persona...)
Ma veniamo all'altro argomento.
Chiaramente c'è una abissale differenza fra il pensiero di una cosa reale ed una di una cosa immaginifica.
Dal mio punto di vista AL pensiero di una cosa reale (fenomeno) sottende la cosa stessa (cosa in sè). Al
pensiero di una cosa immaginifica non sottende nessuna cosa in sè, per cui a rigor di logica neppure potremmo
chiamare "fenomeno" questo pensiero.
Eppure questo pensiero "esiste" (seppur questo verbo è inadatto a definire questo "esserci", dunque mi riferirò
ad esso con il termine levinasiano di "c'è"). E fin qui, se non erro, siamo d'accordo.
Il successivo passo che ti propongo è il seguente: se questo pensiero "c'è", allora questo pensiero possiede un
"essere", cioè dev'essere riferito ad un oggetto nel medesimo modo cui vi è riferito il pensiero di un qualcosa di
reale (dicevo: "deve essere riferito ad un qualcosa che io assumo "artificiosamente" come un assoluto, come un oggetto
- sapendolo non tale").
In questo consiste il "livello" di cui dicevo, nel quale non ha nessuna importanza che il pensiero sia o meno riferito
ad un qualcosa di sensibile ("cosa c'è di comune fra le cose corporee e quelle incorporee, dal momento che di entrambe
si dice che sono?", chiede Platone).
La distinzione fra quella che chiami "inseità" del pensiero riferito ad una cosa reale e la "non-inseità" del pensiero
riferito ad una cosa immaginifica risiede NON NEL LINGUAGGIO (che dice che entrambe "sono"), ma appunto nella
consapevolezza dell'"assunzione artificiosa" del riferimento ad un oggetto che IN REALTA' "non c'è".
Si tratta in fondo di essere semplicemente consapevoli che l'oggetto cui il segno si riferisce in realtà non c'è (cioè
c'è il segno ma non l'oggetto).
saluti

0xdeadbeef

#97
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 15:50:13 PMCARLO
Infatti non è la prima volta che sottolineo la cattiva abitudine di Popper di sparare cazzate. La scienza ci ha regalato migliaia di verità inconfutabili, e quello che dice Popper, se mai, è valito solo se per "verità" si intende l'onniscienza.

OXDEADBEEF
E ti ripeto ancora una volta: a me sembra che la moderna concezione di "scienza" dia ragione ad una tale tesi, visto
che la scienza odierna (odierna nel senso di post-relatività) parla del sapere come di un sapere "probabile".

CARLO
Infatti è "probabile" anche l'affermazione di un sapere necessariamente probabile. La scienza ha solo tre secoli d'età, cioè, è poco più di una bambina. E non sta scritto da nessuna parte che ciò che oggi appare probabile non sia tale per l'inadeguatezza dei paradigmi interpretativi oggi in uso nella Scienza.




Queste poche parole bastano e avanzano per capire come tu ragioni.
saluti
PS
Giusto per curiosità: e quale sarebbe la data di nascita della scienza? Visto che essa ha solo tre secoli dovresti ricordartene...

Carlo Pierini

Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:18:48 PM
Chiuderei la, per così dire, "prima fase" del ragionamento con queste considerazioni: non dico certamente che: "non
esiste l'etica". L'etica esiste non fosse altro che per il solo fatto di essere pensata.
CARLO
Non esiste cultura - dalle più antiche alle più moderne, dalle tribù sperdute nella giungla alle civiltà più avanzate - che non si ponga il problema morale. L'etica, cioè, si manifesta come un vero e proprio istinto, per quanto abbia bisogno di una coscienza particolarmente evoluta per svilupparsi come "sistema di diritto" nelle sue infinite e complesse implicazioni sociali.
Basta questa sola constatazione per smentire la superficialità relativista che la considera come qualcosa di accidentale, o come una sovrastruttura imposta da ...chissà chi.

Carlo Pierini

Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:30:05 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 15:50:13 PMCARLO
Infatti non è la prima volta che sottolineo la cattiva abitudine di Popper di sparare cazzate. La scienza ci ha regalato migliaia di verità inconfutabili, e quello che dice Popper, se mai, è valito solo se per "verità" si intende l'onniscienza.

OXDEADBEEF
E ti ripeto ancora una volta: a me sembra che la moderna concezione di "scienza" dia ragione ad una tale tesi, visto
che la scienza odierna (odierna nel senso di post-relatività) parla del sapere come di un sapere "probabile".

CARLO
Infatti è "probabile" anche l'affermazione di un sapere necessariamente probabile. La scienza ha solo tre secoli d'età, cioè, è poco più di una bambina. E non sta scritto da nessuna parte che ciò che oggi appare probabile non sia tale per l'inadeguatezza dei paradigmi interpretativi oggi in uso nella Scienza.

OXDEADBEEF
Queste poche parole bastano e avanzano per capire come tu ragioni.
saluti
PS
Giusto per curiosità: e quale sarebbe la data di nascita della scienza? Visto che essa ha solo tre secoli dovresti ricordartene...

CARLO
Una domanda sciocca come questa basta e avanza per capire come ragioni tu.

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:18:48 PM
A Sgiombo
Chiuderei la, per così dire, "prima fase" del ragionamento con queste considerazioni: non dico certamente che: "non
esiste l'etica". L'etica esiste non fosse altro che per il solo fatto di essere pensata.
CitazioneNO, per me di fatto nelle tendenze comportamentali umane l' etica esiste nel senso in cui esistono i cavalli, non nel senso in cui esistono (i meri pensieri degli) ippogrifi.



Ciò che dico è che non esiste
un'etica "universalmente valida", per cui la "violazione" non può essere tale se non intesa come comportamento non
conforme a quelle che sono le usanze in vigore entro una certa cultura che "una certa" etica esprime.
CitazioneE a questo punto credo che non possiamo che constatare il reciproco disaccordo in proposito.



Beh, la ricerca dell'utile e del piacere individuali come "scoperta dell'acqua calda" fino a un certo punto.
Per me quello è il "motore primo", l'autentico universale necessariamente presente in ogni essere umano, l'assoluto
della forma che contrasta con il relativo del contenuto. Boh, un qualche interesse mi parrebbe averlo...
CitazioneMa questo significa unicamente una cosa che io trovo di una banalità pazzesca:

Che ognuno é contento se (nella misura in cui) ottiene ciò che desidera (qualsiasi cosa sia), scontento se (nella misura in cui) non lo ottiene., che ognuno desidera ciò che desidera (che può essere costituito da aspirazioni di una diversità reciproca infinita, reciprocamente contrarissime).



Sulla scena dell'uccisione del serpente ritornano infatti le considerazioni or ora fatte.
Come possono due persone che condividono le medesime radici culturali avere un'idea della moralità cosi diversa?
Bah, forse sarò io troppo immerso in certe considerazioni, ma ti confesso che quella scena mi ha letteralmente
inorridito (e non che fossi inconsapevole del fatto che si trattasse di un serpemte e non di una persona...)
CitazioneMa da quando in qua, anzi, quando mai i comportamenti umano sarebbero stati uniformi?

Da una parte gli imperativi etici universali e generalissimi sono in parte diversamente declinati secondo i diversi condizionamenti sociali (sono sempre un seguace del materialismo storico), dall' altra del tutto ovviamente possono essere violati e spesso e volentieri di fatto lo sono.
E allora?
Dove mai starebbe il problema?



Ma veniamo all'altro argomento.
Chiaramente c'è una abissale differenza fra il pensiero di una cosa reale ed una di una cosa immaginifica.
Dal mio punto di vista AL pensiero di una cosa reale (fenomeno) sottende la cosa stessa (cosa in sè). Al
pensiero di una cosa immaginifica non sottende nessuna cosa in sè, per cui a rigor di logica neppure potremmo
chiamare "fenomeno" questo pensiero.
CitazioneE perché mai?
Il pensiero, se c' é, é "contenuto di coscienza", "cosa sentita, percepita coscientemente", ergo: (insiemi-successioni di) fenomeni.
Né più né meno delle cose materiali.



Eppure questo pensiero "esiste" (seppur questo verbo è inadatto a definire questo "esserci", dunque mi riferirò
ad esso con il termine levinasiano di "c'è"). E fin qui, se non erro, siamo d'accordo.
Il successivo passo che ti propongo è il seguente: se questo pensiero "c'è", allora questo pensiero possiede un
"essere", cioè dev'essere riferito ad un oggetto nel medesimo modo cui vi è riferito il pensiero di un qualcosa di
reale (dicevo: "deve essere riferito ad un qualcosa che io assumo "artificiosamente" come un assoluto, come un oggetto
- sapendolo non tale").
CitazioneCome esiste (non é dimostrabile né tantomeno mostrabile ma lo credo onde spiegarmi molte cose...) un cosa in sé corrispondente alla reale visione fenomenica** di un cavallo, così esiste una (ben diversa!) cosa in sé corrispondente al reale pensiero** di un ippogrifo (e non al non reale ippogrifo): la cosa in sé corrispondente al cavallo reale é l' oggetto della visione (coesistente col soggetto che vede il cavallo, il quale soggetto é caratterizzato da -nel quale accadono- eventi corrispondenti a determinati eventi neurofisiologici cerebrali fenomenici, reali nelle esperienze* di soggetti della visione di esso - cervello), mente la cosa in sé corrispondente al pensiero dell' irreale ippogrifo** é solo l' insieme degli eventi nell' ambito del suo soggetto corrispondenti a determinati altri eventi neurofisiologici cerebrali fenomenici, reali nelle esperienze* di soggetti della visione di esso, senza inoltre (al contrario el caso del cavallo reale) alcuna reale cosa in sé che sia l' oggetto -delle sensazioni- del pensiero dell' ippogrifo).



In questo consiste il "livello" di cui dicevo, nel quale non ha nessuna importanza che il pensiero sia o meno riferito
ad un qualcosa di sensibile ("cosa c'è di comune fra le cose corporee e quelle incorporee, dal momento che di entrambe
si dice che sono?", chiede Platone).
CitazioneEntrambe sono, ma alla visione (fenomenica) di un cavallo reale corrisponde l' esistenza reale di qualcosa in sé che ne é l' oggetto, oltre che a determinati eventi in sé nel soggetto della visione; invece al pensiero (altrettanto fenomenico) di un ippogrifo immaginario corrisponde soltanto l' esistenza reale di determinati eventi in sé nel soggetto del pensiero, ma di niente di reale in sé che ne sia l' oggetto.


La distinzione fra quella che chiami "inseità" del pensiero riferito ad una cosa reale e la "non-inseità" del pensiero
riferito ad una cosa immaginifica risiede NON NEL LINGUAGGIO (che dice che entrambe "sono"), ma appunto nella
consapevolezza dell'"assunzione artificiosa" del riferimento ad un oggetto che IN REALTA' "non c'è".
Si tratta in fondo di essere semplicemente consapevoli che l'oggetto cui il segno si riferisce in realtà non c'è (cioè
c'è il segno ma non l'oggetto).
CitazioneSì, ma volevo chiarire che diversa da questa dell' oggetto reale del pensiero (se e quando c' é) rispetto al pensiero stesso (magari -a volte- privo di oggetto reale) é la questione dell' "inseità" ("noumenica") dell' oggetto della sensazione (reale) rispetto alla "non-inseità" (ma "fenomenicità") della sensazione stessa e dei suoi contenuti (di ciò che la costituisce), dei quali l' "esse est pericipi".

0xdeadbeef

Citazione di: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 21:18:05 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:30:05 PM

OXDEADBEEF
Queste poche parole bastano e avanzano per capire come tu ragioni.
saluti
PS
Giusto per curiosità: e quale sarebbe la data di nascita della scienza? Visto che essa ha solo tre secoli dovresti ricordartene...

CARLO
Una domanda sciocca come questa basta e avanza per capire come ragioni tu.
Ne ho un'altra ancora più sciocca: come mai, dopo questa affermazione: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare",
non metti Einstein nella tua affollatissima (Kant, Nietzsche, Popper...) hall of fame degli "sparacazzate"?
saluti

Carlo Pierini

Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Luglio 2018, 16:08:19 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 21:18:05 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:30:05 PM

OXDEADBEEF
Queste poche parole bastano e avanzano per capire come tu ragioni.
saluti
PS
Giusto per curiosità: e quale sarebbe la data di nascita della scienza? Visto che essa ha solo tre secoli dovresti ricordartene...
CARLO
Una domanda sciocca come questa basta e avanza per capire come ragioni tu.

OXDEADBEEF
Ne ho un'altra ancora più sciocca: come mai, dopo questa affermazione: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare",
non metti Einstein nella tua affollatissima (Kant, Nietzsche, Popper...) hall of fame degli "sparacazzate"?
CARLO
Non ce lo metto perché lui sa bene - al contrario di te - che, poi, è ciò che osserviamo a decretare la verità o la falsità della teoria.

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 22 Luglio 2018, 22:00:50 PM
CitazioneSì, ma volevo chiarire che diversa da questa dell' oggetto reale del pensiero (se e quando c' é) rispetto al pensiero stesso (magari -a volte- privo di oggetto reale) é la questione dell' "inseità" ("noumenica") dell' oggetto della sensazione (reale) rispetto alla "non-inseità" (ma "fenomenicità") della sensazione stessa e dei suoi contenuti (di ciò che la costituisce), dei quali l' "esse est pericipi".

Stai in altre parole dicendo che "c'è" un pensiero dell'ippogrifo in sè...
Sono d'accordo, certo per estensione il concetto di "cosa in sè" può venir riferito anche ad un pensiero. Però il prendere
questo alla lettera può avere conseguenze "pesanti", ed è bene esserne consapevoli (ad esempio può portare a ritenere
reale qualunque pensiero, come nella cosiddetta "prova ontologica" di S.Anselmo sull'esistenza di Dio).
Il pensiero dell'ippogrifo può ad esempio assumere una "inseità" nel momento in cui esso è "comunicabile" (nel senso in
cui è comunicabile il "bello" nella Critica del Giudizio di Kant), per cui una immagine distorta dell'ippogrifo può
essere detta non corrispondente all'ippogrifo in sè - all'ippogrifo così come è da tutti inteso, insomma. Però, dicevo,
è bene essere a mio parere consapevoli che vi è una profonda differenza fra il pensiero di una cosa reale ed il pensiero
di una cosa immaginifica.
Come dicevo, per me la "chiave" per capire la differenza risiede proprio nella consapevolezza (della differenza).
Mi sembra del resto che anche tu rimarchi chiaramente la differenza, solo che non riesco a capire "dove", in quale punto,
tu poni, diciamo, l'importanza del sottolineare questa differenza.
saluti

Carlo Pierini

#104
OXDEADBEEF
Stai dicendo che "c'è" un pensiero dell'ippogrifo in sè...?

CARLO
Che differenza c'è tra un pensiero ozioso e un pensiero significativo? La differenza sta ne fatto che il primo è solo un pensiero, un nome, una possibilità astratta di esistenza (il pensiero è "magico" proprio perché può concepire persino delle immagini pure, dei "fantasmata" che non si riferiscono a nulla di esistente), mentre è significativo il pensiero o il nome DI qualcosa, di una entità (fisica o metafisica che sia) che può manifestarsi alla nostra percezione soggettiva, alla nostra esperienza, in modo tale da essere distinguibile dalla percezione stessa (il pensiero ozioso è indistinguibile dalla percezione del pensiero ozioso).
Potremmo dire, cioè, che l'ippogrifo è un significante puro privo di significato, un pensiero ozioso, un nome immaginario come lo sono il "frattice striato", la "birottarda", la "supercazzola" o "l'in sé" kantiano; a meno che non si riferisca a qualcosa che possa manifestarsi alla nostra percezione cosciente come "ALTRO" da essa, come qualcosa che mostra delle proprietà indipendenti da essa.
Infatti, l'ippogrifo, a differenza della supercazzola e della birottarda, è un simbolo, cioè un significante che trova il suo significato in una certa possibile attività dell'anima umana: quella che permette all'Io di ricongiungersi con dei contenuti rimossi e inabissati nell'inconscio (il volo dell'Ippogrifo fino alla Luna per il recupero del "senno perduto" di Orlando).

Quindi "Ippogrifo" è un pensiero ozioso se riferito ad una specie appartenente al regno animale, mentre è un pensiero significativo se inteso come simbolo, come metafora di una facoltà dell'anima umana.

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