La volontà di potenza da un altro punto di vista

Aperto da 0xdeadbeef, 13 Luglio 2018, 10:29:25 AM

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0xdeadbeef

Citazione di: Lou il 16 Luglio 2018, 21:05:21 PM
Ma per Nietzsche e Spinoza stesso non ritengo proprio sia così, viene prima la polis dell'individuo, è inimmaginabile una vdp individualistica posta in questi termini, se non in senso reattivo. Se me lo consenti, nè per l'uno, nè per l'altro. La realtà non è individuale.


Come affermo nella precedente risposta a Kobayashi, contesto questa tesi delle forze "attive" e "reattive" (la contesto
sulla base, dicevo in precedenza, degli studi dello psicologo nietzscheiano A.Adler, che individua la volontà di potenza
anche nel masochista, nel suicida o nel malato psichico).
Dal mio punto di vista è chiaro che l'"oltreuomo", nella sua "nobiltà", vitalità etc. è solo un residuo idealistico se
non proprio metafisico (anzi, direi che lo è decisamente...), e che la realtà è molto più elementare e meschina.
Che vuol dire: "la realtà non è individuale" (come che vuol dire che per Nietzsche viene prima la polis)?
Sto semplicemente dicendo che la filosofia anglosassone, nella sua tradizione classica, vede il "Bene" in maniera
soggettiva, e cioè come ricerca dell'utile e del piacere individuali (contro una tradizione europeo-continentale
che invece lo vede, il "Bene", in maniera oggettiva, cioè come "in sè").
E che Nietzsche, nel momento in cui distrugge quell'"in sè", distrugge anche l'idea europeo-continentale del "Bene".
PER CUI, visto che non è certo pensabile che Nietzsche possa riprendere PER INTERO l'idea anglosassone del Bene (con
annessi e connessi "orologiai", mani invisibili e divinità varie...), chiedevo cosa restasse.
Si pensa davvero possa restare l'idea di un "oltreuomo" nobile e, diciamo, dalle mille virtù?
Oppure si può pensare che resti una realtà elementare e meschina, come dicevo, che vede l'agire umano come rivolto solo
e sempre al perseguimento del proprio utile e piacere?
Non a caso dicevo appunto fin dall'inizio che avrei cercato di proporre un Nietzsche diverso, appunto "da un altro punto di vista"...
saluti

Carlo Pierini

#61
Citazione di: 0xdeadbeef il 18 Luglio 2018, 16:44:57 PM
Citazione di: Lou il 16 Luglio 2018, 21:05:21 PMMa per Nietzsche e Spinoza stesso non ritengo proprio sia così, viene prima la polis dell'individuo, è inimmaginabile una vdp individualistica posta in questi termini, se non in senso reattivo. Se me lo consenti, nè per l'uno, nè per l'altro. La realtà non è individuale.
OXDEADBEEF
Come affermo nella precedente risposta a Kobayashi, contesto questa tesi delle forze "attive" e "reattive" (la contesto
sulla base, dicevo in precedenza, degli studi dello psicologo nietzscheiano A. Adler, che individua la volontà di potenza
anche nel masochista, nel suicida o nel malato psichico).

CARLO
Infatti, avevo risposto a Kobayashi:

- Dal punto di vista spiritualista la forza attiva è lo Spirito e la reattiva è la Materia, la "carne". Infatti il "nichilismo" spiritualista consisteva in una svalutazione della Materia che spesso rasentava la negazione (la materia identificata con il "Male"; e in certe concezioni orientali considerata come "maya", illusione).

- Dal punto di vista materialista, invece, la forza attiva è la Materia, l'istintualità, la Natura orgiastico-dionisiaca, mentre la spiritualità è "illusione", resistenza passiva da sottomettere, da "annichilire".

In realtà Spirito e Materia sono ENTRAMBE forze attive, le due polarità dell'Essere; e la soluzione non consiste nel sacrificare l'una sull'altare dell'altra (mutilando comunque una delle due "potenze" dell'anima), ma consiste nell'impresa (davvero eroica) di armonizzarle-complementarizzarle in una unità superiore che elevi entrambe al loro massimo compimento, alla loro più alta espressione.
QUESTO è il vero Super-Uomo, non la "scimmia" nietzschiana che, "ingoiando" Dio, gonfia smisuratamente il proprio ego soggettivo e considera tutti gli altri come oggetti da sottomettere e immolare alla propria ipertrofica "volontà di potenza".

Scrive Jung:
<<Sia la teoria freudiana che quella adleriana vanno disapprovate non in quanto psicologia degli istinti, ma in quanto unilaterali. È psicologia senza psiche, che conviene a chi crede di non avere aspirazioni o necessità spirituali. [...] Anche se queste teorie rendono giustizia alla psicologia delle nevrosi in misura infinitamente maggiore di quanto abbia fatto qualunque concezione medica precedente, il loro limitarsi a ciò che è istintuale non soddisfa le necessità più profonde>>.  [JUNG:Psicologia e religione - pg.313]

Lou

#62
Citazione di: 0xdeadbeef il 18 Luglio 2018, 16:44:57 PM
Citazione di: Lou il 16 Luglio 2018, 21:05:21 PM
Ma per Nietzsche e Spinoza stesso non ritengo proprio sia così, viene prima la polis dell'individuo, è inimmaginabile una vdp individualistica posta in questi termini, se non in senso reattivo. Se me lo consenti, nè per l'uno, nè per l'altro. La realtà non è individuale.


Come affermo nella precedente risposta a Kobayashi, contesto questa tesi delle forze "attive" e "reattive" (la contesto
sulla base, dicevo in precedenza, degli studi dello psicologo nietzscheiano A.Adler, che individua la volontà di potenza
anche nel masochista, nel suicida o nel malato psichico).
Dal mio punto di vista è chiaro che l'"oltreuomo", nella sua "nobiltà", vitalità etc. è solo un residuo idealistico se
non proprio metafisico (anzi, direi che lo è decisamente...), e che la realtà è molto più elementare e meschina.
Che vuol dire: "la realtà non è individuale" (come che vuol dire che per Nietzsche viene prima la polis)?
Sto semplicemente dicendo che la filosofia anglosassone, nella sua tradizione classica, vede il "Bene" in maniera
soggettiva, e cioè come ricerca dell'utile e del piacere individuali (contro una tradizione europeo-continentale
che invece lo vede, il "Bene", in maniera oggettiva, cioè come "in sè").
E che Nietzsche, nel momento in cui distrugge quell'"in sè", distrugge anche l'idea europeo-continentale del "Bene".
PER CUI, visto che non è certo pensabile che Nietzsche possa riprendere PER INTERO l'idea anglosassone del Bene (con
annessi e connessi "orologiai", mani invisibili e divinità varie...), chiedevo cosa restasse.
Si pensa davvero possa restare l'idea di un "oltreuomo" nobile e, diciamo, dalle mille virtù?
Oppure si può pensare che resti una realtà elementare e meschina, come dicevo, che vede l'agire umano come rivolto solo
e sempre al perseguimento del proprio utile e piacere?
Non a caso dicevo appunto fin dall'inizio che avrei cercato di proporre un Nietzsche diverso, appunto "da un altro punto di vista"...
saluti
A grandi linee, pur non conoscendo in modo approfondito Adler, la tesi delle forze attive e reattive* non la vedo smentita nel fatto di considerare, ad esempio il gesto suicida che è un gesto assai potente, retto da vdp. Detto ciò, dovrei studiare Adler, quindi prendila così. (* per altro verso è coerente pure con la disanima nietzschiana del nichilismo attivo e passivo)
Che viene prima la polis significa che, poichè il punto di vista sulla Vdp che presenti lo trovo parecchio individualista, ecco vorrei rimarcare che la Vdp la trovo assai latrice di pluralità e differenza e socialità - la creazione di valori non ricerca il proprio utile, ma afferma una differente visione della società umana - più che una componente che muove alla ricerca del proprio utile e del proprio piacere.
Sul resto mi riservo di rifletterci, la carne al fuoco è tanta.
Ciao^^
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 17 Luglio 2018, 16:50:20 PM
Citazione di: sgiombo il 16 Luglio 2018, 19:30:33 PMScusa, Mauro, per il ritardo della risposta; questo tuo intervento mi era sfuggito.
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Luglio 2018, 17:15:33 PM
Citazione
No, non le equipara affatto (il piacere e l'utile di Madre Teresa di aiutare i poveri e i sofferenti non può inalcun modo essere equiparato al piacere e utile di Hitler di sterminare gli Ebrei, è ovvio).

CitazioneNon credo abbia importanza per la presente discussione, ma non posso esimermi dal dire che ritengo Madre Teresa una perfida malfattrice.
Essa ha seminato miseria e infelicità a piene mani insegnando alle povere donne indiane a non praticare il controllo delle nascite e dunque ad esacerbare e trasmettere ai loro figli la miseria in cui non per colpa loro vivevano, in questo facendo perfidamente leva sulla fiducia che otteneva elargendo loro elemosine coi soldi sporchissimi del Vaticano & banda della Magliana (le briciole avanzate dopo ever finanziato Solidarnosc e pagato gli scioperanti controrivoluzionari polacchi per mesi e mesi più di quanto avrebbero onestamente guadagnato andando a lavorare ...comodo scioperare in questo modo! Ma poi hanno avuto le conseguenze che si meritavano...).
Inoltre, dopo aver usato (invano: tié brutta reazionaria di mmmerda!) la sua autorità per convincere le donne "comuni" irlandesi a votare al referendum contro il divorzio, ha pubblicamente dichiarato che quell' altra miserabile parassita che ancora rompe i coglioni decenni dopo essere morta della principessa Diana aveva fatto benissimo a separarsi dal marito e convivere more uxorio con un' amante: poverina, era infelice (che le proletarie irlandesi invece subissero qualsiasi prepotenza e oltraggio dai rispettivi mariti, che tanto non avevano il sangue blu!).

Davvero un individuo schifoso che penso Dante avrebbe debitamente collocato ben giù nell' inferno in compagnia del suo degno compare "santo subito GP2" (che io resto convinto fino a prova contraria -che il Vaticano, a costo di un' impopolarità e diffidenza crescente anche da parte dei fedeli, chissà perché persiste a guardarsi bene dal dare! Evidentemente lo scheletro nell' armadio é "di grossissima, enorme taglia"!- abbia -fra gli innumerevoli altri misfatti- violentato e fatto ammazzare Emanuela Orlandi).



Ma, ti chiedo, cos'è che allora differenzia i due diversi modi di perseguire il proprio piacere?
Sulla risposta a questa domanda a parer mio torna quella parolina: "Bene", cui la filosofia anglosassone afferma
consistere la ricerca del piacere e dell'utile individuali.
Non è chiaramente (almeno per me ) così come affermato dagli anglosassoni. La teoria soggettiva del Bene mostra tutti
i suoi limiti laddove costretta ad inventarsi un qualcosa di francamente grottesco, come l'affermazione che Dio, "poi",
regolerà al meglio e a vantaggio di tutti questi impulsi individuali al piacere (come del resto nella teoria della "mano
invisibile" di Smith, vero e proprio fondamento assoluto di tutta la teoria economica neoclassica).

CitazioneGli "anglosassoni" sono molti e fra loro assai diversi.
Mi sembra evidente che Hume (fatta la tara delle autocensure: non aveva, fra i suoi comunque enormi pregi, la tempra dell' eroe) non credesse in Dio e nella provvidenza; certo era un uomo del suo tempo, socialmente privilegiato, e ingenuamente credeva che la società in cui viveva fosse la migliore possibile e destinata a migliorarsi indefinitamente.
Quasi lo stesso credo possa dirsi di Stuart Mill.
Ma già per esempio Russell, pur con tutti i suoi limiti di riformista (comunque autentico e conseguente) in campo sociale e politico, era per la socializzazione dell' economia.

Comunque non c' é alcun bisogno di credere in Dio né in alcuna "mano invisibile" per avvertire in se stessi e notare universalmente di fatto in tutti gli uomini (in conseguenza de tutto naturale e quasi ovvia dell' evoluzione biologica) gli imperativi morali della compassione (in senso letterale: condivisione delle passioni, dolorose e penose come piacevoli e felici) degli altri, della generosità, altruismo, magnanimità, ecc.



Si rende allora necessario un recupero della teoria "oggettiva" del Bene (quella classica dell'Europa continentale); una
teoria che giudica "buono" un agire SE conforme ad un'idea del Bene che è "data" come "oggetto".
Ecco allora che la ricerca del piacere e dell'utile di Madre Teresa apparirà come "buona", appunto perchè conforme
ad un'idea del "Bene in sè" (e viceversa per Hitler).

Dal punto di vista di Nietzsche però il problema è che questa idea oggettiva del Bene viene rimossa (laddove viene
dichiarato, con Dio, "morto" il valore morale). E ciò che allora rimane non è certo l'eco "eroica" e pateticamente
romantica dell'"oltreuomo", ma la meschinità e il grottesco della visione anglosassone.
saluti
(come vedi sono ancora kantiano...)


CitazioneMa il senso del bene soggettivo eppure di fatto universalmente diffuso -nelle sue tensioni più generali e astratte- é più che sufficiente per una buona condotta umana, senza bisogno di alcun impossibile bene oggettivamente dimostrabile come tale.



0xdeadbeef

Dice Kobayashi nel primo intervento in cui parla di Deleuze:

"Il concetto di forza. Ci sono forze attive, che tendono alla propria affermazione (che godono della differenza rispetto alle
altre forze), e reattive, che si oppongono alle prime.
La volontà di potenza è l'elemento genealogico delle forze. Ossia, è ciò che produce la differenza di quantità di due o
più forze che sono in rapporto, ed è ciò che determina la qualità di ciascuna forza.
Le forze, in base alla loro quantità, possono essere dominanti o dominate.
In base alla loro qualità, attive o reattive.
C'è volontà di potenza sia nella forza attiva che in quella reattiva.
Quindi in N. c'è un'opera di ricerca di ciò che si muove sotto un certo fenomeno e che determina il valore di esso (il lavoro
genealogico), e nello stesso tempo un'opera creativa che mira a favorire la liberazione delle forze che affermano, le forze
vitali, attive, nobili".

Ora, non ho mai letto nulla di Deleuze su questa questione, quindi mi baso sulle poche righe riportateci da Kobayashi.
Detto ciò, da quel che leggo a me questa questione delle forze "attive" e "reattive" sembra molto, come dire, "artificiosa".
Se il movente primo dell'agire umano è la ricerca dell'utile e del piacere (come io sostengo sulla base di quanto afferma la
tradizione filosofica anglosassone), allora tale distinzione è INNANZITUTTO valoriale.
Insomma, chi dice cos'è "attivo" e cos'è "reattivo"? Così, a naso, mi sembrerebbe proprio si stia sostenendo che le forze
"attive" sono quelle che, ove siano in quantità maggiore delle "reattive", conducono alle "nobili virtù" dell'oltreuomo...
Non solo, ma come si fa a dire che vi è volontà di potenza anche nelle forze "reattive" (presumibilmente quelle che si
OPPONGONO alle suddette nobili virtù) e poi per così dire "squalificare" tali forze?
Su quali basi avvengono questi giudizi di valore?
Perchè mi sembrerebbe oltremodo evidente che si sta parlando di giudizi di valore; e però questi giudizi non possono
essere certo espressi su una base, diciamo, "nietzscheiana" (la filosofia di Nietzsche semmai distrugge il giudizio di valore).
Perchè se questa interpretazione di Deleuze (e diciamo pure anche l'originario pensiero di Nietzsche) fosse plausibile la
volontà di potenza si porrebbe, essa, come l'"in sè" originario, come il "movente non-valoriale" che non distingue perchè non
può distinguere (dicevo: su quale base) fra le sue molteplici attuazioni.
Bah, attendiamo se Kobayashi ha da dirci qualcosa di più preciso.
saluti

Carlo Pierini

Citazione di: 0xdeadbeef il 18 Luglio 2018, 20:15:37 PM
Dice Kobayashi nel primo intervento in cui parla di Deleuze:

"Il concetto di forza. Ci sono forze attive, che tendono alla propria affermazione (che godono della differenza rispetto alle
altre forze), e reattive, che si oppongono alle prime.
La volontà di potenza è l'elemento genealogico delle forze. Ossia, è ciò che produce la differenza di quantità di due o
più forze che sono in rapporto, ed è ciò che determina la qualità di ciascuna forza.
Le forze, in base alla loro quantità, possono essere dominanti o dominate.
In base alla loro qualità, attive o reattive.
C'è volontà di potenza sia nella forza attiva che in quella reattiva.
Quindi in N. c'è un'opera di ricerca di ciò che si muove sotto un certo fenomeno e che determina il valore di esso (il lavoro
genealogico), e nello stesso tempo un'opera creativa che mira a favorire la liberazione delle forze che affermano, le forze
vitali, attive, nobili".

Ora, non ho mai letto nulla di Deleuze su questa questione, quindi mi baso sulle poche righe riportateci da Kobayashi.
Detto ciò, da quel che leggo a me questa questione delle forze "attive" e "reattive" sembra molto, come dire, "artificiosa".
Se il movente primo dell'agire umano è la ricerca dell'utile e del piacere (come io sostengo sulla base di quanto afferma la
tradizione filosofica anglosassone), allora tale distinzione è INNANZITUTTO valoriale.
Insomma, chi dice cos'è "attivo" e cos'è "reattivo"? Così, a naso, mi sembrerebbe proprio si stia sostenendo che le forze
"attive" sono quelle che, ove siano in quantità maggiore delle "reattive", conducono alle "nobili virtù" dell'oltreuomo...
Non solo, ma come si fa a dire che vi è volontà di potenza anche nelle forze "reattive" (presumibilmente quelle che si
OPPONGONO alle suddette nobili virtù) e poi per così dire "squalificare" tali forze?
Su quali basi avvengono questi giudizi di valore?
Perchè mi sembrerebbe oltremodo evidente che si sta parlando di giudizi di valore; e però questi giudizi non possono
essere certo espressi su una base, diciamo, "nietzscheiana" (la filosofia di Nietzsche semmai distrugge il giudizio di valore).
Perchè se questa interpretazione di Deleuze (e diciamo pure anche l'originario pensiero di Nietzsche) fosse plausibile la
volontà di potenza si porrebbe, essa, come l'"in sè" originario, come il "movente non-valoriale" che non distingue perchè non
può distinguere (dicevo: su quale base) fra le sue molteplici attuazioni.
Bah, attendiamo se Kobayashi ha da dirci qualcosa di più preciso.
saluti

CARLO
Ci sono due modi per non dire nulla: stare in silenzio, oppure lanciarsi in lunghi e prolissi comizi senza rispondere ad alcuna obiezione.

sgiombo

C' é a mio parere un gigante misconosciuto della filosofia in generale e dell' etica in particolare, che con la grandezza e la autentica genialità del suo pensiero, della sua vita e della sua morte annichilisce completamente Nietzche facendone risaltare la miserabile meschinità l' infima piccolezza teorica e probabilmente umana (e scandalizzatevi pure, politicamente corretti del nichilismo!).

Si tratta si Severino Boezio, che affrontando con straordinaria dignità l' ingiusta morte, non già dalla religione, pur essendo credente cristiano "al di sopra di ogni sospetto", ma invece dalla filosofia (sostanzialmente stoica) fu "consolato".

Dio era vivissimo, potentissimo, venerato e adorato da tutti, allora, e in particolare da lui stesso, ma non affatto Dio (non la religione cristiana, in cui pur credeva), bensì il -verrebbe da dire col linguaggio di oggi: quindici secoli dopo!- laicissimo libero pensiero (e i sentimenti) umano, l' umanità destituiva e destituisce di ogni fondamento l' ingiusta (e infame) pretesa che tutto sia "lecito".

Nella splendida opera che ne é il testamento di vita e di scienza, per l' appunto la Consolazione della filosofia, afferma con una fermezza resa assolutamente granitica dalle  drammatiche circostanze in cui scrive che anche se per assurdo inferno e paradiso non esistessero e la morte fosse la fine assoluta e senza alcun genere di prosecuzione della vita di ciascuno (= anche se in futuro "Dio dovesse morire" = checché potranno mai dirne un giorno "gli anglosassoni" o chiunque altro), per l' uomo il bene resta il fine cui tendere e il male ciò che va rifuggito per il semplice fatto che:

"La virtù é premio a se stessa" (e non ha alcun bisogno di paradisi di alcun genere; nè il vizio di inferni).

Lezione fatta propria anche da un' altro grandissimo senz' ombra i dubbio credente:

"Lo corpo ond' ella fu cacciata giace
giuso in Celdauro, ed essa da martiro
e da esiglio venne a questa pace!".

Abitando poco distante da Pavia sono andato alla splendida basilica di san Pietro in Ciel d' oro a rendere omaggio a questo grandissimo, e  credo che ci tornerò, specialmente se dovessi aver bisogno di aiuto e di conforto di fronte a difficili prove che la vita mi proponesse.

Sariputra

"Penso dunque che agli uomini giovi la sorte avversa più di quella prospera: questa, infatti, mostrandosi lusinghiera, inganna sempre con la parvenza della felicità, l'altra è sempre veritiera, mostrando la sua instabilità e la sua mutevolezza."
Anicio Manlio Severino Boezio


cit.Sgiombo
"La virtù é premio a se stessa" (e non ha alcun bisogno di paradisi di alcun genere; nè il vizio di inferni).


Concordo. Penso che non si tratta di stabilire a priori  degli imperativi, empirici o categorici, ma di sperimentare nella propria vita quali siano i vantaggi reali, concreti di un comportamento guidato dalla virtude. Se sostituiamo i termini "bene" e "male", che vengono percepiti dall'uomo moderno come carichi di valenza metafisica ( e perciò rifiutati...) con "effetti salutari" e "nocivi", sottolineiamo che un comportamento immorale non è tale perché va contro delle norme, ma perché è dannoso a se stessi, agli altri, a entrambi. A sua volta un comportamento morale è tale non perché obbedisce a norme o in funzione di un ipotetico premio 'divino', ma perché risulta benefico a se stessi, agli altri, a entrambi.
Se poi , come base di sotegno a questa virtù, inquadriamo il tutto nella consapevolezza del carattere di totale interdipendenza dei fenomeni e della loro impermanenza possiamo trovare risposta adeguata  pure all'obiezione: "Che possiamo dire di un'azione che è virtuosa per me nella misura in cui è dannosa per altri?"...
Infatti l'esperienza e la pratica di queste due qualità del reale, dovrebbero condurre allo sfaldamento del concetto di "io" separati. Il "mio" interesse non sarebbe in questo modo sempre e soltanto "mio", così come quello degli altri non sarebbe sempre e soltanto il "loro".
Tutto sarebbe vano se però la qualità mentale dell'equanimità non vigilasse sull'intero 'processo'. Equanimità in quanto capacità di distinguere e di scegliere in modo equilibrato.


Su Nietzsche e la V.di P. mi sono autocensurato... ;D  ;D ( a proposito di equanimità).
Ciao
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Carlo Pierini

#68
Citazione di: Sariputra il 19 Luglio 2018, 10:08:53 AM
Penso che non si tratta di stabilire a priori degli imperativi, empirici o categorici, ma di sperimentare nella propria vita quali siano i vantaggi reali, concreti di un comportamento guidato dalla virtude. Se sostituiamo i termini "bene" e "male", che vengono percepiti dall'uomo moderno come carichi di valenza metafisica ( e perciò rifiutati...) con "effetti salutari" e "nocivi", sottolineiamo che un comportamento immorale non è tale perché va contro delle norme, ma perché è dannoso a se stessi, agli altri, a entrambi.

CARLO
Pienamente d'accordo. Non si tratta di obbedire a norme imposte da un'autorità esterna, ma di coltivare e far evolvere i propri sentimenti personali di giustizia e di trasformarli progressivamente in regole spontanee di comportamento. POI, magari, scopriamo che esse coincidono con molte di quelle "norme a-priori" che da bambini ci avevano insegnato a rispettare  ...senza discutere!
Quindi l'errore dei relativisti non sta nella constatazione di una relativa diversità tra le regole etiche di diverse culture (un medesimo principio morale può essere rispettato in mille modi diversi), ma nel credere che la morale sia necessariamente una "sovrastruttura" da imporre ad una umanità priva di istanze morali.
E, da questo punto di vista, l'educazione è estremamente importante, perché se, invece di insegnare ai bambini a coltivare il proprio personale senso di giustizia, imponiamo loro delle regole rigide e coattive calpestando i loro ancor teneri e imperfetti germogli morali, la loro obbedienza non sarà mai una vera e propria etica, ma, come diceva giustamente Nietzsche, una forma di prostituzione, una morale fasulla, proprio in quanto sovrastrutturale, non spontanea, inculcata come un corpo estraneo.
In altre parole, sono proprio le idee di Nietzsche che producono, poi, quegli individui "moralisti", "deboli" e intolleranti che lui stesso disprezza così profondamente. In ciò consiste l'ignobiltà e l'ipocrisia del pensiero filosofico nietzschiano.

sgiombo

Non posso astenermi dal dire che (con molta soddisfazione da parte mia) che qui concordo, oltre che con l' ottimo Sariputra, come quasi sempre, anche con Carlo Pierini, come quasi mai...

(E non con il da me sempre molto apprezzato Oxdeadbeef; con molta meno soddisfazione).

"Non c' é più religione" verrebbe da dire, a proposito di "morte di Dio"...

Carlo Pierini

Citazione di: sgiombo il 19 Luglio 2018, 15:34:14 PM
Non posso astenermi dal dire che (con molta soddisfazione da parte mia) che qui concordo, oltre che con l' ottimo Sariputra, come quasi sempre, anche con Carlo Pierini, come quasi mai...

CARLO
...Lo vedi che, allora, le rette parallele possono anche incontrarsi?  :)

0xdeadbeef

A Sgiombo e Sariputra
A parer mio in queste questioni vengono sempre e inopportunamente tirate in ballo le religioni così come esse si sono
formate nella storia.
Oppure vengono tirate in ballo questioni che solo apparentemente non hanno a che fare con le religioni "storiche",
come ad esempio quella di un uomo "buono per natura".
Dice Sgiombo:
"Comunque non c' é alcun bisogno di credere in Dio né in alcuna "mano invisibile" per avvertire in se stessi e notare
universalmente di fatto in tutti gli uomini (in conseguenza de tutto naturale e quasi ovvia dell' evoluzione biologica)
gli imperativi morali della compassione (in senso letterale: condivisione delle passioni, dolorose e penose come
piacevoli e felici) degli altri, della generosità, altruismo, magnanimità, ecc".
A me sembra che anche laddove "non ci sia bisogno di credere in Dio", affermare questo è COME credere in Dio: è
assolutamente equivalente.
Ma vediamo un attimo a ciò che dice Sariputra:
"Penso che non si tratta di stabilire a priori  degli imperativi, empirici o categorici, ma di sperimentare nella propria vita
quali siano i vantaggi reali, concreti di un comportamento guidato dalla virtude. Se sostituiamo i termini "bene" e "male",
che vengono percepiti dall'uomo moderno come carichi di valenza metafisica ( e perciò rifiutati...) con "effetti salutari"
e "nocivi", sottolineiamo che un comportamento immorale non è tale perché va contro delle norme, ma perché è dannoso a se
stessi, agli altri, a entrambi".
Se confrontiamo queste tesi con quel che afferma E.Durkheim sull'origine delle religioni (l'origine delle religioni è nel
totemismo, e perciò vi è una diretta corrispondenza fra l'idea di Dio e la comunità), vediamo che queste tesi possono avere
una loro validità, ma solo all'interno di una ben specifica comunità, o "cultura".
E' in altre parole evidentissimo che solo all'interno di un gruppo umano ben "individuato" (da una cultura, da una lingua
come da una vera e propria etnia) possono stabilirsi rapporti fra i membri improntati alla solidarietà e all'altruismo.
Molto di rado (e se permettete gli esempi storici si sprecano...) questi rapporti si instaurano nei confronti di culture
diverse: del cosiddetto "altro".
Lungo il processo storico, l'occidente in particolare ha visto un sempre più prepotente emergere dell'individuo, una
dinamica che è andata naturalmente di pari passo con l'eclissarsi della comunità.
Ma se prendiamo per buona la tesi di Durkheim (e io ce la prendo...), l'eclissarsi della comunità coincide con l'eclissarsi
dell'idea di Dio NELLA FORMA dell'eclissarsi del "valore" che dalla tradizione comunitaria proviene.
Ecco allora che la condivisione delle passioni, l'altruismo nei confronti degli altri membri come dinamica finalizzata alla
preservazione e alla continuazione della comunità (ed è qui che il Bene e il Male diventano il "salutare" e il "nocivo")
viene a perdere di senso; perchè ove non c'è più una comunità non possono nemmeno esserci i suoi "valori"; "valori" che
strutturalmente possono essere ricondotti appunto ai concetti di "salutare" e di "nocivo".
In un discorso di questo tipo, a me sembra che il Paradiso e l'Inferno c'entrino poco...
saluti

Sariputra

Se confrontiamo queste tesi con quel che afferma E.Durkheim sull'origine delle religioni (l'origine delle religioni è nel
totemismo, e perciò vi è una diretta corrispondenza fra l'idea di Dio e la comunità), vediamo che queste tesi possono avere
una loro validità, ma solo all'interno di una ben specifica comunità, o "cultura".


Ma , per caso, Durkheim ritiene ci sia stata un'epoca in cui l'uomo non è vissuto in comunità? E' evidente che alcuni aspetti della morale siano finalizzati al bene proprio , al bene della comunità, al bene di entrambi. Ma non si può imputare alla moralità se una certa comunità si scagliava contro un'altra., ma casomai all'assenza di moralità (autentica) all'interno di quella specifica comunità. Infatti la guerra, la violenza, lo sfruttamento, non cagionavano danno solo all'altra comunità, ma anche alla propria in quanto accrescevano il carattere insano di quella certa comunità aggressiva ( con gli effetti storici che abbiamo visto e vediamo..).
La morale salubre o insalubre non ha valore solo all'interno di una comunità ma anche, per es. , all'interno di un nucleo famigliare. Avrebbe lo stesso significato anche se fosse semplicemente il rapporto tra due soli individui (posso infatti cercare solo il mio vantaggio, solo il vantaggio dell'altro, oppure quello di nessuno dei due e viceversa cercare il mio, l'altrui e quello di tutti e due...).

E' in altre parole evidentissimo che solo all'interno di un gruppo umano ben "individuato" (da una cultura, da una lingua
come da una vera e propria etnia) possono stabilirsi rapporti fra i membri improntati alla solidarietà e all'altruismo.
Molto di rado (e se permettete gli esempi storici si sprecano...) questi rapporti si instaurano nei confronti di culture
diverse: del cosiddetto "altro".


Anche in questo passo mi sembra si faccia confusione. Infatti si fatica ad instaurare rapporti "improntati alla solidarietà e all'altruismo" con altre culture, non per effetto della moralità ma evidentemente per la sua assenza. Se l'Occidente  ha spadroneggiato ( e spadroneggia) sulle altre civiltà è perché, non comprendendo l'interdipendenza reciproca, non si cura del salutare altrui, ma solamente ed egoisticamente del proprio ( in modo miope e che gli si ritorcerà contro...).
Se una comunità fosse composta tutta da persone che hanno realmente a cuore il proprio bene e insieme l'altrui, realizzando così il bene di entrambi, non avremmo certo questo tipo di storia umana alle spalle...
Questa storia è il frutto dell'assenza di moralità autentica in coloro che governano e hanno governato i popoli, sostituita da una moralità fasulla, formale, di facciata, che serve solo a coprire il fatto che si persegua il proprio interesse e non l'altrui.

A parer mio in queste questioni vengono sempre e inopportunamente tirate in ballo le religioni così come esse si sono
formate nella storia.
Oppure vengono tirate in ballo questioni che solo apparentemente non hanno a che fare con le religioni "storiche",
come ad esempio quella di un uomo "buono per natura".


Mai affermato che l'uomo sia "buono per natura", ma nemmeno che sia "cattivo per natura"...come mi sembra sostieni tu. Credo sia evidente che , accanto a gesti egoistici, siamo ben capaci di gesti altruistici. Tutto questo ovviamente nella dinamica interiore di uno stesso soggetto, ché nessuno è bianco o nero, nessuno può tirarsi fuori dalla possibilità che ha di compiere malvagità, ma nondimeno neppure dalla possibilità che abbiamo e sentiamo di poter costruire e agire per ciò che è salutare...
Non ho tirato in ballo inopportunamente nessun tipo di religione formata nella storia. Son riflessioni personali...con tutti i limiti ovviamente  ;D
Ciao
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Carlo Pierini

#73
Il Super-Uomo:

<<Un matrimonio non lo si fonda sull'amore, ma sull'istinto sessuale, sull'istinto di possesso (moglie e figli come proprietà), sull'istinto di dominio. (...) Con la crescente indulgenza per il matrimonio d'amore si è eliminato addirittura il fondamento del matrimonio>>. [Crepuscolo, fr. 39]

Il Super-Statista:

<<L'operaio si trova troppo bene per non chiedere via via sempre di più, con sempre maggiore impudenza (...) Non esiste più alcuna speranza che una specie di uomo umile e modesta, sul tipo cinese, si sviluppi qui in classe sociale: e questo sarebbe stato una necessità. Che cosa si è fatto invece? (...) Si è fatto l'operaio abile alla leva, gli si è dato il diritto di associazione, il diritto di voto. (...) Se si vogliono degli schiavi, si è pazzi ad educarli da padroni>>. [Crepuscolo, fr. 40]

<<Il delinquente è il tipo dell'uomo forte in condizioni avverse. Gli mancano i luoghi selvaggi, un'esistenza più libera e pericolosa in cui sia legittimo tutto ciò che nell'istinto dell'uomo forte è arma e difesa. Le sue virtù sono messe al bando dalla società; gli impulsi più vivi che egli ha ancora con sé, presto si deformano a contatto di affetti deprimenti, del sospetto, del timore, del disonore. (...) E' la nostra società mansuefatta, mediocre, castrata, il luogo in cui un uomo genuino (...) necessariamente diventa criminale>>. [Crepuscolo, fr. 40]

0xdeadbeef

A Sariputra
E che vuol dire moralità "autentica": forse che ne esiste una "inautentica"?
Tucidide descriveva le onoranze funebri dei Persiani (i quali bruciavano i morti) e dei Greci (che li seppellivano)
sottolineando come il rispettivo mezzo di onorare i morti inorridisse la rispettiva controparte (pur se il fine era
il medesimo)...
Chiaramente il nucleo familiare è l'unità minima per quanto riguarda una comunità; ma è comunità a tutti gli effetti.
Ed è infatti proprio nella famiglia (come nell'antico "clan", che era una famiglia, diciamo, ben più larga di come noi
oggi la intendiamo) che vediamo esplicitati in massimo grado quei sentimenti di solidarietà e di altruismo che vanno
annacquandosi man mano che il nucleo si allarga (parentela; paese; regione; etc.).
Non a caso il detto celebre di certi nazionalismi politici è "Dio, Patria, Famiglia". Una affermazione che solo ad una
analisi superficiale potrebbe apparire come mera espressione retriva, quando invece è il risultato di tutto un modo di
vedere le cose, di tutta una cultura, che nasce con la Rivoluzione francese ed arriva fino ai giorni nostri (senza voler
con ciò esprimere un giudizio di valore, per carità).
Ora, vedi tu, nella storia, questi sentimenti di solidarietà e altruismo nei confronti di altre persone, di altre culture,
di altre nazionalità?
Non solo, li vedi tu, oggi, presenti come ieri nella nostra stessa società?
No, non li puoi vedere, semplicemete perchè sono scomparsi. Ma perchè sono scomparsi (ed è proprio questo che ci interessa)?
Forse perchè, come dai ad intendere (poi magari mi sbaglio), non c'è più una moralità "autentica"?
E come fai a dire una simile aggettivazione senza ricorrere a categorie "ab-solute", cioè metafisiche? Ti rendi conto che
parlare di una moralità "autentica" è equivalente a dire: "io sono il signore Dio tuo, non avrai altro Dio all'infuori di
me"?
Tempo fa, al bar del mio paese, ho sentito una persona (avrà fatto sì e no le elementari...) affermare: "il giorno che muoio
io finisce il mondo".
Ora, a parte il fatto che costui ha espresso un pensiero in tutto degno di Nietzsche (a riprova che tutti sono capaci di
fare "grande" filosofia), ti rendi conto che una simile "forma-mentis" non può contemplare solidarietà ed altruismo?
Questo è forse l'esempio più lampante di quell'emersione prepotente dell'individuo che, dicevo, contrassegna l'intero
processo storico dell'occidente, e che oggi è probabilmente arrivato ad uno dei suoi punti più estremi.
E, no, quella persona non era e non è "cattiva". E' egoista, senz'altro, ma come ormai lo sono tutti...
saluti

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