La volontà di potenza da un altro punto di vista

Aperto da 0xdeadbeef, 13 Luglio 2018, 10:29:25 AM

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0xdeadbeef

Vorrei provare a ragionare e far ragionare sulla "volontà di potenza", di cui molto si è scritto e molto spesso
nei soliti termini (forza, sopraffazione etc.), vista da una prospettiva diversa.
E' vero che Nietzsche spesso la descrive egli stesso in quei termini, ma è altrettanto vero che egli la intende
essenzialmente come il, diciamo, "motore primo" di ogni agire umano.
Da questo punto di vista dicevo provocatoriamente che forse persino S.Francesco e Madre Teresa erano animati da
volontà di potenza. Perchè appunto il loro "motore primo" era la volontà che le loro idee e i loro principi
morali avvessero a "primeggiare", ad "imporsi", su quelli che essi ritenevano "dis-valori" (dal punto di vista
religioso Dio "vince" il demonio).
Sappiamo bene che per la filosofia anglosassone, fin almeno da Hobbes, il "Bene" è ciò che viene desiderato e che
piace all'individuo.
Dunque per gli Anglosassoni l'utile individuale, che è "motore primo" dell'agire umano (l'uomo agisce sulla base
di ciò che gli procura piacere o dolore) è anche ritenuto sommo "Bene" (in quanto, nel sostrato metafisico alla
base di questa visione, vi è un "grande orologiaio" che fa sì che l'utile dell'individuo corrisponda all'utile
della collettività, cioè che si configuri come "Bene" in assoluto).
Io trovo che nella volontà di potenza Nietzsche recuperi in qualche modo la concezione anglosassone, ma per così
dire la "depuri" dal grossolano elemento metafisico in essa presente (ed ancora presentissimo in certe sfumature
della contemporaneità, basti guardare alle teorie economiche neoclassiche).
L'uomo agisce sulla base di ciò che gli procura piacere o dolore, chiaramente perseguendo il primo termine e
cercando di evitare il secondo. E visto che piacevole è senz'altro il primeggiare (delle proprie idee e principi
ma anche di se stessi), ecco allora che vero ed autentico Motore Primo diventa una volontà di potenza che va
ad obliare e a succedere al Motore Primo aristotelicamente (poi religiosamente) inteso.
Credo in definitiva che buona parte delle ragioni della visione filosofica nietzscheiana vadano ricercate proprio
nella filosofia anglosassone e nel suo concetto di "Bene".
La volontà di potenza, dunque, come volontà di perseguire ciò che piace e che è utile. Senza "orologiai" o
infingimenti che ne ammantino ipocritamente la cruda realtà.
saluti

viator

Salve. Dal mio punto di vista la "volontà di potenza" non è altro che l'espressione - tipicamente ed esclusivamente umana - del poter e del voler dedicarsi all'esercizio delle facoltà.

Data la gerarchia naturale BISOGNI-NECESSITA'-FACOLTA', una volta che l'uomo abbia soddisfatto le prime due istanze (i bisogni sono semplicemente quelli fisiologici - la necessità è semplicemente la riproduzione), per l'uomo si pone il problema di come utilizzare quelle  funzioni ulteriori di cui l'evoluzione l'ha equipaggiato facendolo appunto "umano".

Corpo, organi, psiche, istinto di sopravvivenza, memoria rappresentano le dotazioni e le funzioni necessarie e sufficienti a soddisfare bisogni e necessità (infatti sono quelle presenti anche negli animali),  mentre la coscienza ed il mentalismo (quindi ancora poi l'intelletto e la capacità di astrazione) sono appunto quelle funzioni che non hanno nulla a che vedere - in forma diretta - con la nostra sopravvivenza individuale o di specie.

Perciò la loro esistenza mette per così dire "a disposizione" una quota di risorse interiori e dicapacità  "ridondanti" che noi utilizzeremo per "inaugurare" la nuova sfera individuale delle FACOLTA'.
Le quali - in concreto - consistono nel poter e voler fare ciò a cui non siamo costretti o condizionati, quindi ciò che possiamo scegliere di fare, quindi ciò che "ci piace".

Quindi, sempre secondo me, l'espressione nietzchiana "volontà di potenza" (che tra l'altro risulta poco chiara e perciò troppo facilmente mistificabile) andrebbe addirittura ribaltata definendola come "capacità di volere liberamente".
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

0xdeadbeef

#2
Dal punto di vista che cerco di illustrare ciò che procura il piacere, un utile, o un dolore si pone ad un livello
che abbraccia anche i bisogni e le necessità (basti pensare ad un digiunatore per scelta spirituale, o ad un
masochista così come il masochismo viene illustrato dallo psicologo nietzschiano Alfred Adler).
Basti pensare a quello che è l'atto del suicidio, che va senza dubbio contro ogni istinto di sopravvivenza (in un
suicida il dolore di vivere è tale che la morte viene vista come unico rimedio, risultandone così un piacere, un
utile).
Io credo in sostanza che, se la volontà di potenza equivale alla ricerca del piacere o dell'utile (che è la tesi
che sostengo in questo post), ciò vada ad  abbracciare questioni che solo apparentemente ne rimangono fuori.
Ora, è pensabile che in un nevrotico, in un malato psichico qualsiasi, in un sucida o in un digiunatore vi sia
volontà di potenza? Io lo credo. Magari, certo, non ad un livello conscio, ma nell'inconscio sicuramente (e su
questo punto mi richiamerei ancora ad Adler).
La volontà di potenza, dunque, come "motore primo" di QUALSIASI agire o pensare umano; come ciò che vi è di unitario
nel molteplice, in definitiva come vera e propria "sostanza" o "essere" (per usare una terminologia classica della
metafisica).
A me sembra un'ipotesi da non escludere (una ipotesi che, fra le altre cose, va per così dire ad
armonizzarsi con l'ipotesi heideggeriana dell'essere come "physis" (chiaramente dopo la cosiddetta "svolta").
La volontà di potenza è dunque l'Essere che la filosofia cerca da millenni? Non lo so, ma mi sembra affascinante...
saluti

sgiombo

E copio-incollo quanto da me scrtto in proposito in una precedente discussione nel forum ("la morale é egoismo mascherato secondo voi?"):

Importante é secondo me non confondere, come spesso fanno coloro che sono tendenzialmente più o meno egoisti, soddisfazione (piacere, felicità, ecc.), che può darsi tanto dell' egoista quanto dell' altruista, con insoddisfazione (dolore, infelicità ecc.), che pure, del tutto parimenti, può darsi tanto dell' egoista quanto dell' altruista (a seconda che le ben diverse aspirazioni degli uni e degli altri, più o meno egoistiche o più o meno altruistiche, siano soddisfatte o meno).

Non dobbiamo confondere soddisfazione (ovvero piacere, felicità, benessere interiore) con egoismo e insoddisfazione, sofferenza, dolore con altruismo.

C' é una bella differenza!
 
 L' egoista che soddisfa il proprio egoismo (per esempio accumulando ricchezza da taccagno senza fare né dare mai nulla per chi ha bisogno di essere in qualche modo aiutato) é felice (ceteris paribus), ma non per questo non é egoista.
 
 L' egoista che non riesce ad ottenere tutto quello che vorrebbe per sé malgrado la sua taccagneria (e magari invidia altri più fortunati) é infelice (ceteris paribus), ma non per questo non é egoista, non per questo diventa altruista.
 
 L' altruista che non riesce a soddisfare la propria generosità (per esempio perché troppo povero per poter fare regali a chi ne ha bisogno) é infelice, ma non per questo non é altruista.
 
 E l' altruista che soddisfa il proprio altruismo (per esempio elargendo denaro o aiutando in altri modi chi ne ha bisogno) é felice (ceteris paribus), ma non per questo non é altruista, non per questo diventa egoista.
 
 Egoismo =/= soddisfazione, benessere interiore, felicità
 
 e
 
 altruismo =/= insoddisfazione, sofferenza, infelicità (e anche =/= masochismo).


La felicità, il benessere interiore, la gioia (cioé la soddisfazione dei propri desideri) può conseguirla o meno (a seconda dei casi) tanto l' egoista quanto l' altruista.
Chi la ottiene non é egoista o altruista per il fatto di ottenerla, ma invece (per il fatto di ottenerla) é felice, soddisfatto, anche se é altruista!!!
E chi non la ottiene non é altruista o egoista per il fatto di non ottenerla, ma invece (per il fatto di non ottenerla) é infelice, insoddisfatto, anche se é egoista!!! 

Che vuol dire "volontà di potenza?
Ogni tipo di volontà (qualsiasi tipo: più o meno buono a seconda di questo o quel punto di vista) ccrca per definizione una soddisfazione.
E sa la trova fa felice, contento, "piaciuto" il suo (delle volontà) soggetto, se non la trova lo fa infelice. scontento, "spiaciuto".
Ma non affatto per questo una volontà vale l' altra ! ! !

cvc

Scusate, ma la volontà di potenza che altro sarebbe se non l'ego stesso? Una volta che l'individuo, tramite l'autocoscienza, percepisce di esistere, cerca poi di conservarsi, di accrescersi, di assimilare a se il mondo circostante. Ma la questione cruciale secondo me è distinguere se la volontà è un atto ragionato oppure un impulso. Perché ciò che deriva dalla percezione di se deve essere un impulso. Ossia realizzo di essere un vivente e di conseguenza si manifestano in me i relativi bisogni, da quelli primari a quelli via via più sofisticati come quello di affermare me stesso (volontà di potenza?). Ma quando si parla di volontà a me viene in mente un qualcosa di più ragionato. Un conto è la volontà di mangiare perché si ha fame, e non c'è molto di ragionato in questo. Altra cosa è dire di volere una certa cosa perché dopo avervi ragionato molto sopra si crede sia una cosa giusta. Quindi dove si colloca la cosiddetta volontà di potenza? Nell'agire ragionato o nel mero impulso?
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Sariputra

#5
Concordo con Sgiombo sulla differenza tra egoismo e altruismo e sull'assurdità di definire come egoismo la soddisfazione che si prova nell'essere altruisti. La sua spiegazione mi piace così tanto che me la sono stampata... ;D
La volontà è la facoltà e la capacità di volere (Treccani); è il fatto di volere.
Ma volere significa sempre volere qualcosa. Non esiste un volere astratto. Il volere è sempre in relazione all'oggetto del volere.
Nel caso della volontà di potenza si vuole potenza.
Ora...io possiedo un'auto sgangherata che dispone di soli 71 hp di potenza. Proprio ieri salivo arrancando i tornanti di Passo Rolle con tale fatica , a causa della poca potenza, che mi si è formata alle terga una colonna di giganteschi Suv, pieni di potenza, che reclamavano la mia decisione di voler fermarmi per farli passare ( cosa che naturalmente non faccio mai...). Confesso che, in quei momenti, anch'io volevo potenza, desideravo ardentemente con la mia volontà di aver più potenza. Ma non è bastato volerlo... :(
Direi quindi che la volontà di potenza di N. non è la semplice volontà di ottenere qualcosa di ottenibile in quel dato momento e in quel contesto, ma un desiderio di potere di più...lui ha creduto di individuare nei valori dell'Occidente quello che gli negava di potere di più, come io ho individuato nella scarsa potenza del mio motore  la possibilità che mi veniva negata di poter di più (salire più velocemente e far mangiare la mia polvere ai  strapotenti Suv... ;D ).
Ma perché io volevo salire più velocemente? E perché N. voleva più potenza, più libertà di soddisfazione del suo desiderare? Perché questo serve a "solidificare" il senso dell'Io/mio che sempre ci sentiamo minacciati da ciò che ci circonda e dal divenire di ogni cosa...è una profonda debolezza che sogna di farsi forza...
Namaste a tutti tra il serio e il faceto
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

paul11

#6
Sariputra a mio parere ha posto giustamente il problema sulla volontà.
Adatto che negli ultimi tempi cercavo di capire il passaggio fra atto e potenza ,fra possibilità  e volontà in quanto storicamente sono mutati i termini, gli antichi utilizzavano di più  il termine possibilità, è con la modernità che il termine volontà acquisisce più importanza.
Dovere ,potere e volere sono definiti verbi modali, detti anche verbi servili perchè presuppongono qualcosa.

La volontà ha preso forza storicamente relazionandolo con la libertà e i questo ha influito il libero arbitrio del cristianesimo.
Adatto che questo mio studio mi sta mettendo in crisi( e son ben felice quando entro in crisi) alcune considerazioni che avevo, fino a pensare che il termine  potenza vada depotenziato.
Al giorno d'oggi in molte circostanze, motivazionali viene detto comunemente"......basta volerlo", quasi che fossero sparite le condizioni.La possibilità invece rispetta le condizioni di volizione".........io vorrei, ma non so se  posso".
Potere per me è qualcosa ......di arrogante.
Ho cercato a mia interpretazione di come Nietzsche pensi la volontà di potenza, come impulso naturale, il problema è capire se questo impulso sia poi "addomesticabile",ci devono essere insomma delle condizioni di rispetto, dei limiti ed è per questo che nei topic di economia e politica utilizzo il delirio di onnipotenza moderno.

cvc

Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

0xdeadbeef

Ma è lecito equiparare la ricerca del piacere con l'egoismo?
Mi pare Leibniz disse, a proposito del concetto di "Bene" anglosassone: "la ricerca del proprio piacere e utile è
bene a meno che non vada a ledere il piacere e l'utile altrui" (le parole magari non sono proprio queste ma lo è
senz'altro il senso).
Il senso di ciò che voglio dire con questo post è che SE la ricerca del proprio piacere e utile è assimilabile
alla volontà di potenza, allora la volontà di potenza si presenta proprio come impulso primordiale e universale;
appunto come: "ciò che c'è di unitario nel molteplice".
Ma allora, si dirà, che cosa ha mai scoperto Nietzsche che già non fosse stato detto dalla filosofia anglosassone?
E beh, magari potrebbe aver detto/aggiunto che non vi è alcun valore morale che un "grande orologiaio" ha posto a
fondamento di quell'utilitarismo...
Potrebbe aver detto che la ricerca del proprio piacere e utile è SEMPRE bene, a prescindere che vada o meno a ledere
il piacere e l'utile altrui...
Non mi sembrerebbero aggiunte da poco.
Perchè, ed è evidentissimo, quell'"a meno" (che non vada a ledere etc.) leibnitziano è fondato sul valore morale (che
nessuno che non sia il "grande orologiaio" può fondare).
Su questo punto il concetto nietzschiano mi sembra dirompente. La volontà di potenza (che coincide, se la mia tesi fosse
plausibile, con la ricerca del proprio piacere e utile) come impulso primitivo ed universale non è da considerare né Bene
né Male (ma è appunto: "al di là del Bene e del Male"). Perchè il Bene e il Male sono concetti morali che, semmai, SONO
fondati dalla volontà di potenza; non essa, la volontà di potenza come ricerca dell'utile e del piacere, fondata SUI
valori morali com'è nella filosofia anglosassone.
salut

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 09:27:39 AM
Ma è lecito equiparare la ricerca del piacere con l'egoismo?
Mi pare Leibniz disse, a proposito del concetto di "Bene" anglosassone: "la ricerca del proprio piacere e utile è
bene a meno che non vada a ledere il piacere e l'utile altrui" (le parole magari non sono proprio queste ma lo è
senz'altro il senso).
Il senso di ciò che voglio dire con questo post è che SE la ricerca del proprio piacere e utile è assimilabile
alla volontà di potenza, allora la volontà di potenza si presenta proprio come impulso primordiale e universale;
appunto come: "ciò che c'è di unitario nel molteplice".
CitazioneMi sembra ovvio che da tutti tipi di volontà particolari possibili, più o meno egoistiche oppure altruistiche, si può astrarre il concetto di "volontà in generale" (e magari chiamarla "volontà di potenza").


Ma allora, si dirà, che cosa ha mai scoperto Nietzsche che già non fosse stato detto dalla filosofia anglosassone?
E beh, magari potrebbe aver detto/aggiunto che non vi è alcun valore morale che un "grande orologiaio" ha posto a
fondamento di quell'utilitarismo...
CitazioneBeh, questo l' avevano già detto in tantissimi, anglosassoni o meno.

In maniera particolarmente lucida Hume -a me particolarmente caro malgrado fosse "anglosassone": non sono razzista- aveva molto chiaramente rilevato che dall' "essere" della realtà non é possibile dedurre in maniera logicamente corretta alcun "dover essere" (né dalla conoscenza di ciò che é alcuna conoscenza di ciò che deve essere, che si deve fare. Ma contrariamente a Nietzche, Hume era un uomo estremamente bonario, generoso, affabile, tollerante e pure sereno e soddisfatto della vita).


Potrebbe aver detto che la ricerca del proprio piacere e utile è SEMPRE bene, a prescindere che vada o meno a ledere
il piacere e l'utile altrui...
Non mi sembrerebbero aggiunte da poco.
CitazioneBuono (ciò che é bene) =/= soddisfacente, piacevole, gratificante, ecc.

Che anche le persone più grette ed egoiste possano essere felici (se soddisfatte nella loro grettezza ed egoismo) é ovvio; ma non equipara certo le loro meschine e malvagie aspirazioni a quelle ben diverse degli altruisti, generosi e magnanimi il fatto che in entrambi i ben diversi casi la soddisfazione delle rispettive aspirazioni é (per definizione) felicità, gioia, benessere interiore.


Perchè, ed è evidentissimo, quell'"a meno" (che non vada a ledere etc.) leibnitziano è fondato sul valore morale (che
nessuno che non sia il "grande orologiaio" può fondare).
CitazioneCerto, lo sapevano benissimo già in tanti anche prima di Nietzche.

Ma ciò non toglie che di fatto tutti gli uomini lo sentano dentro di sé (più o meno fortemente, e contrastato più o meno fortemente da opposte tendenze egoistiche a seconda dei casi; in conseguenza delle esperienze vissute e non del codice genetico, secondo me).
E che la scienza biologica, in particolare la teoria sostanzialmente darwinaiana dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche "casuali" e selezione naturale (se correttamente intesa) spiega benissimo tutto questo (cioé ci fa comprendere molto soddisfacentemente come sia del tutto naturale e per nulla stupefacente che esista una morale umana universale "di fatto" -in parte; in altra parte é socialmente condizionata e dunque geograficamente variabile e storicamente transeunte, mutevole- pur senza poterla ovviamente dimostrare, ovvero porne l' universalità su un piano per così dire "di diritto": non é scritta da alcun Dio su alcuna "tavola della legge", non é in alcun modo dimostrabile, ma naturalissimamente tutti l' avvertono dentro di sé; ovviamente in maniera più o meno forte e accanto ad altre tendenze più o meno forti ad essa diverse ad anche contrarie).


Su questo punto il concetto nietzschiano mi sembra dirompente. La volontà di potenza (che coincide, se la mia tesi fosse
plausibile, con la ricerca del proprio piacere e utile) come impulso primitivo ed universale non è da considerare né Bene
né Male (ma è appunto: "al di là del Bene e del Male"). Perchè il Bene e il Male sono concetti morali che, semmai, SONO
fondati dalla volontà di potenza; non essa, la volontà di potenza come ricerca dell'utile e del piacere, fondata SUI
valori morali com'è nella filosofia anglosassone.
salut
CitazioneBeh, é semplicemente come dir che il "volere" in generale" (avere aspirazioni qualsiasi) é astrazione che include i concetti meno generali (meno astratti, relativamente più concreti) di "volere il bene" (avere aspirazioni altruistiche, generose, magnanime) e di "volere il male" (avere aspirazioni egoistiche, grette e meschine o malvagie).

Scusami, amico Mauro, ma tutto ciò mi sembra molto banale.
E soprattutto non ne consegue alcuna indebito "appiattimento" o equiparabilità fra aspirazioni altruistiche e aspirazioni egoistiche, che rimangono reciprocamente contrarie ed opposte.
Stalin e Hitler rientrano nella medesima classe generale e astratta dei "dittatori", ma fra le loro scelte politiche c' era a mio parere molto maggiore differenza che fra quelle di Hitler e quelle di Churchill o rispettivamente fra quelle di Stalin e di Salvador Allende (faccio questo esempio pur sapendo che é decisamente anticoconformistico e i più pensano il contrario, secondo l' ideologia -falsa coscienza- dominante arendtiana del "totalitarismo", sulla quale molto e assai bene ha scritto il compianto Domenico Losurdo).

0xdeadbeef

A Giulio (Sgiombo) come a tutti.
A scanso di equivoci e per farla breve sono convinto, come Nietzsche, che il valore morale non possa avere altro fondamento
se non la divinità.
Sì, anche per coloro che lo sentono "dentro di sè", e allo stesso tempo dichiarano di non credere, il valore morale altro
non è se non una "religiosità inconscia". Perchè quella del valore morale non può essere altro che una metafisica.
La scimmia che digrigna i denti nel tentativo di emettere la prima parola (nella sua trasformazione in essere umano) e che
dice gutturalmente: "io sono il creatore" (non mi ricordo mai in quale opera di Nietzsche si trovi...), potrebbe
indifferentemente dire di amare il prossimo come di odiarlo.
Sarebbe appunto totalmente e definitivamente indifferente che si pronunci per l'una o per l'altra cosa, e laddove noi
"osassimo" pronunciarsi per un qualcosa che fondi un'affermazione piuttosto che l'altra non faremmo che pronunciare un
articolo di fede (certo, anche se ci si pronunciasse per il "male" e per l'odio sarebbe la medesima cosa).
Ritengo sia questo che Nietzsche vuol dirci quando ci parla di un "aldilà del bene e del male". La ricerca del proprio
utile e piacere come "essere" dell'uomo; come sua "sostanza unitaria nella sua molteplicità"; non ammette considerazioni
sulla bontà o sulla malvagità di questa stessa ricerca.
Probabilmente sono io ad essere eccessivamente affascinato (ma farei meglio ad usare il termine "atterrito"...) da questa
riflessione, che non trovo quindi per nulla banale.
Certo che c'è un appiattimento fra aspirazioni altruistiche ed egoistiche: come fai a non vederlo (o come faccio io a vederlo)?
"Non uccidere" (non rubare; non sfruttare etc.): e chi l'ha detto?
L'ha forse detto la scimmia nel suo diventare uomo quando nella sua ricerca del piacere e dell'utile ha stabilito cos'è "sacro"?
E che mi importa di quello che ha detto: io cercherò, seguendo il mio utile e il mio piacere, di essere più potente di lui, e
sovvertirò quel che lui ha detto.
saluti
PS
Ti ho risposto su quella cosa della conoscenza, forse ti è sfuggito

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 13:56:39 PMSarebbe appunto totalmente e definitivamente indifferente che si pronunci per l'una o per l'altra cosa, e laddove noi
"osassimo" pronunciarsi per un qualcosa che fondi un'affermazione piuttosto che l'altra non faremmo che pronunciare un
articolo di fede (certo, anche se ci si pronunciasse per il "male" e per l'odio sarebbe la medesima cosa).
Ritengo sia questo che Nietzsche vuol dirci quando ci parla di un "aldilà del bene e del male". La ricerca del proprio
utile e piacere come "essere" dell'uomo; come sua "sostanza unitaria nella sua molteplicità"; non ammette considerazioni
sulla bontà o sulla malvagità di questa stessa ricerca.
Probabilmente sono io ad essere eccessivamente affascinato (ma farei meglio ad usare il termine "atterrito"...) da questa
riflessione, che non trovo quindi per nulla banale.
Certo che c'è un appiattimento fra aspirazioni altruistiche ed egoistiche: come fai a non vederlo (o come faccio io a vederlo)?
"Non uccidere" (non rubare; non sfruttare etc.): e chi l'ha detto?
L'ha forse detto la scimmia nel suo diventare uomo quando nella sua ricerca del piacere e dell'utile ha stabilito cos'è "sacro"?
E che mi importa di quello che ha detto: io cercherò, seguendo il mio utile e il mio piacere, di essere più potente di lui, e
sovvertirò quel che lui ha detto.
saluti
PS
Ti ho risposto su quella cosa della conoscenza, forse ti è sfuggito

Il problema del noumeno e dei fenomeni voglio prenderlo in considerazione con più calma (magari oggi stesso, se ce la farò) perché mi sembra più complesso da affrontare.

La ricerca del proprio utile o piacere (preferirei dire della propria soddisfazione o felicità) mi sembra sinonimo di "il proporsi di realizzare quel che si vuole" o "il volere quel che si vuole" (qualsiasi cosa si voglia).

E non esiste (oltre che nessun Dio che e lo scriva su tavole di pietra o comunque ce lo faccia sapere in qualche modo) nessuna possibilità di dimostrare razionalmente ciò che é da volersi o che é bene volersi (la ragione può servire per valutare se ciò che si vuole é realizzabile o meno e in caso affermativo come realizzarlo: attraverso quali mezzi, data la situazione in cui ci si trova a volere e ad agire): gli scopi, contrariamente ai mezzi, si sentono come pulsioni irrazionali avvertite dentro di sé: non esistono "comandamenti circa il buon agire" o valori morali "di diritto" (divino né umano).

Ma di fatto, in conseguenza dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche "casuali" e selezione naturale (e per motivi ben comprensibili conoscendola scientificamente; le virgolette perché sono determinista e non credo che alcunché sia casuale, ma casomai moltissime cose sono di fatto imprevedibili, incalcolabili per insuperabili limiti soggettivi di conoscenza della realtà), ogni uomo -universalmente di fatto- avverte dentro di sé come (ovviamente irrazionali, indimostrabili) pulsioni ad agire o finalità da perseguire (fra l' altro, ovviamente) la ricerca del bene e della felicità degli altri senzienti, un' "istinto di solidarietà" o di "amore del prossimo e del lontano: degli altri" ovvero un istinto "di altruismo" (non ignoto nemmeno a Leopardi; come appare molto chiaramente per esempio nella Ginestra). E si rende istintivamente conto che violarlo sarebbe una pessima cosa (sarebbe "male"), assecondarlo un' ottima cosa (sarebbe "bene").
Ovviamente i desideri e pulsioni umani (ma in qualche nettamente minor misura anche degli altri animali) sono molteplici e in tantissimi casi reciprocamente incompatibili (soddisfacibili gli uni alternativamente agli altri; ovviamente tutti, chi più chi meno, hanno anche desideri malvagi, e la scelta di assecondare in maggiore o minor misura gli uni e/o gli altri può essere molto variabile da caso a caso, cosa che sta sotto gli occhi di tutti.

Ma questo secondo me non appiattisce affatto minimamente le aspirazioni e le condotte altruistiche su quelle egoistiche.
 "Non uccidere" (non rubare; non sfruttare etc.): e chi l'ha detto? Lo dice la coscienza di ogni uomo (declinando in parte questi "comandamenti di fatto" interiori, universali in un' accezione generalissima, in diversi modi storicamente condizionati in ultima istanza e non semplicisiticamente dalla dialettica fra sviluppo delle forze produttive sociali e rapporti di produzione); ovviamente c' é chi (per ragioni non certo genetiche ma letteralmente "epigenetiche" e in larga misura storico-culturali e non naturalistiche) é più o meno moralmente buono, generoso, magnanimo e segue più o meno conseguentemente gli imperativi categorici (per usare una terminologia che credo ti sia cara) non scritti su nessuna tavola di pietra da nessun Dio e non dimostrabili con nessun ragionamento ma di fatto presenti "dentro di tutti", e c' é chi é più o meno malvagio, gretto e meschino e più o meno conseguentemente li viola.
La scimmia nel suo diventare uomo (e in qualche minima misura anche prima: molti animali privano sensazioni molto simili all' umana vergogna) l' ha puramente e semplicemente avvertito dentro di sé come ha avvertito la fame, la sete, l' istinto all' accoppiamento, ecc.
E dunque chi é malvagio cercherà, seguendo il suo utile e il suo piacere, di essere più potente degli altri, dei quali se ne fregherà, chi é buono no (id est: si definisce "malvagio" chi cercherà, seguendo il suo utile e il suo piacere, di essere più potente degli altri, dei quali se ne fregherà e "buono" chi si comporterà in maniera opposta a questa).

Ciao!

Sariputra

#12
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 13:56:39 PMA Giulio (Sgiombo) come a tutti. A scanso di equivoci e per farla breve sono convinto, come Nietzsche, che il valore morale non possa avere altro fondamento se non la divinità. Sì, anche per coloro che lo sentono "dentro di sè", e allo stesso tempo dichiarano di non credere, il valore morale altro non è se non una "religiosità inconscia". Perchè quella del valore morale non può essere altro che una metafisica. La scimmia che digrigna i denti nel tentativo di emettere la prima parola (nella sua trasformazione in essere umano) e che dice gutturalmente: "io sono il creatore" (non mi ricordo mai in quale opera di Nietzsche si trovi...), potrebbe indifferentemente dire di amare il prossimo come di odiarlo. Sarebbe appunto totalmente e definitivamente indifferente che si pronunci per l'una o per l'altra cosa, e laddove noi "osassimo" pronunciarsi per un qualcosa che fondi un'affermazione piuttosto che l'altra non faremmo che pronunciare un articolo di fede (certo, anche se ci si pronunciasse per il "male" e per l'odio sarebbe la medesima cosa). Ritengo sia questo che Nietzsche vuol dirci quando ci parla di un "aldilà del bene e del male". La ricerca del proprio utile e piacere come "essere" dell'uomo; come sua "sostanza unitaria nella sua molteplicità"; non ammette considerazioni sulla bontà o sulla malvagità di questa stessa ricerca. Probabilmente sono io ad essere eccessivamente affascinato (ma farei meglio ad usare il termine "atterrito"...) da questa riflessione, che non trovo quindi per nulla banale. Certo che c'è un appiattimento fra aspirazioni altruistiche ed egoistiche: come fai a non vederlo (o come faccio io a vederlo)? "Non uccidere" (non rubare; non sfruttare etc.): e chi l'ha detto? L'ha forse detto la scimmia nel suo diventare uomo quando nella sua ricerca del piacere e dell'utile ha stabilito cos'è "sacro"? E che mi importa di quello che ha detto: io cercherò, seguendo il mio utile e il mio piacere, di essere più potente di lui, e sovvertirò quel che lui ha detto. saluti PS Ti ho risposto su quella cosa della conoscenza, forse ti è sfuggito

Al contrario io, come mi par di capire Sgiombo, ritengo che il senso etico e morale sia innato nell'uomo e fa parte di quella qualità spontanea che i greci definivano come sympatheia e i buddhisti come karuna. Ossia è la capacità che ha l'uomo di soffire con gli altri : sia come capacità di condividere i dolori altrui pur non essendone colpiti direttamente, sia come possibilità di sopportare insieme ad altri i medesimi dolori. E non appare come 'imposto' dall'affermarsi del senso del sacro nella storia umana, ma proprio il senso del sacro scaturisce da questa innata peculiarità umana ( e in misura diversa di altri esseri senzienti...). Il contrario della sympatheia è quindi l'avversione, l'odio e l'antipatia, che è espressione di un 'Io' centrato esclusivamente su se stesso e che può sfociare in un'intelligenza cinica o in una sorta di bulimia del desiderio, che è una forma di ignoranza del carattere interdipendente e impermanente di ogni cosa e di ogni essere. L'innata qualità morale invece si afferma e si rafforza riducendo questa ignoranza con l'aumentare della conoscenza e consapevolezza di questo carattere della realtà..  :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 15 Luglio 2018, 16:37:23 PM


Al contrario io, come mi par di capire Sgiombo, ritengo che il senso etico e morale sia innato nell'uomo e fa parte di quella qualità spontanea che i greci definivano come sympatheia e i buddhisti come karuna. Ossia è la capacità che ha l'uomo di soffire con gli altri : sia come capacità di condividere i dolori altrui pur non essendone colpiti direttamente, sia come possibilità di sopportare insieme ad altri i medesimi dolori.

CitazioneSì, lo penso anch' io (e naturalmente anche la capacità di gioire con gli altri, di condividerne gioie, piaceri, soddisfazioni).


E non appare come 'imposto' dall'affermarsi del senso del sacro nella storia umana, ma proprio il senso del sacro scaturisce da questa innata peculiarità umana ( e in misura diversa di altri esseri senzienti...). Il contrario della sympatheia è quindi l'avversione, l'odio e l'antipatia, che è espressione di un 'Io' centrato esclusivamente su se stesso e che può sfociare in un'intelligenza cinica o in una sorta di bulimia del desiderio, che è una forma di ignoranza del carattere interdipendente e impermanente di ogni cosa e di ogni essere. L'innata qualità morale invece si afferma e si rafforza riducendo questa ignoranza con l'aumentare della conoscenza e consapevolezza di questo carattere della realtà..
:)


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0xdeadbeef

Scusate ma voi dove la vedete tutta questa bontà e tutta questa innatezza?
Vogliamo chiederlo, tanto per stare alla strettissima attualità, ai profughi africani i quali, per fame o per guerra
che sia, cercano una miglior fortuna nella "civilissima" Europa?
Come fate a vedere questa "legge norale dentro l'uomo" (e Kant, Giulio, sapeva bene dove "riposasse" quel sentimento...)?
Io, viceversa, non vedo nessuna bontà e nessuna cattiveria innate; vedo soltanto dei condizionamenti sovra E strutturali.
E gli imperativi della religione sono tra i più "potenti" di questi condizionamenti.
Lo si voglia o meno, l'uomo ragiona "anche" (ma avrei voglia di dire "soprattutto") nei termini che la religione ha posto
(basti guardare alla concezione del tempo lineare, al mito del progresso, o appunto ai valori "umani").
La religione, dice E.Durkheim, E' la comunità (il "sacro" non è altro che l'ipostasi assolutizzata delle necessità insite
in una comunità umana).
Da qui, ritengo (anzi temo...), la "sympatheia" greca, il "karuna" buddista o la "coscienza" cristiana...
Concetti nobilissimi, che però perdono inevitabilmente di senso nel momento in cui l'individuo emerge prepotente,
e la comunità si eclissa (e CON la comunità si eclissa la sua ipostasi: Dio).
Per questo, penso, Dostoevskij (attraverso la bocca di Ivan Karamazov) ha sommamente ragione laddove afferma: "se Dio
non esiste, allora tutto è lecito".
Dal canto suo, Nietzsche ci dice allora semplicemente: "visto che Dio non esiste, tutto è effettivamente lecito".
saluti

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