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La vita fa schifo?

Aperto da fdisa, 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM

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fdisa

Salve, mi permetto di condividere con voi questo breve articolo su quella che è forse la più importante delle questioni filosofiche.
(il testo è stato precedentemente pubblicato su L'Indiscreto, perdonate errori di formattazione dovuti al copia e incolla)
Ma perché dare al sole,
perché reggere in vita
chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
perché da noi si dura?
Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia

Chi sostiene che la vita fa schifo viene definito "pessimista", ma in realtà è un "ottimista" – più valore si dà alla vita, infatti, più la sua inevitabile perdita sarà dolorosa. Considerato inoltre che la vita è infinitamente più breve dell'eternità che la segue e precede, il fatto che l'esistenza cosciente sia una macchia irrilevante nell'illimitato dovrebbe essere considerata una buona notizia.
Quale che sia il proprio parere, non è un argomento di scarsa importanza, sebbene la maggior parte delle persone preferisca parlar d'altro – il che può esser letto come un ulteriore sintomo della sua rilevanza. A peggiorare le cose, capita che chi prende in considerazione il problema giunga spesso a conclusioni sgradevoli o soluzioni poco convincenti. L'affermazione di Camus, che ne Il mito di Sisifo scrive «vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio» non perde mai di efficacia, sebbene il capostipite della questione resti Buddha, che millecinquecento anni prima ne fa il cardine della propria filosofia (e religione). Parafrasando l'illuminato, la vita fa schifo, ma la cosa può avere un lieto fine, perché il dolore, se si osserva con attenzione, si palesa illusorio – come d'altra parte ogni cosa: non c'è né una vita né un "io" che la subisce.
Un'idea a cui si oppone Thomas Ligotti, che, ne La cospirazione contro la razza umana, offre una scorrevole disamina sul tema "la vita fa schifo", analizzando con un linguaggio chiaro ed evocativo argomenti e soluzioni. Anticipo il suo punto d'arrivo: sì, la vita fa schifo, dovremmo smettere di procreare e se il suicidio è un'opzione difficile è perché siamo schiavi delle dinamiche dell'esistenza. All'autore però, che appare genuinamente di malumore, non sovviene che questa sia una buona notizia e di conseguenza si definisce un "pessimista radicale", cosa d'altra parte coerente per uno scrittore di letteratura horror che ha ispirato la serie tv True Detective.


Chi sostiene che la vita fa schifo viene definito "pessimista", ma in realtà è un "ottimista" – più valore si dà alla vita, infatti, più la sua inevitabile perdita sarà dolorosa.


A difesa del valore della sua tesi, Ligotti propone uno degli argomenti preferiti dei pessimisti (che, ripeto, sono ottimisti), ovvero la giusta osservazione che se una conclusione è spiacevole non vuol dire che sia sbagliata. Come chiunque appartenga alla squadra del "dobbiamo prendere in seria considerazione la questione", mi unisco al coro e mi domando anch'io se la vita fa schifo.
Tradizionalmente le prove a favore di questa ipotesi si dividono in due gruppi, quelli legati al dolore (la vita offre tanta sofferenza e poca gioia) e quelli legati allo scopo (la vita non ha alcun senso). Sebbene questi ultimi siano considerati generalmente più motivati, è mia opinione che siano i primi a esserlo – d'altra parte, di un mal di denti si odia di più la sua insensatezza o la sensazione che lo accompagna?
Inizierò dunque dal secondo problema, quello più facile. Ligotti scrive:
Non ci sorprende il fatto che nessuno creda che ogni cosa sia inutile, e a buon diritto. Viviamo tutti in parametri di riferimento relativi e all'interno di tali parametri l'inutilità non è certo la norma. Uno schiacciapatate non è inutile se qualcuno vuole schiacciare le patate. Per certe persone un sistema che comprende un aldilà di beatitudine eterna non è inutile. Potrebbero affermare che questo sistema è necessariamente utile perché gli dà la speranza di cui hanno bisogno per attraversare questa vita. Ma un aldilà di beatitudine eterna non è, e non può essere, necessariamente utile perché qualcuno ha bisogno che sia così. Fa solo parte di un parametro relativo, nulla di più; proprio come uno schiacciapatate fa parte di un parametro relativo ed è utile solo se si ha necessità di schiacciare le patate. Una volta che hai attraversato questa vita verso un aldilà di beatitudine eterna, non avrai più bisogno di quest'aldilà. Ha svolto il suo compito e tutto quello che rimane è un aldilà di beatitudine eterna, un paradiso per edonisti riverenti e pii libertini. A cosa serve? Tanto varrebbe non esistere proprio, in vita o in un paradiso di beatitudine eterna. Ogni tipo di esistenza è inutile. Nulla si autogiustifica. Ogni cosa è giustificabile solo in senso relativistico, come lo schiacciapatate.
L'autore, così come i colleghi pessimisti che cita (soprattutto Peter Zapffe, ma il suo vero maestro è Schopenhauer), sostiene che l'inutilità della vita è garantita dalla relatività di ogni significato. Senza entrare nel termine della relatività congenita all'esistenza, va comunque notato che il nichilismo di Ligotti non è radicale, perché non si applica a se stesso: per dirla con Buddha, il filosofo del pessimismo intravede il vuoto, ma non la vuotezza del vuoto.


Se il problema è davvero che la vita non ha senso, perché fingere che ne abbia uno, sostenendo che è orribile?


In breve, disperarsi per l'insensatezza è a sua volta un gesto privo di senso, perché la disperazione le conferisce un significato. Il nichilismo che non si applica a se stesso, dunque, nega le categorie di valore per poi ristabilirle col ritenersi "un male". Se il problema è davvero che la vita non ha senso, perché fingere che ne abbia uno, sostenendo che è orribile? Ancora una volta il limite del pessimista è di non accorgersi di essere ottimista: al di là del bene e del male, infatti, non c'è il male, ma né il bene né il male. Come scrive Nietzsche, «non esistono affatto fenomeni morali, ma soltanto una interpretazione morale dei fenomeni».
L'assenza di scopo, dunque, non è un buon argomento per sostenere che la vita faccia schifo, almeno dal punto di vista razionale. È piuttosto una reazione emotiva, legata al nostro essere "programmati" per dare uno scopo alle cose, come nel caso dello schiacciapatate di Ligotti. Nel prendere una decisione su un tema così importante però, non possiamo farci dominare dalle emozioni del momento – o meglio, possiamo, purché non si spacci la tesi come valida per tutti. Qui il pessimista che non sa di essere ottimista potrebbe obiettare: ammesso che la questione sia errata, queste emozioni non sono una scelta e non posso liberarmene. Un'affermazione che, nel tirare in ballo la soggettività, ci avvicina al secondo problema, quello del dolore.
Sebbene sia evidente che alcune persone soffrono di più e altre di meno, l'assenza di misurazioni adeguate impedisce un'analisi quantitativa: non resta che accettare che quando il bene sopravanza il male la vita non fa quantitativamente schifo, e viceversa. Anche la questione qualitativa, ovvero se "il bene sia più un bene di quanto il male sia un male", si riduce al peso specifico dei casi particolari. È meglio evitare la morte di un proprio caro che trovare una banconota per terra, così come è preferibile vincere la lotteria che avere un po' di mal di testa. È raro essere sia felici che tristi e in genere il sentimento più forte detta l'umore generale.
La complessità del problema, inoltre, vanifica un argomento caro agli ottimisti, secondo il quale "senza il male non ci sarebbe il bene" perché i due opposti si implicano a vicenda. È pur vero, infatti, che l'identità delle cose si basa su una reciproca differenza, ma nulla toglie che si possa sperare in una vita in cui si evitano i grandi mali in favore di piccoli fastidi. Dolore e gioia non sono necessariamente l'uno la misura dell'altro, in quanto situati in una scala in cui non è necessario aver provato orribili lutti o degradanti menomazioni per godere del piacere di un caffé o di un bacio – sebbene l'intensità possa variare. Il dolore, dunque, non è necessario al piacere e ancora una volta la questione quantitativa non si liquida facilmente.


Abituati come siamo a cercare una finalità, saremmo disposti ad accettare un bel po' di dolore se questo portasse a qualcosa – è un principio alla base di molti sacrifici, dal rinunciare a un biscotto per una dieta a dare la vita per una causa.


Prendiamo in analisi la peggiore delle ipotesi – purtroppo comune – in cui il male è quantitativamente e qualitativamente maggiore del bene. L'ultima speranza dei sofferenti è che questo abbia un valore assoluto; in poche parole, che la bellezza di un fiore o l'emozione di un bacio valga diecimila guerre e un milione di stupri. Purtroppo però, qualora si concordi con i pessimisti-ottimisti nell'affermare che la vita non ha significato se non relativamente a qualcosa, la risposta è no. Il bene non ha un valore assoluto perché nulla ne ha uno.
Abituati come siamo a cercare una finalità, saremmo disposti ad accettare un bel po' di dolore se questo portasse a qualcosa – è un principio alla base di molti sacrifici, dal rinunciare a un biscotto per una dieta a dare la vita per una causa. L'assenza di un obiettivo, invece, ci sembra una tortura. Una volta scoperto che il senso è legato a una forma, e che questa è in gran parte predeterminata (poco importa se dalla genetica, dalla società, dalla fisica subatomica, da un dio buono o da uno malvagio), pare che non ci sia scampo alla domanda che tormenta Levi Strauss in Tristi Tropici: «A che serve agire se il pensiero che guida l'azione conduce alla scoperta dell'assenza di senso?». Aggiungiamoci un bel po' di sofferenza e tutto è perduto.


Chi crede di poter sopportare ogni travaglio in nome di uno scopo, ma non ne trova uno soddisfacente, potrebbe azzardare la ribellione più estrema, quella contro il significato stesso.



Dunque la vita fa schifo o no? Bè, dipende. Il problema del dolore, infatti, si intreccia nuovamente a quello dello scopo, perché il peso di quest'ultimo influisce drasticamente nell'equilibrio tra bene e male, a favore dell'uno o dell'altro. La "scoperta dell'assenza di senso" ci riporta al nichilismo che non si applica a se stesso. Ligotti, e con lui molti altri, sostiene che il mondo oltre il bene e il male sia un inutile paradosso e che ogni forma di liberazione sia quasi impossibile. Buddha, e con lui molti altri, è convinto che questo stato sia sì paradossale, ma non inaccessibile. Qui, dove ogni risposta diventa inevitabilmente un'opinione, mi sembra inutile aggiungere la mia.
Da un punto di vista logico però, chi è convinto dell'insensatezza della vita deve anche credere all'insensatezza dell'insensatezza – trasportare la ragione nelle paradossali lande oltre il bene e il male non è arduo. Ma, ahimè, si vive in balia dei sentimenti e il dolore resta; «siamo tutti delle marionette, Laurie. Io sono una marionetta che riesce  a vedere i fili», confessa il Dottor Manhattan, il supereroe in crisi esistenziale di Watchmen. Il fatto curioso è che alcuni vivono la cosa come una liberazione e altri come un tormento.
Dove manca una risposta si può comunque tentare una strategia: se si è stanchi della catena delle finalità, potremmo trovare un sollievo nella sue vacuità. Chi crede di poter sopportare ogni travaglio in nome di uno scopo, ma non ne trova uno soddisfacente, potrebbe azzardare la ribellione più estrema, quella contro il significato stesso. Non è necessario esser santi o illuminati per dare una sbirciatina oltre i valori abituali e intuire dietro alla gioia, alla banalità e persino al dolore, un frammento del vuoto accecante per il quale ogni sentimento è inadeguato. Le sfumature, come si diceva, sono importanti. È un esercizio lungo, faticoso e progressivo, così come il mutare atteggiamento verso ciò che prima ci atterriva. E se proprio dovesse andar male, pazienza: che la vita faccia schifo, come si diceva all'inizio, è comunque una buona notizia.


Francesco D'Isa  (Firenze, 1980), di formazione filosofo e artista visivo, dopo l'esordio con I. (Nottetempo, 2011), ha pubblicato romanzi come Anna (effequ 2014), Ultimo piano (Imprimatur 2015), La Stanza di Therese (Tunué, 2017) e saggi per Hoepli e Newton Compton. Direttore editoriale dell'Indiscreto, scrive e disegna per varie riviste.

Sariputra

Si potrebbe guardare il quesito da un'altra prospettiva: se noi non cercassimo continuamente di procurarci sensazioni piacevoli e di sfuggire le spiacevoli, la domanda avrebbe forse un senso? Infatti il giudizio sullo "schifo" presunto della vita è dato dalla frustrazione della nostra ricerca inesauribile di piacere e dalla paura di provare il dolore. Eliminando questa sete e questa paura la domanda appare priva di significato. Come chiedersi perché la Luna illumina la Terra... Si è forse meno "umani" se non ci si attacca continuamente al desiderio di provare piacere e alla volontà di fuggire la sofferenza? O si è veramente "umani" invece? Liberandosi da questi condizionamenti forse si può 'toccare' qualcosa che non è legato ai condizionamenti? E non c'è un'enorme bellezza in questa libertà?... :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Eutidemo

Domanda: La vita fa schifo?
Risposta: Sì, perchè purtroppo mi è toccato di doverla assaggiare :'(

epicurus

Ciao Francesco.  :)

Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Chi sostiene che la vita fa schifo viene definito "pessimista", ma in realtà è un "ottimista" – più valore si dà alla vita, infatti, più la sua inevitabile perdita sarà dolorosa.
Se io dicessi "La squadra di calcio X fa schifo" sto dando più valore alla squadra X? Non penso proprio. Quindi, da un certo punto di vista se uno dice "la vita fa schifo" sta dando poco valore alla vita, cioè la vita avrebbe un grado qualitativo basso.

Ma concordo che vi è un altro modo di intendere "valore" in questo contesto. Consideriamo una persona indifferente alla vita, un individuo completamente disinteressato. Allora qui potremmo dire che per tale persona non ha valore, mentre per chi ama la vita e chi odia la vita essa ha un valore malgrado tutto.

La questione forse è che esistono danti modi diversi di essere pessimisti, e tanti modi diversi di intendere "valore", e quindi parlare in modo così contratto porta a inferenze scorrette (come, io credo, la tua).

Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Considerato inoltre che la vita è infinitamente più breve dell'eternità che la segue e precede, il fatto che l'esistenza cosciente sia una macchia irrilevante nell'illimitato dovrebbe essere considerata una buona notizia.
Dipende. Se mi considero pessimista proprio perché non posso vivere illimitatamente? E se credo ad un infinito ciclo di rinascite nel dolore?

Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
[...] Thomas Ligotti [...]: sì, la vita fa schifo, dovremmo smettere di procreare e se il suicidio è un'opzione difficile è perché siamo schiavi delle dinamiche dell'esistenza.
[...]
A difesa del valore della sua tesi, Ligotti propone uno degli argomenti preferiti dei pessimisti (che, ripeto, sono ottimisti), ovvero la giusta osservazione che se una conclusione è spiacevole non vuol dire che sia sbagliata. Come chiunque appartenga alla squadra del "dobbiamo prendere in seria considerazione la questione", mi unisco al coro e mi domando anch'io se la vita fa schifo.
Ovviamente concordo in pieno sulla non coincidenza di dispiacere e sbagliato. Ma questa non è certo un'argomentazione a favore del pessimismo.  ;D 

Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Ligotti scrive:

"Non ci sorprende il fatto che nessuno creda che ogni cosa sia inutile, e a buon diritto. Viviamo tutti in parametri di riferimento relativi e all'interno di tali parametri l'inutilità non è certo la norma. Uno schiacciapatate non è inutile se qualcuno vuole schiacciare le patate. [...] Una volta che hai attraversato questa vita verso un aldilà di beatitudine eterna, non avrai più bisogno di quest'aldilà. Ha svolto il suo compito e tutto quello che rimane è un aldilà di beatitudine eterna, un paradiso per edonisti riverenti e pii libertini. A cosa serve? Tanto varrebbe non esistere proprio, in vita o in un paradiso di beatitudine eterna. Ogni tipo di esistenza è inutile. Nulla si autogiustifica. Ogni cosa è giustificabile solo in senso relativistico, come lo schiacciapatate."

L'autore, così come i colleghi pessimisti che cita (soprattutto Peter Zapffe, ma il suo vero maestro è Schopenhauer), sostiene che l'inutilità della vita è garantita dalla relatività di ogni significato. Senza entrare nel termine della relatività congenita all'esistenza, va comunque notato che il nichilismo di Ligotti non è radicale, perché non si applica a se stesso: per dirla con Buddha, il filosofo del pessimismo intravede il vuoto, ma non la vuotezza del vuoto.

In breve, disperarsi per l'insensatezza è a sua volta un gesto privo di senso, perché la disperazione le conferisce un significato. Il nichilismo che non si applica a se stesso, dunque, nega le categorie di valore per poi ristabilirle col ritenersi "un male". Se il problema è davvero che la vita non ha senso, perché fingere che ne abbia uno, sostenendo che è orribile? Ancora una volta il limite del pessimista è di non accorgersi di essere ottimista: al di là del bene e del male, infatti, non c'è il male, ma né il bene né il male. Come scrive Nietzsche, «non esistono affatto fenomeni morali, ma soltanto una interpretazione morale dei fenomeni».
Prima una piccola parentesi da avvocato del diavolo. Ligotti potrebbe rispondere che le stesse categorie "bene" e "male" sono relative, quindi lui è pessimista perché il mondo non soddisfa la propria idea di "bene". E un mondo senza scopo e senso, per la propria definizione, è considerato un male. Da qui il suo pessimismo. :D

Quindi l'argomentazione pessimistica dell'assenza di senso è corretta? No, penso che non sia corretta, ma per un motivo molto diverso da quello che adduci tu.

Nel topic "Un motivo per vivere" (https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un-motivo-per-vivere/msg17877/#msg17877) ho sostenuto e difeso la tesi che la domanda sul senso e scopo della vita è un nonsense, frutto di un cattivo uso del linguaggio. Se ciò è vero, allora sia "la vita ha un senso" che "la vita non ha un senso" sono entrambe proposizioni mal formulate. E da un uso sgrammaticato del linguaggio non si può certo dedurre alcun stato di cose positivo o negativo. Quindi l'argomentazione dell'assenza di senso non può essere adottata dal pessimista.

Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
La complessità del problema, inoltre, vanifica un argomento caro agli ottimisti, secondo il quale "senza il male non ci sarebbe il bene" perché i due opposti si implicano a vicenda. È pur vero, infatti, che l'identità delle cose si basa su una reciproca differenza, ma nulla toglie che si possa sperare in una vita in cui si evitano i grandi mali in favore di piccoli fastidi. Dolore e gioia non sono necessariamente l'uno la misura dell'altro, in quanto situati in una scala in cui non è necessario aver provato orribili lutti o degradanti menomazioni per godere del piacere di un caffé o di un bacio – sebbene l'intensità possa variare. Il dolore, dunque, non è necessario al piacere e ancora una volta la questione quantitativa non si liquida facilmente.
Qui condivido al 100%. In un mondo senza dolore e pieno di gioia probabilmente non avremmo la parola "gioia", ma non cambierebbe il fatto sostanziale: sarebbe un mondo senza dolore e pieno di gioia. Potremmo dire che non c'è democrazia senza dittatura essendo una il contrario dell'altra, ma per secoli ci sono state solo dittature sulla terra, e molti sperano che in futuro ci siano solo democrazie.

Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Sebbene sia evidente che alcune persone soffrono di più e altre di meno, l'assenza di misurazioni adeguate impedisce un'analisi quantitativa: non resta che accettare che quando il bene sopravanza il male la vita non fa quantitativamente schifo, e viceversa. Anche la questione qualitativa, ovvero se "il bene sia più un bene di quanto il male sia un male", si riduce al peso specifico dei casi particolari.
Concordo anche qui. Se la vita fa schifo o meno non può che essere un giudizio personale basato sui propri giudizi morali e sulla storia vissuta personale.

Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Prendiamo in analisi la peggiore delle ipotesi – purtroppo comune – in cui il male è quantitativamente e qualitativamente maggiore del bene. L'ultima speranza dei sofferenti è che questo abbia un valore assoluto; in poche parole, che la bellezza di un fiore o l'emozione di un bacio valga diecimila guerre e un milione di stupri. Purtroppo però, qualora si concordi con i pessimisti-ottimisti nell'affermare che la vita non ha significato se non relativamente a qualcosa, la risposta è no. Il bene non ha un valore assoluto perché nulla ne ha uno.
Qui non ho capito. Se siamo nell'ipotesi che il male sia quantitativamente e qualitativamente maggiore del bene per un dato individuo, cosa ci interessa considerare l'assolutezza o la relatività del male? L'unico dato importante è che per il soggetto ci sia più male che bene.

Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Abituati come siamo a cercare una finalità, saremmo disposti ad accettare un bel po' di dolore se questo portasse a qualcosa – è un principio alla base di molti sacrifici, dal rinunciare a un biscotto per una dieta a dare la vita per una causa.
Non è che siamo ammaestrati a trovare una finalità e che quindi se c'è una finalità allora siamo contenti malgrado la sofferenza. Siamo disposti a ammettere delle sofferenze se alla fine ci attende una situazione che compensi tali sofferenze. Da come l'hai scritto tu sembra che tale tendenza umana sia uno stupido automatismo, ma formulato come ho fatto io si esplicita una giustificazione razionale.

Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Da un punto di vista logico però, chi è convinto dell'insensatezza della vita deve anche credere all'insensatezza dell'insensatezza – trasportare la ragione nelle paradossali lande oltre il bene e il male non è arduo.
Come ho detto sopra, io sostengo l'insensatezza linguistica dell'insensatezza (metafisica) e della sensatezza (metafisica) della vita. Ciò non risolve il problema, lo dissolve mostrando che non vi era mai stato un problema.

Quello che tu dici, invece, non mi convince.  :)

Angelo Cannata

#4
Tutta la questione, posta in questo modo, manca di consapevolezza storica.

Il pessimismo nei confronti della vita o la ricerca di senso generale per l'esistenza sono fenomeni nati in determinati contesti storico-culturali. In particolare, ad esempio, nell'Antico Testamento è possibile notare che i testi più antichi non si pongono questo tipo di problemi esistenziali; invece nei testi più tardivi dell'Antico Testamento iniziano ad apparire le riflessioni generaliste sull'esistenza, le riflessioni sul problema del male e sul senso di ogni cosa.

In questo senso, la storia ci permette di prendere atto che il pessimismo esistenziale è strettamente connesso con certi modi specifici di organizzare i propri pensieri, il proprio modo di pensare. Cioè, non possiamo concludere che quelli che scrissero i testi più antichi dell'Antico Testamento fossero più stupidi, più ingenui, più superficiali, a causa del fatto che non si ponevano questi problemi esistenziali, o meglio, non se li ponevano in questi termini.

Questo ci permette di sospettare, ma io direi direttamente dedurre, concludere, che la crisi di senso della vita non è un problema della vita, è crisi di un modo di pensare, è crisi di un modo di organizzare le proprie idee, insomma, è crisi di un modo di fare filosofia.

In altre parole più brutali, si tratta di concludere che ciò che fa schifo non è la vita, ma un certo modo di fare filosofia, un modo tutto infarcito di presunzioni universaliste, pretese di poter stabilire certezze e verità. È questo stile di pensiero che porta inevitabilmente allo schifo. Che poi questo schifo si rivolga verso la vita, oppure verso i deboli, sotto forma di oppressione e arroganza, oppure verso sé stessi, poco importa: è questo stile di pensiero, questo modo di filosofare che porta inevitabilmente a provare schifo. Riflettendoci non è difficile quindi dedurre che ciò che è intriso di schifo, ciò che è schifo esso stesso è proprio questo modo di pensare.

L'uomo occidentale che ha oppresso gli indigeni dell'Africa, dell'America, ha bruciato gli Ebrei, è un uomo che, non avendo avuto il coraggio di ammettere con sé stesso che il suo modo di pensare era schifoso, ha rivolto la sua rabbia verso gli obiettivi dov'era più comodo e vile rivolgerla. Il bullo è uno che fa schifo a sé stesso, ma, non avendo il coraggio di dirselo allo specchio e così intraprendere vie di progresso, trova più comodo opprimere il debole.

Ora, qui non si tratta di mettersi a pensare che se cambieremo filosofia l'esistenza diventerà un paradiso: anche un racconto come quello del peccato originale esprime sofferenza per l'esistenza umana, lo fa però percorrendo vie più fruttuose, rispetto alle filosofie presuntuose che non possono non sfociare nell'autoannichilamento. In questo senso le filosofie della certezza che sfociano nel relativismo e il Buddhismo che, pretendendo di capire come funziona l'intero universo, sfocia nella necessità di annullare le personalità, fonderle nella totalità, mi vengono a risultare meccanismi uguali.

Ovviamente nessuno ha mai avuto in tasca la soluzione alle sofferenze dell'esistenza, anche perché già il ragionare stesso per inseguimenti di soluzioni definitive o salvezze definitive sarebbe già di nuovo un cadere in modi di pensare universalisti e quindi presuntuosi.

Ciò che è possibile è muoversi in maniere diverse. Piuttosto che procedere per pretese di stabilire il senso della vita, è possibile procedere per assunzioni storiche. Assunzioni storiche significa che in ogni momento della vita prendiamo atto della nostra storicità, del fatto che siamo esseri particolari, locali, limitati, e sulla base di un continuo assumere la storia, un continuo riflettere sulla storia che abbiamo alle spalle, sia come singoli che come intera umanità, ci cimentiamo nelle scelte pratiche, nelle riflessioni e nelle arti.

In questo senso tutta la filosofia che ho chiamato "presuntuosa" non viene gettata nella spazzatura, ma assunta come importante fase del cammino di crescita dell'umanità e sfruttata al servizio di modi di procedere che oggi si dimostrano più comprensivi, più aderenti alla nostra condizione umana, più capaci di far intravedere vie di crescita.

fdisa

Ciao e grazie per la lettura!
Citazione di: epicurus il 26 Febbraio 2018, 15:40:51 PM
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Chi sostiene che la vita fa schifo viene definito "pessimista", ma in realtà è un "ottimista" – più valore si dà alla vita, infatti, più la sua inevitabile perdita sarà dolorosa.

Se io dicessi "La squadra di calcio X fa schifo" sto dando più valore alla squadra X? Non penso proprio. Quindi, da un certo punto di vista se uno dice "la vita fa schifo" sta dando poco valore alla vita, cioè la vita avrebbe un grado qualitativo basso.

Ma concordo che vi è un altro modo di intendere "valore" in questo contesto. Consideriamo una persona indifferente alla vita, un individuo completamente disinteressato. Allora qui potremmo dire che per tale persona non ha valore, mentre per chi ama la vita e chi odia la vita essa ha un valore malgrado tutto. 

La questione forse è che esistono danti modi diversi di essere pessimisti, e tanti modi diversi di intendere "valore", e quindi parlare in modo così contratto porta a inferenze scorrette (come, io credo, la tua).

Non mi torna il tuo parallelo. Il ragionamento non è che se "la cosa X fa schifo" allora dò valore alla cosa X.
Semplicemente che se dico che "una cosa X fa schifo" non è un danno perderla, e viceversa.


Citazione
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Considerato inoltre che la vita è infinitamente più breve dell'eternità che la segue e precede, il fatto che l'esistenza cosciente sia una macchia irrilevante nell'illimitato dovrebbe essere considerata una buona notizia.
Dipende. Se mi considero pessimista proprio perché non posso vivere illimitatamente? E se credo ad un infinito ciclo di rinascite nel dolore? 

La prima affermazione non la capisco: la frase che citi è relativa a chi crede che la vita faccia schifo, caso in cui non si può esser tristi che non duri in eterno.

Nel secondo caso, invece, hai ragione: chi crede a un infinito ciclo di dolorose rinascite dopo la morte (o a qualunque cosa peggiore della vita dopo la morte) non può che essere un "vero" pessimista.


Citazione
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
[...] Thomas Ligotti [...]: sì, la vita fa schifo, dovremmo smettere di procreare e se il suicidio è un'opzione difficile è perché siamo schiavi delle dinamiche dell'esistenza. 
[...]
A difesa del valore della sua tesi, Ligotti propone uno degli argomenti preferiti dei pessimisti (che, ripeto, sono ottimisti), ovvero la giusta osservazione che se una conclusione è spiacevole non vuol dire che sia sbagliata. Come chiunque appartenga alla squadra del "dobbiamo prendere in seria considerazione la questione", mi unisco al coro e mi domando anch'io se la vita fa schifo.
Ovviamente concordo in pieno sulla non coincidenza di dispiacere e sbagliato. Ma questa non è certo un'argomentazione a favore del pessimismo.  ;D  


Concordo con te :)


CitazionePrima una piccola parentesi da avvocato del diavolo. Ligotti potrebbe rispondere che le stesse categorie "bene" e "male" sono relative, quindi lui è pessimista perché il mondo non soddisfa la propria idea di "bene". E un mondo senza scopo e senso, per la propria definizione, è considerato un male. Da qui il suo pessimismo. :D 

Quindi l'argomentazione pessimistica dell'assenza di senso è corretta? No, penso che non sia corretta, ma per un motivo molto diverso da quello che adduci tu.

Nel topic "Un motivo per vivere" (https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un-motivo-per-vivere/msg17877/#msg17877) ho sostenuto e difeso la tesi che la domanda sul senso e scopo della vita è un nonsense, frutto di un cattivo uso del linguaggio. Se ciò è vero, allora sia "la vita ha un senso" che "la vita non ha un senso" sono entrambe proposizioni mal formulate. E da un uso sgrammaticato del linguaggio non si può certo dedurre alcun stato di cose positivo o negativo. Quindi l'argomentazione dell'assenza di senso non può essere adottata dal pessimista.

Se definisco una parola come mi pare, ho sempre ragione :) Se Ligotti rispondesse come dici, la sua tesi varrebbe solo per sé e per chi condivide i suoi soggettivi criteri di "bene". Insomma, dimostra solo che la SUA vita fa schifo.

Leggerò il tuo testo!

CitazioneQui non ho capito. Se siamo nell'ipotesi che il male sia quantitativamente e qualitativamente maggiore del bene per un dato individuo, cosa ci interessa considerare l'assolutezza o la relatività del male? L'unico dato importante è che per il soggetto ci sia più male che bene.

Mi spiego meglio: se un individuo decidesse che in assoluto il bene vale più del male, anche se fosse quantitativamente e qualitativamente minore, il suo giudizio cambierebbe.


CitazioneNon è che siamo ammaestrati a trovare una finalità e che quindi se c'è una finalità allora siamo contenti malgrado la sofferenza. Siamo disposti a ammettere delle sofferenze se alla fine ci attende una situazione che compensi tali sofferenze. Da come l'hai scritto tu sembra che tale tendenza umana sia uno stupido automatismo, ma formulato come ho fatto io si esplicita una giustificazione razionale.

Ho dato troppe cose per scontate in questo passaggio, hai ragione. Siamo capaci di sopportare molto dolore in vista di uno scopo che reputiamo, appunto, "valere la pena". Vale la pena di subire un pizzicotto per 2000 euro? E di perdere un rene? Si tratta di un mero calcolo quantitativo bene/male, che, fissati determinati criteri, porta a decisioni razionali.

Ma proprio perché siamo abituati a questo tipo di calcoli, li applichiamo anche alla vita nella sua interezza: Sì, vale la pena sopportare tutti i dolori della vita se... (e qua ognuno mette il suo senso). Ma il "senso della vita", se non si rifà a qualcosa dopo di essa, è privo di qualunque razionalità come quella sopra esposta.
Citazione di: epicurus il 26 Febbraio 2018, 15:40:51 PM
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Da un punto di vista logico però, chi è convinto dell'insensatezza della vita deve anche credere all'insensatezza dell'insensatezza – trasportare la ragione nelle paradossali lande oltre il bene e il male non è arduo.
Come ho detto sopra, io sostengo l'insensatezza linguistica dell'insensatezza (metafisica) e della sensatezza (metafisica) della vita. Ciò non risolve il problema, lo dissolve mostrando che non vi era mai stato un problema.

Quello che tu dici, invece, non mi convince.  :)
Non vedo come, sempre nel testo che dicevi?

fdisa

Citazione di: Angelo Cannata il 27 Febbraio 2018, 09:52:58 AM
Tutta la questione, posta in questo modo, manca di consapevolezza storica.

Il pessimismo nei confronti della vita o la ricerca di senso generale per l'esistenza sono fenomeni nati in determinati contesti storico-culturali. In particolare, ad esempio, nell'Antico Testamento è possibile notare che i testi più antichi non si pongono questo tipo di problemi esistenziali; invece nei testi più tardivi dell'Antico Testamento iniziano ad apparire le riflessioni generaliste sull'esistenza, le riflessioni sul problema del male e sul senso di ogni cosa.
Il giudizio sulla vita subisce grandissime variazioni nell'arco della storia e in base a contesti fideistici differenti, sono d'accordo. Ma dubito che l'interrogarsi sul suo valore sia storia recente: è dalla più remota antichità* che l'uomo si domanda se e perché la vita valga la pena di essere vissuta, a cambiare sono più che altro le risposte e il modo di porre la domanda.

*Basti pensare a Epicuro.

fdisa

Citazione di: epicurus il 26 Febbraio 2018, 15:40:51 PM
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Da un punto di vista logico però, chi è convinto dell'insensatezza della vita deve anche credere all'insensatezza dell'insensatezza – trasportare la ragione nelle paradossali lande oltre il bene e il male non è arduo.
Come ho detto sopra, io sostengo l'insensatezza linguistica dell'insensatezza (metafisica) e della sensatezza (metafisica) della vita. Ciò non risolve il problema, lo dissolve mostrando che non vi era mai stato un problema.

Quello che tu dici, invece, non mi convince.  :)

Ho letto il testo che mi hai linkato (interessante, grazie) e preciso a seguito della lettura.

Come scrivi (e con te Ligotti) le cose hanno un senso solo all'interno della vita. Di conseguenza trovare un senso per l'interezza della vita è una questione mal formulata. 

Ci ho pensato e mi sembra che diciamo la stessa cosa, come posso non convincerti? :P Scherzi a parte, questo concetto mi sembra davvero analogo, al massimo se ne trae conclusioni diverse.

Angelo Cannata

Citazione di: fdisa il 27 Febbraio 2018, 22:19:59 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 27 Febbraio 2018, 09:52:58 AM
Tutta la questione, posta in questo modo, manca di consapevolezza storica.

Il pessimismo nei confronti della vita o la ricerca di senso generale per l'esistenza sono fenomeni nati in determinati contesti storico-culturali. In particolare, ad esempio, nell'Antico Testamento è possibile notare che i testi più antichi non si pongono questo tipo di problemi esistenziali; invece nei testi più tardivi dell'Antico Testamento iniziano ad apparire le riflessioni generaliste sull'esistenza, le riflessioni sul problema del male e sul senso di ogni cosa.
Il giudizio sulla vita subisce grandissime variazioni nell'arco della storia e in base a contesti fideistici differenti, sono d'accordo. Ma dubito che l'interrogarsi sul suo valore sia storia recente: è dalla più remota antichità* che l'uomo si domanda se e perché la vita valga la pena di essere vissuta, a cambiare sono più che altro le risposte e il modo di porre la domanda.

*Basti pensare a Epicuro.
In base al discorso che ho fatto, Epicuro fa parte della storia recente, quella che nell'Antico Testamento corrisponde ai testi più tardivi. Ma l'esprimersi, lo scrivere, sono nati ben prima di Epicuro. Il fatto è che pìu andiamo indietro, più raro diventa l'interrogativo generalista sul senso della vita e non certo perché si tratti di epoche più primitive, più rozze, meno elaborate culturalmente; si tratta piuttosto di epoche che testimoniano la possibilità di affrontare la questione del senso della vita in maniere diverse rispetto a quelle a cui ci ha fatto abituare il modo di pensare astratto e universalista nato con la filosofia greca.

Domingo94

Ci sono vite più o meno belle ma per quanto mi concerne, qua siamo solo di passaggio, la vera vita è altrove ;)

epicurus

Citazione di: fdisa il 27 Febbraio 2018, 22:14:18 PM
Ciao e grazie per la lettura!
Grazie a te per aver iniziato questa discussione. Malgrado le mie osservazioni, mi piace molto come l'hai impostata. ;)

Citazione di: fdisa il 27 Febbraio 2018, 22:14:18 PM
Citazione di: epicurus il 26 Febbraio 2018, 15:40:51 PM
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Chi sostiene che la vita fa schifo viene definito "pessimista", ma in realtà è un "ottimista" – più valore si dà alla vita, infatti, più la sua inevitabile perdita sarà dolorosa.

Se io dicessi "La squadra di calcio X fa schifo" sto dando più valore alla squadra X? Non penso proprio. Quindi, da un certo punto di vista se uno dice "la vita fa schifo" sta dando poco valore alla vita, cioè la vita avrebbe un grado qualitativo basso.

Ma concordo che vi è un altro modo di intendere "valore" in questo contesto. Consideriamo una persona indifferente alla vita, un individuo completamente disinteressato. Allora qui potremmo dire che per tale persona non ha valore, mentre per chi ama la vita e chi odia la vita essa ha un valore malgrado tutto.

La questione forse è che esistono danti modi diversi di essere pessimisti, e tanti modi diversi di intendere "valore", e quindi parlare in modo così contratto porta a inferenze scorrette (come, io credo, la tua).

Non mi torna il tuo parallelo. Il ragionamento non è che se "la cosa X fa schifo" allora dò valore alla cosa X.
Semplicemente che se dico che "una cosa X fa schifo" non è un danno perderla, e viceversa.
Tu però qui consideri la cosa in modo binario: o è X o è non-X. Invece il pessimista potrebbe (uso il condizionale perché, come dicevo, ci sono molti modi diversi di essere pessimista), per esempio, odiare l'idea di morire e così cessare di esistere e odiare pure questo modo di esistere. Quindi potrebbe voler evitare la morte ma voler un'esistenza diversa. Ma, ovviamente, potrebbe esserci qualcuno che è solo negativo sull'esistenza e allora la morte potrebbe essere una buona soluzione.

Da qui, quanto dicevo più sopra: "La questione forse è che esistono tanti modi diversi di essere pessimisti, e tanti modi diversi di intendere "valore", e quindi parlare in modo così contratto porta a inferenze scorrette."

Citazione di: fdisa il 27 Febbraio 2018, 22:14:18 PM
Citazione
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Considerato inoltre che la vita è infinitamente più breve dell'eternità che la segue e precede, il fatto che l'esistenza cosciente sia una macchia irrilevante nell'illimitato dovrebbe essere considerata una buona notizia.
Dipende. Se mi considero pessimista proprio perché non posso vivere illimitatamente? E se credo ad un infinito ciclo di rinascite nel dolore?

La prima affermazione non la capisco: la frase che citi è relativa a chi crede che la vita faccia schifo, caso in cui non si può esser tristi che non duri in eterno.

Nel secondo caso, invece, hai ragione: chi crede a un infinito ciclo di dolorose rinascite dopo la morte (o a qualunque cosa peggiore della vita dopo la morte) non può che essere un "vero" pessimista.
Spiego meglio il primo caso. Ci sono pessimisti che seguono questo ragionamento: "Ok, la vita in sé non è tanto malvagia, ma il problema è la morte. La morte toglie completamente il senso alla vita, perché la vita è solo un avvicinamento alla morte". Questo genere di pessimista è imprigionato perché non solo non può trovare salvezza nella morte, ma la morte è proprio il nemico che si vorrebbe (ma non si può) combattere.

Citazione di: fdisa il 27 Febbraio 2018, 22:14:18 PM
CitazionePrima una piccola parentesi da avvocato del diavolo. Ligotti potrebbe rispondere che le stesse categorie "bene" e "male" sono relative, quindi lui è pessimista perché il mondo non soddisfa la propria idea di "bene". E un mondo senza scopo e senso, per la propria definizione, è considerato un male. Da qui il suo pessimismo. :D[/size]

Se definisco una parola come mi pare, ho sempre ragione :) Se Ligotti rispondesse come dici, la sua tesi varrebbe solo per sé e per chi condivide i suoi soggettivi criteri di "bene". Insomma, dimostra solo che la SUA vita fa schifo.
Capisco che usare il termine "cucchiaio" per riferirmi al valore dei bitocoin sarebbe scorretto, però qui mi pare che siamo ampiamente entro i margini elastici del linguaggio. Che male e bene siano relativi alla persona non è certo una rivoluzione che impensierirebbe la Crusca.  ;D
Dimostrerebbe che la sua vita e la vita di tutti quelli che la pensano come lui farebbe schifo, sempre pessimismo è. E probabilmente sono in moltissimi che ritengono la sensatezza della vita una condizione necessaria per poter vivere una vita buona.

Tanto per rimarcare la moltitudine di pessimisti diversi: per una persona la situazione in cui il mondo fa schifo solo per lui e per tutti gli altri è perfetta, potrebbe essere la situazione peggiore in assoluto. Per altri, invece, sarebbe peggiore la situazione in cui il mondo fa schifo per tutti. Dipende.

Citazione di: fdisa il 27 Febbraio 2018, 22:14:18 PM
CitazioneQui non ho capito. Se siamo nell'ipotesi che il male sia quantitativamente e qualitativamente maggiore del bene per un dato individuo, cosa ci interessa considerare l'assolutezza o la relatività del male? L'unico dato importante è che per il soggetto ci sia più male che bene.

Mi spiego meglio: se un individuo decidesse che in assoluto il bene vale più del male, anche se fosse quantitativamente e qualitativamente minore, il suo giudizio cambierebbe.
Secondo me è un modo di esprimersi forviante. Dire che il bene vale più del male, mi pare che sia come dire che il bene vale qualitativamente di più del male. Non trovi?

Citazione di: fdisa il 27 Febbraio 2018, 22:14:18 PM
CitazioneNon è che siamo ammaestrati a trovare una finalità e che quindi se c'è una finalità allora siamo contenti malgrado la sofferenza. Siamo disposti a ammettere delle sofferenze se alla fine ci attende una situazione che compensi tali sofferenze. Da come l'hai scritto tu sembra che tale tendenza umana sia uno stupido automatismo, ma formulato come ho fatto io si esplicita una giustificazione razionale.

Ho dato troppe cose per scontate in questo passaggio, hai ragione. Siamo capaci di sopportare molto dolore in vista di uno scopo che reputiamo, appunto, "valere la pena". Vale la pena di subire un pizzicotto per 2000 euro? E di perdere un rene? Si tratta di un mero calcolo quantitativo bene/male, che, fissati determinati criteri, porta a decisioni razionali.

Ma proprio perché siamo abituati a questo tipo di calcoli, li applichiamo anche alla vita nella sua interezza: Sì, vale la pena sopportare tutti i dolori della vita se... (e qua ognuno mette il suo senso). Ma il "senso della vita", se non si rifà a qualcosa dopo di essa, è privo di qualunque razionalità come quella sopra esposta.
Potresti chiarirmi meglio questo punto, non sono sicuro di aver compreso appieno. Propongo un esempio che magari puoi includere nella spiegazione: "Io accetto il dolore dato dalla perdita dei miei genitori se ho altre persone con cui ho degli affetti" (in questo caso il senso della vita che mi fa superare il dolore è l'amicizia e/o la famiglia). Facendo riferimento a quanto scritto nell'altro topic, questo è il senso della vita che io chiamo "umano".

Citazione di: fdisa il 27 Febbraio 2018, 22:42:09 PM
Citazione di: epicurus il 26 Febbraio 2018, 15:40:51 PM
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Da un punto di vista logico però, chi è convinto dell'insensatezza della vita deve anche credere all'insensatezza dell'insensatezza – trasportare la ragione nelle paradossali lande oltre il bene e il male non è arduo.
Come ho detto sopra, io sostengo l'insensatezza linguistica dell'insensatezza (metafisica) e della sensatezza (metafisica) della vita. Ciò non risolve il problema, lo dissolve mostrando che non vi era mai stato un problema.

Quello che tu dici, invece, non mi convince.  :)

Ho letto il testo che mi hai linkato (interessante, grazie) e preciso a seguito della lettura.

Come scrivi (e con te Ligotti) le cose hanno un senso solo all'interno della vita. Di conseguenza trovare un senso per l'interezza della vita è una questione mal formulata.

Ci ho pensato e mi sembra che diciamo la stessa cosa, come posso non convincerti? :P Scherzi a parte, questo concetto mi sembra davvero analogo, al massimo se ne trae conclusioni diverse.
Parlavi di buddismo, paradossi, vacuità, così ho creduto che quando parlavi di "insensatezza dell'insensatezza della vita" volessi intendere qualcosa di più mistico/metafisico. Ma se come me intendi dire che è linguisticamente insensato parlare di insensatezza o sensatezza metafisica della vita, allora sì, siamo sulla stessa lunghezza d'onda.  :D

fdisa

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 01:07:56 AM
In base al discorso che ho fatto, Epicuro fa parte della storia recente, quella che nell'Antico Testamento corrisponde ai testi più tardivi. Ma l'esprimersi, lo scrivere, sono nati ben prima di Epicuro. Il fatto è che pìu andiamo indietro, più raro diventa l'interrogativo generalista sul senso della vita e non certo perché si tratti di epoche più primitive, più rozze, meno elaborate culturalmente; si tratta piuttosto di epoche che testimoniano la possibilità di affrontare la questione del senso della vita in maniere diverse rispetto a quelle a cui ci ha fatto abituare il modo di pensare astratto e universalista nato con la filosofia greca.
Sin dalle prime fonti scritte esistenti l'uomo si pone questi interrogativi, ogni religione ne è intrisa, anche le più antiche. È un problema presente persino nei Veda. Insomma, non mi pare proprio una questione "recente" :)

fdisa

CitazioneTu però qui consideri la cosa in modo binario: o è X o è non-X. Invece il pessimista potrebbe (uso il condizionale perché, come dicevo, ci sono molti modi diversi di essere pessimista), per esempio, odiare l'idea di morire e così cessare di esistere e odiare pure questo modo di esistere. Quindi potrebbe voler evitare la morte ma voler un'esistenza diversa. Ma, ovviamente, potrebbe esserci qualcuno che è solo negativo sull'esistenza e allora la morte potrebbe essere una buona soluzione.

Da qui, quanto dicevo più sopra: "La questione forse è che esistono tanti modi diversi di essere pessimisti, e tanti modi diversi di intendere "valore", e quindi parlare in modo così contratto porta a inferenze scorrette."
Odiare sia la vita che la morte è lecito, ma incoerente e poco sostenibile. Perché se della vita si odia che si muoia, significa che si dà valore a quel che viene prima della vita. Se invece della vita si odia il vivere, la morte è una buona notizia. Questi pessimisti che descrivi insomma più che pessimisti mi sembrano confusi :D

CitazioneSpiego meglio il primo caso. Ci sono pessimisti che seguono questo ragionamento: "Ok, la vita in sé non è tanto malvagia, ma il problema è la morte. La morte toglie completamente il senso alla vita, perché la vita è solo un avvicinamento alla morte". Questo genere di pessimista è imprigionato perché non solo non può trovare salvezza nella morte, ma la morte è proprio il nemico che si vorrebbe (ma non si può) combattere.
Sì lui è fregato. Ma non è il pessimista di cui parlavo, perchè, di fatto, ama la vita. Di questi pessimisti non parlo nel testo, pensavo fosse chiaro ma evidentemente non lo era, ora capisco il tuo appunto e lo condivido. L'articolo partiva dall'uso comune del termine pessimista/ottimista, e in genere una persona che ama la vita viene chiamata ottimista... concordo con te invece, nel notare che è il vero pessimista!

Citazione di: fdisa il 27 Febbraio 2018, 22:14:18 PM
Mi spiego meglio: se un individuo decidesse che in assoluto il bene vale più del male, anche se fosse quantitativamente e qualitativamente minore, il suo giudizio cambierebbe.
Secondo me è un modo di esprimersi forviante. Dire che il bene vale più del male, mi pare che sia come dire che il bene vale qualitativamente di più del male. Non trovi?

Forse mi sono espresso male: intendo dire che una qualunque quantità e qualità di bene giustifica qualunque quantità e qualità di male. È il discorso di un fiore che vale 10.000 guerre.

Citazione
Potresti chiarirmi meglio questo punto, non sono sicuro di aver compreso appieno. Propongo un esempio che magari puoi includere nella spiegazione: "Io accetto il dolore dato dalla perdita dei miei genitori se ho altre persone con cui ho degli affetti" (in questo caso il senso della vita che mi fa superare il dolore è l'amicizia e/o la famiglia). Facendo riferimento a quanto scritto nell'altro topic, questo è il senso della vita che io chiamo "umano". 
Quello che fai è un calcolo di utile di bene/male: ok, mi è successo un lutto ma rimangono cose belle. Se il proprio bilancio bene/male sulla vita si giudica positivo, allora si può ben dire che la vita è un bene. Il pessimista di cui parlo sostiene però che questo calcolo sia quasi sempre in passivo (ma è un giudizio soggettivo) e che venga nullificato dall'assenza di senso della vita (perché bene e male non hanno senso). Non è la mia opinione, ma fin qua parlavamo del pessimista.


CitazioneParlavi di buddismo, paradossi, vacuità, così ho creduto che quando parlavi di "insensatezza dell'insensatezza della vita" volessi intendere qualcosa di più mistico/metafisico. Ma se come me intendi dire che è linguisticamente insensato parlare di insensatezza o sensatezza metafisica della vita, allora sì, siamo sulla stessa lunghezza d'onda.  

Direi che è ontologicamente senza senso parlarne, non solo linguisticamente. Poi sì, il fatto mistico è senza dubbio in ballo, ma riguarda il come si reagisce a questa "scoperta", e trovo che non si possano apportare prove a riguardo. Infatti sul tema scrivo che dove tutto diventa un'opinione è inutile dire la mia.

Grazie e buon fine settimana!

epicurus

Citazione di: fdisa il 02 Marzo 2018, 16:54:57 PM
CitazioneTu però qui consideri la cosa in modo binario: o è X o è non-X. Invece il pessimista potrebbe (uso il condizionale perché, come dicevo, ci sono molti modi diversi di essere pessimista), per esempio, odiare l'idea di morire e così cessare di esistere e odiare pure questo modo di esistere. Quindi potrebbe voler evitare la morte ma voler un'esistenza diversa. Ma, ovviamente, potrebbe esserci qualcuno che è solo negativo sull'esistenza e allora la morte potrebbe essere una buona soluzione.

Da qui, quanto dicevo più sopra: "La questione forse è che esistono tanti modi diversi di essere pessimisti, e tanti modi diversi di intendere "valore", e quindi parlare in modo così contratto porta a inferenze scorrette."
Odiare sia la vita che la morte è lecito, ma incoerente e poco sostenibile. Perché se della vita si odia che si muoia, significa che si dà valore a quel che viene prima della vita. Se invece della vita si odia il vivere, la morte è una buona notizia. Questi pessimisti che descrivi insomma più che pessimisti mi sembrano confusi :D
Non mi pare che siano incoerenti.  :D
Supponiamo che io odi il fatto di morire e che odi pure la schiavitù. Non ho desideri incoerenti, perché un mondo senza morte e senza schiavitù è un mondo logicamente possibile.  ;)

Citazione di: fdisa il 02 Marzo 2018, 16:54:57 PM
CitazioneSpiego meglio il primo caso. Ci sono pessimisti che seguono questo ragionamento: "Ok, la vita in sé non è tanto malvagia, ma il problema è la morte. La morte toglie completamente il senso alla vita, perché la vita è solo un avvicinamento alla morte". Questo genere di pessimista è imprigionato perché non solo non può trovare salvezza nella morte, ma la morte è proprio il nemico che si vorrebbe (ma non si può) combattere.
Sì lui è fregato. Ma non è il pessimista di cui parlavo, perchè, di fatto, ama la vita. Di questi pessimisti non parlo nel testo, pensavo fosse chiaro ma evidentemente non lo era, ora capisco il tuo appunto e lo condivido. L'articolo partiva dall'uso comune del termine pessimista/ottimista, e in genere una persona che ama la vita viene chiamata ottimista... concordo con te invece, nel notare che è il vero pessimista!
Non sono così convinto che esista un unico modo di intendere "pessimista" nell'uso comune. Comunque ci siamo chiariti sulla sostanza.

Citazione di: fdisa il 02 Marzo 2018, 16:54:57 PM
Citazione di: fdisa il 27 Febbraio 2018, 22:14:18 PM
Mi spiego meglio: se un individuo decidesse che in assoluto il bene vale più del male, anche se fosse quantitativamente e qualitativamente minore, il suo giudizio cambierebbe.
Secondo me è un modo di esprimersi forviante. Dire che il bene vale più del male, mi pare che sia come dire che il bene vale qualitativamente di più del male. Non trovi?

Forse mi sono espresso male: intendo dire che una qualunque quantità e qualità di bene giustifica qualunque quantità e qualità di male. È il discorso di un fiore che vale 10.000 guerre.
Ecco, in questo caso direi che qualitativamente il bene vale così tanto rispetto al male, che una singola carezza vale più di 10.000 guerre. Tutto ciò che non è quantità (1 vs. 10.000) io lo chiamerei qualità in questo caso.

Citazione di: fdisa il 02 Marzo 2018, 16:54:57 PM
Citazione
Potresti chiarirmi meglio questo punto, non sono sicuro di aver compreso appieno. Propongo un esempio che magari puoi includere nella spiegazione: "Io accetto il dolore dato dalla perdita dei miei genitori se ho altre persone con cui ho degli affetti" (in questo caso il senso della vita che mi fa superare il dolore è l'amicizia e/o la famiglia). Facendo riferimento a quanto scritto nell'altro topic, questo è il senso della vita che io chiamo "umano".
Quello che fai è un calcolo di utile di bene/male: ok, mi è successo un lutto ma rimangono cose belle. Se il proprio bilancio bene/male sulla vita si giudica positivo, allora si può ben dire che la vita è un bene. Il pessimista di cui parlo sostiene però che questo calcolo sia quasi sempre in passivo (ma è un giudizio soggettivo) e che venga nullificato dall'assenza di senso della vita (perché bene e male non hanno senso). Non è la mia opinione, ma fin qua parlavamo del pessimista.
Capisco e, ovviamente, condivido. E su questo punto si può rispondere al pessimista, come è già stato detto qui: che la vita faccia schifo dipende dalla vita che stai vivendo, non è vero in generale per tutti e in ogni momento.

Citazione di: fdisa il 02 Marzo 2018, 16:54:57 PM
CitazioneParlavi di buddismo, paradossi, vacuità, così ho creduto che quando parlavi di "insensatezza dell'insensatezza della vita" volessi intendere qualcosa di più mistico/metafisico. Ma se come me intendi dire che è linguisticamente insensato parlare di insensatezza o sensatezza metafisica della vita, allora sì, siamo sulla stessa lunghezza d'onda.  

Direi che è ontologicamente senza senso parlarne, non solo linguisticamente. Poi sì, il fatto mistico è senza dubbio in ballo, ma riguarda il come si reagisce a questa "scoperta", e trovo che non si possano apportare prove a riguardo. Infatti sul tema scrivo che dove tutto diventa un'opinione è inutile dire la mia.
Be, diciamo che di cose ne abbiamo dette in abbondanza qui. Ovvio, non ci siamo spinti ad un secco e incondizionato "sì" o "no". Ma abbiamo rimosso un po' di confusioni linguistiche, un po' di incoerenze e abbiamo delineato delle possibili risposte in base a diversi casi individuali. E, soprattutto, abbiamo confutato il pessimismo che afferma "la vita di tutti fa schifo". Abbiamo fatto anche troppo.  ;D 

green demetr

Perchè citare Nietzche se non lo si capice?  ::)




Certo la vita non ha senso.


Ma questo è solo un dettaglio, e il più irrilevante.


Eh sì che Nietzhce lo dice fin dalla prefazione di Umano Troppo Umano:


La vita chiede di essere vissuta.


Vissuta non vuol dire affidata alla macchina progammabile dell'uomo.


Perchè la programmabilità dell'uomo è essa stessa un senso, pessimista, e quindi morale.


E che in realtà fingendo di porre l'attenzione sul pessimism della vita, in realtà afferma con bassa morale, che l'uomo è una macchina.


Ma l'uomo che non sa cosa è la vita, è normale che pensi la vita non abbia senso, e che dunque per una lora contorta e delirante PRESUNZIONE (una presunzione infinita) che l'uomo sia una macchina.
Il Ligotti è solo uno dei suoi innumerevoli lacchè.
Gente che non sa cosa sia la vita, e per questo pensa di potersi arrogare il diritto di dire COSA è vita......

Mi faccio solo una grassa risata


Cari androidi vi SFIDO!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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