La Verità, questa sconosciuta. Percorso breve per non trovarla.

Aperto da Freedom, 19 Gennaio 2022, 17:26:02 PM

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iano

#150
Ciao Niko.
Un tempo dentro un tempo e uno spazio dentro uno spazio non mi risulta siano concetti che si possano riscontrare anche solo a livello divulgativo, livello oltre il quale io non vado comunque.
Non riesco a trovare un equivalente matematico che mi aiuti a capire cosa tu voglia dire.
Sono certo che si tratti di una idea originale, ma che non hai del tutto chiara in testa, dal modo in cui la esprimi, che non è un modo semplificato di esprimerti a nostro uso, ma è solo un modo di esprimersi confuso, che sono certo riuscirai meglio chiarire a te stesso e quindi poi a noi.
Per mia esperienza ciò avviene quando vi sono convinzioni profonde in noi, ma non esplicitate abbastanza da poter essere comunicate,dando per scontato che siano condivise.
Il big bang non si espande dentro nulla, perché tutto nasce a partire da esso, se per semplicità di discorso consideriamo che ve ne sia uno solo in atto.
Tutto ciò che può essere concettualizzato, compreso il nulla e il vuoto , qualunque cosa intendiamo con essi, stanno dentro all'universo che si origina dal big bang, perché se stanno fuori  dell'universo allora ne  stiamo considerando solo una parte.
Come ha ribadito più volte anche Bobmax lo spazio inizia ad esistere col big bang.
Possiamo aiutarci con analogie per immaginare, ma rispettando i paletti delle pur parziali risultanze sperimentali.
Cosa ci suggerisce a questo proposito il rilevamento della radiazione di fondo?
Questa radiazione in qualunque punto dell'universo ci poniamo arriva indifferentemente da ogni direzione e in egual misura per ogni direzione.
Per intendere cosa sia ti ho proposto di immaginarti al centro del sole, dove vedrai che si realizza quella condizione, di radiazione che arriva indifferentemente da ogni direzione e in egual misura.
Ma appena ti sposti dal centro non si ha più quella uguaglianza e si rompe la simmetria.
L'universo che deriva dal big bang è un po' come il sole, ma con la differenza che se ti "sposti dal centro" si mantiene l'uguaglianza di radiazione, come se ogni suo punto fosse un suo centro, ma allora è più sensato dire  che non ha un centro, e che quindi usare il termine "espansione" non è del tutto appropriato.
Se e quando l'universo era un punto , possiamo dire che esso avesse un centro, coincidendo con esso?
Se proprio lo vogliamo dire, allora la radiazione di fondo ci dice che esso non ha mai smesso di coincidere con quel "centro" .
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#151
Certo, nel momento in cui impropriamente immaginiamo l'universo iniziale come un punto, siccome un punto non può esistere che dentro uno spazio,forse perciò tu vedi che quando quel punto produce uno spazio, questo si espanda dentro lo spazio in cui stava quel punto iniziale.
Ma allora significa solo che la nostra immaginazione tanto ci aiuta a comprendere quanto ci aiuta a confonderci.
Una teoria che inquadri i fatti va' inevitabilmente oltre i fatti, e la sua interpretazione va' oltre la teoria stessa, e la nostra immaginazione ancora oltre.
Ma se ci limitiamo ai soli fatti, senza una teorizzazione, non possiamo fare previsioni, e quindi non possiamo agire secondo volere, perché non vi sono alternative fra cui scegliere.

La previsione poi in se'sarebbe un puro calcolo, e non c'è nulla da capire in un calcolo.
Un calcolo si esegue, non si comprende.
Esistono però scorciatoie di calcolo, a fronte di relativa eventualmente accettabile imprecisione, usando una interpretazione della teoria, e a partire da questa con sempre crescente grado di imprecisione, usare immaginazione.
Quello che a noi appare evidente attraverso la percezione , tanto da confondere come vero ciò  che vediamo, è invece il risultato di un calcolo  molto raffazzonato che riassume in modo gestibile operativamente il nostro rapporto con la realtà .
E' un calcolo che si può sempre meglio precisare, ed è quello che facciamo quando, fuor di percezione, usiamo la scienza e la tecnica, ma tutto ciò ha un costo che deve essere sempre sostenibile.
Allo stesso tempo possiamo continuare ad usare analogie percettive, con l'immaginazione.
Questo è quello che noi diciamo capire, e ci sembra di doverlo porre come priorità, ma è in effetti solo una possibilità procedurale.
Nel momento in cui aumenta la sostenibilità economica del calcolo, usando computer che danno risultati istantanei,, aumenta la precisione con cui possiamo applicare la teoria, potendo fare a meno dell'immaginazione. Cessa la necessità di capire con tutte le imprecisioni che comporta.
Tutto ciò non sembra però essere soddisfacente , perché la mancata comprensione sembra farci sfuggire il controllo sulla situazione.
Ciò perché consideriamo che la mancanza di controllo diretto su tutto ciò che facciamo  sia l'eccezione, e non la norma, tendendo ad amplificare l'importanza di ciò che passa per la nostra coscienza, che funziona come una lente di ingrandimento, per cui l'evidenza della realtà   si riduce a ciò sta dentro il nostro orizzonte.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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niko

#152
Citazione di: iano il 30 Gennaio 2022, 05:03:31 AM
Certo, nel momento in cui impropriamente immaginiamo l'universo iniziale come un punto, siccome un punto non può esistere che dentro uno spazio,forse perciò tu vedi che quando quel punto produce uno spazio, questo si espanda dentro lo spazio in cui stava quel punto iniziale.
Ma allora significa solo che la nostra immaginazione tanto ci aiuta a comprendere quanto ci aiuta a confonderci.
Una teoria che inquadri i fatti va' inevitabilmente oltre i fatti, e la sua interpretazione va' oltre la teoria stessa, e la nostra immaginazione ancora oltre.
Ma se ci limitiamo ai soli fatti, senza una teorizzazione, non possiamo fare previsioni, e quindi non possiamo agire secondo volere, perché non vi sono alternative fra cui scegliere.

La previsione poi in se'sarebbe un puro calcolo, e non c'è nulla da capire in un calcolo.
Un calcolo si esegue, non si comprende.
Esistono però scorciatoie di calcolo, a fronte di relativa eventualmente accettabile imprecisione, usando una interpretazione della teoria, e a partire da questa con sempre crescente grado di imprecisione, usare immaginazione.
Quello che a noi appare evidente attraverso la percezione , tanto da confondere come vero ciò  che vediamo, è invece il risultato di un calcolo  molto raffazzonato che riassume in modo gestibile operativamente il nostro rapporto con la realtà .
E' un calcolo che si può sempre meglio precisare, ed è quello che facciamo quando, fuor di percezione, usiamo la scienza e la tecnica, ma tutto ciò ha un costo che deve essere sempre sostenibile.
Allo stesso tempo possiamo continuare ad usare analogie percettive, con l'immaginazione.
Questo è quello che noi diciamo capire, e ci sembra di doverlo porre come priorità, ma è in effetti solo una possibilità procedurale.
Nel momento in cui aumenta la sostenibilità economica del calcolo, usando computer che danno risultati istantanei,, aumenta la precisione con cui possiamo applicare la teoria, potendo fare a meno dell'immaginazione. Cessa la necessità di capire con tutte le imprecisioni che comporta.
Tutto ciò non sembra però essere soddisfacente , perché la mancata comprensione sembra farci sfuggire il controllo sulla situazione.
Ciò perché consideriamo che la mancanza di controllo diretto su tutto ciò che facciamo  sia l'eccezione, e non la norma, tendendo ad amplificare l'importanza di ciò che passa per la nostra coscienza, che funziona come una lente di ingrandimento, per cui l'evidenza della realtà   si riduce a ciò sta dentro il nostro orizzonte.


Il tempo sta dentro al tempo come mercoledi' scorso sta dentro la settimana scorsa.

Lo spazio sta dentro allo spazio come un fazzoletto sta dentro la mia tasca.
 
O meglio, visto che si vuole la matematica, un elemento x qualsiasi, sta dentro y, laddove y e' maggiore di x, come un fazzoletto sta dentro una tasca o mercoledi' scorso sta dentro la settimana scorsa.

E' una questione di puro e semice contenimento, in senso matematico di insiemistica.

Puoi ben dire che il mio discorso da un certo punto in poi si complica, ma non che sia complicato fin dall'inizio, per questo prima dicevo che, per vederlo complicato fin dall'inizio, bisogna fraintenderne i termini.

L'unica complicazione e' che qui x e' l'eta'dell'universo intesa come totalita' del tempo sia sensato che conoscibilie, quindi non si sa che cosa possa mai essere y, la cosa piu' grande, piu' capiente, della totalita' del tempo, la cosa che puo' contenere la totalita' del tempo (x) e anche dell'altro, un ossimoro, un assurdo.

Ok, sono, e penso siamo, ben lungi dal capire che cosa possa essere questo assurdo e come "dominarlo", come riportarlo ad essere cosa comprensibile, ma ogni teoria che continui la storia del big bang oltre il big bang e prima del big bang ne dirada un po' l'assurdita' e l'incomprensibilita' : l'ipotesi che il big bang sia ripetibile, e' un qualcosa di concettualmente simile a quello che (se, appunto, fosse possibile) sarebbe una sua collocazione  temporale, un abbozzo di collocazione nel tempo, e l'ipotesi che sia diffuso e disseminato ne e' un abbozzo di collocazione spaziale.

Insomma io mi immagino qualcosa del tipo:

"se nel tempo in cui io sono c'e' un limite insuperabile, e nello spazio in cui sono un confine insuperabile, intendo limiti di estensione, e quindi di conoscibilita', dato che la mia posizione non ha nulla di speciale (insomma da Copernico in poi, una struttura omogenea del cosmo deve pur prevalere su una frattale all'infinito delle lunghe distanze), il modo di esistere per legge di natura di questa "struttura dell'insuperabile", il modo di esistere di cio' che in genere pone i limiti, come classe di oggetti e non come pura "singolarita', sara' quello della sua disseminazione e/o della sua ripetizione, disseminazione e ripetizione che, nell'esperienza comune, sono normali forme di contenimento dell'ente nel tempo, e qui e solo qui,  vengono; al limite, gentilmente prestate a una similitudine in cui si voglia liberamente immaginare il contenimento del tempo nel tempo e dello spazio nello spazio".

La mia e' solo una similitudine? Certo che si'.

Che cosa vuole fare questa similitudine in questo contesto?

Vuole far emergere che, anche paragonare un qualsiasi lasso di tempo iniziante e terminante, fosse pure l'eta'dell'universo, tredici miliardi di anni, all'eternita intesa come totalita' del tempo, e paragonare qualsiasi spazio finito, o conchiuso, a un'estensione infinita intesa come totalita' dello spazio disponibile, tutto cio' e' gia' paragonare, o meglio e' gia' tentare di esprimere, lo spazio e il tempo con le loro singole parti, un giochetto che io personalmente accetto solo a condizione di essere libero di pensare  il modo di stare delle parti nel tutto, di opporre le mie similitudini a quelle che sento in giro,  altrimenti, se si assolutizza il modo (prospettico) in cui la parte e' il tutto, ne' risulta solo una narrazione (un microcosmo antropocentrico, come poteva essere prima di Copernico), una cattiva singolarita'.





Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

iano

#153
@ Niko.
Mi è  adesso più chiaro il tuo pensiero, e quindi con maggiori argomentazioni posso dire perché non lo condivido, come da te stesso esortato a fare..
Naturalmente sei libero di credere che il big bang abbia bisogno di uno spazio per espandersi, e quindi in sostanza che ad esso preesista qualcosa, uno spazio appunto, e che da esso quindi non si derivi l'intero universo ma una sua parte parte. Oppure si deriva tutto l'universo, Ed è per te come un fazzoletto dentro una tasca che non è parte.

La fisica moderna purtroppo mette all'angolo la nostra immaginazione.Ma sopratutto essa ci dice oggi che non possiamo astrarci del tutto dall'antropomorfismo, perché equivarrebbe ad astrarre l'osservatore dall'osservato, assolutizzandolo, ricadendo dentro un inconsapevole antropomorfismo di nuovo.
Possiamo solo prendere coscienza che ci saranno sempre nella nostra conoscenza elementi antropomorfi che possiamo però provare a relativizzare.
Copernico ha dimostrato che possiamo cambiare punto di vista, spostando il centro da cui osserviamo le cose, ma ciò non equivale ad eliminarlo. Se invece che al centro della terra ci immaginiamo al centro del sole, quello che non cambia è che nel centro ci stiamo sempre noi, in presenza o in immaginazione, con possibile esperimento mentale da te prima richiamato.
I progressi della scienza si possono descrivere da Copernico in poi come un continuo decentramento.
Lo spazio Euclideo,  è stato e continua ancora ad essere uno di questi centri , lo spazio "antropomorfo" della nostra percezione.
La scienza oggi ci dice che non è da dare per scontato, e che lo si possa cambiare con altri e che conviene farlo a seconda dei fatti che si vogliano spiegare.
Fino a un certo punto è ancora possibile riuscire  a "vedere questi spazi" facendo ad esempio una analogia con una sfera dentro allo spazio euclideo, ma l'analogia non deve essere spinta oltre il necessario. Uno spazio non euclideo, è solo intuitivamente rappresentato come con una sfera, ma non bisogna spingere l'analogia oltre il necessario, concludendo che lo spazio non euclideo possa stare dentro uno spazio euclideo.
Parlando del big bang ipotizzare lo spazio euclideo non è il miglior modo per spiegare i fatti a nostra disposizione. Intuitivamente conviene immaginarlo come la superficie di una sfera classica euclidea.
Ma non è tanto questo il punto.
Il punto è che il tipo di spazio va' definito in via preliminare, mentre tu ne presupponi una esistenza a priori come necessaria senza doverla definire.
Un segmento sta dentro una retta, come un fazzoletto nella tasca, perché sono tutti enti definiti coerentemente a partire dallo stesso tipo di spazio. Definire lo spazio in via preliminare è necessario per poter discriminare cosa può stare dentro cosa.


Alla luce di queste considerazioni potresti pensare  di dover rivedere il tuo spazio dentro uno spazio.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko

Citazione di: iano il 30 Gennaio 2022, 15:49:28 PM
@ Niko.
Mi è  adesso più chiaro il tuo pensiero, e quindi con maggiori argomentazioni posso dire perché non lo condivido, come da te stesso esortato a fare..
Naturalmente sei libero di credere che il big bang abbia bisogno di uno spazio per espandersi, e quindi in sostanza che ad esso preesista qualcosa, uno spazio appunto, e che da esso quindi non si derivi l'intero universo ma una sua parte parte. Oppure si deriva tutto l'universo, Ed è per te come un fazzoletto dentro una tasca che non è parte.

La fisica moderna purtroppo mette all'angolo la nostra immaginazione.Ma sopratutto essa ci dice oggi che non possiamo astrarci del tutto dall'antropomorfismo, perché equivarrebbe ad astrarre l'osservatore dall'osservato, assolutizzandolo, ricadendo dentro un inconsapevole antropomorfismo di nuovo.
Possiamo solo prendere coscienza che ci saranno sempre nella nostra conoscenza elementi antropomorfi che possiamo però provare a relativizzare.
Copernico ha dimostrato che possiamo cambiare punto di vista, spostando il centro da cui osserviamo le cose, ma ciò non equivale ad eliminarlo. Se invece che al centro della terra ci immaginiamo al centro del sole, quello che non cambia è che nel centro ci stiamo sempre noi, in presenza o in immaginazione, con possibile esperimento mentale da te prima richiamato.
I progressi della scienza si possono descrivere da Copernico in poi come un continuo decentramento.
Lo spazio Euclideo,  è stato e continua ancora ad essere uno di questi centri , lo spazio "antropomorfo" della nostra percezione.
La scienza oggi ci dice che non è da dare per scontato, e che lo si possa cambiare con altri e che conviene farlo a seconda dei fatti che si vogliano spiegare.
Fino a un certo punto è ancora possibile riuscire  a "vedere questi spazi" facendo ad esempio una analogia con una sfera dentro allo spazio euclideo, ma l'analogia non deve essere spinta oltre il necessario. Uno spazio non euclideo, è solo intuitivamente rappresentato come con una sfera, ma non bisogna spingere l'analogia oltre il necessario, concludendo che lo spazio non euclideo possa stare dentro uno spazio euclideo.
Parlando del big bang ipotizzare lo spazio euclideo non è il miglior modo per spiegare i fatti a nostra disposizione. Intuitivamente conviene immaginarlo come la superficie di una sfera classica euclidea.
Ma non è tanto questo il punto.
Il punto è che il tipo di spazio va' definito in via preliminare, mentre tu ne presupponi una esistenza a priori come necessaria senza doverla definire.
Un segmento sta dentro una retta, come un fazzoletto nella tasca, perché sono tutti enti definiti coerentemente a partire dallo stesso tipo di spazio. Definire lo spazio in via preliminare è necessario per poter discriminare cosa può stare dentro cosa.


Alla luce di queste considerazioni potresti pensare  di dover rivedere il tuo spazio dentro uno spazio.


Io, sostanzialmente,  penso che l'universo non possa essere ne' continuo ne' puntiforme in nessun momento della sua  storia, sostanzialmente perche' penso che il tempo debba poter essere espresso come velocita' del tempo (ritmo), e lo spazio come vibrazione e automovimento dello spazio stesso, e il puntiforme e il continuo, se esistessero, sarebbero lo stato sub-minimo in cui il tempo prescinderebbe dalla sua velocita' e lo spazio dalla sua modificazione.


Come dire che anche la versione minima, dello spazio e del tempo, ne prevede l'estensione, quantomeno perche' entro questa estensione deve pur avvenire qualcosa, deve pur esserci, se non un contenimento, quantomeno un autocontenimento, di cio' che avviene.


Quindi non e' che l'espansione/contrazione sia un concetto improprio, viceversa io la vedo come un concetto cosi' fondante e fondamentale da escludere lo stato puntiforme e "centrato", (stato che, se fosse in essere, la contraddirebbe) come realta' in ogni istante di ogni possibile serie di istanti e finanche nell'istante zero: del resto, a tempo fermo, non c'e' neanche la causa per cui il tempo debba smettere di essere fermo e divenire qualsivoglia altra cosa o evento, un tempo fermo e' anche un tempo eterno, non c'e' nulla che possa far preferire un punto o un altro per iniziare qualcosa, e dunque nulla inizierebbe.


un segmento puo' stare in una retta, ma anche in qualsiasi cosa che abbia piu' dimensioni della retta, ad esempio in un piano. Magari il modo in cui lo spazio e' nello spazio e' 'un qualcosa di simile, vi e' un tipo di contenimento in cui non e' ulteriormente possibile decentrate il punto di vista per chi vive in un numero limitato di dimensioni, ma cio' non vuol dire che non ci sia un "fuori" in assoluto.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

iano

#155
@Niko.
Ciao Niko.
Se ben capisco, concordo con te  nel pensare un universo in estensione, e allo stesso tempo mai nato, ma anche che il big bang non ne sia necessariamente la prova contraria, senza che osti necessariamente   pensarlo in uno stato puntuale. La sua espansione e' solo uno dei modi in cui descriviamo il suo divenire, ma io eviterei di confondere l'universo con ogni sua possibile descrizione, per quanto basata sui fatti. Dai fatti non possiamo trarre alcuna verità, ma solo altri fatti, e dunque le teorie nin sono vere se a partire dai fatti ci consentono di prevederli .
Possiamo descrivere l'universo partendo da una ipotesi di continuità  come dal suo contrario, ma non è da credere che esso sia una cosa o l'altra, che esso cioè nella sua sostanza abbia a che fare direttamente con le nostre descrizioni.
Questa convinzione mi appare antropomorfa, e se credo che l'antropomorfismo sia ineliminabile, perché non si può eliminare l'osservatore, esso però vada messo in evidenza quando ci appare.
Queste diverse descrizioni non sono contraddittorie se sono alternative. Non è necessario che stiano una dentro l'altra In una armoniosa reciproca comprensione, per quanto ciò o sia sempre desiderabile.
In genere penso che il divenire non implichi necessariamente un inizio ne' una fine.
Questa necessità è una delle tante ipotesi che agiscono in noi a nostra insaputa, immagino implicata in non troppo esplicite definizioni di essere .
Diverse descrizioni dell'universo si sono susseguite e continueranno a farlo, perché su di esse si basa l'agire dell'osservatore il quale diviene proprio in virtù del suo diverso agire basato su queste diverse descrizioni, ma non è neanche necessario identificare l'osservatore con un preciso modo di agire se i modi si tengono distinti.
Esso può agire diversamente a piacere. Può agire dentro un mondo Euclideo o non Euclideo.
Si può ipotizzare il multiverso, e una volta ipotizzato provare a viverci dentro, ma in effetti è quello che abbiamo sempre fatto, e ha senso chiamarlo uni-verso solo perché viviamo in un universo uno alla volta per la coerenza richiesta dal nostro agire.
Nel momento in cui abbiamo preso coscienza che la geometria euclidea non fosse , l'unica possibile, non si sono moltiplicate le,realtà, ma le sue possibili descrizioni ognuna delle quali vale un universo.
Quindi, tutto sommato, l'idea antropomorfa che siamo noi al centro dell'universo non è sbagliata, se siamo noi a creare l'universo.
L'osservatore non può fare a meno di prendere posizione.
Ma nel momento in cui prendi coscienza della necessità di un centro, allora puoi prendere coscienza di quello in cui ti trovi, e quindi lo puoi cambiare.
Così l'universo non solo lo puoi raccontare com'è nato da un punto, in coerenza con certi fatti, punto che si definisce come astrazione delle parti, come ciò che "nasce" per diminuzione delle parti, ma dando risalto piuttosto che alle operazioni di somma e sottrazione , alla simmetria.
In effetti sembra essere ben coerente coi fatti partire da una ipotesi di simmetrica , dove ciò  che conta è che si mantenga la simmetria. Dove si può ben pensare che nasca qualcosa da un punto,,e ancor meglio dal nulla di cui il punto è una rappresentazione ottenuta per diminuzione , ma sempre insieme al suo contrario, di modo che la somma continui a fare zero.
Non sembra esserci però un universo che contenga coerentemente tutti i fatti.
Se la radiazione di fondo, con la sua perfetta simmetria ci conferma un universo nato dal nulla, o da un punto, che non avendo parti , non ha in particolare parti privilegiate, le galassie e i loro ammassi suggeriscono un asimmetria iniziale, quindi dentro una piccola ma non nulla estensione iniziale, come dici tu, e quindi non simmetrica, a meno che non venga in soccorso all'ipotesi di simmetria la materia oscura , che costituisce il novantasei per cento di quello di cui stiamo parlando , e di cui nulla al momento, o quasi, sappiamo in termini di fatti.
Diciamo pure che finora abbiamo fatto i conti senza l'oste.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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iano

#156
In sostanza dovremmo curare di non confondere la buona pratica di non moltiplicare , laddove ci riusciamo, le ipotesi, col credere di poterle univocamente definire. Della buona pratica suggeritaci da Guglielmo di Occam, Godel ce ne evidenzia il motivo, che non è possibile se non in casi limitati e poco significativi,dimostrarne la coerenza delle ipotesi iniziali.
Ma non è importante da quale ipotesi partiamo, ma quali fatti esse riescano a spiegare, ed essendo i fatti limitati può venirci in soccorso anche una teoria limitata per sua natura.
L'universo può ben essere nato da un punto, che però non è singolare se una ipotesi non è singolare, ma eventualmente inopportuna , e un universo è solo una possibile descrizione della realtà in sufficientemente limitata  coerenza con un necessariamente limitato numero di fatti.
Di coerente per sua natura c'è solo la realtà, ma nessuna sua possibile descrizione per sua natura, come ci dimostra Godel  lo è .
Il motivo per cui non è facile capire Godel è che egli afferma ovvietà a cui le sue dimostrazioni non aggiungono nulla, servendo solo a confutare le nostre convinzioni contrarie, che sia possibile ridurre una verità in simboli.


Se nessun percorso serve a trovarla, la verità , possiamo curare però che sia breve, perché l'economia di pensiero è essenziale ad un efficace agire.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Dovrebbe venirci in soccorso la riflessione filosofica nel dirci che se la verità è assoluta, non lo sono i simboli coi quali vorremmo affermarla, e che è insensato pensare un percorso che vada dal relativo all'assoluto, e che se proprio si vuol tentare almeno che sia breve, ciò che di solito facciamo, mostrando di non essere del tutto insensati.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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Ipazia

La riflessione filosofica dovrebbe evitare di inseguire chimere come la verità assoluta ed essere più rigorosa, soprattutto sul piano etico, sulle verità relative su cui si fonda ogni vita degna di essere vissuta.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

Citazione di: Ipazia il 02 Febbraio 2022, 14:48:41 PM
La riflessione filosofica dovrebbe evitare di inseguire chimere come la verità assoluta ed essere più rigorosa, soprattutto sul piano etico, sulle verità relative su cui si fonda ogni vita degna di essere vissuta.
Concordo pienamente, ma ci sono diverse cose da precisare.
Non si può prendere innanzi tutto sottogamba, e tu non lo fai,  l'esigenza di verità, se questa ha finora guidato, e in gran parte ancora lo fa', la ricerca dei filosofi.
Occorre quind quantomeno  spiegare questa esigenza.
Quali sono stati i risultati di questa ricerca così fortemente connotata, e quali sono le possibili conseguenze nel cambiargli i connotati, come io provo a fare, al punto che Daniele dice io l'abbia in odio, la verità.
In qualche modo ho provato a dire la mia in proposito, derubricando l'esigenza di verità in quella di condivisione non fine a se stessa, ma finalizzata all'azione, e quindi comunque riguardante un'etica, ma anche questa da rivedere nella sua definizione.
"Decidere" una verità equivale a darsi una metà comune, e non è scontato come ciò si possa fare rinunciando a una verità . Di fatto finora le presunte verità ci hanno permesso una azione comune, ma non ci hanno impedito di sbagliare, consentendoci di fatto il continuare a imparare dai nostri errori, l'unica cosa che malamente sappiamo fare,, dove la verità ha funzionato illuminando per un raggio non certo illimitato il percorso, come si diceva per convincere tutti ad andare.
Ma una nuova etica è possibile solo se ciò in qualche modo si possa diversamente continuare a fare un percorso comune..
Non accettando più il meccanismo della verità, e in mancanza di un meccanismo sostitutivo, di fatto io evito di affrontare argomenti di etica, e allo stesso tempo mi sento oppresso, fino a temere per la mia incolumità, chi si aspetta da me cosa dovrei fare in nome di una presunta verità.
È un problema di non poco conto, ma mi rifiuto di considerarlo risolto, ignorandolo come per lo più  vedo fare.
Vedo però anche diversi in questo forum che non mettono la testa sotto la sabbia, come quelli che si limitano a maledire il nichilismo andando in cerca di untori.
Quelli per i quali il futuro è un epidemia e il presente una decadenza.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

La prima verità etica che la filosofia pose nel suo mirino fin dalla caverna di Platone, la lanterna di Diogene cinico, l'illuminazione di Buddha, i sepolcri imbiancati di Cristo, ... è che siamo letteralmente immersi nella menzogna. Letteralmente perché lo sono anche le nostre leggi.

Le contraddizioni tra vulgate ideologiche dominanti e società umana investono ogni angolo della vita sociale, inclusa la (cono)scienza che dovrebbe essere veicolo immacolato della verità alla nostra portata.

Ragionare di verità assoluta in un mondo in cui i templi, religiosi e laici, sono invasi da sbirri e mercanti, appartiene al regno cosmicomico della patametafisica e, appena raggiunta l'età della ragione, bisognerebbe astenersi da tali immani (e inani) sforzi del pensiero.

Più sensato è isolare la verità in ambiti circoscritti in cui dimostri di essere tale, come quando vai dal meccanico e ritorni con la macchina riparata. Il bene è una sommatoria di queste piccole verità che ci portano il cibo in tavola e ripuliscono i nostri consessi (poco) civili.

Quanto alle cure, siamo nel pieno di una bufala colossale in cui la menzogna regna sovrana e pertanto attenderei il ritorno della verità prima di includerle nella sommatoria del bene.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#161
Cara Ipazia,
Concluderei che in attesa di tempi, diciamo così, forse migliori, prendiamo da ogni contingenza il buono che ci offre, che credo oggi consista nel pensare con la propria testa come forse mai ci è stato  dato fare, privi anche dell'autocensura di un etica da rifondare. Non tutti sembrano disposti ad "approfittare" di questa insolita libertà, ma se una nuova etica ci sarà siamo noi a doverla pensare.
Intanto, in questo frangente, mi sento rassicurato dal fatto che ci siano persone sensate come te, che, per quello che ci è consentito fare, guardano in faccia la realtà vivendo nel presente  e provando a immaginare un futuro.
Siamo d'accordo, ma non tanto che si possa dire noi non si abbia indipendenza di pensiero, cosa che tutti dovrebbero esercitare , finché sarà possibile   fare, e questa mi sembra l'unica urgenza etica a corto raggio che riesco a vedere.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

baylham

Come si può essere veri, sinceri, onesti se le nostre azioni e affermazioni sono rivolte al futuro, futuro che non dipende da noi, sta oltre noi, fuori dal nostro controllo.
Da qui l'inevitabile falsità, insincerità e disonestà.

Ipazia

Chi dimentica il passato finisce col riviverlo (cit). Vi sono nel passato e nel presente segni premonitori che lo spirito filosofico, o anche semplicemente colto, riesce a decifrare. La prima regola è quindi ripercorrere gli esempi del passato e la covidemia è un ottimo esercizio per la sua applicazione.

Assolto questo minimo obbligo sindacale, direi che sindacare il futuro è impresa ardua e pure, concordo, fallace. Il massimo che possiamo fare è seminare nel presente il futuro che vorremmo, consapevoli che è scommessa, non verità infusa. Piuttosto un "blowing in the wind" che un "must". E, nel caso di eventi infausti in corso, attendere che passi 'a nottata. Avendo fede nell'induzione, che tante volte ha detto la verità.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#164
La verità è il metodo che crede di aver trovato il giocatore per vincere in un gioco alla pari, ma che si dimostra vincente solo quando forza il gioco.
È la motivazione stessa che ci porta a puntare ,e smetteremmo di puntare se il metodo  mostrasse di funzionare. .
Se la verità è il miraggio d'acqua nel deserto , è perché lo vediamo, che andiamo avanti , fermandoci solo dopo averla trovata.
Ma veramente ci vogliamo fermare , e veramente lo possiamo fare?
È veramente il nostro scopo estinguere una sete?
O andare avanti per l'illusione di estinguerla?
Nel momento in cui puntiamo su una verità, il futuro , seppur resta imprevedibile, è però già' condizionato. A cosa serve infatti una verità se non a vincere l'ansia del futuro, e l'unico modo di scongiurare il futuro è di crearlo a partire dalle nostre verità.
Davvero pensiamo che noi staremmo a violentare la natura, se ci fosse almeno un ambiente naturale che ci accolga senza condizioni, come farebbe una madre, una madre che tutti gli altri animali hanno?
Con buona ragione essi si aspettano un futuro sempre uguale, fatto di immutabili convenzioni che perciò non appaiono tali. Vivono senza aspettative, ne' di vita, ne' di morte, e quando questa arriva semplicemente si ci trovano davanti.
Noi il futuro ce lo dobbiamo costruire. E per questo ci siamo inventati la verità.
La nostra vita e la nostra morte non possiamo non considerarle, e siccome le consideriamo ci inventiamo vite che vanno anche oltre, ma che stranamente somigliano sempre all'attuale, seppur nella sua forma più smagliante.
Così i cacciatori ascenderanno a una riserva di caccia, i mandrilli a un harem personale, e i filosofi alla verità.
Il paradosso è che possiamo arrivarci solo alla fine della vita, come dire che siamo arrivati non quando la metà è raggiunta, ma quando non possiamo più proseguire, perché è finita la strada.
È questo un paradosso che ben vedremmo se volessimo vedere.
Ma uno ancora più nascosto, è che non occorrerebbe aspettare la fine della strada per fermarci, se per strada incontrassimo la verità.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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