La Verità, questa sconosciuta. Percorso breve per non trovarla.

Aperto da Freedom, 19 Gennaio 2022, 17:26:02 PM

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daniele22

Citazione di: Ipazia il 22 Gennaio 2022, 16:31:03 PM
Citazione di: daniele22 il 22 Gennaio 2022, 09:43:58 AM

Sarà noto più o meno a tutti che io pretenda di negare il paradigma sul quale si fonda la realtà umana. Ci sarà un motivo per cui io abbia tale intenzione. Per fare questo debbo criticare il linguaggio, è una necessità.
Ad un certo punto dici:

"Ovvero non esiste la "cosa in sé ", ma i fatti, le cose in divenire, sul cui processo la scienza cerca di capire qualcosa e attraverso la sperimentazione pone dei paletti teorici fermi, fino a falsificazione."
La mia posizione, all'interno della realtà espressa fino ad oggi dalla lingua, è che i fatti abbiano un grado di realtà più condivisibile che la realtà delle cose. Pertanto, fino a questo punto il nostro pensiero è simile.
Ordunque, "la cosa in sé" e la "cosa in divenire" possono essere assimilati a due concetti o a due sintagmi.
Tu rendi sinonimo il sostantivo "fatto" alla "cosa in divenire". Più che lecito e condivido.
Si tratta di una necessità metafisica prima che scientifico-ontologica, suggerita da LW nel Tractatus, atta a superare la millenaria vexata quaestio tra essere e divenire, riposizionando l'inaccessibile cosa in sè in una più ontologicamente abbordabile cosa per noi. Ovvero, cosa esperibile dalle nostre facoltà intellettuali del momento realizzando l'auspicabile adaequatio che è suggello di verità.
CitazioneSe però uno, in base ad una sua fede che non è certamente metafisica, si pone al di fuori del linguaggio e cerca di criticarlo per venire a capo di una realtà fino ad oggi inaudita può anche chiedersi per quale motivo si dovrebbe credere che non esista "la cosa in sé", ma debba invece esistere "il fatto", ovvero la cosa in divenire. Cioè, per quale motivo non debba esistere il sostantivo "cosa" ed esistere invece il sostantivo "fatto".
Perchè non si tratta di una questione semantica, ma ontologica. In ballo c'è il referente (res), non il significato derivato (intellectus)  e ancor meno il significante convenzionale (linguaggio).
CitazioneRitorno quindi ancora a quel che dici in successione commentando Kobayashi:
Qui chiamerei in causa un argomento caro a phil, ovvero il rispetto dei differenti livelli del reale.
Ed è la cosa più sensata da dire e la strada più giusta da intraprendere. La domanda pertanto è: qual è il livello di realtà del sostantivo?
La semantica
CitazioneMi chiedo, ma è senz'altro un'opinione in domanda, se per rispondere a questa domanda, qualora si voglia rispondere, il metodo più fruttuoso da seguire possa essere quello di ricorrere ad un artificio
Ma un artificio di quelli tosti:  En archè en o logos.



Mi fa piacere Ipazia che in questa situazione particolare tu conceda spazio all'ipotesi, sei proprio tosta nel senso positivo del termine. Ma prima di parlare di artifici o ipotesi che forse già compaiono all'interno di questo post vorrei chiarire qualche punto, più che altro dovuto alla mia ignoranza lessicale della terminologia in uso presso le varie discipline umane, tra cui pure la filosofia (questione spinosa quella dei neologismi tecnici che intervengono in seno al tessuto sociale mettendo l'individuo non specializzato nella condizione di doversi fidare dello specialista).
Quando dici che non è una questione semantica sono d'accordo. Dopodiché, intendi dire che è una questione che riguarda invece il campo d'azione che la cosa può compiere, le sue possibilità, all'interno della scienza che la studia?
Di modo tale che il distinguo che poni tu non riguarda appunto la semantica riferita al sostantivo "cosa" e al sostantivo "fatto", bensì riguarda il distinguo tra cosa che sta ferma e cosa che è in movimento.
Se è così passiamo al punto in cui chiedo quale sia il livello di realtà di un sostantivo. Tu mi rispondi la semantica, immagino quindi il campo semantico del sostantivo.
Pertanto chiedo: da dove salta fuori il campo semantico di un sostantivo?
Mi verrebbe da dire dal campo semantico della cosa a cui si riferisce, cioè dall'uso che noi possiamo fare di quella cosa, o anche l'uso che può fare la cosa su di noi tipo quello che può far di noi un tornado.
Dunque, se il sostantivo fosse (e qui mi troverei già nel campo dell'artificio, oppure no?) una cristallizzazione della realtà della cosa, realtà datale dal noi poterla manipolare, non sarebbe già in origine nel sostantivo l'espressione del divenire della cosa a cui si riferisce? Come possiamo quindi negare l'esistenza di una "cosa per noi" e conferirla invece ad un fatto che si compone di "cose per noi" in movimento?
Immagino che possa accadere per il fatto che noi pensiamo che le espressioni della lingua possiedano una coincidenza con la realtà, mentre per me ne costituiscono solo una mappa. E qui di sicuro vi è un riferimento a Nietzche, ma io non conosco il suo pensiero






Kobayashi

Cit. Ipazia: "Ovvero non esiste la "cosa in sé ", ma i fatti, le cose in divenire, sul cui processo la scienza cerca di capire qualcosa e attraverso la sperimentazione pone dei paletti teorici fermi, fino a falsificazione"
[...]
"Per ora non vedo alternative, nelle scienze naturali, ad un approccio realistico. Che non coincide con la dogmatica scientista, la quale contrariamente alla scienza epistemica, pasticcia coi differenti livelli del reale. E più che ingenua, definirei portatrice nefasta di un sapere omologato, parrocchiale o palesemente corrotto".

La scienza esercita di fatto nella modernità un'egemonia spirituale.
Il suo realismo implicito dice in sostanza che solo la scienza è in grado di dire come stanno le cose, com'è la realtà, l'unica realtà.
Alla base di questo atteggiamento, come ho già spiegato, c'è un errore filosofico, ma non è questo l'aspetto preoccupante, il problema sta nel fatto che a partire da un punto di vista basato su un errore filosofico si produce una riduzione a discorso inefficace di tutto ciò che non è scienza.
Inutile poi mettersi a tavolino a compilare nuove etiche quando esse già in partenza non hanno forza se mancano dell'appoggio della scienza. E così ci si ritrova costretti a dedurre principi etici da biologia e neuroscienza. In realtà si tratta di una ritraduzione pseudoscientifica di questioni tradizionali.
L'esempio dei neurotrasmettitori è plateale: sapere che quando sono felice viene rilasciata una certa sostanza nel mio organismo non spiega la mia felicità, ne la felicità in generale. In realtà si tratta di una conoscenza utilissima alla manipolazione di cervelli malandati.
Perché è appunto questa l'anima della scienza e la sua enorme utilità: il potere di manipolare la materia.


Tornando invece ai vari interventi che sostengono un punto di vista metafisico o religioso, esplicitamente o implicitamente, sarebbe interessante vedere questa resistenza (al di là di chi ha ragione) come l'effetto dell'inevitabilità del pathos della verità. Cioè, come se non riuscissimo a separarci da questo pathos, anche in presenza di una consapevolezza critica nei confronti della realtà in se'. Come se questa ricerca del superamento dell'apparenza, dell'illusione, per trovare pace nell'essenza delle cose fosse ineludibile. Anche chi pensa che ci siano solo maschere deve stare allerta per non cadere nella tentazione di concetti quali "maschere autentiche" etc.

Kobayashi

@daniele22

Forse in linea con le tue indagini sul linguaggio c'è il saggio di Nietzsche "Verità e menzogna in senso extra-morale" in cui (se ricordo bene...) nella lingua, nella grammatica, è riconosciuta già la presenza di un ordine che riflette quello gerarchico della civiltà che da vita a tale lingua. E dunque le regole linguistiche e grammaticali come riflesso di poteri, caste etc., che da subito esercitano la propria influenza sulle generazioni.

daniele22

Citazione di: Kobayashi il 23 Gennaio 2022, 12:00:47 PM
@daniele22

Forse in linea con le tue indagini sul linguaggio c'è il saggio di Nietzsche "Verità e menzogna in senso extra-morale" in cui (se ricordo bene...) nella lingua, nella grammatica, è riconosciuta già la presenza di un ordine che riflette quello gerarchico della civiltà che da vita a tale lingua. E dunque le regole linguistiche e grammaticali come riflesso di poteri, caste etc., che da subito esercitano la propria influenza sulle generazioni.


Grazie per l'appunto. In effetti vi è nella disciplina linguistica, e pure di quella sono ignorante, una nozione importante che si concorda con quello che dici tu o Nietzche, e sarebbe la tendenza all'invarianza del significante rispetto al significato. L'esempio più eclatante è quello della balena che nell'immaginario collettivo di un tempo veniva categorizzata come un pesce, mentre ora per lo più come un mammifero, ma lei resta sempre la balena. E' chiaro quindi che le persone acculturate, che son quelle che si adeguano al significato del tempo corrente, originano di fatto un differenziale di consapevolezza (potenza) rispetto a chi è meno acculturato. Tutto questo dà luogo che l'ignorante debba fidarsi del colto. Pensa un po'

iano

Citazione di: Kobayashi il 23 Gennaio 2022, 11:56:53 AM
Cit. Ipazia: "Ovvero non esiste la "cosa in sé ", ma i fatti, le cose in divenire, sul cui processo la scienza cerca di capire qualcosa e attraverso la sperimentazione pone dei paletti teorici fermi, fino a falsificazione"
[...]
"Per ora non vedo alternative, nelle scienze naturali, ad un approccio realistico. Che non coincide con la dogmatica scientista, la quale contrariamente alla scienza epistemica, pasticcia coi differenti livelli del reale. E più che ingenua, definirei portatrice nefasta di un sapere omologato, parrocchiale o palesemente corrotto".

La scienza esercita di fatto nella modernità un'egemonia spirituale.
Il suo realismo implicito dice in sostanza che solo la scienza è in grado di dire come stanno le cose, com'è la realtà, l'unica realtà.
Alla base di questo atteggiamento, come ho già spiegato, c'è un errore filosofico, ma non è questo l'aspetto preoccupante, il problema sta nel fatto che a partire da un punto di vista basato su un errore filosofico si produce una riduzione a discorso inefficace di tutto ciò che non è scienza.
Inutile poi mettersi a tavolino a compilare nuove etiche quando esse già in partenza non hanno forza se mancano dell'appoggio della scienza. E così ci si ritrova costretti a dedurre principi etici da biologia e neuroscienza. In realtà si tratta di una ritraduzione pseudoscientifica di questioni tradizionali.
L'esempio dei neurotrasmettitori è plateale: sapere che quando sono felice viene rilasciata una certa sostanza nel mio organismo non spiega la mia felicità, ne la felicità in generale. In realtà si tratta di una conoscenza utilissima alla manipolazione di cervelli malandati.
Perché è appunto questa l'anima della scienza e la sua enorme utilità: il potere di manipolare la materia.


Tornando invece ai vari interventi che sostengono un punto di vista metafisico o religioso, esplicitamente o implicitamente, sarebbe interessante vedere questa resistenza (al di là di chi ha ragione) come l'effetto dell'inevitabilità del pathos della verità. Cioè, come se non riuscissimo a separarci da questo pathos, anche in presenza di una consapevolezza critica nei confronti della realtà in se'. Come se questa ricerca del superamento dell'apparenza, dell'illusione, per trovare pace nell'essenza delle cose fosse ineludibile. Anche chi pensa che ci siano solo maschere deve stare allerta per non cadere nella tentazione di concetti quali "maschere autentiche" etc.
La tua lucidità è sempre puntuale.
Si può solo provare ad aggiungere un dettaglio in più, o a dire diversamente la stessa cosa guardandola da un diverso punto di vista.
Così preferirei dire che attraverso la scienza non manipoliamo  la materia, ma la realtà per la mediazione  di elementi come la concreta materia e le astratte teorie, con tutte le sfumature che vi stanno in mezzo, intese come realtà provvisorie. Su questo punto però ammetto di non aver trovato confortante riscontro interessato  in questo forum, senza ricevere critiche di nessun segno.


L'errore, seppur comprensibile a motivo della sua novità , sta secondo me nel dare alla scienza uno statuto speciale nell'ambito dell'agire umano., quando si tratta di un modo diverso di fare le cose che ha molto in comune con modi diversi di fare. Questa comunanza può non apparire, ma il supporla spiega secondo me molte cose.
Se da un lato la scienza sembra ormai essere l'unica fonte da cui ricavare una nuova etica , la sua apparente sterilità relativa allo scopo potrebbe derivare dal fatto che essa possieda già una sua etica, ma nascosta.
Se si ammette che diverse sono le modalità di agire, senza necessariamente avere su di esse pregiudiziali preferenze, dovremmo ammettere che esse si differenziano per essere portatrici ognuna di una sua etica.

Se escludiamo l'individuale agire "artigianale" ogni altra impresa umana, compresa quella scientifica, sottintende una etica di fondo che però può non apparire nel suo statuto, o essere diversa da quella dichiarata, e in ciò vedo meglio una difficolta'nel riuscire a riformarla, se non è chiaro cosa vogliamo riformare.
Le cose sepolte dentro noi non perciò non agiscono, ma per riformarle prima bisogna esplicitarle.
Il progresso della scienza non sembra essere spinto dalle prospettive di benessere , ma dal senso di benessere che da' il ricercare e il modo in cui la ricerca si porta avanti presuppone un etica.
Il lodevole tentativo di dare una regolazione etica alla scienza si scontra secondo me col fatto che essa un etica la possiede già, e che potrebbe essere diversa da quella che ci appare.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

daniele22

Volevo fare un appunto importante a mio vedere. Quando ci si addentra nei campi di confine tra essere umano ed essere pre-umano sicuramente pesa la realtà in capo ad una donna di fronte a quella in capo ad un uomo, tutte e due inconoscibili, ma non per questo poco invasive. Mi sbilancio. Si gradirebbe molto un presidente donna

Ipazia

Lungi da me negare l'inumana traduzione ideologica della scienza in scientismo con un accrescimento esponenziale della malvagità umana tecnoscientificamente assististita fino al nichili$mo dilagante che riduce l'umano a sorcio da laboratorio per sperimentazioni socio-biotec.

Ma preso atto di ciò, la soluzione non è vagheggiare molteplicità di saperi vagamente sovrapposti e autonomi, ma definire i limiti dell'etica e della bioetica invalicabili per ogni carogna scientista. Liberarando al contempo il tempio della scienza dal nichili$mo mercatista.

La soluzione al problema è politica, separando ciò che appartiene all'etica da ciò che è ricerca scientifica e liberando entrambi dalla inumana dittatura del Mercato capitalistico.

Se non si supera - abbattendolo per sempre - questo ostacolo, ogni illusione di sapere spirituale redentivo è aria fritta.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

CitazioneLa scienza esercita di fatto nella modernità un'egemonia spirituale.Il suo realismo implicito dice in sostanza che solo la scienza è in grado di dire come stanno le cose, com'è la realtà, l'unica realtà.Alla base di questo atteggiamento, come ho già spiegato, c'è un errore filosofico, ma non è questo l'aspetto preoccupante, il problema sta nel fatto che a partire da un punto di vista basato su un errore filosofico si produce una riduzione a discorso inefficace di tutto ciò che non è scienza.Inutile poi mettersi a tavolino a compilare nuove etiche quando esse già in partenza non hanno forza se mancano dell'appoggio della scienza. E così ci si ritrova costretti a dedurre principi etici da biologia e neuroscienza. In realtà si tratta di una ritraduzione pseudoscientifica di questioni tradizionali.L'esempio dei neurotrasmettitori è plateale: sapere che quando sono felice viene rilasciata una certa sostanza nel mio organismo non spiega la mia felicità, ne la felicità in generale. In realtà si tratta di una conoscenza utilissima alla manipolazione di cervelli malandati.Perché è appunto questa l'anima della scienza e la sua enorme utilità: il potere di manipolare la materia.


@Kobayashi. La scienza non è un monolite. Esistono molte correnti scientifiche che considerano la dialettica fra scienza e altre discipline come necessario ed imprescindibile. Nel campo della psicologia/pedagogia/psichiatria arrivando fino alle neuroscienze, non è possibile avere un approccio scientifico nel senso classico del termine (come distinzione fra hard e soft sciences).
E' vero che vi sono stati molti tentativi in questo senso, basti pensare all'enorme influenza del comportamentismo oppure anche all'approccio classico della psicoanalisi, laddove il terapeuta doveva essere quasi un soggetto "freddo", impossibilitato a entrare in empatia con il paziente, perchè altrimenti sarebbe stata a rischio la terapia, fondata su una interpretazione ex-cathedra risolutiva del disagio o del disturbo.
Attualmente però, almeno in questo campo, l'approfondimento della conoscenza del sistema nervoso centrale e periferico, nella sua "fisicità" si accompagna con la constatazione evidente della irriducibilità del cervello ad un organo qualsiasi, a causa della sua "plasticità", che ci rende unici fra gli esseri viventi. Con plasticità intendo la capacità di ogni essere umano di apprendere e interagire nell'ambiente modificando il suo comportamento nei più svariati modi. A differenza delle altre specie animali, noi siamo "davvero" "Uno-nessuno-centomila". Non c'è un istinto automatico che ci fa fare le stesse cose, come accade alle formiche e in misura minore anche ai mammiferi superiori. Il nostro cervello, e quindi noi stessi, è come se fosse un Computer connesso in modo diretto e continuo con tutti gli altri cervelli e con la "cultura" che quei cervelli hanno prodotto nel passato, producono attualmente e produrranno in futuro. Quindi in questo senso, per le neuroscienze è impossibile, ad esempio, non confrontarsi con la filosofia, perchè la filosofia fa parte del Sistema Nervoso Centrale, allo stesso modo delle sinapsi e dei processi di invio e ricezione dei neurotrasmettitori, in quanto le sinapsi e tutta l'architettura di ogni cervello è disegnata e si sviluppa sulla base degli imput culturali e ambientali esterni.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

viator

Salve Kobayashi. Citandoti : "La scienza esercita di fatto nella modernità un'egemonia spirituale.
Il suo realismo implicito dice in sostanza che solo la scienza è in grado di dire come stanno le cose, com'è la realtà, l'unica realtà.
Alla base di questo atteggiamento, come ho già spiegato, c'è un errore filosofico, ma non è questo l'aspetto preoccupante, il problema sta nel fatto che a partire da un punto di vista basato su un errore filosofico si produce una riduzione a discorso inefficace di tutto ciò che non è scienza".

A partire dal punto di vista che tu lamenti come erroneo.........secondo me c'è una tua interpretazione erronea.
La scienza non proclama o genera l'inefficacia di ciò che le è alternativo/estraneo. La scienza è l'armadietto del Pronto Soccorso, ovvero ciò che - in prima e principale, ma mai esclusiva istanza - occorre utilizzare in caso di infortunio (il riuscire a prevedere ciò che senza la scienza è impossibile prevedere........ecco.....questo è l'infortunio più grave).

Poi, chi vuole fare a meno del Pronto Soccorso, può scegliere come meglio crede. Spesso la Divina Provvidenza arriva dove la scienza non giungerà mai.

Lo sai che i più incalliti tra i giocatori d'azzardo puntano assai più spesso sulla cabala che sulla scienza ?. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

daniele22

Citazione di: Ipazia il 23 Gennaio 2022, 14:58:35 PM
Lungi da me negare l'inumana traduzione ideologica della scienza in scientismo con un accrescimento esponenziale della malvagità umana tecnoscientificamente assististita fino al nichili$mo dilagante che riduce l'umano a sorcio da laboratorio per sperimentazioni socio-biotec.

Ma preso atto di ciò, la soluzione non è vagheggiare molteplicità di saperi vagamente sovrapposti e autonomi, ma definire i limiti dell'etica e della bioetica invalicabili per ogni carogna scientista. Liberarando al contempo il tempio della scienza dal nichili$mo mercatista.

La soluzione al problema è politica, separando ciò che appartiene all'etica da ciò che è ricerca scientifica e liberando entrambi dalla inumana dittatura del Mercato capitalistico.

Se non si supera - abbattendolo per sempre - questo ostacolo, ogni illusione di sapere spirituale redentivo è aria fritta.


Ahhh! Ipazia, capisco il tuo sfogo. Se ho detto delle cazzate segnalamelo per favore, ma non prendermi in giro, por favor. Ipazia, il mio intelletto purtroppo mi impedisce di definire un'etica senza qualcosa che la fondi.
Ma visto che ci tieni tanto non posso che affidarmi alle ultime 2 domande Kantiane, ma sono io in prima persona a rispondere, non Kant. Cosa devo fare e cosa posso sperare.
Cosa devo fare? Convincere il ministero della pubblica istruzione in modo esplicito sulle novità svelate dalla risposta alla prima domanda (produrre una esaustiva teoria della conoscenza incontrovertibilmente verificabile con metodo scientifico)
Cosa posso sperare? Posso sperare che vi sia una spinta spontanea (il motore di Kobayashy), anche se ostacolata almeno dapprincipio, ad affermare gradatamente un'etica fondata sul valore della fratellanza. Questa è naturalmente la speranza ottimistica, ovvero la mia personale. Però c'è un problema cara Ipazia. Cosa si intende per "fratellanza"? Questo te lo può dire solo la risposta alla prima domanda




Ipazia

Citazione di: L.Wittgenstein - Tractatus logico-philosophicus6.52 Noi sentiamo che anche qualora tutte le possibili domande scientifiche avessero avuto risposta, i problemi della vita non sarebbero stati ancora neppure toccati. Certo, allora non resta più domanda alcuna, e questa appunto è la risposta.   
L'etica inizia qui.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Ipazia. Questa volta sono arcisicuro che ti convertirò istantaneamente alla mia visione del mondo.Citandoti : "La soluzione al problema è politica, separando ciò che appartiene all'etica da ciò che è ricerca scientifica e liberando entrambi dalla inumana dittatura del Mercato capitalistico".


Ma l'etica (quale funzione di possibile, individuale, scelta comportamentale) nacque molti milioni di anni prima della politica !! (anche considerando il solo livello umano, si trattò comunque di molte migliaia di anni).



L'etica è fondata sulla biologia dell'individuo, poi arrivò la più o meno raffinata evoluzione dell'etica in versione comunitaria, la quale prese il nome di "politica", la quale a sua volta si evolse in due diramazioni : la democrazia (il prevalere della morale sociale collettiva sull'etica individuale) oppure la dittatura (il prevalere dell'etica individuale del dittatore sulla morale della società che egli domina).

Spiegami tu in che modo un atavismo come quello etico possa venir affrontato e modificato dalla democrazia, oppure dalla dittatura, oppure infine dalla ricerca scientifica.

Ciò che, dall'interno della propria semplicità originaria (l'etica) ha poi generato le proprie complicazioni (politica, scienza, morale, dittatura,democrazia) non può certo venir "risolto" applicando le complicazioni stesse ! Sarebbe come se un figlio, una volta venuto al mondo, fosse in grado di modificare lo stampo che l'ha prodotto, non ti pare ? Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Mariano

Chiedo scusa se non ho letto tutti gli interventi precedenti, ma mi sono perso.
Il quesito iniziale posto è molto intrigante tant'è vero che il topic è esploso in un percorso lungo che non ritengo possa portare a trovarla.
Verità, come tutti i concetti di difficile definizione, è una parola ambigua che a mio avviso può assumere diversi significati in funzione del contesto in cui viene utilizzata.
Se un piatto cadendo in terra va in frantumi e si dice che si è rotto, è la pura verità in quanto è coerente con le parole piatto, frantumare e rottura del nostro parlare: nessuno potrebbe dire il contrario e cioè che il piatto è sano.
Se invece nel toccare un materiale qualcuno dice che è caldo e qualcunaltro che è freddo, le verità possono essere due, in funzione della sensazione di chi lo tocca.
Quando poi si tratta di idee e convinzioni, la Verità è ancora più relativa all'infinita personalità di chi si esprime.
Volendo in ultimo parlare di "Verità" assoluta, ritengo che non esista, o almeno che non riusciremo mai a definirla.
Cerchiamo di evitare il senso di onnipotenza che dimora in tutti noi. :) [size=78%]  [/size]

Freedom

Citazione di: Mariano il 23 Gennaio 2022, 23:04:06 PM
Chiedo scusa se non ho letto tutti gli interventi precedenti, ma mi sono perso.
Il quesito iniziale posto è molto intrigante tant'è vero che il topic è esploso in un percorso lungo che non ritengo possa portare a trovarla.
Intanto ti ringrazio per il tuo tentativo di riportare il Topic nei suoi naturali binari. Anche se temo non sarà seguito perché gli utenti, più che ascoltare ciò che dicono gli altri, si concentrano su ciò che gli altri fanno risuonare dentro di sé.
Citazione di: Mariano il 23 Gennaio 2022, 23:04:06 PM
Volendo in ultimo parlare di "Verità" assoluta, ritengo che non esista, o almeno che non riusciremo mai a definirla.
Cerchiamo di evitare il senso di onnipotenza che dimora in tutti noi. :)
Da una parte hai senz'altro ragione perché ci sono, indubbiamente, concetti che mai potremo penetrare. Ed è certamente un atto di superbia, di cieca ostinazione, voler perseguire obiettivi troppo al di sopra delle nostre possibilità.
Dall'altra parte, tuttavia, è dalla notte dei tempi che l'uomo cerca l'assoluto. Una verità assoluta. Che io ho cercato di definire così:
Citazione di: Freedom il 21 Gennaio 2022, 09:49:47 AM
Secondo me la Verità è il comprendere come funzionano le cose e perché. Di tutto l'Universo, di tutta la vita.
Mi viene da dire, insomma, che è nella natura umana interrogarsi su certe cose. Anche su queste.
Senza dunque particolare ostinazione, ma con sereno distacco, io credo che si possa ragionare, specialmente in un Forum di Filosofia, di questa cosa qua.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

daniele22

Citazione di: Ipazia il 23 Gennaio 2022, 22:15:54 PM
Citazione di: L.Wittgenstein - Tractatus logico-philosophicus6.52 Noi sentiamo che anche qualora tutte le possibili domande scientifiche avessero avuto risposta, i problemi della vita non sarebbero stati ancora neppure toccati. Certo, allora non resta più domanda alcuna, e questa appunto è la risposta.   
L'etica inizia qui.


Io sento il contrario naturalmente. Mi vien tra l'altro da ridere pensando a tutti questi pensatori di lingua germanica che sembrano dominare il mercato filosofico, popolo molto irrequieto a dir poco. Somos italianos Ipazia !! Italia Germania 4 a 3.
Scherzi a parte, L'enunciato che mi proponi esprime una fede, come del resto la esprime il mio opponendosi a quello. Ma c'è una differenza tra il suo e il mio ed è che il procedere assecondando il suo dettato evidenzierebbe una criticità qualora si ammetta che le persone attualmente non si fidano più di nessuno. E' un'informazione da prender come buona questa? Di conseguenza, applicare un'etica arbitraria all'interno di un tessuto sociale pervaso da un clima di sfiducia equivale a formare un partitello da 5 per cento se ti va bene.


Dopodiché, il filosofo, quando cita un filosofo, dovrebbe farlo di modo tale che l'interlocutore percepisca nell'immediato la verità o la fasità della citazione. E questo dovrebbe essere il senso nicciano del bisogno di eliminare l'interprete dietro l'interprete. Pretesa più che giusta in materia filosofica, dato che ogni persona è competente a giudicare il proprio o l'altrui pensiero. Ora succede però che io, persona incompetente di scienze naturali, debba fidarmi degli scienziati. Così facendo mi pongo nella situazione di essere un interprete dietro ad un altro interprete (il manuale di studio). Allora dico che qui sì è giustificabile la figura dell'interprete dietro l'interprete, mica possiamo sapere tutto (intendendo il sapere come "si conosce solo ciò che si fa"). Ora succede però ancora che qualcuno dica che ti iniettano un fluido (il vaccino) che modificherà il tuo pensiero. Ovvio è che colui che dice queste cose non sia quasi certamente uno scienziato. La domanda è: questa persona è folle, è ignorante, è in malafede, o ha semplicemente ragione? Puoi dar la risposta che vuoi, ma la mancanza di fiducia resta, e sia io che te ne siamo la prova. La differenza sta nel fatto che io ho però tradito di sicuro la mia ragione vaccinandomi volontariamente, e di fatto così facendo mi son fidato. Ma io non mi fido affatto, ho semplicemente fatto una cosa che ho ritenuto di buon senso in base a motivi che però prescindono dalla mia ragione. Che etica puoi proporre dunque in questa società?
Se ha fallito Silvio che proponeva l'etica imperante esasperando ancor più il culto dell'immagine. Se ha fallito il movimento 5 stelle, mettendo in evidenza la loro contraddizione che consiste nell'esser di fatto divenuti parte del sistema quando volevano buttarlo per aria. Dimmelo tu dunque


Ps: @Freedom. In relazione all'ultimo post: ti do ragione. Parliamone se vuoi, cerco solo un interlocutore aperto


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