La vera vita a riferimento di verità

Aperto da maral, 13 Novembre 2016, 23:51:26 PM

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Angelo Cannata

Più che una filosofia, penserei che si debba portare avanti qualche attività.

Trovo che un'attività importante che oggi è trascurata è proprio ciò che si fa qui: il forum, il confronto, il dibattito, la discussione.

Per me è sintomatico osservare che questo è praticamente il solo forum in Italia, con un minimo di frequentazione, pur sempre scarsissima a mio parere, in cui si prova ad affrontare dibattiti un po' impegnativi. Mi sembra che le cose non vadano meglio a livello mondiale: per quello che sono riuscito a trovare, oggi in tutto il mondo esiste un solo forum filosofico con un minimo di attività: http://forum.philosophynow.org. Una volta esisteva anche http://forums.philosophyforums.com, ma a quanto pare è stato vittima, da alcuni mesi, di hackers e ora è a pezzi.

Al contrario, sono frequentatissimi in tutto il mondo i social network specializzati in messaggi ultracorti, che significano massimo sforzo di evitare (o far evitare) l'uso del cervello.

Da questo punto di vista si potrebbe notare che i forum sono nati, insieme alla filosofia, in Grecia.

Trovo importante inoltre osservare che questa è una gravissima carenza della scuola: la scuola, cioè, coltiva il rapporto maestro-studente, ma non fa nulla per insegnare a portare avanti dibattiti, critiche, cioè il rapporto studente-studente, che dopo la scuola diventa rapporto cittadino-cittadino.

Così penso che un'attività importante che potrebbe essere coltivata sarebbe non solo il tipo di contenuti di cui discutere qui, in questo forum, ma un lavoro per rendere il discutere in sé, questo forum in sé, un piacere apprezzato, appetibile.

Garbino

La vera vita a riferimento di verità.

Sono diversi giorni che rifletto sulla domanda di Green Demetr sul rapporto prassi-teoria, e non ho trovato la benché minima possibilità o angolo prospettico che permetta di inquadrarlo anche nel campo etico. A me sembra che il rapporto prassi-teoria sia indispensabile in campo logistico, dove appunto si ha una situazione od un oggetto statico che è organizzato in un certo modo e che perciò corrisponde ad una prassi e che razionalmente si cerca di migliorare, o nel caso di un determinato problema si elabora un intervento che lo possa risolvere. Ma in campo etico si ha un oggetto che nel suo agire presenta un diverso numero di variabili di cui alcune superano in importanza proprio il rapporto prassi-teoria ( ad esempio l' istinto ). 

Solo ciò che non ha storia è definibile. Questa frase di Nietzsche ha, a mio avviso, una valenza enorme sull' argomento. Mio caro Green, l' errore in cui si incorre, in cui sono incorsi quasi tutti i filosofi e in cui incorriamo anche noi pensatori, è di pensare che dal momento che noi affrontiamo la vita in un certo modo ciò sia possibile per chiunque. Ma non è così!!  La maggior parte delle persone non pensano filosoficamente. I motivi non hanno importanza in questa sede. Ma questa è la realtà. Ed inoltre noi pensatori siamo spesso dell' opinione di riuscire a controllare il nostro modo di vivere grazie all' intelligenza e alla razionalità non rendendoci conto che è anch' essa un' illusione.

Del resto se la teoria potesse controllare la prassi si sarebbe già arrivati ad un modo migliore di gestire lo stato grazie anche al contributo di molti filosofi. Nel caso invece che tu intendessi chiedermi su quale sia la più auspicabile, non v' è dubbio che non ci si può esprimere neanche su questo. La teoria non può controllare la prassi ma neanche la prassi controlla né la teoria né sé stessa. L' uomo rimane un oggetto talmente sconosciuto e del tutto indefinibile che qualsiasi possibilità di applicare il rapporto prassi-teoria al campo etico cadrebbe nel vuoto.

Io vorrei che tu ti concentrassi proprio sull' opera di Nietzsche che tu ammiri tanto, quell' Umano troppo umano, da cui trasuda quasi ad ogni parola l' incontrollabilità dell' essere umano, un essere in cui l' orgoglio fuorvia incessantemente la possibilità di avere un approccio veritiero con ciò che viviamo. 
A livello personale ritengo che bisogna innanzitutto essere fortunati ad avere una discreta intelligenza, intuizione e capacità razionale. Che si abbia la possibilità di coltivarle. Di giungere al cospetto di quale sia l' importanza del conoscere. E grazie al conoscere cercare di diventare ( come mi sembra pensi anche Maral ) ciò che si è. Cosa che sinceramente è molto difficile. Ma anche una delle tante affermazioni con cui concordo pienamente con Nietzsche. 

I rischi sono molti, ma non è che essi svaniscano se la pensiamo in modo diverso. Ad esempio tutti sanno che il crollo della sicurezza, sia economica che fisica, del ceto medio porta quasi sempre ( ma toglierei il quasi ) a dittature, e su questo concordo con Cacciari. Ma tu vedi qualsiasi forza politica che si renda conto di quello che sta accadendo? Sia mai. Loro vedono il popolo solo come una massa da condizionare affinché lo stato sia possibile e con ciò anche il persistere del loro potere e privilegi. Altro non esiste. Sono ciechi che annaspano in cerca di un modo soltanto per rimanere a galla. Hanno uno sguardo strabico questi politici. Non vedono al di là de loro naso. Il problema c' è, è enorme e loro non si preoccupano. Non lo vogliono vedere. 

Questo per dire che noi possiamo fare qualsiasi cosa per avvertire di quale siano i rischi che concernono la situazione socio-politico-economica attuale, eppure nessuno ti sente, nessuno si preoccupa. Senza poi dimenticare a ciò che si sta facendo al pianeta, al progressivo dissolversi delle sue risorse. E questo quando scienziati, o meglio persone che si ritengono scienziati, dicono che ci dobbiamo abituare a vivere in queste condizioni perché indietro non si torna. Il che è tutto dire.

Grazie della cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta.

Apeiron

Citazione di: Angelo Cannata il 01 Dicembre 2016, 13:29:25 PMPiù che una filosofia, penserei che si debba portare avanti qualche attività. Trovo che un'attività importante che oggi è trascurata è proprio ciò che si fa qui: il forum, il confronto, il dibattito, la discussione. Per me è sintomatico osservare che questo è praticamente il solo forum in Italia, con un minimo di frequentazione, pur sempre scarsissima a mio parere, in cui si prova ad affrontare dibattiti un po' impegnativi. Mi sembra che le cose non vadano meglio a livello mondiale: per quello che sono riuscito a trovare, oggi in tutto il mondo esiste un solo forum filosofico con un minimo di attività: http://forum.philosophynow.org. Una volta esisteva anche http://forums.philosophyforums.com, ma a quanto pare è stato vittima, da alcuni mesi, di hackers e ora è a pezzi. Al contrario, sono frequentatissimi in tutto il mondo i social network specializzati in messaggi ultracorti, che significano massimo sforzo di evitare (o far evitare) l'uso del cervello. Da questo punto di vista si potrebbe notare che i forum sono nati, insieme alla filosofia, in Grecia. Trovo importante inoltre osservare che questa è una gravissima carenza della scuola: la scuola, cioè, coltiva il rapporto maestro-studente, ma non fa nulla per insegnare a portare avanti dibattiti, critiche, cioè il rapporto studente-studente, che dopo la scuola diventa rapporto cittadino-cittadino. Così penso che un'attività importante che potrebbe essere coltivata sarebbe non solo il tipo di contenuti di cui discutere qui, in questo forum, ma un lavoro per rendere il discutere in sé, questo forum in sé, un piacere apprezzato, appetibile.

Primo: ti ringrazio dei link. Sono attualmente iscritto a "philosophyforums" e niente non riesco nemmeno a fare il login. Pensavo che mi avessere espulso per inattività però ho notato che hanno oscurato completamente le discussioni, quindi ora è finito. L'altro non lo conoscevo.

La filosofia (quella vera) è attività, dibattito, confronto, chiarificazione di dubbi, porsi domande. A mio giudizio in questi termini la "vita a riferimento della filosofia" è una vita bellissima ma veramente faticosa e richiede sacrifici. E mi pare che pochi siano disposti a seguirla, purtroppo.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Citazione di: Garbino il 09 Dicembre 2016, 17:53:48 PMLa teoria non può controllare la prassi ma neanche la prassi controlla né la teoria né sé stessa.
In linea di principio non si può non essere d'accordo.
Credo che però ci siano dei difetti di impostazione, che consentono di spiegare il risultato fallimentare.
Si parla di controllo, cioè volontà di potenza. E meno male che questo controllo non è possibile. Cioè, la domanda risulta fallimentare perché si basa su un sostrato di mentalità alla greca, cioè totalizzante. Il senso sottinteso infatti mi viene a risultare questo:

La teoria non può controllare totalmente la prassi ma neanche la prassi controlla totalmente né la teoria né sé stessa.

Se cominciamo a pensare in termini non greci, quindi senza pretese di totalizzazioni, certo, si perde il piacere seducente della speranza di controllo totale, ma si guadagna in vicinanza all'esperienza e in fattibilità.
La teoria non può controllare la prassi, ma può influire su di essa. E viceversa. Parlare di influsso invece che di controllo presuppone già in sé l'idea di parzialità. Non dobbiamo buttare nella spazzatura le cose parziali, solo perché sono parziali, anche perché in questa vita non abbiamo altro che parzialità.
Una volta impostato il discorso in questi termini, si aprono molte prospettive: non si può fare tutto, ma qualcosa si può fare. È come il lavoro di continui perfezionamenti che si fa in molti campi, ora mi piace pensare alla Formula uno: non c'è verso di fabbricare dall'oggi al domani un'auto che vada a duemila chilometri orari, però, se ci si accontenta di centimetri orari, qualcosa di può fare: una limata qui, un aggiustamento là, un pneumatico leggerissimamente modificato ed ecco l'auto che ti fa due centimetri orari in più, ma quei due centimetri ti creano emozione e ti fanno vincere una gara. Due centimetri oggi, mezzo centimetro domani, e intanto con la pazienza e col tempo si ottengono risultati impressionanti, che sembravano impossibili.
Secondo me lavorare con la filosofia, proprio in vista di provocare piccoli influssi su se stessi, quindi anche sulla propria prassi, vale la pena, in base allo spirito che ho descritto: poi i risultati nella prassi si vedono e riescono a sconvolgere il mondo, anche se non si tratta degli sconvolgimenti che avevamo pensato, ma di altri tipi di sconvolgimenti, che in precedenza non sapevamo immaginare. Idem se proviamo a lavorare sulla prassi.

memento

#34
Citazione di: maral il 13 Novembre 2016, 23:51:26 PM
La verità filosofica, già in Platone, si presenta non solo come corrispondenza formale istituita dal logos tra ciò che si dice e la realtà, ma anche sulla coerenza che trova la parola del filosofo con la sua vita, nella misura in cui essa si presenta come vera vita. Come dice Michel Foucault nelle sue ultime lezioni, la vera vita assume un'importanza fondamentale per alcune scuole filosofiche che svilupperanno meno il loro impianto teorico ontologico per soffermarsi sugli aspetti esistenziali e morali, in particolare l'Epicureismo e lo Stoicismo, ma soprattutto i Cinici per i quali il tema della "vera vita" diventa fondamentale e portato alle più estreme e provocatorie conseguenze: la filosofia si fa con il proprio stile di vita, con i propri atti ben più che con i discorsi.
Questo principio diventerà però filosoficamente sempre meno praticato, la "vera vita" assumerà con il cristianesimo una connotazione religiosa, anche se debitrice delle idee filosofiche che l'hanno preceduta e la filosofia si indirizzerà verso un'argomentazione sempre più formalmente oggettiva, finché lascerà il campo della verità alla scienza moderna, per la quale il tema della "vera vita" non determina alcunché rispetto al valore oggettivo di verità di una teoria scientifica che si considera del tutto indipendente dai comportamenti dello scienziato - soggetto che la enuncia.
La verità, aletheia, per i Greci è ciò che si presenta non nascosto, non modificato, diritto e immutabile e la vera vita è enunciata secondo questi stessi principi: la vita vera (come il vero amore) non dissimula, non presenta ombre, non è corrotta, mantiene la sua direzione diritta senza disperdersi, è una vita retta che evita i perturbamenti senza cedere ai vizi e che mantiene immutabile la propria identità, perfettamente padrona di se stessa, libera e autonoma. E' una vita che richiede il coraggio di sostenerla, sempre posta in sfida per risultare esemplare senza nulla nascondere.
In tempi in cui le verità metafisicamente stabilite dalle teoresi mostrano la loro inesorabile decadenza, mi chiedo se questo ideale della "vera vita" (quale dovrebbe essere la vita del filosofo) possa venire a costituire un nuovo punto di riferimento che invita a fare filosofia con i propri atti e le proprie prassi ben più che con i propri discorsi e se i termini in cui gli antichi ravvisavano la vita come vera possono essere assunti ancora oggi.

Temo che parli la nostalgia,ovvero il disprezzo verso il presente,in questo tuo discorso: in realtà una "filosofia degli atti" costituirebbe un regresso e un pericolo mortale per la vera filosofia,mentre quella supposta se ne andrebbe in giro nelle piazze e di fronte al grande pubblico a dimostrare che il suo fare vale più di mille ragioni e di discorsi su di esso. Ma con un atto non si dimostra alcunchè. E chi sa a quali presunti esaltati possessori di verità daremmo in mano il diritto di stabilire quel che è giusto e quel che è sbagliato sulla base delle loro azioni. È stato necessario un processo lungo millenni e numerose scuole di pensiero solo per arrivare a mettere a punto delle metodologie,in tutti i campi del sapere,che frenassero la tendenza a accettare le prime impressioni e ad affidarsi a intuizioni personali,ed è questo e SOLO questo che chiamiamo Scienza,e vorremmo tornare a credere alle doti predittive di nuovi santoni. Pensavo che su questo punto fossimo un po' più accorti.

Oltretutto Maral,mi fai partire questa tua riflessione dai Greci,proprio da coloro che prima di tutti posero i presupposti del sapere scientifico. I Greci poi adoravano il teatro,la grande mimica e le belle parole,l'estetica e la semplicità delle forme quale bene più alto. Mentre il significato che dai alla parola aletheia sembra porsi in antitesi a ciò che è esteriore; forse per i Greci il disvelamento è qualcosa di totalmente diverso da come potremmo concepirlo noi,forse per loro è il momento in cui l'eroe entra in scena e pronuncia la sua battuta migliore,in cui l'uomo si fa più stupendamente espressivo e la realtà pittoresca. Non andrebbe quindi inteso come la rivelazione di un senso (in chiave cristiana),ma come perfetta sintesi estetica della propria interiorità.

green demetr

Cari Garbino e Angelo (o tutti quelli intervenuti sul 3 del lavoro).

Guardare al proprio giardino di prassi è esattamente ciò che la teoria che tiene conto della prassi sconsiglia di fare.

Ovviamente Garbino sono d'accordo con quello che scrivi, ed è proprio grazie a quelle notazioni che la mia idea di teoria riguarda da vicino le prassi.

E' esattamente quel meccanismo per cui il soggetto che è senza lavoro non capisce che è vittima di un sistema più grande di lui, e che di conseguenza vive le sue vicende con senso invariabile di impotenza e colpevolezza, il cui mix quando le condizioni siano insormontabili portano al suicidio.

Eppure aveva ben pensato al suo giardino, non è bastato, lo spazio pubblico se ne infischia e vola sereno sulle centinaia di morti, che idealmente calpesta irriverente ogni giorno.

La riverenza sarebbe invece quello spazio pubblico dove i desideri si incrociano come desiderio ANCHE dell'ALTRO.(e quindi mi permetto di dire di implementazione di se stessi, di diventare se stessi)

La soppressione della gente è veramente un toglimento alle possibilità del politico. E dà vita ahimè alla politica (rappresentanza  gerarchica del politico).
Ovviamente il politico si misura solo nella storia. Ma nel campo delle facili previsioni, se non vi è un teorico che ripensi lo spazio pubblico (LA FILOSOFIA non trovate?) COME politico, non si va inevitabilmente ad alimentare il perverso funzionamento dell'ideologia (tecno-capitalista), e delle sue manifestazioni (società dello spettacolo, del consumismo e liquida).

La prassi è il dialogo pubblico. La sua controparte è il populismo.

Nel senso proprio che il dialogo pubblico se non implementato da una FILOSOFIA CHE DICE IL VERO. (non le sciocchezze sul lavoro come dignità)
vira verso le sciocchezze della dignità del lavoro.(ossia una riproposizione della gerarchia servo-padrone).

Lacan l'aveva pure profetizzato il nuovo problema a cui la filosofia psicanalitica dovrà rispondere sarà il LAVORO RENDE LIBERI (appeso come monito all'ingresso di uno dei campi di sterminio.)

Non è questione del lavoro. la questione è del simbolico. perchè se non vi è una teoria che ne renda conto, allora un altra teoria ne farà le veci.

Quello che ci terrei a sottolineare è che non esiste una prassi senza che il fedele di quella prassi sia convinto della giustezza della stessa PRESUPPONENDO che c'è gente dietro che ci ha studiato e che la teorizza possibile e per "il meglio"-

No! sto con Focault che anzitutto è stato uno dei primi a capire la gerarchia sulla scorta della genealogia della morale di Nietzche.

Ma non sto con lui nel credere che sia la prassi a parlare per se stessa. Infatti ogni prassi è informata da una teoria.

Se la verità sta nel dire che il lavoro nobilita l'uomo, io francamente sarei perplesso, infatti chi lavorava per davvero nell'antichità erano gli schiavi.

Ci vuole una serie rivoluzione teorica che trascini le masse. Per questo sono convinto che i tempi siano acerbi, infatti ancora esiste una chiesa e ancora esiste un capitalismo, e Nietzche ha profetizzato per noi che entrambi tramonteranno.
Per quel che vedo il capitalismo usa il cristianesimo e il cristianesimo usa il capitalismo come Severino ha spiegato molto bene, perciò questa simbiosi sta veramente bloccando questo tramonto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

maral

#36
Citazione di: memento il 11 Dicembre 2016, 00:20:36 AM

Temo che parli la nostalgia,ovvero il disprezzo verso il presente,in questo tuo discorso: in realtà una "filosofia degli atti" costituirebbe un regresso e un pericolo mortale per la vera filosofia,mentre quella supposta se ne andrebbe in giro nelle piazze e di fronte al grande pubblico a dimostrare che il suo fare vale più di mille ragioni e di discorsi su di esso. Ma con un atto non si dimostra alcunchè. E chi sa a quali presunti esaltati possessori di verità daremmo in mano il diritto di stabilire quel che è giusto e quel che è sbagliato sulla base delle loro azioni. È stato necessario un processo lungo millenni e numerose scuole di pensiero solo per arrivare a mettere a punto delle metodologie,in tutti i campi del sapere,che frenassero la tendenza a accettare le prime impressioni e ad affidarsi a intuizioni personali,ed è questo e SOLO questo che chiamiamo Scienza,e vorremmo tornare a credere alle doti predittive di nuovi santoni. Pensavo che su questo punto fossimo un po' più accorti.

Oltretutto Maral,mi fai partire questa tua riflessione dai Greci,proprio da coloro che prima di tutti posero i presupposti del sapere scientifico. I Greci poi adoravano il teatro,la grande mimica e le belle parole,l'estetica e la semplicità delle forme quale bene più alto. Mentre il significato che dai alla parola aletheia sembra porsi in antitesi a ciò che è esteriore; forse per i Greci il disvelamento è qualcosa di totalmente diverso da come potremmo concepirlo noi,forse per loro è il momento in cui l'eroe entra in scena e pronuncia la sua battuta migliore,in cui l'uomo si fa più stupendamente espressivo e la realtà pittoresca. Non andrebbe quindi inteso come la rivelazione di un senso (in chiave cristiana),ma come perfetta sintesi estetica della propria interiorità.
Non credo di aver parlato di santoni o di una accettazione acritica di suggestioni di verità, l'esatto opposto.
Santoni sono semmai coloro che predicano di assoluti: logici, empirici o mistici, ma comunque feticci di cui richiedono l'adorazione incondizionata, senza alcun riscontro nella prassi coerente delle loro concrete esistenze, santoni sono quelli della teoria perfetta, del "fate come dico, ma non come faccio". E trovo anche sorprendente che proprio Platone, padre del misticismo ideologico, proponga non solo nel "Lachete", ma anche nei dialoghi che trattano la morte di Socrate, la figura di un Socrate la cui verità è comprovata da ciò che dimostra di fare vivendo e morendo e di questa salutare coerenza alla fine rende grazie ad Esculapio.
Semmai la nostalgia per la superstizione la nutre chi ancora crede che la teoresi dei principi possa risolvere tutto, a priori, come in una formula matematica, chi pensa (scienziato o logico o metafisico che sia) che basti la definizione del principio, la regola e chi ingabbia la complessità del reale nelle sue formulette oggettive con cui crede di poter controllare perfettamente un mondo in oggetto, come se lui nulla centrasse con questo oggetto, come se lui, il mondo, lo vedesse tutto intero da fuori per come è, da un fuori che dove sia non si sa proprio, tanto sta in alto per consentire così vasti panorami.
Questi della Verità con la maiuscola assomigliano a quei buoni missionari gesuiti andati a predicare tra gli indios contro i loro feticci superstiziosi, carichi di santini e reliquie.
Forse non sappiamo granché dei Greci, forse li confondiamo con quello che siamo diventati noi partendo da loro, perché siamo noi ad avere il culto dell'eroe, l'eroe che risolve tutto e tutto finisce bene. In realtà il primo e fondamentale personaggio della tragedia greca fu il coro, mentre dai nostri drammi sempre più penosi e assurdi il coro è scomparso, restano solo voci scompaginate in cui ciascuno si crede l'assoluto incontestabile protagonista e qui di sicuro tutta la macerata interiorità cristiana ha combinato i suoi grandi sfracelli.
Ma forse ancora oggi è possibile sentire che un atto d'amore vitale vale infinitamente di più di qualsiasi teoria che definisca l'amore (magari come una sorta di incresciosa nevralgia nell'abituale conto delle convenienze) e la vita (magari come prodotto di una sequenza genomica), proprio come nel "Lachete", l'atto di coraggio di cui Socrate si è dimostrato capace sul campo di battaglia vale infinitamente di più di qualsiasi teoria sul coraggio che pretenda di definire razionalmente, come il risultato oggettivo di un conto esatto con tanto di "prova del nove" per star sicuri, cosa sia il coraggio e cosa no. Basta farlo vedere nel modo concreto di condurre la propria esistenza a chi ha gli occhi per vederlo (letteralmente: "aletheia", verità).

maral

#37
Citazione di: green demetr
Sei anche tu con Maral, o pensi come me che sia la teoria a dover controllare la prassi? e non la teoria derivare dalla prassi (perchè sennò Maral, se la gente è veramente quello che è, il razzismo diventa legalizzato, e non protetto dalla netiquette).
Perché secondo te Green la teoria da dove nasce? O non nasce? E' scritta da sempre nell'alto dei cieli?
Le teorie nascono dalle prassi e generano nuove prassi facendosi a loro volta prassi (modi di fare). Il problema (o meglio la benedizione) è che da sempre dai genitori nascono figli che i genitori non si aspettavano, prodotti da molteplici intrecci sui quali nessun controllo è mai stato possibile, anche se il tentativo di garantire il controllo è sempre presente con tanto di istitutori e governanti che volentieri si offrono. E a volte dal modo di vedere le cose che ha prodotto un Obama può persino nascere (terrore e meraviglia!) il modo di vedere le cose che produce un Trump.
Alla fine tutti siamo sempre quello che siamo, comunque la si cerchi di mettere o di nascondersela.

paul11

Il paradosso del nostro tempo, se così si può dire, è che l'allargamento quantitativo di conoscenza ha delineato più confusione che non certezze, anzi abbandonando quest'ultime.Ne ha perso la qualità.
Sia la prassi che la teoria sono andate in crisi.
In un tempo nostro, in cui è limitata la percezione umana sensoriale, è limitato il nostro cervello e quindi anche il nostro pensiero, diventa difficile dire quale cosa è più importante di un'altra ,da cui fondare una teoria che rispecchi le attuali conoscenze filosofiche e scientifiche.Che poi vuol dire, da cosa partiamo, dov'è la verità da cercare, di che cosa abbiamo fiducia, e cosa ha costruito la nostra fiducia?
E' inevitabile che una metafisica separata dalla vita vissuta umana come una spada,nell'epoca delle scoperte e delle tecnologie scientifiche, appaia quanto meno fuori dal tempo, obsoleta si direbbe tecnicamente.
Allora la prassi mette in crisi il concetto e viceversa.
Personaalmente ritengo che esista sia la materia che il pensiero e fra loro un sistema di relazione.,
Se la pratica, vale a dire le conoscenze empiriche, scientifiche mettono in crisi il pensiero è altrettanto vero che comunque il pensiero è quella modalità che ci permette di avere una sintesi delle pratiche senza la quale non potrremmo mai avere quel sistema di relazione che ci permette di categorizzare la natura fisica e non fisica.
Quindi ritengo che non possa essere separato il cielo e la terra, detto metaforicamente, perchè noi esistiamo in mezzo a loro.
Forse, e per me è così, bisognerebbe accettare la sfida che la contemporaneità ci pone, cercare di riallineare teoresi e prassi conoscendo i pensieri già dati dalla storia dai filosofi.Vale a dire facendo tesoro dei loro concetti, ma andando avanti, perchè manca una teoria  prassi del futuro. Per far questo bisogna ripensare le categorie fisiche  e mentali del pensiero, come dire, riuscire a innovare il pensiero ma dentro una tradizione che è esperienza a sua volta vissuta. Si tratta di ripensare e riflettere e c' è necessità quindi di confronto e dialogo

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