La storia e l'oblio del pensiero

Aperto da Raffaele Pisani, 20 Giugno 2018, 11:21:12 AM

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Raffaele Pisani

Ho cominciato da poco tempo a frequentare questo interessante forum, cercando anche di inserirmi in qualche discorso in atto da tempi più o meno lunghi, è superfluo dire che ogni sforzo da parte di tutti  per chiarire ed approfondire è sempre lodevole. D'altra parte l'intrecciarsi dei discorsi rende la cosa talvolta difficile. Alla luce di questa breve esperienza, vorrei proporre anch'io un tema di discussione, l'ho intitolato "La storia e l'oblio del pensiero". Amerei porre l'attenzione sul fatto che i termini e i relativi concetti che usiamo hanno la loro origine e la loro storia, è chiaramente un'ovvietà; quando veniamo alla luce nel mondo filosofico questo è già ben formato da tanto tempo per cui altrettanto ovvio è che non simo noi gli artefici di queste idee. Cercare di capirle il meglio possibile e magari dare un piccolo contributo, una goccia nel mare, penso sia un grande risultato. Spesso dicendo in buona fede: "Questa è la mia idea" si riporta un contenuto appreso di cui si è dimenticata la fonte.

Carlo Pierini

Citazione di: Raffaele Pisani il 20 Giugno 2018, 11:21:12 AM
Spesso dicendo in buona fede: "Questa è la mia idea" si riporta un contenuto appreso di cui si è dimenticata la fonte.


...Oppure ha ragione Jung quando, d'accordo con Platone, scrive:

<<Le idee che conquistano, le idee cosiddette vere, hanno in sé un che di particolare: sorgono da una regione atemporale, da un essere-sempre-esistite, da un terreno psichico primordiale su cui lo spirito effimero del singolo individuo cresce come una pianta. [...] Esse provengono da un qualcosa che è più grande della persona singola. Non siamo noi a produrre idee, sono piuttosto le idee che formano noi>>.   [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg.211]

<<Poiché lo spirito (inconscio) è anche una sorta di "finestra sull'eternità" [...] esso trasmette all'anima un certo "influsso divino" e la conoscenza di un ordine cosmico superiore, e proprio in ciò consiste il compito di vivificare l'anima ad esso assegnato. Quest'ordine cosmico superiore ha carattere impersonale e consiste da un lato nell'insieme di tutti i valori intellettuali ed etici tradizionali, che vengono trasmessi all'individuo dalla civiltà a cui appartiene e dall'educazione, dall'altro invece nelle strutture dell'inconscio, che si presentano alla coscienza come idee archetipiche. I primi hanno di solito la prevalenza sulle ultime; ma allorché, indeboliti dal trascorrere del tempo o fiaccati dagli attacchi della critica, i primi perdono il loro potere persuasivo, le idee archetipiche si fanno allora strada con prepotenza attraverso le falle che si sono aperte. Freud, avendo riconosciuto correttamente questo stato di cose, diede ai primi il nome di "Super-io", ma le seconde gli rimasero sconosciute, poiché egli non riuscì a liberarsi dalla fede nella ragione e dal positivismo caratteristici del diciannovesimo secolo. Una visione materialistica del mondo mal si accorda con la realtà e con l'autonomia della psiche>>.    [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.474]

Raffaele Pisani

Apprezzo la risposta di Carlo Pierini che coglie un aspetto da me trascurato, d'altra parte non si può essere sempre completi in un intervento, io mi accorgo che no lo sono mai.
Che ci siano delle idee archetipiche che sorgono da "una regione atemporale" mi pare un pensiero accettabilissimo, questo non toglie che la loro teorizzazione si riferisca ad un determinato autore, inserito in un determinato contesto; sono stati citati, giustamente, Jung, Freud e Platone. Inoltre, non si può passare dall'affermazione che ci sono delle idee archetipiche a quella che tutte le idee sono di tal natura.
La difesa dell'origine storica di alcuni concetti è scaturita da una situazione concreta, qui in questo forum: si parlava di giudizi analitici e sintetici nella versione a priori e a posteriori; secondo me, se non si chiarisce quella che è la posizione kantiana non si può fare un'obiezione che magari ci distacca dal pensiero del filosofo di Könisberg. Potrei dire che secondo me i giudizi analitici, che Kant ritiene mere tautologie, sono invece fecondi, perché nello svolgimento di un soggetto che si fa predicato si colgono delle relazioni che aggiungono conoscenza, questa però è una tesi propugnata nei primi del Novecento dal filosofo Giulio Canella, più noto al grande pubblico per la vicenda dello Smemorato di Collegno. Anch'egli però si riferiva a qualcun altro: il professor Désiré Mercier, tomista della Scuola di Lovanio, e si potrebbe andare a ritroso fino a Tommaso, Aristotele e via.
Un saluto a tutti.

Carlo Pierini

Citazione di: Raffaele Pisani il 22 Giugno 2018, 17:52:54 PMPotrei dire che secondo me i giudizi analitici, che Kant ritiene mere tautologie, sono invece fecondi, perché nello svolgimento di un soggetto che si fa predicato si colgono delle relazioni che aggiungono conoscenza.

Sono d'accordo.
E non è un caso che Kant abbia (arbitrariamente) eretto una muraglia tra "l'homo sapiens" e la Trascendenza, relegandolo in quel limbo immanente - che in realtà non sta né in cielo né in terra - a cui diede il nome di "trascendent-ale", che in realtà è un aggettivo che significa "riferito al trascendente".
Se poi consideriamo che (arbitrariamente) degradò l'intelleggibile "noumenon" platonico nell'inattingibile "noumeno" (la "cosa in sé"), è difficile non pensare alla filosofia kantiana come a una grande mistificazione del pensiero (sia pure di alto valore letterario) freddamente architettata per infilarsi tra le maglie di una Teologia viziata dall'idea di "ineffabilità di Dio" e di una Scienza smaniosa di liberarsi per sempre da ogni possibile implicazione metafisica.

sgiombo

Citazione di: Raffaele Pisani il 22 Giugno 2018, 17:52:54 PM
Potrei dire che secondo me i giudizi analitici, che Kant ritiene mere tautologie, sono invece fecondi, perché nello svolgimento di un soggetto che si fa predicato si colgono delle relazioni che aggiungono conoscenza, questa però è una tesi propugnata nei primi del Novecento dal filosofo Giulio Canella, più noto al grande pubblico per la vicenda dello Smemorato di Collegno. Anch'egli però si riferiva a qualcun altro: il professor Désiré Mercier, tomista della Scuola di Lovanio, e si potrebbe andare a ritroso fino a Tommaso, Aristotele e via.
Un saluto a tutti.
Citazione
I giudizi analitici a priori non sono mere tautologie in quanto esplicitano nozioni implicitamente contenute nelle premesse, aumentando le conoscenze.

Ma si tratta di conoscenze che di per sé sono "intrinseche al discorso" (in particolare alle premesse), relative alla correttezza del discorso stesso (a prescindere dalla realtà), e non (non necessariamente e incondizionatamente) di conoscenze della realtà (di ciò che realmente é/accade o meno).
E che possono bensì essere anche conoscenze della realtà (di ciò che realmente é/accade o meno) ma solo alla condizione (la quale eccede i giudizi analitici a priori, richiedendo necessariamente giudizi sintetici a posteriori) che le premesse dei giudizi analitici a priori stessi siano (non ipotesi sulla realtà o definizioni fittizie di enti o eventi puramente teorici, di pensiero, "a prescindere dalla realtà", ma invece) conoscenze vere della realtà.

Raffaele Pisani

Sono d'accordo con la risposta data da sgiombo. I giudizi analitici a priori che la filosofia leibnziano-wolffiana,immediatamente precedente a Kant, chiamava: verità di ragione sono necessariamente veri perché il predicato ripete il soggetto e non hanno bisogno di conferma empirica, anzi non devono far riferimento all'esperienza, altrimenti perderebbero il loro carattere a priori. Sarebbe come voler chiamare: bevanda analcolica una bibita alla quale si è aggiunto alcool.
Sappiamo che la conoscenza non si limita a questo tipo di giudizi ma opera secondo procedure che caratterizzano le varie scuole di pensiero. 
Quando sono entrato in questo argomento il discorso era già aperto da parecchio tempo e magari non ho letto tutti gli interventi, o ne ho capito male qualcuno, per questo mi sono permesso questa delucidazione, che magari qualcuno, a ragione, considererà un'ovvietà.

baylham

Citazione di: Raffaele Pisani il 20 Giugno 2018, 11:21:12 AM
 Amerei porre l'attenzione sul fatto che i termini e i relativi concetti che usiamo hanno la loro origine e la loro storia, è chiaramente un'ovvietà; quando veniamo alla luce nel mondo filosofico questo è già ben formato da tanto tempo per cui altrettanto ovvio è che non simo noi gli artefici di queste idee. Cercare di capirle il meglio possibile e magari dare un piccolo contributo, una goccia nel mare, penso sia un grande risultato. Spesso dicendo in buona fede: "Questa è la mia idea" si riporta un contenuto appreso di cui si è dimenticata la fonte.

Sono parzialmente d'accordo sul fatto che le idee di un uomo ricalchino spesso idee passate di altri uomini, che quindi non siano per la maggior parte originali.
Tuttavia la questione è più problematica perché per spiegare la nascita delle  idee bisogna partire dal fatto che a fianco delle idee apprese ci siano idee originali, che sorgono autonomamente in ciascun uomo.
Nella mia esperienza mi è capitato in qualche occasione di giungere autonomamente a dei risultati (ad esempio la formula della somma dei primi n numeri naturali, l'illogicità del peccato originale) che solo dopo ho scoperto con un po' di delusione che già erano stati raggiunti da altri.

Raffaele Pisani

Sì, la questione è certamente più problematica, a certe idee in qualche situazione privilegiata ci si può arrivare in relativa autonomia. Il caso di Leibniz e Newton è emblematico, entrambi sono arrivati alla teorizzazione del calcolo infinitesimanle più o meno negli stessi anni; gli storici sono concordi nel dire che non c'è stata influenza dell'uno sull'altro.
Dire che le loro idee dipendono dal contesto storico nel quale si sono sviluppate, significa affermare che lo sviluppo della logica e della matematica nella seconda metà del Seicento europeo forniva quel substrato culturale che ha permesso a  due geni di compiere un grande balzo in avanti. Quindi autonomi l'uno rispetto all'altro, ma entrambi dipendenti da un universo linguistico e culturale che ha permesso loro di emergere.

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