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La scommessa di Pascal

Aperto da Eutidemo, 11 Dicembre 2021, 12:53:15 PM

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bobmax

La mistica segue la via tracciata dalla filosofia di ogni tempo. Difatti l'autentica filosofia è una sola, con sempre lo stesso obiettivo: la Verità.

Ciò implica di non lasciare nulla di scontato.

Per esempio disquisire sull'esistenza o meno di Dio è filosofia? Lo stesso concetto di esistenza non dovrebbe necessariamente essere messo in discussione?

Cosa significa "esistere"?

Non significa forse essere qualcosa?

Che senso mai avrebbe attribuire, a prescindere, la categoria dei qualcosa a Dio?

Lasciamo l'esistenza ai qualcosa.

Dio non esiste, Dio è.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

viator

Salve bobmax. Citandoti : "Che senso mai avrebbe attribuire, a prescindere, la categoria dei qualcosa a Dio?".


"QUALCOSA" non può costituire una categoria, dal momento che tutte le categorie vengono fatte esistere dalla "necessità" di fornire un confine ad un ambito. Infatti il "QUALCOSA" rappresenta proprio la negazione di una qualsiasi delimitazione e specificazione, essendo ciò che può venire ad includere una qualsiasi "COSA". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

iano

#17
Citazione di: Phil il 12 Dicembre 2021, 13:27:43 PM
Mi permetto di rivedere lo schema di Alexander considerando che c'è pur sempre una puntata in gioco (chiamiamola «V»), ossia il nostro stile di vita, comprese le nostre rinunce per aderire ai dettami della religione anche quando non ci piace farlo (come già osservato da Niko); tutta la nostra condotta morigerata viene messa sul piatto scommettendo che sia un buon "investimento"; dunque:
Dio esiste ed io ci ho creduto: +∞ (ho guadagnato l'infinta gioia nel paradiso)
Dio non esiste ed io ci ho creduto: -V (tutti i sacrifici sono stati vani, avrei potuto spassarmela di più e non ho vinto nulla)
Dio esiste ed io non ci ho creduto : -∞ (ho perso la gioia infinita e mi tocca la dannazione eterna)
Dio non esiste ed io non ci ho creduto: +V (non ho puntato su Dio, ho evitato di fare sacrifici, e ho guadagnato una vita edonistica)

Risulta chiaro dallo schema, che se punto su Dio ottengo +∞ o -V, mentre se non ci credo ottengo -∞ o +V; ovviamente una vita (V) per quanto lunga e prospera  non è quantitativamente né qualitativamente paragonabile all'infinito gaudio paradisiaco, per questo Pascal ci suggerisce di puntare su Dio. Sembrerebbe che ci dica: se punti 5 centesimi su Dio puoi vincere un bancomat con credito illimitato o perdere i 5 centesimi; se non punti i 5 centesimi su Dio, non li perdi, ma eviti anche di vincere un bancomat con credito illimitato (e forse ottieni "illimitato rimpianto"). Il punto cruciale è che tuttavia non si tratta di puntare 5 centesimi, bensì tutta la nostra vita (che è tutto ciò che siamo/abbiamo), per cui la scommessa reale è: se punti tutto ciò che hai, puoi vincere un un bancomat con credito illimitato, ma se perdi, perdi tutto ciò che hai (se ogni gioco d'azzardo richiedesse di puntare tutti i propri beni in un colpo solo, probabilmente il gioco d'azzardo si sarebbe già estinto, o si sarebbero quantomeno estinti tutti i suoi giocatori, almeno se il guadagno fosse proporzionale alla puntata e quindi anche ai poveri non converrebbe puntare quel poco che hanno).
Va poi soprattutto considerato che non si tratta affatto di una scommessa del tipo testa/croce, 50/50: trattandosi di esistenza, per stimare le probabilità diventano rilevanti prove, indizi, deduzioni, etc. Banalizzando: le probabilità che nel garage del mio vicino (a cui non posso accedere), posto sicuramente freddo e da cui mi pare di aver sentito spesso dei rumori, ci sia un pinguino reale, non sono esattamente del 50% (soprattutto considerando che siamo in Italia) e se mi si chiedesse di puntare tutti i miei averi per ottenere il famoso bancomat con credito illimitato qualora il pinguino ci sia davvero, ma perdere tutto se il pinguino non c'è, personalmente scommetterei sull'assenza del pinguino e mi terrei i miei (pochi) averi.
Inoltre, molto marginalmente e lasciando da parte i pinguini, una falla strutturale della scommessa pascaliana è che non c'è garanzia della verifica dell'esito finale, nel senso che, se Dio non esiste, quando l'uomo non credente muore non saprà di aver vinto, così come l'uomo credente non saprà di aver perso.

Per onestà intellettuale, va comunque notato che il credere nel Dio cattolico oggi non comporta fustigarsi con il cilicio o andare a morire in terra santa, anzi, alcuni cardini della morale cattolica fanno ormai parte della legislazione vigente e anche di molte prospettive atee, per cui il sacrificio di una "vita da cattolico" non è una totale alienazione dalla società e da ogni forma di piacere; rivalutando quindi la scommessa di Pascal in "valuta corrente" è certo meno "onerosa" che nel diciassettesimo secolo (per quanto resti ancora poco probabile che un pinguino si aggiri davvero nel garage del mio vicino...).


P.s.
Chiaramente il buon Pascal è figlio del suo tempo, quindi quando parla di un dio è condizionato dalla sua cultura d'appartenenza (non pensa ad un dio "in generale"), per quanto nei suoi Pensieri dimostri di aver ben chiaro cosa siano il prospettivismo (Pensieri, 47), i limiti della ragione, la forza dell'abitudine («abêtir» deriva da «bête»1, ossia «bestia», forse lo usa nel senso di "addomesticarsi" tramite l'abitudine, proprio come è la ripetizione dei gesti che addomestica gli animali, non la loro intrinseca "razionalità"; v. anche Pensieri, 140), etc. tutti aspetti che, coniugati con la sua lucidità da matematico, potrebbero allontanarlo dal feticismo ingenuo di una credenza in un dio definito, ma nondimeno lo confermano fulgido esempio dello scienziato che non sa/può/vuole lanciare la propria razionalità oltre l'horror vacui del "mistero" della morte.

1Non senza una certa ironia linguistica, la pronuncia di «bête» in francese è simile a quella di «bet» in inglese che significa... scommessa.
Ciao Phiiiil,
Quando si dice mettere i puntini sulle i. Bravo !!!!!
Volendoli metterli anche di sotto. 😊
Difficile aggiungere altro.

Perché io non scommetto su Dio?
Perché anche quando ci credessi non avrei modo di sapere come fare a compiacerlo.
Credere in Dio quindi non può disgiungersi dal credere in che modo lo si possa compiacere, che equivale ad abbracciare una particolare fede, e non ad avere la fede.
D'altra parte non vi è alcuno, che senza scommettere su Dio, non scommetta su uno stile di vita.
La differenza sostanziale sta nell'abbracciarne uno già confezionato tipo industriale, o nel cucirsene uno su misura.
Credo sia ragionevole pensare che ognuno di noi però faccia le due cose insieme , puntando somme diverse su ogni possibilità.
La regola prima dell'investimento non è la diversificazione?
Questa regola equivale a non scommettere mai tutto su ciò su cui noi tenderemmo diversamente a scommettere . Vince dunque chi ben pondera su cosa investire, ma senza scommettere tutto ciò su che ha ben ponderato, e quindi in definitiva a non scommettere tutto su se stesso.
Direi che l'unica scommessa da evitare è dunque di puntare tutto su se stessi, che banalmente equivale poi alla coscienza di essere animali sociali. So come fare a compiacere gli altri, che a volte vivo come mio piacere e a volte come ciò che conviene fare al di la' che mi piaccia.
La fede, o meglio il modo in cui si possa compiacere Dio assomiglia più al secondo modo mi pare, , ma non si può negare che in certe fedi è racchiusa grande saggezza, perché non ti aspetti di provare piacere assecondandone i precetti, come invece a volte può succedere.
Così può succedere a volte che scommettendo su un Dio  trovi il piacere di questa vita, tanto che ti dimentichi di quella che verrà, se mai verrà.
Nel dubbio scommetto sul piacere di questa vita, ma senza mai dare per scontato da dove arriverà, e potrebbe arrivare anche da un Dio abbracciato solo a metà, sperando che in paradiso servano anche le mezze porzioni.😅
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko

#18


Citazione di: Phil il 12 Dicembre 2021, 13:27:43 PM
Mi permetto di rivedere lo schema di Alexander considerando che c'è pur sempre una puntata in gioco (chiamiamola «V»), ossia il nostro stile di vita, comprese le nostre rinunce per aderire ai dettami della religione anche quando non ci piace farlo (come già osservato da Niko); tutta la nostra condotta morigerata viene messa sul piatto scommettendo che sia un buon "investimento"; dunque:
Dio esiste ed io ci ho creduto: +∞ (ho guadagnato l'infinta gioia nel paradiso)
Dio non esiste ed io ci ho creduto: -V (tutti i sacrifici sono stati vani, avrei potuto spassarmela di più e non ho vinto nulla)
Dio esiste ed io non ci ho creduto : -∞ (ho perso la gioia infinita e mi tocca la dannazione eterna)
Dio non esiste ed io non ci ho creduto: +V (non ho puntato su Dio, ho evitato di fare sacrifici, e ho guadagnato una vita edonistica)

Risulta chiaro dallo schema, che se punto su Dio ottengo +∞ o -V, mentre se non ci credo ottengo -∞ o +V; ovviamente una vita (V) per quanto lunga e prospera  non è quantitativamente né qualitativamente paragonabile all'infinito gaudio paradisiaco, per questo Pascal ci suggerisce di puntare su Dio. Sembrerebbe che ci dica: se punti 5 centesimi su Dio puoi vincere un bancomat con credito illimitato o perdere i 5 centesimi; se non punti i 5 centesimi su Dio, non li perdi, ma eviti anche di vincere un bancomat con credito illimitato (e forse ottieni "illimitato rimpianto"). Il punto cruciale è che tuttavia non si tratta di puntare 5 centesimi, bensì tutta la nostra vita (che è tutto ciò che siamo/abbiamo), per cui la scommessa reale è: se punti tutto ciò che hai, puoi vincere un un bancomat con credito illimitato, ma se perdi, perdi tutto ciò che hai (se ogni gioco d'azzardo richiedesse di puntare tutti i propri beni in un colpo solo, probabilmente il gioco d'azzardo si sarebbe già estinto, o si sarebbero quantomeno estinti tutti i suoi giocatori, almeno se il guadagno fosse proporzionale alla puntata e quindi anche ai poveri non converrebbe puntare quel poco che hanno).
Va poi soprattutto considerato che non si tratta affatto di una scommessa del tipo testa/croce, 50/50: trattandosi di esistenza, per stimare le probabilità diventano rilevanti prove, indizi, deduzioni, etc. Banalizzando: le probabilità che nel garage del mio vicino (a cui non posso accedere), posto sicuramente freddo e da cui mi pare di aver sentito spesso dei rumori, ci sia un pinguino reale, non sono esattamente del 50% (soprattutto considerando che siamo in Italia) e se mi si chiedesse di puntare tutti i miei averi per ottenere il famoso bancomat con credito illimitato qualora il pinguino ci sia davvero, ma perdere tutto se il pinguino non c'è, personalmente scommetterei sull'assenza del pinguino e mi terrei i miei (pochi) averi.
Inoltre, molto marginalmente e lasciando da parte i pinguini, una falla strutturale della scommessa pascaliana è che non c'è garanzia della verifica dell'esito finale, nel senso che, se Dio non esiste, quando l'uomo non credente muore non saprà di aver vinto, così come l'uomo credente non saprà di aver perso.

Per onestà intellettuale, va comunque notato che il credere nel Dio cattolico oggi non comporta fustigarsi con il cilicio o andare a morire in terra santa, anzi, alcuni cardini della morale cattolica fanno ormai parte della legislazione vigente e anche di molte prospettive atee, per cui il sacrificio di una "vita da cattolico" non è una totale alienazione dalla società e da ogni forma di piacere; rivalutando quindi la scommessa di Pascal in "valuta corrente" è certo meno "onerosa" che nel diciassettesimo secolo (per quanto resti ancora poco probabile che un pinguino si aggiri davvero nel garage del mio vicino...).


P.s.
Chiaramente il buon Pascal è figlio del suo tempo, quindi quando parla di un dio è condizionato dalla sua cultura d'appartenenza (non pensa ad un dio "in generale"), per quanto nei suoi Pensieri dimostri di aver ben chiaro cosa siano il prospettivismo (Pensieri, 47), i limiti della ragione, la forza dell'abitudine («abêtir» deriva da «bête»1, ossia «bestia», forse lo usa nel senso di "addomesticarsi" tramite l'abitudine, proprio come è la ripetizione dei gesti che addomestica gli animali, non la loro intrinseca "razionalità"; v. anche Pensieri, 140), etc. tutti aspetti che, coniugati con la sua lucidità da matematico, potrebbero allontanarlo dal feticismo ingenuo di una credenza in un dio definito, ma nondimeno lo confermano fulgido esempio dello scienziato che non sa/può/vuole lanciare la propria razionalità oltre l'horror vacui del "mistero" della morte.

1Non senza una certa ironia linguistica, la pronuncia di «bête» in francese è simile a quella di «bet» in inglese che significa... scommessa.

Io penso che non possiamo fino in fondo identificarci con un eterno sofferente all'inferno o con un eterno gaudente in paradiso, siamo troppo diversi qui e ora sulla terra da questi spiriti assolutizzati verso una sola polarità delle due opposte proprie della -nostra- vita, noi che volenti o nolenti non possiamo, a differenza loro, prescindere dal viverle entrambe.

E' inconcepibile godere infinitamente e soffrire infinitamente nello spazio e nel tempo, quantomeno perché noi in vita non viviamo e non sentiamo davvero il piacere e la sofferenza puri ma la loro alternanza, il mutare del loro gioco di forze.

La vita sa di essere commistione di piacere e sofferenza insieme e che cesserà di essere se stessa esattamente quando cesserà di essere commistione di piacere e sofferenza insieme, e non riconosce nulla al di fuori di se stessa, quindi quando essa dopo un colpo di bacchetta magica del Signore si trasmuterà in una neo-vita monopolare assolutizzata solo sul piacere o solo sulla sofferenza, se mai ci si trasmuterà, attraverserà comunque l'abisso di una perdita infinita di se stessa per come si è finora conosciuta.
La "versione" beata o dannata di noi stessi semplicemente non siamo e non possiamo essere noi, non siamo comunque noi quello che saremo oltre noi stessi se mai saremo qualcosa, il che, se accettato nelle sue estreme conseguenze, relativizza anche il sommo male dell'inferno e il sommo bene del paradiso.

Quindi chi veramente ama la vita non pensa a una ricompensa infinita oltre di essa, perché sa che essa se pur guadagnata non lo ricompenserà dell'infinità del fatto stesso di aver perso la vita, e intendo questa vita terrena in cui il bene è reale e discernibile perché c'è anche il male, e altro bene non possiamo concepire.

E ugualmente non teme l'inferno ultraterreno, perché sa che la vera perdita infinita non sarà  "l'essere giunti" infine all'inferno, ma il fatto stesso di essere passati prima per la realtà morte.

Davanti all'inimmaginabile, siamo disidentificati da quello che saremo se mai saremo, dal nostro punto di vista resterà solo la perdita infinita di quello che ora siamo.

La prospettiva di diventare spiriti non ci riguarda.

Quindi matematicamente secondo me, anche ammettendo l'infinito nel gioco, lo schema dell'effetto che questi destini ipotetici faranno su di noi si può ancora riformulare così:

Inferno: uguale meno infinito -per, in tutti i sensi- meno infinito, uguale zero.

Paradiso: uguale meno infinito più infinito, uguale comunque zero.

C'è sempre un meno infinito da mettere nel calcolo, perché per andare oltre la vita, si attraversa sempre e comunque la realtà innegabile, se pur secondo alcuni non definitiva, della morte.

E' per questo che l'ateo nichilista irriducibile considera nullificante, e quindi infinita, la perdita della sua vita; perdere tutto sarà come perdere un infinito che avevamo sempre avuto e che improvvisamente comprenderemo di aver perso, e chi se ne importa se dopo aver perso l'infinito saremo ricompensati da un premio o colpiti ancora da un'ulteriore punizione, falso problema.

Il mio godermi la vita al di fuori della religione non ha dunque valore di edonismo, ma di amore per un valore infinito come altri considerano infinito il valore del paradiso o il disvalore dell'inferno.

Non è come puntare cinque centesimi e poter vincere un milione, è come puntare una moneta d'argento e poter vincere infinite monete d'oro: se io per mia insondabile preferenza personale amavo quella singola moneta d'argento perderò in ogni caso, e niente e nessuno potrà farmi cambiare idea.

Quello che è unico secondo l'ordine del tempo non è solo assurdo perderlo, è assurdo poter pensare di puntarlo.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Alexander

Penso che siamo tutti d'accordo che, se il Dio della concezione cristiana, non esiste, sia che ci si creda che non ci si creda, alla morte il risultato non cambia.Nessuno infatti potrà vantarsi con l'"avevo ragione". Nè si potrà ovviamente rimpiangere alcunché di come si è vissuto, né goderne. Se viceversa il Dio della concezione cristiana esiste, colui che ha speso la vita credendo in Lui  e soprattutto nel rapporto d'amore con Lui, ne potrà gioire; viceversa colui che non ha creduto, spendendo la sua vita come se Lui non esistesse, rimpiangerà amaramente la scelta sbagliata.Questo in estrema sintesi perché l'eventuale "giudizio" sarà su quanto si è amato e non si quanto si è creduto, magari ipocritamente. Ma questa eventualmente sarebbe la parte che spetta a Dio. La scommessa pascaliana tocca anche questo punto. Infatti nulla si può rimpiangere (dopo la morte) se Dio non esiste, mentre tutto si ha da perdere se eventualmente esiste. Infatti le "gioie" terrene non durano e quasi sempre il loro ricordo si spegne già nella vecchiaia, prima della fine. Così di tutto quel che hai goduto spesso nulla rimane lo stesso. Conviene puntare sul piatto grosso? Io non lo so: non gioco mai  :D

bobmax

Citazione di: viator il 12 Dicembre 2021, 17:29:04 PM
Salve bobmax. Citandoti : "Che senso mai avrebbe attribuire, a prescindere, la categoria dei qualcosa a Dio?".


"QUALCOSA" non può costituire una categoria, dal momento che tutte le categorie vengono fatte esistere dalla "necessità" di fornire un confine ad un ambito. Infatti il "QUALCOSA" rappresenta proprio la negazione di una qualsiasi delimitazione e specificazione, essendo ciò che può venire ad includere una qualsiasi "COSA". Saluti.

No, Viator, il qualcosa è l'essenza della delimitazione.
Infatti, come ben dici, qualifica qualsiasi cosa, appunto, delimitandola in quanto qualcosa.

Il qualcosa si fonda sullo stesso principio di identità:
A = A
Che distingue A da tutto il resto.

Se vuoi trovare la negazione della delimitazione devi andare in senso opposto al qualcosa.
Cioè la negazione dei qualcosa.

Ed essendo la sostanza dei qualcosa la negazione di tutto quello che quel qualcosa non è...
Negando il qualcosa in quanto tale, si nega la negazione!

Dio, infatti, è negazione della negazione.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Phil

Citazione di: iano il 12 Dicembre 2021, 17:36:52 PM
Direi che l'unica scommessa da evitare è dunque di puntare tutto su se stessi, che banalmente equivale poi alla coscienza di essere animali sociali.
Puntare sul proprio essere animale sociale, in fondo, non è nemmeno una scommessa, ma una certezza, ben oltre il "vincere facile". La "diversificazione religiosa" mi ha fatto tornare in mente questa scena di un vecchio film (che senza i sottotitoli appare assai più sarcastica di quanto vorrebbe essere...).

@Niko
Non a caso ho scritto che una vita «per quanto lunga e prospera non è quantitativamente né qualitativamente paragonabile all'infinito gaudio paradisiaco»(autocit.): alla qualità del nostro tempo-vita possiamo attribuire certamente un valore soggettivo, ma Pascal, da buon matematico, ne fa anche (se non soprattutto) una questione quantitativa, di durata temporale. Certamente si può anche non "stare al gioco" proposto di Pascal, o prenderne le distanze per le sue inconsistenze e le sue "faziosità", ma filologicamente è corretto almeno inquadrarlo nel suo contesto culturale, sicuramente molto differente dal nostro (in cui persino la domanda «quale Dio?» è molto meno scontata che ai suoi tempi, ma non possiamo fargliene una colpa).

Ipazia

Citazione di: Phil il 12 Dicembre 2021, 18:37:09 PM
(in cui persino la domanda «quale Dio?» è molto meno scontata che ai suoi tempi, ma non possiamo fargliene una colpa).
Ma oggi entra a pieno titolo nella scommessa, come una complicazione probabilistica in più.  Poi non capisco perchè Dio dovrebbe privilegiare un farabutto che ha creduto in lui e si è pentito in zona Cesarini, rispetto ad una persona magnanima la cui unica colpa è non aver creduto in lui. In termini catechistici mi pare un grave peccato di superbia.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

@Ipazia
Oggi la scommessa pascaliana ha senso perlopiù per chi ha già scommesso sul montepremi più ricco (almeno a sentire quanto dice "il banco"). D'altronde, lo stesso Pascal con il suo «Adoperatevi, dunque, a convincervi non già con l'aumento delle prove di Dio, bensì mediante la diminuzione delle vostre passioni» e parlando poco dopo di «vous abêtira», è stato piuttosto lapidario circa il rapporto fede/ragione, rapporto che, più di tre secoli dopo, ha assunto connotati che rendono la scommessa non tanto basata sul calcolo delle probabilità di vincita, ma sul calcolo dei benefici esistenziali da incassare con cedola periodica nell'al di qua (per chi sente il bisogno di avere tali rendite; bisogno che si intensifica solitamente con l'avanzare dell'età, quando si torna a voler scommettere). Per chi invece non crede nel pinguino reale che abita nel garage del vicino di casa, non ha molto senso chiedersi quante siano le probabilità che la protezione animali possa arrivare prima che il pinguino muoia di fame (soprattutto finché l'effettiva esistenza del pinguino resta infalsificabile...).

niko

#24
Citazione di: Phil il 12 Dicembre 2021, 18:37:09 PM
Citazione di: iano il 12 Dicembre 2021, 17:36:52 PM
Direi che l'unica scommessa da evitare è dunque di puntare tutto su se stessi, che banalmente equivale poi alla coscienza di essere animali sociali.
Puntare sul proprio essere animale sociale, in fondo, non è nemmeno una scommessa, ma una certezza, ben oltre il "vincere facile". La "diversificazione religiosa" mi ha fatto tornare in mente questa scena di un vecchio film (che senza i sottotitoli appare assai più sarcastica di quanto vorrebbe essere...).

@Niko
Non a caso ho scritto che una vita «per quanto lunga e prospera non è quantitativamente né qualitativamente paragonabile all'infinito gaudio paradisiaco»(autocit.): alla qualità del nostro tempo-vita possiamo attribuire certamente un valore soggettivo, ma Pascal, da buon matematico, ne fa anche (se non soprattutto) una questione quantitativa, di durata temporale. Certamente si può anche non "stare al gioco" proposto di Pascal, o prenderne le distanze per le sue inconsistenze e le sue "faziosità", ma filologicamente è corretto almeno inquadrarlo nel suo contesto culturale, sicuramente molto differente dal nostro (in cui persino la domanda «quale Dio?» è molto meno scontata che ai suoi tempi, ma non possiamo fargliene una colpa).




Beh per dirla con parole semplici, che spero che capiranno tutti,


dal punto di vista dell'ateo sia lui che anche il credente stanno andando verso la nullificazione assoluta del loro essere che incontreranno con la morte,


quindi l'ateo non può non pensare che il credente sbagli di grosso a non dare un valore infinito alla sua vita terrena, perché perdere tutto quello che si ha (e soprattutto che si è, e che si ama...), trovare la propria fine e la propria alienazione nel nulla, cosa che secondo l'ateo succederà sia all'ateo che al credente, è come perdere l'infinito; quindi l'unica massima possibile da trarne è che bisogna vivere finché si può sulla terra come se si possedesse l'infinito, quindi non farsi ricattare da premi e punizioni del presunto padreterno che languono in un futuro indefinito in cui si realizzerà, appunto per noi, l'infinito come destino; sia perché il futuro in generale è sempre di suo indefinito (e quindi impossibile da volere dal punto di vista della vita se non si vuole insieme anche il passato quantomeno come riserva delle sue possibili visualizzazioni e forme), sia perché lo stato della "vita" di pura sofferenza o di puro piacere in cui si suppone finiremo con un destino paradisiaco o infernale è uno stato indefinito al quadrato, perché inimmaginabile da esseri che sia godono sia soffrono, cioè da noi finché viviamo.


Se la premessa di un famoso pardosso/sofisma è che non ho le corna, ne consegue che potrei sia averle perse che non averla mai avute (le due possibilità per semplificare diciamo sono al 50%), invece se poniamo come premessa che ho perso le corna, sicuramente (100%) le ho avute.

Ora, io mi ritengo libero di pensare che le corna (elemento corporeo transumano che introduco volontariamente in quanto satirico e satanico  ::) )[size=78%], [/size]in questo nuovo gioco che propongo, rappresentino metaforicamente la totalità, e quindi l'infinità soggettiva per me della mia vita, l'infinità-della-perdita che rappresenta per un vivente la perdita della propria vita.

Questa è la morte, il momento in cui si perdono le corna.

Se le perderò, le corna/vita, con la morte che mi ridurrà a nulla e quindi sarà la perdita di tutto, vuol dire che già fin da ora posso perderle, e se posso perderle, vuol dire che le ho, e se le ho, ho già la totalità e l'infinito, e se ho già la totalità e l'infinito, non me lo devo guadagnare, e se non me lo devo guadagnare, nessuno mi può sedurre promettendomene un altro se tengo certi comportamenti, pensieri e modi di sentire e non altri: due infiniti e due totalità non esistono, perché si limiterebbero tra di loro, e quindi la promessa del prete di turno (di qualsiasi dio...) che mi promette un infinito di godimento se faccio credo e penso questo e quello (un infinito di prostituzione perché lo usano per... pagarmi!) cade da sola nel momento stesso in cui viene formulata, se io penso di averne già uno. Non mi possono pagare con quello che già ho.

In generale chi si fa pagare con quello che già ha è in errore, e se quello che ha e con cui crede di farsi pagare è l'infinito, egli è infinitamente in errore.

Ugualmente chi si fa minacciare con la minaccia di quello che gli accadrà di certo nel medesimo stesso istante di tempo anche a prescindere dalla minaccia è in errore, e se la falsa minaccia è infinita (la perdita di tutto, che non necessità dell'inferno per avvenire, ma è sufficiente ad essa il fatto stesso della morte), l'errore di chi da essa si fa spaventare è infinito.

Quindi il credente per me fa un errore infinito a non dare un valore infinito alla sua vita terrena, come io secondo lui farei un errore infinito se mi mettessi in condizione di finire all'inferno.

La vita non è una quantità e non è valutabile in un rapporto di quantità, e la gioia, come parte integrante della vita, è pensabile come una quantità al limite solo perché c'è a corrispondergli anche la sofferenza, quindi la quantità-infinita-di-gioia poco tiene come argomento, e non perché non possa in assoluto esistere, ma perché non può essere esperita dalla soggettività di una vita.

Non si può pagare la perdita di ciò che è unico, e per giunta a partire dal rapporto corpo-mente, a partire dallo psicosoma, (che poi tale psicosoma è quello che mi disidentifica dal godimento e dalla sofferenza assoluti come possibilità, quindi l'elemento del discorso che mi garantisce che uno spirito, che eventualmente mi sostituisse, non sarei io) non si può nemmeno propriamente dedurre con assoluta certezza di essere unici.

Quindi, a partire da un ragionamento non di sola mente ma che implichi anche il corpo, se io (io come psicosoma) sono unico nell'ordine dello spazio e del tempo, allora nessuna ricompensa infinita paga la mia perdita che devo assumere come infinita, tantomeno la mia eventuale trasformazione-in-sprito, che mi porterebbe al limite verso una gioia o una sofferenza per me irrilevanti, perché inesperibili; se non sono unico, allora ci sono già forme di immortalità cosmico/naturali specificamente "preparate" per me e rivolte a me (eterno ritorno nel senso stoico o atomistico del termine o evenienze simili) e non vedo perché dovrei stare a pensare a quelle religiose.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.