La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.

Aperto da Eutidemo, 09 Febbraio 2021, 14:36:37 PM

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bobmax

Citazione di: baylham il 10 Febbraio 2021, 14:35:11 PM
Citazione di: bobmax il 10 Febbraio 2021, 12:16:52 PM
Citazione di: baylham il 10 Febbraio 2021, 11:37:29 AM
Citazione di: iano il 10 Febbraio 2021, 10:20:01 AM
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 09:30:17 AM
Purtroppo - per i teisti - le prove onto-logiche hanno un prefisso da cui nessuna logica, per quanto sofisticata, può svicolare.
Vincendo la mia pigrizia ho sbirciato Wikipedia, e la prima impressione è che l'antologia trasformi il soggettivo in oggettivo aggiungendovi un "in se'".
Lungi da me il voler irridere tale tentativo, che anzi mi commuove perfino.
Alla fine si tratta dell'umana tensione a trascendere i propri limiti.
Limitarsi a mostrare i risvolti ridicoli che ciò comporta sarebbe come amar vincere facile.
L'esistenza di Dio, la rivelazione di Dio, non viene intesa come ontologica da parte dei mistici che la sperimentano? Non trasformano il soggettivo in oggettivo?
Non vi è alcuna ontologia nella mistica.
Perché è proprio la scissione soggetto/oggetto a perdere di consistenza.
Di modo che non vi è più "oggetto".
Per la mistica Dio è Nulla.
Allora secondo logica il mistico è Dio.

Sì.
In quanto l'io non è più.

Dio è.

Dio è infatti anche detto "Supremo Distacco".
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Citazione di: bobmax il 10 Febbraio 2021, 15:15:29 PM
Citazione di: baylham il 10 Febbraio 2021, 14:35:11 PM
Allora secondo logica il mistico è Dio.

Sì.
In quanto l'io non è più.

Dio è.

Dio è infatti anche detto "Supremo Distacco".

Su questo l'atea Ipazia, e Nicce sopra di lei, concordano perfettamente. Siamo nell'acme estatico della volontà di potenza ascetica.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 16:41:27 PM
Citazione di: bobmax il 10 Febbraio 2021, 15:15:29 PM
Citazione di: baylham il 10 Febbraio 2021, 14:35:11 PM
Allora secondo logica il mistico è Dio.
Sì.
In quanto l'io non è più.
Dio è.
Dio è infatti anche detto "Supremo Distacco".
Su questo l'atea Ipazia, e Nicce sopra di lei, concordano perfettamente. Siamo nell'acme estatico della volontà di potenza ascetica.

No, è l'estinzione di ogni volontà personale.

Nietzsche sospetto l'avesse vissuta, ma forse non riconosciuta.
Tutto in lui esprime lo spasimo della volontà che cerca la propria dissoluzione.
Se lo ami, non puoi non vederlo.
Certo, il suo percorso, come per tutti i mistici, era la fede nella Verità.

Ipazia non so, mi sa di no. Sino a quando sarà finalmente colta dalla Grazia.
E qualcosa mi dice che non manca poi molto.
E' tutta una questione di Verità...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

La Grazia è il Nulla, quello Vero, che prima o poi arriva per tutti i mortali.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 18:42:50 PM
La Grazia è il Nulla, quello Vero, che prima o poi arriva per tutti i mortali.
Certo Ipazia non ci sarà più. Non esisterà più... sarà nulla.

Ma Ipazia è mai esistita davvero?

Davvero esiste ora una Ipazia incondizionata, libera, che prescinde da tutto il resto?

O non è invece stata sempre, in definitiva, puro nulla?

Un nulla, tuttavia, in cui sono apparse, qui e là, tracce d'amore...

La storia di Ipazia finisce, il sipario cala.
Ma tu sei sempre quello stesso amore, che hai intravisto, come Ipazia.

Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

paul11

 La prova ontologica di "dio", a mio parere è piuttosto banale per mancanza di premesse dichiarative fondamentali. Seppure siano corrette dal punto di visto logico le due prove, mancano di valide argomentazioni designatorie. Visto che sono state indicate nella discussione argomenti geometrici, lo stesso dovrebbe accadere con "dio".
Se in geometria si inizia dal punto che presuppone un piano, dalla linea, che presuppone una continuità di punti , ecc. solo dopo avvengono le costruzioni delle figure geometriche con le relative proprietà : ad esempio in tutti i triangoli la somma degli angoli interni è (sempre) 180 gradi, un angolo piatto, e il teorema di Pitagora è applicabile solo ad un triangolo con un angolo retto, di 90 gradi, ecc.


Ciò che intendo dire è che "dio" nella prova ontologica ha già gli attributi divini nella definizione, ma non ha la verifica del perché dio debba avere necessariamente quegli attributi e proprietà .
Infatti  né Platone e neppure Aristotele , iniziano filosoficamente argomentando di "dio" ma collegano l'universo , la natura , chi al Bene e chi ad una Causa prima (incausata).
Prima bisogna dimostrare che cosa è il Bene e la Causa prima e poi una volta verificato che dalle definizioni e premesse necessarie è possible arrivare ad una conclusione vera, si può passare ad una eventuale identità divina con i fondamenti filosofici di Platone e Aristotele.


Aristotele quando discute sul sillogismo,  ne fa un'amplissimo esercizio di innumerevoli tipologie.
Una premessa "forte" induce anche attraverso medi ad arrivare ad una conclusione vera.
Ma il problema è il sillogismo dimostrativo che già per Aristotele doveva essere "naturale" per essere scienza ( e in questo precorre di parecchi secoli la modernità, e questo dovrebbe far riflettere i filosofi e del perché il tomismo  in qualche modo dà le premesse alla modernità), nel senso che deve dare conoscenza, oppure non la dà.
Le prove ontologiche di "dio" a me pare non diano conoscenza, ma la presumono.


Senza queste argomentazioni le due prove ontologiche, presumono già che chi le ha scritte le abbiano implicitamente accettate e altrettanto  che atei la disconoscano, semplicemente perché non identificano ,nell'esempio dei due filosofi, "dio" come causa prima o come Bene.


Nell'esempio di Phil sulla "sorella", nelle premesse è necessario definire che cosa è una sorella, ponendo in luce genitori e fratello e sorelle già esistenti , perché per essere sorella è necessario che vi siano genitori e almeno un fratello o sorella, e solo poi si può attribuire all'eventuale sorella proprietà e attributi .


Per questo motivo le due prove ontologiche , prese in sé e per sé, cioè prive di argomentazioni a priori, le trovo un puro esercizio di logica ,  ma di ben poca consistenza filosofica.

viator

Salve paul11. Mie osservazioni sparse (in grassetto) che colloco all'interno del tuo testo :


                                      ------------------------------------------------



La prova ontologica di "dio", a mio parere è piuttosto banale per mancanza di premesse dichiarative fondamentali.(Condivido). Seppure siano corrette dal punto di visto logico le due prove, mancano di valide argomentazioni designatorie.(Le argomentazioni designatorie secondo me risulteranno eternamente assenti a causa della costante circolarità delle argomentazioni stesse, le quali - riducendosi eternamente a delle pure affermazioni - avranno sempre bisogno di introvabili - oppure infinite - ulteriori argomentazioni designatorie). Visto che sono state indicate nella discussione argomenti geometrici, lo stesso dovrebbe accadere con "dio".
Se in geometria si inizia dal punto che presuppone un piano, (Trovo che l'esistenza-concetto del punto, ente infinitesino, non implichi affatto l'esistenza di dimensioni (piane o non piane) in cui esso punto vada inserito per poter risultare risultare esistente o configurabile) dalla linea, che presuppone una continuità di punti , ecc. solo dopo avvengono le costruzioni delle figure geometriche con le relative proprietà : ad esempio in tutti i triangoli la somma degli angoli interni è (sempre) 180 gradi, un angolo piatto, e il teorema di Pitagora è applicabile solo ad un triangolo con un angolo retto, di 90 gradi, ecc.


Ciò che intendo dire è che "dio" nella prova ontologica ha già gli attributi divini nella definizione, ma non ha la verifica del perché dio debba avere necessariamente quegli attributi e proprietà. (Non può avere tale verifica risultando concettualmente previo alle verifiche, cioè a qualsiasi causa).
Infatti  né Platone e neppure Aristotele , iniziano filosoficamente argomentando di "dio" ma collegano l'universo , la natura , chi al Bene e chi ad una Causa prima (incausata).
Prima bisogna dimostrare che cosa è il Bene e la Causa prima (vedo che tu vorresti che la logica chiarisse le cause della propria esistenza) e poi una volta verificato che dalle definizioni e premesse necessarie è possible arrivare ad una conclusione vera, si può passare ad una eventuale identità divina con i fondamenti filosofici di Platone e Aristotele.


Aristotele quando discute sul sillogismo,  ne fa un'amplissimo esercizio di innumerevoli tipologie.
Una premessa "forte" induce anche attraverso medi ad arrivare ad una conclusione vera.
Ma il problema è il sillogismo dimostrativo che già per Aristotele doveva essere "naturale" per essere scienza ( e in questo precorre di parecchi secoli la modernità, e questo dovrebbe far riflettere i filosofi e del perché il tomismo  in qualche modo dà le premesse alla modernità), nel senso che deve dare conoscenza, oppure non la dà.
Le prove ontologiche di "dio" a me pare non diano conoscenza, ma la presumono.(Anche su ciò sono perfettamente d'accordo).


Senza queste argomentazioni le due prove ontologiche, presumono già che chi le ha scritte le abbiano implicitamente accettate e altrettanto  che atei la disconoscano, semplicemente perché non identificano ,nell'esempio dei due filosofi, "dio" come causa prima o come Bene.


Nell'esempio di Phil sulla "sorella", nelle premesse è necessario definire che cosa è una sorella, ponendo in luce genitori e fratello e sorelle già esistenti , perché per essere sorella è necessario che vi siano genitori e almeno un fratello o sorella, e solo poi si può attribuire all'eventuale sorella proprietà e attributi .


Per questo motivo le due prove ontologiche , prese in sé e per sé, cioè prive di argomentazioni a priori, le trovo un puro esercizio di logica ,  ma di ben poca consistenza filosofica.(Infatti). Cordiali saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Citazione di: bobmax il 11 Febbraio 2021, 09:34:13 AM
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 18:42:50 PM
La Grazia è il Nulla, quello Vero, che prima o poi arriva per tutti i mortali.
Certo Ipazia non ci sarà più. Non esisterà più... sarà nulla.

Ma Ipazia è mai esistita davvero?
Certamente. Quella storica spolpata dai cristiani (a proposito di amore  :() e l'attuale che indegnamente ne riveste il nome. Entrambe a prova di ontologia.
CitazioneDavvero esiste ora una Ipazia incondizionata, libera, che prescinde da tutto il resto?
Quando mai ?!? Certe velleità le lascio ai metafisici dell'assoluto.
CitazioneO non è invece stata sempre, in definitiva, puro nulla?
direi piuttosto puro qualcosa
CitazioneUn nulla, tuttavia, in cui sono apparse, qui e là, tracce d'amore...
Questo sì. Il mio compagno conferma. E qualcuno perso per via e qualche amico/a.
CitazioneLa storia di Ipazia finisce, il sipario cala.
Lasciando qualche bel ricordo, mi auguro.
CitazioneMa tu sei sempre quello stesso amore, che hai intravisto, come Ipazia.
Ora sì, dopo non so. Eventualmente ti aggiorno.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Ipazia e bobmax. Incantevole. Praticamente scespiriano. Due volatili che cinguettano......questo mi sembrate.............ah ! Disgraziato me che sono troppo cinico per apprezzare certe cose ! Il confronto tra la più vaporosa delle sensibilità metafisico-criptonullifiche (bobmax) e la più rocciosa delle menti materialisto-criptoideologiche (Ipazia) ! Bravissimi entrambi. Salutoni.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

davintro

Citazione di: Eutidemo il 10 Febbraio 2021, 07:08:37 AM
Ciao Davintro.
:)
Tecnicamente hai perfettamente ragione; ed infatti, "bada bene", io ho scritto che, sia la dimostrazione di Sant'Anselmo sia quella di Goedel, secondo, me si risolvono entrambe  <<in una sorta>> di "petizione di principio" (cioè non in una "petizione di principio" in senso stretto).
Ho scritto così, in quanto, effettivamente, la premessa, sia nella versione anselmiana che in quella goedeliana, non poggia su un GIUDIZIO esplicitato come tale, bensì su una DEFINIZIONE; la quale, tecnicamente, non costituisce un "giudizio formulato in modo espresso".
Tuttavia, nel caso di specie (come spesso accade anche con altre teorie), la  "definizione" dei due pensatori, implica aprioristicamente un "giudizio" circa quella che, secondo loro, deve ritenersi essere la "vera" la natura di Dio, e, cioè, che Esso, secondo loro:
- non è un "totem" o un "vitello d'oro";
- non è un "essere antropomorfo", immortale e superpotente, che vive nell'Olimpo;
- non è un principio duale (Bene/Male)
- non è un Essere indeterminato, avvolto da una "nube di non conoscenza", a cui si può accedere solo per negazione.
Secondo la "definizione" dei due pensatori,  invece, (almeno per come è stata scritta), Dio, più o meno, "... è ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, ovvero l'entità che possiede tutte le proprietà positive"; ma questo è un "demostrandum", e non un "demonstratum", nè, tantomeno, un "assioma" universalmente riconosciuto, come quello per i quale "i corpi sono estesi" (nessuna religione, per quanto bizarra, lo nega).
***
E' invece vero che, almeno in Goedel, "supponendo di voler definire Dio in quel determinato modo, e valutando quali implicazioni ricavarne tramite l'analisi dei termini utilizzati", ne deriverebbe effettivamente l'esistenza logico-formale di "quel tipo di Dio" che è stato dato per scontato come presupposto del ragionamento; ma, secondo me, il suo ragionamento, per quanto molto elaborato, si riduce ad una sorta di complicata "tautologia", perchè le sue conclusioni erano logicamente implicite nella premessa definitoria (critiche al ragionamento a parte, sulle quali sorvolo).
Ad esempio, se io fondo una nuova religione, sostenendo che Dio è "il numero che risulta dalla somma di 2356 + 8521",  non è che poi io abbia fatto una grande scoperta se, grazie al ragionamento matematico definito "addizione", dimostro che, effettivamente, esiste il numero 10.877; cioè, appunto, il Dio della mia definizione!
***
A parte questo, non è vero che "qualunque critico della prova ontologica non può esimersi dal definire Dio in un certo modo"; ed infatti, chi ha un approccio di tipo "apofatico", parte proprio dal presupposto che Dio non possa essere definito in alcun modo.
A meno che non si voglia sofisticamente eccepire che anche dire che "Dio è indefinibile", costituisce comunque una "definizione" di Dio; il che, secondo me sarebbe un po' troppo anche per Gorgia da Leontini.
***
Tuttavia, concordo con te che "il linguaggio non è un fatto reale ma una convenzione"; mentre, almeno per determinate concezioni della divinità, "DIO" è sopratutto un fatto "esperenziale" individuale.
***
Un saluto! :)

Ciao Eutidemo
Se si concorda sulla convenzionalità del linguaggio, allora si dovrebbe convenire  anche sul fatto che, proponendo una certa definizione di Dio, in alcun modo Anselmo o Godel intendono contestare la legittimità logica di definizioni alternative (tra cui quelle citate), ma solo che dalla definizione data da loro sarebbe deducibile l'esistenza, dalle altre no (cosa su cui, ripeto, non concordo, ma per una motivazione diversa da quella degli altri partecipanti alla discussione). Dovendo vincolare la definibilità di un ente al giudizio di esistenza, non si spiegherebbe la possibilità di avere definizioni di entità immaginarie come unicorni e draghi, quando in realtà le loro definizioni son presenti in dizionari ed enciclopedie, senza che per questo nessuno le ritenga reali: ci si limita a individuare delle proprietà che li distinguerebbero qualora fossero reali, anche se poi restano delle proprietà che li caratterizzano solo come immagini mentali. La definizione indica l'essenza, la traduce in segni grafici, fisici (il che non vuol dire che la convenzionalità delle definizioni si allarghi all'intuizione dell'essenza degli oggetti, errori del nominalismo radicale e dell'empirismo, ma non divaghiamo...), non indica l'esistenza. Pensare che indichi l'esistenza dovrebbe, come scritto prima, condurre anche l'ateo e l'agnostico, che necessitano di una qualunque definizione di Dio, per giudicarne l'inesistenza o l'indimostrabilità, a dover dedurre dalla loro personale definizione anche il giudizio di esistenza, cadendo in contraddizione con le loro tesi. E se una posizione contraddittoria è sempre falsa, e la tesi contraria a una falsa è sempre vera (terzo escluso), allora il tentativo di sconfessare la validità della prova ontologica come petitio principii da parte dell'ateo gli si ritorcerebbe contro come un boomerang, mentre il credente troverebbe in questo modo convalidata razionalmente la sua credenza senza passare direttamente per la prova stessa, bensì nell'autocontraddizione in cui cade la posizione di chi cerca di confutarla. Gli approcci apofatici, tra cui possono comprendersi i diversi orientamenti riconducibili all'ambito della teologia negativa, per i quali Dio sarebbe inconoscibile e indimostrabile per la ragione umana, non possono in realtà esimersi dal definire Dio in qualche modo. La coscienza del limite implica una quantomeno vaga visione di ciò che vi è oltre il limite, l'apprensione del significato di questo "oltre", la sua definibilità. Il limite è la linea di confine tra due dimensioni, riconoscerlo presuppone una minima comprensione di entrambe le dimensioni, riconosco il mio limite in quanto avverto l'esistenza di qualcosa che va oltre. Dunque, chi, in nome dell'infinita distanza ontologica che separa Dio dall'uomo, e da cui ricava, erroneamente, la tesi di una completa inconoscibilità di Dio, può riconoscere questa infinita distanza, lo fa sempre a partire da una certa definizione di Dio, è sulla base di un certo nucleo semantico che ricavo l'idea dell'irriducibile trascendenza, un complesso di attributi come "onniscienza", "onnipotenza" in relazione a cui raffrontare i limiti della mia potenza e del mio sapere. Ecco perché, per non cadere nella contraddizione di giudicare Dio del tutto inconoscibile e al contempo presumerne di avere una conoscenza tale da darne un determinato giudizio (errore in cui cade tutta la gnoseologia kantiana), ogni teologia negativa, anche la più radicalmente nichilista, necessita di poggiare su di una base minima di teologia positiva.



Anche, ammesso e non concesso, che la prova ontologica si riduca di fatto a una tautologia, ciò non sarebbe altro che una conferma della sua validità apodittica: le tautologie son sempre vere. Verità banali, se si vuole, ma pazienza... la banalità è un problema dell'estetica, non della teoretica, si può criticare una poesia, un romanzo come "banali", non un'inferenza logico-deduttiva, la logica non deve preoccuparsi di risultare banale, ma solo di risultare fallace, se non lo è va benissimo così. In realtà dubito si possa parlare nel nostro caso in senso stretto di "tautologia". La tautologia è un giudizio in cui un predicato si ripete identico ad un attributo posto esplicitamente nella definizione del soggetto, mentre nel caso della prova il predicato dell'esistenza ha un significato concettualmente distinto da quello di "grandezza" o "positività" godeliana. Dal punto di vista di chi ha elaborato la prova, l'esistenza è comunque inerente alla grandezza o alla positività, ma in modo implicito, necessitante di essere esplicitato tramite la mediazione logica. Come scritto precedentemente, trovo l'assunzione di questa inerenza gratuita, un assunto più morale che teoretico, in quanto, che l'esistenza debba essere fattore di grandezza o positività è un giudizio morale legittimo ma arbitrario, non un'oggettiva necessità teoretica. Ma, al di là di questo, la necessità di una mediazione logica per esplicitare un predicato posto implicitamente nella definizione di un soggetto, è una necessità fondata sulla base della finitezza del pensiero umano, impossibilitato a cogliere istantaneamente l'inerenza di tutti le implicazioni logiche a partire dai predicati di una definizione, coglimento che deve perciò essere ricavato mediatamente, per analisi, scomposizione dei significati interni alla definizione. La coerenza logica interna ai giudizi sulle proprietà già implicite in una definizione, ricorda, in ciò giustamente, Kant, è sempre un procedimento analitico. Questa finitezza è ciò che rende necessaria la mediazione logica, e qui forse e penso di rispondere anche a Inverno, chiama in causa un elemento immanente alla mente umana come punto di collegamento tra quest'ultima e Dio, punto di collegamento assente nella formulazione anselmiana, che parte direttamente da una definizione di Dio. Il punto di collegamento consiste nel complesso di idee che l'uomo attribuisce nell'accezione teista a Dio, onnipotenza, onniscienza, eternità, idee che, avendo un significato intelligibile, non potrebbero essere ricavate dall'esperienza di oggetti fisici, né sono riconducibili allo stesso processo di formazione delle idee di entità immaginarie, che hanno sempre un significato materiale, di corpi estesi spazialmente, e la cui pensabilità può essere ricondotta a un gioco di fantasia in cui la mente riassembla diverse immagini tratte da realtà esistenti per unificarle in una sintesi fittizia (es. l'unicorno è la sintesi del cavallo e del corno, idee che, singolarmente considerate, si ricavano dalla reale esperienza di oggetti esistenti ad esse corrispondenti), in quanto, il loro significato intelligibile, inesteso, non può essere il prodotto di un'unione di parti spaziali. Dunque l'origine della presenza di queste idee non può essere l'esperienza esterna sensibile. Anche l'ipotesi che esse siano strutture la cui origine sarebbe immanente al pensiero umano non tiene conto che la finitezza, la limitatezza della mente umana fa sì che non sarebbe possibile per quest'ultima ricavare da se stessa, dalla propria autocoscienza, l'esperienza di queste idee, il cui significato esprime proprio l'opposto dei caratteri citati. Dunque, occorre che la presenza nel pensiero umano di queste categorie sia resa possibile da un ricezione da parte del pensiero umano dei contenuti provenienti dall'unica realtà possibile soggetto di questi attributi, sulla base della  definizione (definizione, non giudizio, nessun circolo vizioso argomentativo) di partenza, cioè Dio. In questo modo si accoglie dalla prova ontologica la necessità di premettere una certa definizione di Dio (in quanto qualunque riflessione, anche tesa a non argomentarne l'esistenza ne implica l'utilizzo preliminare) tenendo conto però che, onde evitare che l'implicazione dell'esistenza dalla definizione non sia un arbitrario assunto morale, occorre che le proprietà della definizione di Dio siano riconoscibili in una nozione la cui presenza nella mente sia indiscutibile, cioè le idee di eternità, onnipotenza, ammettendo così un elemento a posteriori, tratto dall'esperienza umana dei contenuti della propria mente, la cui origine della loro presenza nel pensiero rimandi a Dio come unica realtà conformata ai caratteri che questi contenuti contraddistinguono. Unione di tomismo (partire dalla contingenza per risalire causalisticamente alla trascendenza) e agostinismo (questa contingenza non è il mondo fisico, ma il pensiero umano nell'interiorità dei contenuti con cui pensa Dio) a cui certamente lo spirito della prova ontologica è maggiormente riconducibile.

Phil

Citazione di: davintro il 12 Febbraio 2021, 00:20:18 AM
La definizione indica l'essenza, la traduce in segni grafici, fisici [...], non indica l'esistenza.
Dipende da come viene formulata la definizione: se definisco qualcosa in modo estensionale o basandomi su referenti reali (e non solo su concetti), la definizione potrebbe indicarne, più o meno implicitamente, anche l'esistenza. Se ad esempio definisco Dio come colui che ha (fra l'altro) inoculato nella mia mente il concetto di «dio», la presenza nella mia mente del concetto di «dio» rimanda formalmente (non dimostra) all'esistenza di Dio (come referente concettuale, non ontologico). Tale esistenza è basata sull'accettazione della suddetta definizione, che funge da premessa semantica, oltre che logica, per l'argomentazione che implicitamente ne deriva. Argomentazione che, se intesa come dimostrazione, incappa nella fallacia logica dell'affermazione del conseguente (come ho ricordato più volte): se Dio c'è ed è l'unica causa possibile dell'idea di divinità, allora è possibile avere l'idea di divinità; ho l'idea di divinità; allora Dio c'è (ed è l'unica "causa" dell'idea di divinità).
Se invece non riesco a riscontrare cause mondane per l'idea di «dio» (nonostante per me ve ne siano di più plausibili, ma preferisco non riaprire il discorso) e concludo che deve essere stato Dio stesso a darmela, sto presupponendo Dio già come esistente, ed aggiungo alle sue proprietà anche quella di esser causa della sua stessa idea. Se non lo presupponessi già come esistente, la sua idea sarebbe l'unica prova logica della sua esistenza e dunque potrei dire di Dio solo che è colui che rende possibile averne idea, senza potervi aggiungere altre proprietà, demiurgiche o morali che siano, non potendo provarle logicamente.

Citazione di: davintro il 12 Febbraio 2021, 00:20:18 AM
Pensare che indichi l'esistenza dovrebbe, come scritto prima, condurre anche l'ateo e l'agnostico, che necessitano di una qualunque definizione di Dio, per giudicarne l'inesistenza o l'indimostrabilità, a dover dedurre dalla loro personale definizione anche il giudizio di esistenza, cadendo in contraddizione con le loro tesi. E se una posizione contraddittoria è sempre falsa, e la tesi contraria a una falsa è sempre vera (terzo escluso), allora il tentativo di sconfessare la validità della prova ontologica come petitio principii da parte dell'ateo gli si ritorcerebbe contro come un boomerang, mentre il credente troverebbe in questo modo convalidata razionalmente la sua credenza senza passare direttamente per la prova stessa, bensì nell'autocontraddizione in cui cade la posizione di chi cerca di confutarla.
L'ateo e l'agnostico deducono dalla loro interpretazione ontologica della definizione, l'esistenza solo concettuale-astratta della divinità, mentre il credente, fidandosi del circolo vizioso che ne consegue (v. in seguito), ne deduce l'esistenza ontologica (pur non avendo alcun "accesso" al contenuto ontologico di tale dimostrazione che nella sua formalità autoreferenziale non "aderisce" al mondo dell'esistenza provata). Non è autocontraddittorio sostenere l'esistenza concettuale del concetto di cui si sta parlando (sarebbe contradditorio il contrario), mentre è fallace sostenere che definire e predicare l'esistenza di qualcosa ne costituisca prova dell'esistenza ontologica (vedi esempio della "sorella dispersa" di cui Gödel potrebbe dimostrare l'esistenza usando la sua dimostrazione, basandosi sulla definizione di sorella, passando dalla possibilità alla necessità proprio in virtù di un assioma ad hoc che ontologizza la definizione: l'esistenza necessaria è proprietà all'essere-sorella).

Citazione di: davintro il 12 Febbraio 2021, 00:20:18 AM
Gli approcci apofatici, tra cui possono comprendersi i diversi orientamenti riconducibili all'ambito della teologia negativa, per i quali Dio sarebbe inconoscibile e indimostrabile per la ragione umana, non possono in realtà esimersi dal definire Dio in qualche modo. La coscienza del limite implica una quantomeno vaga visione di ciò che vi è oltre il limite, l'apprensione del significato di questo "oltre", la sua definibilità. Il limite è la linea di confine tra due dimensioni, riconoscerlo presuppone una minima comprensione di entrambe le dimensioni, riconosco il mio limite in quanto avverto l'esistenza di qualcosa che va oltre.
Sull'apofatismo, sempre da un punto di vista logico, ne è evidente l'inattendibilità: una serie di predicazioni negative non può identificare ontologicamente qualcosa, se non, altro circolo vizioso, presupponendone a priori l'esistenza (per questo ad oriente alcuni usano il nulla come "fattore ontologico di confine", ma il discorso non si presta a facili sintesi, lo indico solo come spunto). Semplificando (come sempre non per sminuire il tema, ma per chiarificare): se sono in una stanza ed affermo l'esistenza di qualcosa che non è il tavolo, non è la sedia, non è nulla di ciò di cui constato l'esistenza, non sto individuando o definendo nulla (tranne forse il nulla), se non l'insieme dei "referenti assenti" che, appunto, non sono nella stanza. L'innegabile possibilità di referenti non rilevabili, andrebbe eventualmente argomentata o dimostrata, e (parodiando Gödel) la definizione di «fantasma» come «entità che può sottrarsi a piacimento ai sensi umani seppur realmente esistente» non credo possa costituire sufficiente fondamento per la prova ontologica dell'esistenza dei fantasmi.

Citazione di: davintro il 12 Febbraio 2021, 00:20:18 AM
ammesso e non concesso, che la prova ontologica si riduca di fatto a una tautologia, ciò non sarebbe altro che una conferma della sua validità apodittica: le tautologie son sempre vere.
Vere formalmente, non ontologicamente. La tautologia spesso (sempre?) non ha valore probante ontologico; usando l'esempio da manuale «ora piove o non piove», ci troviamo di fronte ad una verità inconfutabile che nulla ci dice del fatto che "ontologicamente" stia piovendo o meno, ovvero dell'esistenza attuale della pioggia.
La prova ontologica in oggetto, nel dettaglio, non è propriamente una tautologia, piuttosto una petitio principii (o circolo vizioso) in cui ciò che andrebbe dimostrato è già assunto come vero, seppur implicitamente, nelle premesse (di cui fa parte implicitamente anche il senso delle definizioni). Non credo sia corretto affermare che «nel caso della prova il predicato dell'esistenza ha un significato concettualmente distinto da quello di "grandezza" o "positività" godeliana. Dal punto di vista di chi ha elaborato la prova, l'esistenza è comunque inerente alla grandezza o alla positività, ma in modo implicito, necessitante di essere esplicitato tramite la mediazione logica»(cit.) poichè Gödel pone esplicitamente come assioma (il quarto) che «l'esistenza necessaria è una proprietà positiva»(cit.), per cui il rapporto fra positività ed esistenza è posto come a priori della dimostrazione.
Dunque: se x ha tutte le proprietà positive, l'esistenza è proprietà positiva, allora x esiste. Tale ragionamento è valido (ma non necessariamente vero), sebbene da ciò non consegua l'esistenza ontologica di x, ma solo la necessità logica della sua esistenza a due condizioni: se è vero che x ha tutte le proprietà positive (assunto da dimostrare ontologicamente) e se l'esistenza è proprietà positiva (questione non ontologica, ma di definizioni); la prima assegnazione di verità non può esser fatta convenzionalmente per mera definizione, poiché non è la definizione a far esistere ontologicamente le proprietà di qualcosa (ma serve ad individuarla solo concettualmente, attività possibile anche per ciò che ontologicamente non esiste, v. la mia "sorella dispersa").

Eutidemo

Avevo scritto, per criticare la prova di Goedel, che, se io fondo una nuova religione, sostenendo che Dio è "il numero che risulta dalla somma di 2356 + 8521",  non è che poi io abbia fatto una grande scoperta se, grazie al ragionamento matematico definito "addizione", dimostro che, effettivamente, esiste il numero 10.877; cioè, appunto, il Dio della mia definizione!
Nel dire questo, però, non avevo tenuto conto del "paradosso scettico" che il filosofo Saul Kripke ritiene di poter individuare nelle ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein; il quale paradosso concerne fondamentalmente un esempio matematico riguardante la regola dell'"addizione".
Secondo Kripke, infatti, afferrare la regola dell'addizione significa essere in grado di effettuare infinite somme, pur avendone effettuate nel passato solo un numero finito.
Così, ad esempio, "68+57" (che per ipotesi è una somma tanto grande da non averla mai affrontata in passato) dovrebbe fare "125"; però, uno scettico, potrebbe mettere in dubbio questo risultato, ipotizzando che per esempio in passato si intendesse con il "più" dell'addizione una funzione diversa, che dava il risultato dell'addizione per numeri minori di 57, e dava invece risultato uguale a 5 per numeri maggiori.

Alexander

Non penso che a Godel, che pure era un credente, interessasse dimostrare l'esistenza inoppugnabile di Dio, cosa impossibile, ma solamente la sua possibilità logica. Era una replica ai teoremi sull'inesistenza di Dio. Dimostrando la possibilità logica andava contro un certo indirizzo culturale preminente che ritiene illogica la fede in un Dio con caratteristiche definite storicamente.

Ipazia

La confusione tra logica e onto-logica è un tipico sotterfugio teista per dare dignità metafisica alla loro fede. Ma l'esito del trucco di convertire un concetto in ente è l'idolo, il feticcio, il fantasma. Se noi entifichiamo i concetti di onnipotenza, eternità, infinito, assoluto, bene, sapere, "positivo",... otteniamo come risultato la prova ontologica dell'esistenza della superstizione.

Consiglio pertanto ai teisti di lasciar perdere l'ontologia e restare nel campo della fede laddove ogni visione, intuizione, desiderio,... è lecita.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Alexander


Godel non dice nulla sulle prprietà positive, ma si limita  a stabilire delle proprietà formali. Però c'è una breve nota conclusiva interessante dove Godel spiega che "positivo significa positivo nel senso morale estetico (indipendentemente dalla struttura accidentale del mondo)". Quindi il Dio dimostrato nel teorema s'intende "l'entità che possiede tutte le proprietà positive in senso morale estetico"."

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