La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.

Aperto da Eutidemo, 09 Febbraio 2021, 14:36:37 PM

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Eutidemo

Non starò qui a riepilogare nè la "dimostrazione ontologica" dell'esistenza di Dio prospettata da Sant'Anselmo, nè quella, molto più attuale, proposta da Kurt Godel; la quale ultima, a quanto pare, sarebbe stata matematicamente confermata nel 2017, grazie alla capacità di calcolo di un computer, da Bruno Woltzenlogel Paleo dell'Università Tecnica di Vienna e da Christoph Benzmuller della Libera Università di Berlino.
Non ho riepilogato nessuna delle due teorie (ammesso che io sia in grado di farlo), perchè presumo che i partecipanti a questo FORUM ne siano già tutti esaurientemente informati anche meglio di me; come anche presumo che siano già tutti edotti dalle varie "critiche" e "controcritiche" relative a tali "teoremi ontologici" sulle quali, quindi, pure sorvolo.
***
Diversamente, più che esaminare i "ragionamenti" logico-deduttivi con cui vengono sviluppate tali teorie, io vorrei focalizzare l'attenzione sulle loro "premesse"; e, cioè, su qual è il concetto che i loro propugnatori hanno del "Dio", alla dimostrazione dell'esistenza del quale dirigono tutti i loro sforzi.
Al riguardo, se vorrete perdonare l'estrema semplicizzazione della mia grossolana sintesi:
a)
Secondo Sant'Anselmo, Dio sarebbe l'"entità di cui non si può pensare niente di maggiore" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, di cui sono convinto che siate perfettamente al corrente);
b)
Secondo Godel, invece, Dio sarebbe "l'entità che possiede tutte le proprietà positive" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, che, in verità, è un tantino più complicato di quello del Santo).
***
Sono entrambe degnissime definizioni di carattere "catafatico", le quali, però, non tengono in alcun conto la circostanza che, di Dio, possono aversi anche delle concezioni -altrettanto rispettabili, sebbene meno diffuse- di ben diverso carattere "apofatico".
Al riguardo ricordo che:
- la teologia "catafatica" è quella che attribuisce in sommo grado a Dio, come causa prima di tutto il creato, le "proprietà positive" che connotano le tutte le creature.
- la teologia "apofatica", invece, è quella che procede alla conoscenza di Dio per via di negazioni, dicendo "ciò che Dio non è".
Per cui, secondo me, le teorie "ontologiche" (a parte le altre critiche) possono funzionare logicamente e matematicamente solo partendo da premesse "opinabili", e che, quindi, non possono essere assunte ad "assiomi".
***
Senza considerare, peraltro:
- che esistono tutt'ora popolazioni con "credenze animistiche", che attribuiscono "proprietà divine" alle cose, agli animali e ai loro totem;
- così come esistono, e, soprattutto, sono esistite, popolazioni con "credenze politeistiche".
Lo stesso Salmo 81 (di Asaf), che non risulta affatto "emendato" dalla Bibbia attualmente vigente, recita testualmente : "Dio si alza nell'assemblea divina, e giudica in mezzo agli dèi (elohim)."
Inoltre, in Genesi 20:13 Abramo, davanti al re Abimelech, dice testualmente che "Gli dèi (elohim) mi hanno fatto (verbo plurale) errare lungi dalla casa di mio padre"; però la versione greca (LXX) , e la maggior parte delle versioni italiane, lo traducono pudicamente al singolare: "Dio mi ha fatto/fece", forse per evitare l'insinuazione di Abramo che si rimette alle credenze politeiste di Abimelech.
***
Ad ogni modo, pur non essendo io nè un "animista" nè un "politeista", e considerando ormai superate storicamente tali concezioni della divinità, devo tuttavia prendere atto che, in effetti, anche quelle erano (ed in alcune parti del mondo ancora sono) "concezioni di Dio" perfettamente lecite; e, con tali concezioni, le dimostrazioni ontologiche non mi sembra che funzionino molto.
Nè, come ho detto, funzionano con le molto più evolute concezioni della divinità di carattere "apofatico"; come, ad esempio, quella di San Dionigi l'Aeropagita.
Nessuno può dire: "Io solo so cosa deve intendersi con il termine <<DIO>>"; e poi, sulla base della definizione che lui stesso ne ha dato, costruirci su un ragionamento, per dimostrare che esiste.
Altrimenti io potrei definire "dio" il "quadrato costruito sull'ipotenusa", e poi dimostrarne l'esistenza   sommando le aree dei quadrati costruiti sui cateti.
***
Per concludere, quindi, ritengo che le teorie ontologiche possono risultare valide (critiche su alcune loro impostazioni autoreferenziali a parte), solo dando per scontata la concezione di partenza che i loro propugnatori hanno di "cosa" o "chi" possa definirsi "dio";  però, poichè nè la dimostrazione di Sant'Anselmo nè quella di Goedel possono dimostrare le premesse assiomatiche da cui partono, secondo me entrambe si risolvono in una sorta di "petizione di principio", sebbene, specie la seconda, molto sottile e raffinata.
***
Tuttavia, ovviamente, sono io che potrei essere in errore, nell'interpretarle sotto tale aspetto; tanto più che mi pare che nessuno dei critici di tale teorie (molto più autorevoli di me), abbia mai fatto cenno a tali mie perplessità.
***

viator

Salve Eutidemo. Oltre che sapiente e saggio, sei anche molto buono nel crederci tutti all'altezza - e soprattutto a conoscenza - di ciò che hai citato.Sinora ero solo "al corrente" dell'esistenza - tra tante - di una "dimostrazione" fornita da S.Anselmo e di un'altra fornita da Goedel. I loro dettagli non mi interessavano e non mi interessano (probabilmente quelli goedeliani non riuscirei a comprenderli) per la semplice ragione che tu stesso hai evidenziato : latitano definizioni condivisibili del termine "Dio".



In ogni caso sia S.Anselmo che Goedel non potranno che attaccarsi ad una qualche teorizzazione dell'assoluto, riempiendola con la presenza o l'assenza (ridicola, quest'ultima !) di qualcosa che costituisca - per ovvie e bambinesche ragioni - una parzialità dell'assoluto-Dio stesso, cioè risulti relativo. Che sia poi il bene (ovviamente umanamente interpretato) od il male (idem).........non ha alcuna importanza.



Dal mio punto di vista il concetto di Dio, comunque svolto ed interpretato, altro non è che la inevitabile concettualizzazione - di volta in volta più o meno volgarizzata e quindi interpretata in funzione degli svariati usi e consumi che conosciamo - della monade, della unicità la cui visione e percezione sensoriale ci è negata per il semplice motivo che noi siamo la parte (il relativo) mentre "Dio" altro non sarebbe che "ciò che contiene senza venir contenuto da altro più grande di sè", quindi l'Assoluto.


Quindi, alla fine dei conti, come S.Anselmo e Goedel non hanno affatto avuto bisogno di attendere la mia comparsa per giungere alle loro conclusioni così simili alla mia.................io non ho avuto e non ho bisogno di loro due per raggiungerli sulla loro strada. E ciò non perchè io sia un dotto, ma solamente perchè ho dedicato dei ritagli di tempo ad approfondire assai più gli aspetti logici di questo quesito che quelli suggestivi. Salutoni.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

bobmax

Sono convinto che la prova ontologica di Anselmo, in realtà non sia una dimostrazione e neppure abbia a che fare con l'ontologia.

L'ontologia infatti riduce inevitabilmente l'Essere all'ente.
Mentre qui abbiamo piuttosto una periecontologia. Così come definita da Karl Jaspers. Ovvero slancio verso l'Assoluto.

Infatti non si ha in Anselmo una dimostrazione, che deriva necessariamente da delle premesse.
Anselmo non dimostra.
Suggerisce un processo.

Ed è la preparazione ciò che gioca un ruolo fondamentale in questo processo.
Occorre infatti prima sgombrare la mente.

Poi il processo si svolge considerando entità, perché non può prescinderne.
Ma solo per andarne oltre.
"Ciò di cui non si può pensare niente di maggiore..."
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

viator

Salve. Aggiungo un commento circa Goedel : Citando da Eutidemo : "però, poichè nè la dimostrazione di Sant'Anselmo nè quella di Goedel possono dimostrare le premesse assiomatiche da cui partono, secondo me entrambe si risolvono in una sorta di "petizione di principio", sebbene, specie la seconda, molto sottile e raffinata".Non saprei giudicare la raffinatezza della teorizzazione matematica di Goedel, la quale ovviamente si porrà al di fuori di teologia e filosofia, quindi potrà eventualmente rispettare solamente la logica matematica (cioè solo convenzionale) ma non certo la logica appunto filosofica (cioè naturale).Venendo invece appunto alla logica naturale ed inserendo la definizione appunto goedeliana "Secondo Godel, invece, Dio sarebbe "l'entità che possiede tutte le proprietà positive" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, che, in verità, è un tantino più complicato di quello del Santo)"............un simile postulato risulterebbe di significato abbastanza ovvio :Se Dio possedesse anche solo alcune proprietà positive (fosse in parte bene) accanto ad altre negative (ma in altra parte, male), la sua onnipotenza ne risulterebbe negata in quanto - stante e permanente tale sua condizione - Dio verrebbe a consistere in una entità autocontradditoria, la quale possiede alcuni attributi che risultano accompagnati da altri che sono negatori del loro contrario. Cioè Dio risulterebbe come ente composto da due categorie relative l'una all'altra (bene e male).Quindi avremmo un Dio duale e non assoluto il quale, essendo privo di assolutezza, non potrebbe possedere un attributo necessariamente assoluto quale l'onnipotenza.Quindi Dio, se esistente, non potrebbe che essere Unico ed Assoluto.Quindi dovrebbe risultare completamente e perfettamente solo BENEFICO o solo MALEFICO.E perchè, secondo sia Goedel che me, Dio può essere solo e completamente benefico ? Perchè Goedel attribuisce - all'interno delle sue teorizzazioni (ed affermo ciò senza conoscerle !!) a ciò che esiste il valore 1 ed a ciò che manca, non esiste, il valore 0. Ciò che esiste risulta positivo, quindi l'unicità (di Dio, se esistente - intendibile a piacere sia come singolarità che come totalità) coincide con la positività (di Dio, se esistente).Che poi la positività, l'esistere (l'1) risulti filosoficamente un BENE mentre la nullità, la assenza, la mancanza (lo 0) risulti un MALE..................secondo me è perfettamente sussumibile postulando appunto che IL MALE (lo 0) non esista ma "consista" solamente nella imperfezione, carenza o mancanza DEL BENE.Infatti la motivazione psichica per la quale moltissimi credono nell'esistenza di Dio.......altro non è che la fiducia e speranza nell'esistenza del bene. Risaluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Eutidemo

Ciao Viator. :)
Ti ringrazio per i complimenti, in verità alquanto immeritati; tanto più che i ragionamenti goedeliani stento alquanto a comprenderli anch'io.
Però tu, non avendo le nostre tastiere l'accento tedesco "umlaut", hai avuto almeno l'accortezza di evidenziare il "dittongo", scrivendo, molto più correttamente di me, il nome esatto del povero "Goedel"; io, invece, in modo alquanto scorretto e corrivo, ho scritto "Godel", senza dieresi e senza dittongo.
:-[
Per il resto, credo che la mia usuale metafora delle "onde" e del "mare", più o meno corrisponda alla tua affermazione che  noi siamo la "parte individuale" (il relativo),  mentre "Dio" altro non sarebbe che "ciò che contiene senza venir contenuto da altro più grande di sè", quindi l'Assoluto (sebbene io preferisca chiamarlo Essere).
Saluti :)

Eutidemo

Citazione di: bobmax il 09 Febbraio 2021, 16:28:50 PM
Sono convinto che la prova ontologica di Anselmo, in realtà non sia una dimostrazione e neppure abbia a che fare con l'ontologia.

L'ontologia infatti riduce inevitabilmente l'Essere all'ente.
Mentre qui abbiamo piuttosto una periecontologia. Così come definita da Karl Jaspers. Ovvero slancio verso l'Assoluto.

Infatti non si ha in Anselmo una dimostrazione, che deriva necessariamente da delle premesse.
Anselmo non dimostra.
Suggerisce un processo.

Ed è la preparazione ciò che gioca un ruolo fondamentale in questo processo.
Occorre infatti prima sgombrare la mente.

Poi il processo si svolge considerando entità, perché non può prescinderne.
Ma solo per andarne oltre.
"Ciò di cui non si può pensare niente di maggiore..."
Anche a tale riguardo, ho sempre avuto le mie perplessità, in quanto il termine "maggiore", se non si precisa "sotto quale aspetto" "A" è "maggiore" di "B" (ad esempio Tizio è il fratello maggiore di Caio, perchè è nato due anni prima), risulta essere un predicato alquanto ambiguo.
Maggiore in che senso?

Eutidemo

#6
Citazione di: viator il 09 Febbraio 2021, 16:32:11 PM
Salve. Aggiungo un commento circa Goedel : Citando da Eutidemo : "però, poichè nè la dimostrazione di Sant'Anselmo nè quella di Goedel possono dimostrare le premesse assiomatiche da cui partono, secondo me entrambe si risolvono in una sorta di "petizione di principio", sebbene, specie la seconda, molto sottile e raffinata".Non saprei giudicare la raffinatezza della teorizzazione matematica di Goedel, la quale ovviamente si porrà al di fuori di teologia e filosofia, quindi potrà eventualmente rispettare solamente la logica matematica (cioè solo convenzionale) ma non certo la logica appunto filosofica (cioè naturale).Venendo invece appunto alla logica naturale ed inserendo la definizione appunto goedeliana "Secondo Godel, invece, Dio sarebbe "l'entità che possiede tutte le proprietà positive" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, che, in verità, è un tantino più complicato di quello del Santo)"............un simile postulato risulterebbe di significato abbastanza ovvio :Se Dio possedesse anche solo alcune proprietà positive (fosse in parte bene) accanto ad altre negative (ma in altra parte, male), la sua onnipotenza ne risulterebbe negata in quanto - stante e permanente tale sua condizione - Dio verrebbe a consistere in una entità autocontradditoria, la quale possiede alcuni attributi che risultano accompagnati da altri che sono negatori del loro contrario. Cioè Dio risulterebbe come ente composto da due categorie relative l'una all'altra (bene e male).Quindi avremmo un Dio duale e non assoluto il quale, essendo privo di assolutezza, non potrebbe possedere un attributo necessariamente assoluto quale l'onnipotenza.Quindi Dio, se esistente, non potrebbe che essere Unico ed Assoluto.Quindi dovrebbe risultare completamente e perfettamente solo BENEFICO o solo MALEFICO.E perchè, secondo sia Goedel che me, Dio può essere solo e completamente benefico ? Perchè Goedel attribuisce - all'interno delle sue teorizzazioni (ed affermo ciò senza conoscerle !!) a ciò che esiste il valore 1 ed a ciò che manca, non esiste, il valore 0. Ciò che esiste risulta positivo, quindi l'unicità (di Dio, se esistente - intendibile a piacere sia come singolarità che come totalità) coincide con la positività (di Dio, se esistente).Che poi la positività, l'esistere (l'1) risulti filosoficamente un BENE mentre la nullità, la assenza, la mancanza (lo 0) risulti un MALE..................secondo me è perfettamente sussumibile postulando appunto che IL MALE (lo 0) non esista ma "consista" solamente nella imperfezione, carenza o mancanza DEL BENE.Infatti la motivazione psichica per la quale moltissimi credono nell'esistenza di Dio.......altro non è che la fiducia e speranza nell'esistenza del bene. Risaluti.
Mi hai ricordato che, nel considerare le varie "credenze religiose" a cui ho accennato nel mio post iniziale, ce n'è una che, invece, ho trascurato; e, cioè, la fede "zoroastriana" (e, in parte, quella derivata "manichea") nell'esistenza dicotomica di due principi divini, il Bene (Ahura Mazdā) ed il Male (Arhiman), che si trovano in una sostanziale situazione di "equipollenza" e "isostenia".
Il che ricorda un po' anche il dualismo taoista tra lo  "yang", che è un'energia luminosa, e positiva, e lo "yin", che, invece è una luce negativa e passiva; però, secondo me, si tratta di una somiglianza soltanto superficiale, perchè, in realtà, si tratta di concezioni che, sì, sono entrambe "dualiste", ma in modo molto diverso tra di loro!
Nessuna delle due, però, e congeniale alla mia personale concezione di Dio, che, più che "monoteista", io definirei "monista". :)

Eutidemo

Citazione di: Eutidemo il 09 Febbraio 2021, 17:32:28 PM
Citazione di: viator il 09 Febbraio 2021, 16:32:11 PM
Salve. Aggiungo un commento circa Goedel : Citando da Eutidemo : "però, poichè nè la dimostrazione di Sant'Anselmo nè quella di Goedel possono dimostrare le premesse assiomatiche da cui partono, secondo me entrambe si risolvono in una sorta di "petizione di principio", sebbene, specie la seconda, molto sottile e raffinata".Non saprei giudicare la raffinatezza della teorizzazione matematica di Goedel, la quale ovviamente si porrà al di fuori di teologia e filosofia, quindi potrà eventualmente rispettare solamente la logica matematica (cioè solo convenzionale) ma non certo la logica appunto filosofica (cioè naturale).Venendo invece appunto alla logica naturale ed inserendo la definizione appunto goedeliana "Secondo Godel, invece, Dio sarebbe "l'entità che possiede tutte le proprietà positive" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, che, in verità, è un tantino più complicato di quello del Santo)"............un simile postulato risulterebbe di significato abbastanza ovvio :Se Dio possedesse anche solo alcune proprietà positive (fosse in parte bene) accanto ad altre negative (ma in altra parte, male), la sua onnipotenza ne risulterebbe negata in quanto - stante e permanente tale sua condizione - Dio verrebbe a consistere in una entità autocontradditoria, la quale possiede alcuni attributi che risultano accompagnati da altri che sono negatori del loro contrario. Cioè Dio risulterebbe come ente composto da due categorie relative l'una all'altra (bene e male).Quindi avremmo un Dio duale e non assoluto il quale, essendo privo di assolutezza, non potrebbe possedere un attributo necessariamente assoluto quale l'onnipotenza.Quindi Dio, se esistente, non potrebbe che essere Unico ed Assoluto.Quindi dovrebbe risultare completamente e perfettamente solo BENEFICO o solo MALEFICO.E perchè, secondo sia Goedel che me, Dio può essere solo e completamente benefico ? Perchè Goedel attribuisce - all'interno delle sue teorizzazioni (ed affermo ciò senza conoscerle !!) a ciò che esiste il valore 1 ed a ciò che manca, non esiste, il valore 0. Ciò che esiste risulta positivo, quindi l'unicità (di Dio, se esistente - intendibile a piacere sia come singolarità che come totalità) coincide con la positività (di Dio, se esistente).Che poi la positività, l'esistere (l'1) risulti filosoficamente un BENE mentre la nullità, la assenza, la mancanza (lo 0) risulti un MALE..................secondo me è perfettamente sussumibile postulando appunto che IL MALE (lo 0) non esista ma "consista" solamente nella imperfezione, carenza o mancanza DEL BENE.Infatti la motivazione psichica per la quale moltissimi credono nell'esistenza di Dio.......altro non è che la fiducia e speranza nell'esistenza del bene. Risaluti.
Mi hai ricordato che, nel considerare le varie "credenze religiose" a cui ho accennato nel mio post iniziale, ce n'è una che, invece, avevo trascurato; e, cioè, la fede "zoroastriana" (e, in parte, quella derivata "manichea") nell'esistenza dicotomica di due principi divini, il Bene (Ahura Mazdā) ed il Male (Arhiman), che si trovano in una sostanziale situazione di "equipollenza" e "isostenia".
Il che ricorda un po' anche il dualismo taoista tra lo  "yang", che è un'energia luminosa, e positiva, e lo "yin", che, invece è una luce negativa e passiva; però, secondo me, si tratta di una somiglianza soltanto superficiale, perchè, in realtà, si tratta di concezioni che, sì, sono entrambe "dualiste", ma in modo molto diverso tra di loro!
Nessuna delle due, però, e congeniale alla mia personale concezione di Dio, che, più che "monoteista", io definirei "monista".
Risaluti :)

davintro

#8
Un circolo vizioso si dà nel momento in cui la tesi che si vuol dimostrare è già implicita nelle premesse dell'argomentazione, e ciò renderebbe fallace quest'ultima, che assumerebbe la sua pretesa di verità come presupposto dogmatico del suo procedere. Non è però il caso della prova ontologica, in quanto la premessa, sia nella versione anselmiana che godeliana, non poggia su un GIUDIZIO, una tesi che pretenderebbe di esser data per scontata pre-argomentativamente, ma su delle DEFINIZIONI. Le definizioni non sono giudizi, non presentano presunzioni di verità, dunque non esistono definizioni vere e definizioni false. La definizione, tranne nei casi in cui si formulassero in modo autocontraddittorio (del tipo, il rosso è un colore non-colore), e non è questo il caso delle definizioni che la prova ontologica pone nelle sue premesse, indica una certa possibilità logica, un possibile determinazione della realtà, di per sé, ancora non esprimente alcuna pretesa di verità, ma che, analizzandone il contenuto, può esplicitarsi come richiedente necessariamente l'esistenza di ciò che si definisce. Riformulare le definizioni proposte in giudizi "Dio è ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore/Diò è l'entità che possiede tutte le proprietà positive", è logicamente scorretto, in quanto quello che nelle loro premesse Anselmo e Godel stanno proponendo non è un giudizio, ma una possibile definizione di Dio che non è detto debba essere l'unica possibile (dato che il linguaggio e le definizioni sono convenzioni), cioè le loro premesse in realtà sono solo proposte linguistiche ("supponiamo di voler definire Dio in un determinato modo, e valutiamo quali implicazioni ricavarne tramite l'analisi dei termini utilizzati"), e dato che il linguaggio non è un fatto reale ma una convenzione, in questa proposta linguistica non è implicato alcun giudizio sulla realtà oggettiva, dunque nessuna tesi dogmaticamente premessa in una petitio principii. Se un animista volesse rigettare la proposta linguistica di Anselmo o Godel, e continuare a definire "Dio" l'albero o il vento, resterebbe, anche dal punto di vista di entrambi, perfettamente libero, a condizione però di riconoscere razionalmente che dalla sua definizione di Dio, non ne discenderebbe l'esistenza, mentre dalla loro sì. Questo perché, fintanto che si ci limita a dare una certa definizione di Dio, non si sta IMMEDIATAMENTE affermandone l'esistenza in un giudizio subdolamente posto come premessa dell'argomentazione. Difatti, anche qualunque critico della prova ontologica non può esimersi dal definire Dio in un certo modo. Non può esimersi Tommaso d'Aquino, che, opponendo ad Anselmo le prove a posteriori, deve comunque assumere la definizione di Dio come "Causa prima" o "Fine ultimo", come concetti la cui esistenza dovrebbe esser richiesta a render ragione della realtà del mondo dell'esperienza, e nemmeno l'ateo o l'agnostico, che per considerare Dio non esistente o l'impossibilità di dimostrarne l'esistenza, devono comunque partire da una certa idea di Dio, e dunque da una definizione, altrimenti la loro riflessione sarebbe del tutto insensata, mancando l'apprensione del significato di ciò di cui cercherebbero di contestare l'esistenza o la stessa possibilità di poter dimostrare l'esistenza. Come faccio a negare l'esistenza di qualcosa o la possibilità di dimostrazione dell'esistenza se non ho la minima idea di cosa sto sottoponendo ad analisi? Dunque, pensare che la semplice proposta di definizione consista in un giudizio già posto in premessa, dunque squalificante la validità logica dell'argomentazione, è una critica che può essere rigirata in direzione di qualunque tesi opposta o alternativa all'argomentazione stessa, e ciò dimostra la non sensatezza della critica, in quanto una critica che finisce col distruggere tutte le possibili soluzioni riguardo una questione è una critica assurda (che la soluzione a un quesito consista nel fatto che non c'è soluzione è un'assurda autocontraddizione).


Questo è il punto di forza della prova ontologica, accetta di muovere dalle stesse premesse di un ateo o di un agnostico, cioè sul piano di una possibile definizione di Dio, piano che lo stesso ateo e agnostico, devono accettare, dato che, come detto, anche loro necessitano di una definizione per le loro tesi, per mostrare che proprio da delle premesse, potenzialmente accettabili anche da loro (linguaggio come convenzione e non come realtà), si possa argomentare mostrando la contraddizione dell'ateismo e dell'agnosticismo. E in questo senso la prova ricorda che qualunque argomentazione dell'esistenza di Dio debba partire da un piano comune a qualunque ipotetico oppositore, cioè l'idea di Dio, dunque indica nell'interiorità e nella coscienza le dimensioni da considerare nella ricerca. La prova ontologica si inserisce nella linea platonica-agostiniana-cartesiana-rosminiana del pensiero cristiano, alternativo a quello più legato al tomismo, che invece elegge il mondo naturale, esterno, come punto di partenza del riconoscimento dell'esistenza di Dio. Qui sta, secondo me, il suo contributo, storico e teoretico, positivo.


Il punto debole della prova, invece, trovo sia, l'utilizzo di categorie etiche, "maggiore" in Anselmo, "positive" in Godel, (per quanto riguarda Godel sto valutando a partire dalla formula citata da Eutidemo, non avendo letto direttamente il matematico in questione), all'interno di un discorso che dovrebbe porsi in un'ottica unicamente e rigorosamente teoretica. L'idea che l'esistenza di un ente sia implicata nella sua "grandezza" o "positività", è giudizio morale, cioè ponibile in modo soggettivo e arbitrario, ma non ha un fondamento oggettivo che ne garantisca la razionalità. Ciò sulla base della non deducibilità dei giudizi di valore, soggettivi, da quelli di fatto, oggettivi. Tuttavia penso che questo sia un limite superabile riformulando la terminologia in modo più teoretico e moralmente neutro, senza gettar via il bambino con l'acqua sporca, senza eliminare il punto corretto di dover sempre assumere un dato coscienziale, non immediatamente posto come fatto oggettivo, l'idea di Dio come punto di partenza per ogni tentativo di argomentare sulla questione dell'esistenza.

Jacopus

Per Davintro. La ricerca di una definizione il più intelligente possibile su Dio è connessa inevitabilmente con la dimostrazione della sua esistenza, ovviamente in via logico-deduttiva. Ma la ridondanza semantica di Dio, a sua volta, implica, una volta dimostrata la sua esistenza, anche l'accettazione di tutti i giudizi e le tradizioni a lui ascrivibili. La Teologia non è un settore della scienza dove è possibile, anzi doveroso, separare definizioni e giudizi.
Se ad esempio dicessi che il Comunismo è uno specifico sistema politico, questa definizione sarebbe comunque neutra.
In ogni caso ritengo la religione un principio di fede. Volerla "razionalizzare" la espone ad un pensiero, quello laico-scientifico, rispetto al quale non ha più sufficienti strumenti controargomentativi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

davintro

Citazione di: Jacopus il 09 Febbraio 2021, 18:37:35 PM
Per Davintro. La ricerca di una definizione il più intelligente possibile su Dio è connessa inevitabilmente con la dimostrazione della sua esistenza, ovviamente in via logico-deduttiva. Ma la ridondanza semantica di Dio, a sua volta, implica, una volta dimostrata la sua esistenza, anche l'accettazione di tutti i giudizi e le tradizioni a lui ascrivibili. La Teologia non è un settore della scienza dove è possibile, anzi doveroso, separare definizioni e giudizi.
Se ad esempio dicessi che il Comunismo è uno specifico sistema politico, questa definizione sarebbe comunque neutra.
In ogni caso ritengo la religione un principio di fede. Volerla "razionalizzare" la espone ad un pensiero, quello laico-scientifico, rispetto al quale non ha più sufficienti strumenti controargomentativi.


Non concordo su diversi punti. A parte, come detto, definizioni apertamente autocontradditorie, certamente "meno intelligenti" di quelle non contraddittorie, non esistono definizioni più intelligenti di altre. Pensarlo presupporrebbe l'adesione a fantasiose teorie sul "linguaggio naturale", l'idea di una presunta corrispondenza tra cosa e parola, per cui una certa parola sarebbe, non convenzionalmente, ma oggettivamente e naturalmente, più adeguata delle altre a esprimere una certa cosa (cosa che può aver senso in parte solo per il linguaggio onomatopeico). La costante mutevolezza storica delle lingue falsifica queste tesi, mostrando come sia possibile mutare il lessico dei dizionari senza che la struttura oggettiva del reale (e dunque il valore di verità dei giudizi, che consiste nella corrispondenza dei giudizi con le cose in sè) muti. Se un giorno decidessi di chiamare l'albero "pinco pallino", in nulla muterebbe il complesso delle verità oggettive che riflettono la natura dell'albero come realtà in sé. Dunque definire non è giudicare, indipendentemente dal campo di indagine, compresa la teologia.


Non vedo perché la distinzione tra definizione e giudizio presupponga la fondatezza razionale del giudizio in questione. Che una certa tesi sia ricavata dalla ragione o da un puro sentimento, in ogni caso il momento dell'assunzione della definizione, che esprime il senso dell'idea in questione, è altro da quello in cui a tale significato, di per sé ideale, viene associato a una realtà oggettivamente esistente. Nulla impedisce (di fatto, che poi anche di principio ciò sia teoreticamente valido è un altro discorso) a un ateo di accettare la stessa definizione di Dio che ne da un credente, senza per questo condividerne il giudizio di esistenza. Così anche in teologia la distinzione tra i due momenti, definizione, significato ideale di un ente e giudizio, attribuzione e negazione di esistenza oggettiva, resta in piedi.


Non è vero che dalla dimostrazione dell'esistenza di Dio derivi l'accettazione di, cito, "tutti i giudizi e le tradizioni a lui ascrivibili". Le tradizioni religiose riflettono le differenze culturali dei diversi popoli, mentre Dio nell'accezione filosofica può essere definito sulla base di concetti a cui poter attribuire significati che restano identici, al di là delle culture. Il Dio che Anselmo o Godel cercano di dimostrare nella sua esistenza, è lo stesso che anche un islamico o un ebreo potrebbero accettare, indipendentemente dal fatto che questi, fatto salvo questo nucleo concettuale condiviso, non riconoscono questo Dio come sostanzialmente incarnato, morto e resuscitato nella figura del Cristo. Senza questa distinzione non si spiegherebbe il sorgere storico del Deismo, il tentativo di affermare l'esistenza di Dio in termini puramente razionali, mettendo da parte gli aspetti fideistici inerenti presunte rivelazioni storiche, dovremmo assurdamente pensare che tutti i cattolici progressisti che hanno disobbedito all'insegnamento morale della Chiesa votando a favore della legge sul divorzio siano per questi diventati tutti atei o agnostici, mentre in realtà hanno probabilmente  solo cercato di propugnare una visione di Dio e della fede alternativa a quelle di una certa tradizione dottrinale. E non sarebbe possibile che anch'io, per quel nulla che vale il mio caso, sia convinto dell'esistenza di Dio sulla base di categorie interne anche a una tradizione metafisica cristiana, che però non seguo in toto, mantenendo il mio dissenso su punti legati all'insegnamento morale e fideistico.


La religione intesa come puro sentimento e intuizione di un Ente superiore all'uomo è certamente principio di fede, ben diverso il discorso nel momento in cui si passa da una fase immediata e "ingenua" in cui si accetta l'idea di Dio nell'immediatezza del vissuto psicologico della fede a una in cui si cerca di argomentarne le questioni in modo razionale. La metafisica si rivolge all'oggetto di fede della religione, ma non sulla base della forma mentis religiosa, fideista ma razionale. Metafisica e religione condividono l'oggetto di riferimento, non la forma dell'atteggiamento con cui l'oggetto è considerato. Pensare che la metafisica sia fede vuol dire confondere forma e contenuto, e allora, si potrebbe dire, con la stessa premessa, anche l'ateismo dovrebbe essere visto come fede, dato anche l'ateo argomenta la sua tesi riferendosi allo stesso contenuto della religione. La razionalità metafisica non entra in alcun conflitto con quella "laico-scientifica", che si esprime nel metodo galileiano e che vale per lo studio della natura fisica, non di quella spirituale. La distinzione dei due piani, naturalistico e spirituale, evita la contrapposizione delle due razionalità, ed anche la necessità di "strumenti controargomentativi". Pensare a una contrapposizione, una sovrapposizione dei due piani, implica l'assolutizzazione della dimensione fisica, assunta come unica realtà possibile, tesi impossibile da verificare con la stessa fonte di esperienza delle scienze naturali, cioè l'osservazione sensibile, implica cioè, in contraddizione con le sue premesse, un'assolutizzazione metafisica. Ecco perché, giustamente, continuiamo a studiare il positivismo nei manuali di filosofia, anziché di fisica, chimica o biologia... Le ragioni del positivismo, il superamento della religione e della metafisica come fasi provvisorie dell'entrata dell'umanità della Scienza, implicherebbe la considerazione del positivismo come "scienza" e non come "filosofia", cosa che non è. Nessuno scienziato (naturalista) serio si sognerebbe di inserire il materialismo e l'ateismo come contenuti delle loro discipline. E immaginare questa situazione come provvisoria, di contro a un lontano futuro in cui questa scientificizzazione dell'ateismo avverrà non rende i vari Feuerbach, Comte tanto diversi da delle figure profetiche con tutto il carico di fideismo che accompagna ogni escatologia.

Ipazia

Citazione di: davintro il 09 Febbraio 2021, 19:56:40 PM
Nessuno scienziato (naturalista) serio si sognerebbe di inserire il materialismo e l'ateismo come contenuti delle loro discipline.
Non ne ha bisogno perchè il materialismo è implicitamente contenuto in tutte le scienze naturali dal bigbang alle particelle quantistiche. Oggi nessuno scienziato si sognerebbe di parlare di miracolo di fronte ad un evento imprevedibile. Si formulano ipotesi, si fanno esperimenti, ma l'ipotesi Dio viene esclusa dalle scienze naturali e dalla fenomenologia che viene indagata. Come ha già osservato Jacopus.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#12


Lui, se è unico, un suo linguaggio , non l'ha neanche, perché non gli serve.
Ma si adatta ad usare i nostri linguaggi nelle rivelazioni.
In questo modo arriva a noi .
Noi , per contro, pretenderemmo di usare il nostro linguaggio, per giungere a lui, dimostrandone l'esistenza.
È evidente che questa cosa non sta in piedi, a meno che non si creda, e la maggioranza in effetti lo crede, che la matematica se non è propriamente il linguaggio di Dio, non essendo platonicamente neanche un linguaggio intimo dell'uomo, ma albergando fuori di lui in altro mondo, sia quanto meno perciò più attendibile.
Ma per accreditare una qualunque dimostrazione matematica che possa dimostrare l'esistenza di Dio occorrerebbe dichiarare apertamente , senza solo lasciarlo pensare, che la matematica sia il linguaggio di Dio.
Anzi, quella sarebbe la vera dimostrazione dell'esistenza di Dio.
Dimostrare che un certo linguaggio sia divino, equivale a dimostrare l'esistenza di Dio.

Se il grande Goedel si è imbarcato in questa dimostrazione di esistenza di Dio, evidentemente dava  per scontato che la matematica sia il suo linguaggio, senza però dimostrarlo.
Ma se questo fosse vero, allora perché Dio non si è rivelato a noi attraverso il linguaggio matematico, cioè la sua lingua, visto che noi, seppur i più a fatica, lo comprendiamo?
Se invece la matematica è un linguaggio umano, allora non è adatto a giungere fino a Dio, dimostrandolo.
Si può essere platonici o meno, ma mi pare nessuno abbia mai dimostrato la sua non essere credenza, ma verità.
Se invece non è unico ma tanti, allora chiedersi in che lingua comunicano, sarebbe interessante.
Magari usano proprio la matematica, o quantomeno non riusciamo a pensare di meglio, essendo la matematica il miglior linguaggio che conosciamo.
Ma il fatto che non riusciamo a pensar di meglio non significa che non esiste di meglio, ovviamente.
Magari non hanno neanche bisogno di un linguaggio gli Dei per comunicare, e per loro la matematica è solo uno dei tanti linguaggi umani fra i quali poter scegliere per comunicare con noi.


Ciò in aggiunta agli argomenti di Eutidemo, che nel mentre apriva la questione ,la chiudeva già in modo convincente.
Perché, se anche la matematica fosse il linguaggio di Dio, non potremo mai dire di conoscere completamente  davvero quel linguaggio, visto che, seppure fosse residente in altro mondo ,quello platonico, e noi ci limitassimo a scoprirla, questa scoperta non sembra essere giunta a fine, se mai un fine avesse.
La ma tematica di oggi esclude si possa dimostrare Dio secondo logica, perché dichiara che le ipotesi di partenza sono arbitrarie, quindi non vere.
La matematica di ieri aveva motivo di imbarcarsi in tali tipi di dimostrazioni, in quanto partiva,da premesse ovvie, che perciò non andavano dimostrate.
Si poteva quindi partire dall'ovvio, per sperare di giungere a Dio.
Ma se si parte dall'ovvio, ammesso e non concesso, a cos'altro si arriva se non all'ovvio?
Tanta fatica per cosa dunque?
Invidio quello che ha fede. Quello per cui Dio è ovvio.
Non invidio chi pensa di doverlo dimostrare.


Se Dio è ovvio, non occorre dimostrarlo.
Se non è ovvio non è dimostrabile.




Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

In matematica ciò che viene dimostrato è già insito nelle ipotesi, ma non essendo ovvio, occorre dimostrarlo.
Questo induce alcuni ad affermare che la matematica sia tutta una tautologia, cosa che è vera, ma che non la rende inutile, anzi.
Ciò illustra che essendo il nostro punto di vista sempre relativo, il massimo a cui possiamo ambire è cambiarlo, e se la scienza di ciò fa' fondamento , questa tautologia vale la scienza.
Anche il mistero di come facciamo ,a comprendere potrebbe essere spiegato per tale via.
Se siete stati studenti avrete avuto esperienza del fatto che comprendere significa dire la stessa cosa con parole proprie.
Solo allora potremo dire di aver compreso ciò che abbiamo studiato, per quanto si ottenga la promozione anche con buona memoria ripetendo a pappagallo.
Ma, se io fossi Dio, mi sentirei offeso da un uomo che pretenda di giungere a me pensando di poter essere racchiuso dentro una sua ipotesi, che una volta formulata, se si potesse fare, varrebbe già la dimostrazione della mia esistenza, senza bisogno di altri passaggi.
Una volta che sei riuscito a dire Dio, che bisogno c'è di dirlo, tautologicamente , in altri modi?
Il problema è dirlo, e qualcuno se ne è accorto, dicendolo innominabile.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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iano

#14
Dire che il quadrato sul lato maggiore del triangolo vale la somma dei quadrati dei restanti due lati, è un modo diverso di dire che il triangolo ha un angolo retto.
Ma ciò non è ovvio.
Perciò va' dimostrato.
Certo, facciamo anche fatica umanamente a giungere a tali banalità, che sono banali appunto solo col senno di poi.
Ma una volta a ciò giunti dovrebbe essere ovvio che la frase  "dimostrare l'esistenza di Dio " non significa nulla.
Se si parte da premesse umane, possiamo dirle in altri termini, ma resteranno sempre umane.
Se invece pensiamo di partire da premesse divine, non occorre dimostrazione .
Ma nessuno mi pare abbia affermato di partire da premesse divine, ma solo di esser giunto, semmai, a conclusioni divine.
È impossibile, come volevasi dimostrare.
Questo è un classico teorema di impossibilità, che possiamo aggiungere ai tanti già in possesso dei matematici, e che sono non meno importanti di quelli di possibilità.
Sapere cosa non si possa dire è importante tanto quanto sapere cosa si possa dire.
Abbiamo dimostrato oggi che Dio è indimostrabile.
Dimostratemi adesso il contrario.💁
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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