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La nave di Teseo

Aperto da Sariputra, 29 Settembre 2016, 16:14:25 PM

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Phil

Citazione di: Jean il 07 Ottobre 2016, 20:47:36 PMSì, cosa è colui che vorrebbe poter essere. http://blog.libero.it/CloniDiMarte/11085102.html
E chi è colui che non vorrebbe poter essere?

Quantomeno in prima base, no?  ;D

Sariputra

Citazione di: Phil il 07 Ottobre 2016, 16:17:51 PM
Citazione di: Sariputra il 07 Ottobre 2016, 15:20:58 PMNon è Sari...è la sete d'esistere.
La sete d'esistere vuole esistere, ma se è sete (e vuole), esiste già... esiste come mancanza di ulteriore esistenza (per questo è sete e non sazietà), ma qualora la ottenesse non sarebbe più sete, dunque non esisterebbe più... quindi l'esistenza della sete di esistere è basata sul non appagamento della sete stessa, per cui, volendo vivere cioè non-saziarsi, non è sete autentica, è illusoria...
Citazione di: Sariputra il 07 Ottobre 2016, 15:20:58 PME' la volontà d'essere anche se non sono...come un desiderio costante inappagabile
Nel momento in cui dici "non sono", sei... altrimenti dove avrebbe radice (mula) quel desiderio? P.s. Offrire ad un koan una riposta razionale è sfidare l'implacabile monaco zen ad usare il bastone... attento, lo ha già sollevato! :)

Quando Sari afferma "non sono" , intende che Sari è privo di esistenza intrinseca. Sta parlando della vacuità di Sari. Come il portatore delle parti non è "la nave di Teseo", così il portatore delle parti non è Sari. Quando Sari viene designato come "Sari" da  un agente esterno a Sari, è corretto dire che Sari "è". Sari, come la nave di Teseo, non è essenzialmente altro dagli aggregati e nemmeno è della loro stessa natura. Non è la base degli aggregati né li possiede intrinsecamente.. Si potrebbe dire che Sari, e la nave di Teseo, vengono stabiliti in dipendenza dagli aggregati che li compongono.
Rispetto a questa "dipendenza", Sari è simile alla nave di Teseo, infatti:
-non si può affermare che è essenzialmentre altro dalle sue parti.
-non è identico ad esse.
-non le possiede intrinsecamente.
-non dipende intrinsecamente da esse.
-non è la base da cui le sue parti dipendono intrinsecamente.
-non è il semplice insieme di queste parti.
-non è la loro configurazione.
Se Sari è un non-Sari intrinsecamente, ma nello stesso tempo è correttamente designato come Sari da un agente esterno, non ha alcun senso dire che Sari , quando dice "non sono", invece è...ma si dovrebbe correttamente intendere come :" Cosa vuole esistere nel non-Sari? Quale delle sue "parti" desidera esistere e ri-esistere in eterno?". La risposta corretta è: la sete di esistere ( tanha), o brama d'esistere, vuol esistere in eterno nel non-Sari, correttamente e convenzionalmente designato da un agente esterno come Sari.
Questa "sete" per l'esistenza però non può essere "entificata", come non può essere entificata la sua vacuità. Infatti non è dato trovare alcuna "sete d'esistere"  al netto delle parti che la costituiscono (contatto-phassa, sensazione-vedana, attaccamento-upadana, coscienza-vinnana, ignoranza delle cause-avijja, ecc.) proprio come non è possibile trovare alcun portatore delle parti nella "nave di Teseo" o in "Sari". Correttamente però la sete d'esistere è designata come "sete d'esistere" da un agente esterno alle sue parti. Così non è possibile affermare che è illusoria la sete d'esistere, come non è illusorio Sari, essendo correttamente designati; illusorio è il ritenerli dotati di esistenza intrinseca (durevole, eterna, immutabile, ecc.).
QUEL desiderio ( di esistere e ri-esistere) ha la sua radice nel contatto ( phassa).
Vorrei poter esser significa nient'altro che vorrei poter trovare appagamento ( chi lo afferma non è il Sari correttamente designato da un agente esterno, ma il non-Sari dominato dalla componente "sete d'esistere").
Riporto un pensiero di Schopenhauer che trovo affine, pur mancando il concetto di vacuità :
"La volontà di vivere non è soltanto la radice noumenica dell'uomo, ma anche l'essenza segreta di tutte le cose, ossia la cosa in sé dell'universo finalmente svelata, -L'intimo essere, il nocciolo di ogni singolo, ed egualmente del Tutto-. Essendo al di là del fenomeno, infatti, la volontà presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappresentazione, in quanto si sottrae allo spazio, al tempo e alla casualità. Essa è dunque: inconscia, unica, eterna ( al di là del tempo, senza inizio né fine), incausata e senza uno scopo. In questa prospettiva, miliardi di esseri ( vegetali, animali, umani) non vivono che per continuare a vivere."
Vista così però, la sete d'esistere, sembra più un'entità metafisica ( radice noumenica, essenza, ecc.) dotata di esistenza intrinseca.
Con molta umiltà, non mi sento d'accordo su questo, anche se il mio sentimento direbbe di sì... :-[

 
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

davintro

Citazione di: Sariputra il 06 Ottobre 2016, 16:48:07 PMSe si nega identità , se non in senso convenzionale, a qualsiasi cosa bisogna logicamente negarla anche al portatore delle parti. Davintro sostiene che l'identità è l'Idea della "nave di Teseo"e l'idea, essendo immateriale,prodotto dello "spirito", è quel qualcosa che permane, che non muta e che non si dissolve. Ma lo spirito è distinguibile dal portatore delle parti? Questo perchè anche questo spirito appare una costruzione di parti ( Coscienza, pensiero, volontà, sensazioni,inconscio,ecc.) e non è possibile il suo agire in assenza di una delle parti, esattamente come la nave di Teseo non può veleggiare per mari, senza il timone, ossia una sua parte. Si può affermare che lo spirito è un tutt'uno e che le sue parti sono solo apparentemente parti, ma questo mi sembra un espediente perchè anche la nave di Teseo , quando naviga per i mari, funziona come un tutt'uno; certo non è possibile vedere il timone andare di qua e la vela fare un'altra rotta di là. Ogni cosa sembra agire come un tutt'uno, in presenza delle sue parti funzionanti e legate in quella specifica forma. Però al mutare della funzionalità e della forma il portatore delle parti non riesce più a funzionare come un tutt'uno, con la stessa identica modalità precedente. Una madre privata dei ricordi non può certo funzionare ancora come madre. Funzionerà , ma non nella stessa idea precedente. Lo " spirito" poi lo ritengo una congettura della mente. La negazione della sostanzialità dell'identità ha rilevanza come esclusione di interpretazioni arbitrarie e congetture del reale. In assenza di interpretazioni arbitrarie e di congetture sull'identità " nave di Teseo" la nave è convenzionalmente accettata come reale. Però deve essere fondata la consapevolezza che questa identità è esistente solo in senso convenzionale e così per analogia l'identità di tutto ciò a cui viene attribuita un'identità. L'identità non può essere fondata in se stessa, ma sempre, mi sembra, viene ad essere fondata da colui che la designa, con la consapevolezza che anch'io che la designo sono designato.Essa non ha esistenza al di fuori della conoscenza e dell'attribuzione di funzionalità dell'agente esterno alle sue parti. L'identità "nave di Teseo" si sorregge sull'identità "Teseo", che si regge sull'identità "Eroe mitico" e così via all'infinito in un gioco di specchi che eternamente si riflettono. Forse...Sari non è Sari, non è un'identità fondata in se stessa, ma un processo dinamico in divenire delle "parti", mentali e fisiche, che lo compongono. Convenzionalmente Sari è certamente Sari, perchè correttamente designato da altri come colui che è Sari. Sono due piani diversi in cui "vive" l'identità di Sari. Uno è il piano di Non-identità di Sari come Sari, in quanto non è possibile attribuire alcuna sostanza all'idea di Sari; l'altro è il piano in cui l'identità Sari ( o quella "nave di Teseo")è certamente Sari , di cui è possibile leggere queste esternazioni e rifiutarle o accettarle. Quest'ultima è l'identità attribuita , l'altra è l'identità non-identità non attribuile se non come congettura.

Coscienza, pensiero volontà, sensazioni...  possono essere considerate come "parti" dello spirito solo in senso metaforico, figurato, non reale. Il concetto di parte ha un senso reale solo se si parla del piano materiale, il piano nel quale qualcosa occupa uno spazio ed occupandolo esclude l'occupazione dello spazio ad un'altra cosa, producendo una separazione che fà sì che l'unità materiale sia sempre un'unità esteriore e fittizia. Pensiero, volontà ecc. sono diverse forme di espressioni della spiritualità, non sono propriamente "parti", non seguono il principio fisico, dell'impenetrabilità dei corpi, ma sono nel complesso della vita interiore della persona costantemente intrecciati, reciprocamente condizionati, tra loro vi è una compenetrazione, e questa compenetrazione è il segno della tendenza all'unità data dalla nostra componente spirituale.

Le convenzioni non sono l'identità, ma i suoi limiti, in quanto riguardano dei ruoli che assumiano in relazione al mondo esterno, alla società, non sono l'espressione di una forza spontanea interna alla persona, le convenzioni riguardano la superficie della persona, cioò che è visibile esteriormente, non ciò che consideriamo quando ci rivolgiamo verso noi stessi, quando nell'introspezione ci rivolgiamo verso la nostra profondità. Nell'essere umano, che in virtù della sua finitezza ontologica è sintesi di attualità e potenzialità, corrisipondente alla sintesi di spiritualità e materialità, non si deve pensare all'identità nè come qualcosa di innatamente del tutto giù compiuto, tesi che non considererebbe la dipendenza per lo sviluppo delle nostre potenzialità naturali da certe condizione offerte dal mondo esterne, nè come una mera convenzione o illusione, tesi che non considera la capacità dell'Io attraverso la ragione di riflettere su se stesso, valutare quanto un'azione, un impulso, possa essere coerente con i nostri valori e la nostra personalità, restando libero di poter seguirlo o reprimerlo. L'identità nell'uomo va vista come una sorta di tendenza interiore a realizzare il proprio sè in un certo modo e la nostra identità si costruisce quanto più tale tendenza viene coerentemente seguita nel corso della vita e si perde quando più disperdiamo la nostra vita nel caso della frammentarietà delle situazioni, non seguendo un riferimento morale costante che ci rappresenti. Cioè nell'uomo l'identità è qualcosa che si realizza "più o meno" in base alla forza psichica ed alla razionalità degli individui. Ma questi non sono limiti riguardanti il concetto di "identità" considerato in sè, ma solo l'identità di un ente imperfetto e limitato come l'uomo. L'identità umana non è l'identità tout court, ma solo una sua particolare declinazione

Sariputra

#48
Citazione di: davintro il 08 Ottobre 2016, 01:38:51 AMCoscienza, pensiero volontà, sensazioni... possono essere considerate come "parti" dello spirito solo in senso metaforico, figurato, non reale. Il concetto di parte ha un senso reale solo se si parla del piano materiale, il piano nel quale qualcosa occupa uno spazio ed occupandolo esclude l'occupazione dello spazio ad un'altra cosa, producendo una separazione che fà sì che l'unità materiale sia sempre un'unità esteriore e fittizia. Pensiero, volontà ecc. sono diverse forme di espressioni della spiritualità, non sono propriamente "parti", non seguono il principio fisico, dell'impenetrabilità dei corpi, ma sono nel complesso della vita interiore della persona costantemente intrecciati, reciprocamente condizionati, tra loro vi è una compenetrazione, e questa compenetrazione è il segno della tendenza all'unità data dalla nostra componente spirituale. Le convenzioni non sono l'identità, ma i suoi limiti, in quanto riguardano dei ruoli che assumiano in relazione al mondo esterno, alla società, non sono l'espressione di una forza spontanea interna alla persona, le convenzioni riguardano la superficie della persona, cioò che è visibile esteriormente, non ciò che consideriamo quando ci rivolgiamo verso noi stessi, quando nell'introspezione ci rivolgiamo verso la nostra profondità. Nell'essere umano, che in virtù della sua finitezza ontologica è sintesi di attualità e potenzialità, corrisipondente alla sintesi di spiritualità e materialità, non si deve pensare all'identità nè come qualcosa di innatamente del tutto giù compiuto, tesi che non considererebbe la dipendenza per lo sviluppo delle nostre potenzialità naturali da certe condizione offerte dal mondo esterne, nè come una mera convenzione o illusione, tesi che non considera la capacità dell'Io attraverso la ragione di riflettere su se stesso, valutare quanto un'azione, un impulso, possa essere coerente con i nostri valori e la nostra personalità, restando libero di poter seguirlo o reprimerlo. L'identità nell'uomo va vista come una sorta di tendenza interiore a realizzare il proprio sè in un certo modo e la nostra identità si costruisce quanto più tale tendenza viene coerentemente seguita nel corso della vita e si perde quando più disperdiamo la nostra vita nel caso della frammentarietà delle situazioni, non seguendo un riferimento morale costante che ci rappresenti. Cioè nell'uomo l'identità è qualcosa che si realizza "più o meno" in base alla forza psichica ed alla razionalità degli individui. Ma questi non sono limiti riguardanti il concetto di "identità" considerato in sè, ma solo l'identità di un ente imperfetto e limitato come l'uomo. L'identità umana non è l'identità tout court, ma solo una sua particolare declinazione

Ciò che "tende all'unità ", che vedo assunto arbitrariamente a priori come dare per scontata una sostanza al portatore introvabile delle parti, degli aggregati che compongono l'essere vivente ( non intesi ovviamente solo in senso di "parti" spazio-temporali come comunente designate e percepite, ma pure come processi dinamici pscicologici, comunemente designati come processi psicologici o mentali) è proprio quello che ho definito/designato convenzionalmente come la "sete d'esistere, oppure come la "volontà di esistere" ( in eterno, durevolmente, stabilmente, godendo in eterno di appagamento che non può essere appagato, ecc.). In ogni caso l'essere vivente e senziente è "anche " diviso in parti comunemente designate come tali  nello spazio e nel tempo. A meno che si voglia affermare che il corpo abbia una parvenza illusoria, si deve ammettere che mente e corpo sono un'unità di parti ben distinte, che agiscono insieme e reciprocamente si determinano. Non penso che, se ad un corpo vengono amputati tutti e quattro gli arti, ciò non provochi un cambiamento anche nella mente e nelle sue dinamiche psicologiche e viceversa sappiamo bene come gli stati mentali influenzino la salute del corpo.
Dovremmo quindi considerare la persona nella sua interezza funzionale di mente e corpo , come vengono convenzionalmente designati. Che le "parti" siano materiali o immateriali, fisse o dinamiche, con forma o senza forma, conscie o inconscie, sorgono sempre in dipendenza da altre "parti", come convenzionalmente designate da un agente esterno alle "parti" stesse. Una mancanza funzionale di una parte si ripercuote infatti nella funzionalità delle altre parti; così anche nella "nave di Teseo" la rottura del timone comporta l'impossibilità di dirigere la nave. Un essere terribilmente menomato nei sensi ( cieco, sordo e muto) non riesce a sviluppare alcun tipo di intelligenza come viene comunemente designata, ma solo una forma di intelligenza ridotta alla sensazione tattile ( come la povera Adriana, nome  finto, che imbocco a volte la sera e l'unica cosa che riesce a fare è aprire la bocca a scatti come un uccellino nel nido...agendo in lei la "sete d'esistere" nonostante tutto).
Sono d'accordo con la seconda parte del tuo intervento, che mi sembra però dimostri che il concetto di identità non può essere definito in alcun modo se non convenzionalmente da un agente esterno. infatti se la poni come un "qualcosa che si sviluppa nel tempo per forza delle dinamiche interiori e delle esperienze materiali" già inizi a scomporla, inserendo il fattore tempo, e non essendo più identica a se stessa, ma in divenire, non può certo essere l'identità, ma semmai l'identità convenzionalmente data da un agente esterno o arbitrariamente assunta dalla riflessione interiore che finisce per identificarsi  con i propri mutevoli processi dinamici mentali e corporei, che sempre hanno origine in dipendenza da altro. Giustamente, come scrivi, l'identità non può aver limiti, se non quelli convenzionalmente dati da un agente esterno, in quanto processo dinamico di "nutrimento" ( mentale e materiale) della volontà d'esistere e di eternamente tentar di trovare appagamento.

P.S.Consapevole che ogni mio ulteriore intervento non farebbe che ribadire la mia convinzione che l'identità non è ontologicamente fondata ma solo convenzionalmente designata, concludo qui la mia riflessione sull'interessante paradosso de "La nave di Teseo". Che poi la riflessione sull'identità porti ad aprire finestre su quella relativa allo "spirito" o "anima", come comunemente definiti, è evidente ma forse è il caso di aprire apposito spazio di discussione. Sono oltremodo allergico a termini come "spirito" o "anima" che spesso vengono posti aprioristicamente come base della riflessione e, nonostante le mie non giovanissime primavere, confesso che non ho ancora ben compreso a che cosa si riferiscono... ;D
Sulla strada del bosco
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Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Citazione di: Sariputra il 08 Ottobre 2016, 13:48:40 PMP.S.Consapevole che ogni mio ulteriore intervento non farebbe che ribadire la mia convinzione che l'identità non è ontologicamente fondata ma solo convenzionalmente designata, concludo qui la mia riflessione sull'interessante paradosso de "La nave di Teseo". 
Scusami se ti richiamo in causa, ma non sono riuscito a rispondere prima... concordo con la "essenziale"(parolaccia!) convenzionalità della identità, ma avrei qualche osservazione in merito:
Citazione di: Sariputra il 07 Ottobre 2016, 23:20:38 PMnon ha alcun senso dire che Sari , quando dice "non sono", invece è...
Per dire "non sono", bisogna esistere: cogito, ergo sum (et ergo dico non sum...).
Di chi è la voce che dice "non sono"? Del non-Sari, della sete di esistere, o di una delle possibili identità convenzionali di Sari? Di certo, non è la voce di un agente esterno a Sari...

Citazione di: Sariputra il 07 Ottobre 2016, 23:20:38 PMnon è possibile affermare che è illusoria la sete d'esistere, come non è illusorio Sari, essendo correttamente designati; illusorio è il ritenerli dotati di esistenza intrinseca (durevole, eterna, immutabile, ecc.). 
Ciò che non ha un'esistenza intrinseca, non è forse illusorio? Se Sari e la sua "sete" non esistono intrinsecamente, ma sono solo designati convenzionalmente, non sono illusori? Le convenzioni non sono illusorie, "ontologicamente" parlando?
[Intendo per "illusione" il prendersi gioco (il-ludere), l'ingannare la nostra prospettiva spacciando per realmente esistente qualcosa che non lo è...]

Citazione di: Sariputra il 08 Ottobre 2016, 13:48:40 PMil concetto di identità non può essere definito in alcun modo se non convenzionalmente da un agente esterno. 
Quanto più cerchiamo di riempire la vacuità con un'identità unica e definitiva, tanto più ci complichiamo l'impresa... mi sembra ancora plausibile e funzionale che ogni identità debba essere pensata come plurale, a seconda del tipo di discorso: un ente esterno non serve ad identificarmi nel mio flusso di coscienza, nell'ascoltarmi (la voce di cui sopra)... così come per sapere il mio nome e cognome ho invece necessariamente bisogno di una fonte esterna che me lo certifichi (o che me ne convinca quando sono bambino)... per la mia identità come memoria, le modifiche del mio corpo sono irrilevanti... eppure è abitando il mio corpo mutevole che vivo e mi riconosco (anche percettivamente)... insomma, a seconda di come intendiamo l'identità, è possibile metterla in luce in modi differenti, ma si tratta sempre di puntare una luce(convenzionale) nel buio(vacuità), scambiando il raggio di luce per qualcosa che è (in auto-nomia), a prescindere dalla luce stessa...

Sariputra

Citazione di: Phil il 08 Ottobre 2016, 19:57:32 PM
Citazione di: Sariputra il 08 Ottobre 2016, 13:48:40 PMP.S.Consapevole che ogni mio ulteriore intervento non farebbe che ribadire la mia convinzione che l'identità non è ontologicamente fondata ma solo convenzionalmente designata, concludo qui la mia riflessione sull'interessante paradosso de "La nave di Teseo".
Scusami se ti richiamo in causa, ma non sono riuscito a rispondere prima... concordo con la "essenziale"(parolaccia!) convenzionalità della identità, ma avrei qualche osservazione in merito:
Citazione di: Sariputra il 07 Ottobre 2016, 23:20:38 PMnon ha alcun senso dire che Sari , quando dice "non sono", invece è...
Per dire "non sono", bisogna esistere: cogito, ergo sum (et ergo dico non sum...). Di chi è la voce che dice "non sono"? Del non-Sari, della sete di esistere, o di una delle possibili identità convenzionali di Sari? Di certo, non è la voce di un agente esterno a Sari...
Citazione di: Sariputra il 07 Ottobre 2016, 23:20:38 PMnon è possibile affermare che è illusoria la sete d'esistere, come non è illusorio Sari, essendo correttamente designati; illusorio è il ritenerli dotati di esistenza intrinseca (durevole, eterna, immutabile, ecc.).
Ciò che non ha un'esistenza intrinseca, non è forse illusorio? Se Sari e la sua "sete" non esistono intrinsecamente, ma sono solo designati convenzionalmente, non sono illusori? Le convenzioni non sono illusorie, "ontologicamente" parlando? [Intendo per "illusione" il prendersi gioco (il-ludere), l'ingannare la nostra prospettiva spacciando per realmente esistente qualcosa che non lo è...]
Citazione di: Sariputra il 08 Ottobre 2016, 13:48:40 PMil concetto di identità non può essere definito in alcun modo se non convenzionalmente da un agente esterno.
Quanto più cerchiamo di riempire la vacuità con un'identità unica e definitiva, tanto più ci complichiamo l'impresa... mi sembra ancora plausibile e funzionale che ogni identità debba essere pensata come plurale, a seconda del tipo di discorso: un ente esterno non serve ad identificarmi nel mio flusso di coscienza, nell'ascoltarmi (la voce di cui sopra)... così come per sapere il mio nome e cognome ho invece necessariamente bisogno di una fonte esterna che me lo certifichi (o che me ne convinca quando sono bambino)... per la mia identità come memoria, le modifiche del mio corpo sono irrilevanti... eppure è abitando il mio corpo mutevole che vivo e mi riconosco (anche percettivamente)... insomma, a seconda di come intendiamo l'identità, è possibile metterla in luce in modi differenti, ma si tratta sempre di puntare una luce(convenzionale) nel buio(vacuità), scambiando il raggio di luce per qualcosa che è (in auto-nomia), a prescindere dalla luce stessa...

Chiamato in causa il Sari si ripresenta...dopo aver lavato i piatti ( convenzionalmente designati come piatti)  :)
La voce che dice non-sono è del non-Sari ( direi che è la voce di prajna , della visione profonda del carattere convenzionale di Sari). Non è la voce dell'agente esterno a Sari , il quale può semplicemente designare il Sari convenzionale.
Non uso il termine "illusorio" perchè richiama troppo la concezione vedica del "Velo di Maya". Il fatto che il "mondo", come è convenzionalmente designato, è soggetto alla legge dell'insorgere dipendente non significa che è irreale. Nel senso che non è un sogno, o della natura dei sogni. Questo perchè il concetto vedico induce a ritenere che ci sia "qualcosa" di sostanziale  che sottostà all'illusione e la genera. Questo è rifiutato dalla concezione della shunyata come vacuità. Hui-neng (Wei-Lang), il sesto patriarca dello zen, quasi provocatoriamente proclamava: "Ab initio nessuna cosa è".
Cosa non è ab initio? l'esistenza intrinseca di ogni cosa ( mentale o materiale), non la "cosa".
 Non vi è albero del Bodhi,
Nè sostegno di lucido specchio
Poichè tutto è vuoto, ( di esistenza intrinseca,nota del Sari convenzionale)
Dove può posarsi la polvere?
Quindi Sì, le cose prive di esistenza intrinseca sono "illusorie", ontologicamente parlando. Nota però come mi sembra giusto intendere il concetto di "illusione". Bisogna anche essere consapevoli che la vacuità può essere vista come contradditoria per il linguaggio convenzionale, ma non come esperienza. Pertanto magari potremmo intendere la stessa esperienza , trovandoci in contraddizione sui termini per designarla convenzionalmente. 
Magari riusciresti a spiegarla meglio tu, che ti definisci un filosofo zen euristico...mannaggia!!!!  :) :) :) :)    
Quante volte ho ripetuto che sono inadeguato a tutto questo...
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Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Citazione di: Sariputra il 08 Ottobre 2016, 21:35:02 PMPertanto magari potremmo intendere la stessa esperienza , trovandoci in contraddizione sui termini per designarla convenzionalmente. Magari riusciresti a spiegarla meglio tu, che ti definisci un filosofo zen euristico...mannaggia!!!! :) :) :) :) Quante volte ho ripetuto che sono inadeguato a tutto questo...
Spiegarla? Non ce n'è bisogno, il tuo commento a Hui-Neng non ha bisogno di ulteriori commenti... concordo anche con il resto (tranne che sulla mia definizione: non sono filosofo, non sono zen, non sono euristico... però sono quello che sta per andare a lavare i piatti! Sarai inadeguato, ma almeno tu non aspetti le 22 per riportare la dovuta vacuità nel lavandino... ;D ).

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