La nave del filosofo e la gamba di Teseo

Aperto da Jean, 06 Ottobre 2016, 20:02:17 PM

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Jean

Tempo addietro un amico (di professione attore teatrale, uno che il nessuno e centomila è un po' il suo pane) riferendosi alle frequentazioni con dei filosofi, mi riportava l'impressione di persone eccellenti nell'astrazione e un po' distanti dal piano pratico, (in verità l'osservazione era ben più marcata). 

Beh, non certo un'osservazione originale, un po' un luogo comune... forse l'avrebbe pensata diversamente se si fosse imbattuto in filosofi (o amanti della filosofia) qual il nostro amico sgiombo e altri che frequentano il nostro forum.

Partecipando (pur se poco) ai dibattiti in questa sezione mi sento un po' chiamato in causa dalla mia coscienza che conserva il ricordo di quella conversazione e oggi, con questa discussione, ho finalmente trovato un modo per saggiare la stoffa dei nostri abiti (mentali/emotivi), sempre che vogliate partecipare rispondendo alla domanda diretta che incontrerete al termine delle necessarie premesse.

La prima riguarda il titolo, che esplicitamente si rifà a quello della pregevole discussione (per partecipazione e contenuti) avviata dall'amico Sariputra. 
Questa potremmo considerarla una piccola appendice o ancor meglio la parte pratica (... di laboratorio) delle lezioni teoriche colà dispensate, nelle quali si sono sviscerati molti temi, due in particolare quelli che mi interessano: identità e appartenenza.  

La seconda premessa è un antefatto, dal quale nasce la domanda che vi porrò.
 

Antefatto
 
Mio nonno ad un'età purtroppo non troppo avanzata dovette subire (causa morbo di Buerger, essendo stato un forte fumatore) l'amputazione di una gamba che pur operata non fu possibile salvargli dalla cancrena. 

Dopo l'amputazione le sue condizioni non si risollevarono, anzi... considerato l'inevitabile, imminente destino, gli fu permesso il suo veleno preferito.

Ai familiari (ero presente anch'io) chiesero le disposizioni riguardo l'arto amputato, lasciare che se ne occupasse l'ospedale oppure conservarlo... in attesa...

Dovrei forse riferirvi le condizioni mentali di mio nonno e altri esaurienti particolari e in ultima riferirvi la decisione presa, ma qui non si parla della gamba di mio nonno che è solo il pretesto per parlar della vostra, nel caso capitasse a voi, per voi, decidere.

Tutti più o meno siamo capaci di valutare con il necessario distacco le questioni che riguardano gli altri, e lo facciamo così bene che a volte par ne capiamo più noi dell'interessato, tanto che la nave di Teseo sembra più nostra, appartenere più a noi che al proprietario. 

Per quello, nel titolo uso l'espressione "la nave del filosofo"; (in un certo senso) avete preso possesso della nave parlandone, discutendone. 

Condividendo così un po' della vita del suo capitano, Teseo... che si è ammalato e dovendogli tagliar la gamba vi domanda, al posto suo, cosa fareste dell'arto amputato?

Vi ricordo che è (una lezione di) filosofia pratica, di laboratorio come dicevo (mi scuso per l'involontario umorismo macabro).

Grazie per le risposte.


 
Cordialmente


Jean

sgiombo

#1
Non ho ben capito se il problema é:
cosa decidereste di fare se l' amputazione di una gamba fosse conditio sine qua non per (sperare di; perché potrebbe comunque capitare di morire ugualmente e non necessariamente per errori medici, come non sanno i tanti che quasi sempre a vanvera sparlano spessissimo di "malasanità") salvarvi la vita fosse farvi amputare una gamba?

Oppure: cosa fareste di una gamba amputatavi?

Il primo mi sembra molto più interessante, riguardando il rapporto far qualità e quantità (durata) della vita.

Personalmente, credo di poter dire da epicureo, privilegio il primo aspetto: se mi accorgessi di essere destinato a una grave invalidità (a diventare un peso per me e per i miei cari e a soffrire molto più di quanto potrei ragionevolmente sperare di avere soddisfazioni) credo che non avrei dubbi nel procurarmi per tempo l' eutanasia.
In particolare perdere una gamba significherebbe per me rinunciare a due delle attività che più mi fanno godere la vita: i giri in bicicletta (faticosi ma produttori di endorfine e fonte di grandi soddisfazioni) e quelli alquanto spericolati in moto (coi quali provare a me stesso le mie buone qualità di "manico").
Tuttavia il fatto di poter continuare a leggere, sentire musica, mangiare e bere cose buone, avere rapporti amicali con ottime persone mi compenserebbe abbondantissimamente dei piaceri a cui dovrei rinunciare, dei quali dunque farei volentieri a meno in cambio della speranza di (e assolutamente non: certezza!) prolungare la mia vita.

Circa il secondo quesito, forse un po' narcisisticamente mi piacerebbe farla seccare per poterla mostrare agli amici...
Però a pensarci bene, considerata la possibilità che l' umidità la facesse putrefare, la farei cremare (io stesso, "nella mia più o meno completa integrità", desidero esser cremato -dopo morto ovviamente e ...senza fretta- perché l' idea che quello che fu il mio corpo divenga una schifezza puzzolente piena di vermi mi fa ribrezzo).

(Per la cronaca: pur non essendo proprio perso fra le nuvole come il Socrate di Aristofane, spesso non trovo motivazioni per attività pratiche, soprattutto se volte all' arricchimento fisico-materiale; però me la cavo abbastanza bene per piccole riparazioni domestiche, che stimolano invece molto il mio limitato ingegno).

Accidenti, a forza di lamentarmi che sono vecchio sono stato passato nella categoria "utente anziano".
Ben mi sta!

Sariputra

AH!...Jean, Jean...se non ci fossi bisognerebbe inventarti!! ;D ;D  


Il quesito, nel quale aleggia un soave sfottò alle dispute puramente teoriche del topic da me lanciato, sembra un laboratorio pratico, ma invece si rivela un banco prova proprio per le bislacche teorie dell'altro topic. Una vita senza una gamba è sempre una vita...ma non è la stessa vita che conducevamo. La gamba è nostra  o non lo è? Lo è quando è attaccata al resto del corpo , ma non son sicuro che lo è quando è staccata. Zanardi raccontava che , per molto tempo dopo la doppia amputazione, si sentiva ancora tutte e due le gambe. Gli facevano male , gli prudevano. La gamba è "anche " nella testa, se così si può dire. L' arto non è essenziale alla vita. L'importante è che non amputino per sbaglio qualcosa di pendente e molto vicino alla gamba! Quello sarebbe veramente un grosso guaio, anche se si favoleggia di miracolose protesi atte all'uopo che risolvono in un batter d'occhio anche pregressi "problemini", tipici dell'età dell'amico Sgiombo ( del quale son sicuro il solido epicureo non soffra... 8) ). Non credo che desidereri abbracciare per l'ultima volta il mio povero arto, salutandolo con una lagrima in viso, raccomandandogli di riguardarsi e di non correre troppo. Ho avuto la fortuna di non prendere questa decisione, sul cosa farne di un pezzetto del mio corpo, quando a 15 anni mi è stato tagliato un pezzo di intestino , in cancrena causa una peritonite.  Il chirurgo ha pensato bene di non presentarsi davanti a me e ai miei genitori con il pezzo di colon penzolante in mano. Gliene sono , ovviamente, molto grato. Credo che, quando si osserva una parte di noi diventata altro da noi, si provi una sorta di orrore, di naturale ribrezzo, tale da distogliere la vista immediatamente. Per questo non vorrei più saperne alcunchè del destino dell'arto amputato. E' preferibile entrare nella cassa con un solo arto, ma nostro, che con due , ma uno di questi diventatoci estraneo. E' preferibile essere infornati con una parte in meno, piuttosto che con una attaccata con il vinavil. Lo considererei volgarmente rozzo, poco "signorile" dimostrare un simile attaccamento per il corpo, quasi antiestetico Per tornare a Zanardi, lui stesso ammette che adesso i suoi due arti artificiali sono teneramente amati, gli sono cari quanto le sue fu-gambe, dimostrando la tenacia della mente nell'attaccarsi a qualsiasi cosa ritenga appartenergli. Zanardi si sente Zanardi anche mentre osserva dal letto le due nuove gambe metalliche che se ne stanno ritte da sole in un angoletto della camera. Ma è lo stesso Zanardi?... :)

P.S. Una cosa mi darebbe un senso di fastidio. Il fatto di sapere che la mia gamba venisse imbalsamata e messa in mostra in qualche circo scientifico che gira il mondo mostrando pezzi, o cadaveri interi squoiati, di esseri umani, giusto per suscitare orrore misto a stupida ilarità.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

maral

C'è anche il caso opposto: quello di una parte che non si sente più parte di se stessi pur se attaccata a ciò che si avverte come la propria identità; ad esempio una gamba che, come racconta Oliver Sacks, gli fu riaggiustata malamente dopo una brutta frattura, con conseguenti problemi di innervazione e tutto l'orrore del paziente nel trovarsi attaccato al proprio corpo una sorta di appendice del tutto estranea, che non sentiva e non rispondeva. Sia il caso di Zanardi che di Sacks rivelano che l'identità dopotutto, almeno nell'umano (forse l'unico essere che effettivamente può identificarsi in un'identità e vedere il mondo popolato di identità) riferisce al significato operativo delle parti, al ruolo che esse assumono per il significato attuale della nostra autopoiesi.
Certo Zanardi con le sue gambe nuove che la tecnologia gli ha dato non è più lo Zanardi con le gambe che la "natura" gli aveva dato, anche se i due Zanardi in qualche modo sono  nel presente collegati in una storia (la storia che conferisce a quelle due identità un'unica identità). Infatti, se lo Zanardi di prima avesse visto dal letto le "sue gambe" ritte da sole in un angoletto della camera avrebbe avuto seri dubbi sulla sua sanità mentale, quello di adesso invece può trovarlo perfettamente normale. E' il significato che fa tutto.   

lorenzo

#4
Jean ci chiede: "cosa fareste dell'arto amputato?"
Risposta: si mette la sera sotto una campana di vetro e la mattina ci si trova un soldino. :)
Ma è forse più interessante la questione richiamata nel titolo (la nave di Teseo), la quale rinvia al problema della distinzione aristotelica tra forma e materia.
Cito da ENIGMI DELL'ANIMA di Rudolf Steiner precisamente a pag. 53, Dell'astrattezza dei concetti tratto dal sitohttp://digilander.libero.it/VNereo/R_Steiner-Enigmi-dell-anima.pdf
Citazione L'uomo si forma concetti sulla realtà sensibile. Per la teoria della conoscenza sorge il problema di come ciò che l'uomo ritiene nella sua anima come concetto di un'entità reale, o di un avvenimento, si rapporti a quell'entità reale, a quell'avvenimento. Il concetto di lupo che porto in me ha qualche rapporto con una realtà, o è semplicemente uno schema creato dalla mia anima, schema che mi sono formato nella misura in cui prescindo (astraggo) da ciò che è peculiare di questo o di quel lupo, ma a cui non corrisponde nulla nel mondo reale? Questo problema fu ampliamente esaminato nella disputa medioevale tra nominalisti e realisti. Per i nominalisti nel lupo sono reali solo le sostanze visibili presenti in esso in quanto singolo individuo: la carne, il sangue, le ossa, e così via. Il concetto "lupo" è "semplicemente" un riepilogo mentale delle caratteristiche comuni ai diversi lupi. Il realista replica: ogni sostanza che si trovi nel singolo lupo si incontra anche in altri animali. Ci deve essere qualcosa che ordina la materia nella connessione vivente in cui essa si trova nel lupo. Questa realtà ordinatrice è data attraverso il concetto.
Si dovrà ora ammettere che Vincenz Knauer (1828-1894, filosofo) l'eminente conoscitore di Aristotele e della filosofia medioevale, nel suo libro "Die Hauptprobleme der Philosophie" (Wien 1892), nella trattazione della teoria aristotelica della conoscenza (pag. 137) dice qualcosa di eccellente con le parole: "Ad esempio il lupo non è composto di alcun altro elemento materiale che di agnello; la sua corporeità materiale si forma da carne d'agnello assimilata; ma il lupo non diventa agnello, anche se per tutta la vita non mangia altro che agnelli. "Ciò che quindi fa di lui un lupo dev'essere ovviamente qualcos'altro della Hyle, la materia sensibile, e invero non deve e non può essere alcuna entità ideale, sebbene sia accessibile solo al pensiero, non al senso, ma qualcosa di operante, quindi di reale, molto reale". Ma nel senso di un esame puramente antropologico, come si può arrivare alla realtà a cui si accenna qui? Quanto è comunicato all'anima dai sensi non da' il concetto "lupo".
Buona setimana a tutti.
Gli USA importano merci ed esportano dollàri.

Eutidemo

Caro Jean, 
personalmente, io già ho cominciato a perdere qualche pezzo (per ora, un rene, la prostata e l'emicranio destro); e, sinceramente, non ho nemmeno chiesto come li avrebbero riutilizzati, perchè non me ne importava assolutamente niente!
Come non me ne importerebbe niente neanche di perdere l'intero corpo; il che, forse, sarebbe meglio...così non farei la parte dell'avaro che vuole morire a rate! ;)
***
Quanto alla perdita di un'eventuale gamba, dovendo sceglierne la destinazione, non avrei alcun dubbio:
1) se fosse ancora utilizzabile, ne farei dono al primo invalido in lista di attesa sempre ammesso che il trapianto di gamba sia in futuro possibile;
2) Se ciò non fosse possibile, ne farei dono ai gatti del giardino dell'ospedale, come sicuramente avranno fatto per il mio rene e la mia prostata.
A quanto ho sentito, invece, pare che il mio emicranio destro lo stia usando in chirurgo come portacenere; mi fa piacere che almeno, adesso, serva a qualcosa! :D
***

Apeiron

Si è veramente se stessi quando si smette di pensare a cosa definisce "essere se stessi". Dopo che ho rimosso la mia gamba io sono rimasto e non sono rimasto me stesso. Ma rimango me stesso solo se non ci penso, è il pensiero che "attacca" l'io facendo pensare che sia "morto", il quale io ora si sente minacciato e si ribella. Soluzione: non cercate di definire l'io  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: lorenzo il 10 Aprile 2017, 11:07:17 AM
Jean ci chiede: "cosa fareste dell'arto amputato?"
Risposta: si mette la sera sotto una campana di vetro e la mattina ci si trova un soldino. :)
Ma è forse più interessante la questione richiamata nel titolo (la nave di Teseo), la quale rinvia al problema della distinzione aristotelica tra forma e materia.
Cito da ENIGMI DELL'ANIMA di Rudolf Steiner precisamente a pag. 53, Dell'astrattezza dei concetti tratto dal sitohttp://digilander.libero.it/VNereo/R_Steiner-Enigmi-dell-anima.pdf
Citazione L'uomo si forma concetti sulla realtà sensibile. Per la teoria della conoscenza sorge il problema di come ciò che l'uomo ritiene nella sua anima come concetto di un'entità reale, o di un avvenimento, si rapporti a quell'entità reale, a quell'avvenimento. Il concetto di lupo che porto in me ha qualche rapporto con una realtà, o è semplicemente uno schema creato dalla mia anima, schema che mi sono formato nella misura in cui prescindo (astraggo) da ciò che è peculiare di questo o di quel lupo, ma a cui non corrisponde nulla nel mondo reale? Questo problema fu ampliamente esaminato nella disputa medioevale tra nominalisti e realisti. Per i nominalisti nel lupo sono reali solo le sostanze visibili presenti in esso in quanto singolo individuo: la carne, il sangue, le ossa, e così via. Il concetto "lupo" è "semplicemente" un riepilogo mentale delle caratteristiche comuni ai diversi lupi. Il realista replica: ogni sostanza che si trovi nel singolo lupo si incontra anche in altri animali. Ci deve essere qualcosa che ordina la materia nella connessione vivente in cui essa si trova nel lupo. Questa realtà ordinatrice è data attraverso il concetto.
Si dovrà ora ammettere che Vincenz Knauer (1828-1894, filosofo) l'eminente conoscitore di Aristotele e della filosofia medioevale, nel suo libro "Die Hauptprobleme der Philosophie" (Wien 1892), nella trattazione della teoria aristotelica della conoscenza (pag. 137) dice qualcosa di eccellente con le parole: "Ad esempio il lupo non è composto di alcun altro elemento materiale che di agnello; la sua corporeità materiale si forma da carne d'agnello assimilata; ma il lupo non diventa agnello, anche se per tutta la vita non mangia altro che agnelli. "Ciò che quindi fa di lui un lupo dev'essere ovviamente qualcos'altro della Hyle, la materia sensibile, e invero non deve e non può essere alcuna entità ideale, sebbene sia accessibile solo al pensiero, non al senso, ma qualcosa di operante, quindi di reale, molto reale". Ma nel senso di un esame puramente antropologico, come si può arrivare alla realtà a cui si accenna qui? Quanto è comunicato all'anima dai sensi non da' il concetto "lupo".
Buona setimana a tutti.

CitazioneCiò che fa di un lupo (di ciascun lupo particolare-concreto) un lupo (fra gli altri; e non una pecora) non é il concetto generale-astratto di "lupo", pensabile (e di fatto pensato) da parte dell' uomo, distinguendo ciò che é comune a tutti i lupi particolari-concreti osservati e lo sarebbe anche a eventuali ulteriori lupi particolari-concreti osservabili in futuro da ciò che é proprio solamente di parte di essi, cioé (almeno relativamente) particolare-concreto; infatti di lupi particolari-concreti con le loro caratteristiche generali-teoricamente astraibili ce n' erano anche prima che l' uomo attuale (sapiens) inventasse il linguaggio e probabilmente anche prima che comparissero le specie umane capaci di astrazione (o pensiero astratto, sia pure in forme primitive "pre-linguistiche").

Ciò che fa di un lupo un lupo e non un agnello é qualcosa di molto materiale: le interazioni chimiche (metaboliche) fra il suo genoma (diverso da quelli delle altre specie) e l' ambiente (intra- ed extracellulare).

lorenzo

Oviamente il concetto di triangolo, ad esempio, non è legato ad un particolare triangolo... esisteva anche prima ecc. ecc.
***
Cosa fa del legno una sedia e non un tavolo? 
Risposta: il lavoro del falegname.
Ok. Ripropongo la domanda: cosa ci fa riconoscere in una composizione di legno una sedia e non un tavolo?
Gli USA importano merci ed esportano dollàri.

Apeiron

Citazione di: lorenzo il 12 Aprile 2017, 09:42:01 AMOviamente il concetto di triangolo, ad esempio, non è legato ad un particolare triangolo... esisteva anche prima ecc. ecc. *** Cosa fa del legno una sedia e non un tavolo? Risposta: il lavoro del falegname. Ok. Ripropongo la domanda: cosa ci fa riconoscere in una composizione di legno una sedia e non un tavolo?

L'uso dell'oggetto. Ossia il concetto di sedia è convenzionale... ma è altrettanto inesatto dire che il concetto di sedia "non esiste". Per un macaco la sedia non esiste e nemmeno per un delfino. La sedia, come concetto esiste perchè la nostra cultura (l'insieme delle conoscenze, usi, costumi, linguaggio ecc) lo prevede. Idem per il tavolo. E solo nel contesto della nostra cultura ha senso parlare di sedie e tavoli. Se venisse un uomo, di cultura diversa, e non riconoscesse la sedia come "sedia" ma come un'altra cosa non commette un errore.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

lorenzo

Va bene, e allora: cos'è che, all'interno della nostra cultura, ci fa riconoscere in una composizione di legno una sedia e non un tavolo?
Gli USA importano merci ed esportano dollàri.

Garbino

La nave del filosofo e la gamba di Teseo.

X Lorenzo

Ciò che nella nostra cultura regola questo argomento proviene da molto lontano e sempre dai Greci. Platone in primis con l' idea, e da Aristotele con il sostrato. Anche se è necessario specificare che per Platone risiede nel Mondo delle Idee e viene ricordata dall' anima e per Aristotele nell' ente o se vogliamo nell' intelletto e viene elaborata dal pensiero e poi memorizzata.  Non è altro in fondo ciò che spesso si definisce associazione del nome di un oggetto ad una sua rappresentazione mnemonica e che quindi varia  nella sua forma da individuo ad individuo. Cioè ciascuno ad esempio ha una sua idea di gatto ma è indiscutibile che ogni forma pensata per l' animale gatto poi rappresenta comunque un gatto.

X Jean

La nave del filosofo è a mio avviso un paragone calzante per delineare il carattere del filosofo. Un carattere che cioè deve essere pronto ad affrontare mille insidie e tempeste se ha a cuore l' interesse della cultura e perciò della conoscenza. Una nave che necessita un Teseo che abbia i piedi ben piantati sulla tolda se vuole uscire vivo dall' immane compito che l' attende. Riferendosi comunque a ben altri piedi e cioè gambe è ovvio che la perdita di una gamba, per quanto debilitante a livello fisico, non può che passare in secondo piano rispetto ai ben più titanici problemi che il vasto oceano della cultura e della conoscenza gli pongono di fronte. Ma quanta soddisfazione subentra e prova il filosofo quando incomincia a scorgere terra, una terra qualsiasi, un vibrare nell' anima di un estasi relazionata a ciò che questo accadere rappresenta dopo aver solcato mille mari e superato mille tempeste.
A presto e sempre con stima.

Garbino Vento di Tempesta.

lorenzo

#12
Ciao Garbino.
Possiamo dire che ad una percezione, attraverso l'osservazione pensante, cerchiamo di associare un determinato concetto? Che percezione e  concetto sono le due facce di una stessa realtà?
Gli USA importano merci ed esportano dollàri.

Garbino

La nave del filosofo e la gamba di Teseo.

Ciao Lorenzo. A me sembra che più che ad un concetto in me l' associazione avviene con un' immagine. E che soltanto se dobbiamo memorizzare un concetto l' azione avviene concettualmente, e a mio avviso, con più difficoltà a livello mnemonico. E questo ritengo che debba essere collegato all' uso del senso ottico che ormai per la sua alta definizione, cosa che per altre specie non avviene, tende sempre più a diventare il senso più importante di cui disponiamo. E' ovvio che se si pensa ad un cieco non posso neanche immaginare come il fenomeno si presenti, anche se probabilmente avviene ricorrendo a tutti gli altri sensi.  Quindi, a mio avviso ad una percezione noi comunemente soliamo associare un' immagine.
Naturalmente è la prima volta che approfondisco questo argomento e perciò posso anche sbagliare, ma per il momento posso considerare questa la mia opinione. 

Garbino Vento di Tempesta.

Apeiron

Citazione di: lorenzo il 12 Aprile 2017, 21:53:45 PMVa bene, e allora: cos'è che, all'interno della nostra cultura, ci fa riconoscere in una composizione di legno una sedia e non un tavolo?

Il fatto che sappiamo a che scopo quelle composizioni (bella parola, devo dire che me la ero quasi dimenticata   :D ) sono state fatte, ce lo hanno insegnato fin da quando eravamo molto piccoli ecc. Quello che sto dicendo io non è che sedie e tavoli sono indistinguibili ma che il concetto "sedia" non esaurisce la realtà dell'oggetto "sedia". Idem i concetti che facciamo della nostra identità, se ci fai caso.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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