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La morte

Aperto da daniele75, 09 Novembre 2019, 07:44:10 AM

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Ipazia

Citazione di: Franco il 18 Novembre 2019, 13:52:08 PM
Per tornare alla questione della morte: altro è la convinzione che dopo la morte sia - scrivo sia - una condizione di beatitudine ultraterrena, altro è la convinzione che si muoia. La realtà di chi di quella beatitudine è convinto non cessa di essere perché altri ne mostrano il carattere illusorio.

Mai mi sognerei di negare la realtà di un'illusione. Mi limito a segnare il confine tra realtà e illusione, consegnando alla psicologia lo studio della realtà dell'illusione e alla biologia la realtà della realtà.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

Il nulla è da dove veniamo, il presente è l'esistenza, il nulla è dove andremo?
E questo avrebbe un senso logico,esistenziale, intuitivo?
Che senso ha : ?-esisto-?. Nascita e morte interrogativi e in mezzo l'esistenza?
Chi accetta questa non-logica, non solo ha demolito i paradigmi, ma anche se stesso.

Tutto si trasforma affinché nulla è? Appunto il nulla.
Noi veniamo dal nulla e torniamo nel nulla, e intanto appariamo? Non è la scienza degli apparati
sensitivi amplificati, di microscopi e telescopi che può dare risposte.
Che senso ha una vita fra due punti interrogativi: quale morale, etica, che senso ha gioire e soffrire se dal nulla torniamo? Ma dire nulla come luogo da dove veniamo e torniamo non è più il nulla , è qualcosa, e dire che tutto si trasforma è come dire che ciò che appare non-è, perché non apparirà per sempre per divenire cosa? Un'altra cosa fuori di sé?Un è che non-è.?

Ogni cosa ha un senso, persino la nostra ignoranza. La morte è solo un tempo, come una stagione.

Jean

Citazione di: paul11 il 19 Novembre 2019, 16:20:31 PM
Il nulla è da dove veniamo, il presente è l'esistenza, il nulla è dove andremo?
E questo avrebbe un senso logico,esistenziale, intuitivo?
Che senso ha : ?-esisto-?. Nascita e morte interrogativi e in mezzo l'esistenza?
Chi accetta questa non-logica, non solo ha demolito i paradigmi, ma anche se stesso.

Tutto si trasforma affinché nulla è? Appunto il nulla.
Noi veniamo dal nulla e torniamo nel nulla, e intanto appariamo? Non è la scienza degli apparati
sensitivi amplificati, di microscopi e telescopi che può dare risposte.
Che senso ha una vita fra due punti interrogativi: quale morale, etica, che senso ha gioire e soffrire se dal nulla torniamo? Ma dire nulla come luogo da dove veniamo e torniamo non è più il nulla , è qualcosa, e dire che tutto si trasforma è come dire che ciò che appare non-è, perché non apparirà per sempre per divenire cosa? Un'altra cosa fuori di sé?Un è che non-è.?

Ogni cosa ha un senso, persino la nostra ignoranza. La morte è solo un tempo, come una stagione.

C'è un segno che distingue l'ombra dalla luce
un segno che separa il fiume dalla sponda,
un altro rende il senso quando ti traduce
in parola scritta il mister che ti circonda.

Ampio come fiume, sottile qual capello
il vento lo cancella e l'acqua lo scolpisce
pur se l'ama, come statua il suo scalpello
cui deve la forma che il pubblico stupisce.

L'imago vede il marmoreo manufatto
cinto qual corona da innumerosi tocchi
a trar la vita mentre il blocco vien disfatto
e infin uscirne dall'iride degli occhi.

Anche c'è un segno quando s'appressa il tempo
per quelli che cercano la rima di chiusura,
chi avanti di gettar la lega nello stampo
l'abbia ben pulito per bloccare la morsura.

Orbene questa traccia ci lega tutti quanti
qual filo dell'ordito sul qual cresce la trama
di magici color che lo spazio tien distanti
intanto che la notte affilerà la lama.

Uno dopo l'altro veniam colti dall'ignoto
ma uno dopo l'altro da esso proveniamo,
se v'è inizio e fine allora non è vuoto,
se tu mi rispondi vuol dir che io ti chiamo.


La morte è uno dei miei interessi... quello cui dedico numerosi momenti di riflessione durante il giorno (sin che avrò la fortuna di viverne).
Realizzato che ogni discorso non ne scalfisce il mistero, personalmente ho trovato maggior soddisfazione con un differente approccio, quello poetico.
Il post dell'amico paul11 (forse) presenta delle affinità con questa mia poesia così ho sentito di unirli, cogliendo l'occasione per salutarlo.

(PS – la poesia è collegata ad un disegno – di Michelangelo – e chi fosse interessato può visionarla qui: https://www.lamacchinadiluce.com/2019/07/madonna-gennaio-2017.html  )


Cordialement
Jean  

Phil

Mi permetto di parassitare inadeguatamente i versi di Jean:

«C'è un segno che distingue l'ombra dalla luce
un segno che separa il fiume dalla sponda,
un altro rende il senso quando ti traduce
in parola scritta il mister che ti circonda»
e pare allora che il trambusto si riduce
al mite silenzio in cui tutto sprofonda.

«Ampio come fiume, sottile qual capello
il vento lo cancella e l'acqua lo scolpisce
pur se l'ama, come statua il suo scalpello
cui deve la forma che il pubblico stupisce»
ammaliata folla accalcata in gran ostello
la cui permanenza come inizia, così finisce.

«L'imago vede il marmoreo manufatto
cinto qual corona da innumerosi tocchi
a trar la vita mentre il blocco vien disfatto
e infin uscirne dall'iride degli occhi»
che misterioso è l'autore d'ogni impatto,
come se l'ignoto fosse in cerca di balocchi.

«Anche c'è un segno quando s'appressa il tempo
per quelli che cercano la rima di chiusura,
chi avanti di gettar la lega nello stampo
l'abbia ben pulito per bloccare la morsura»
chi percorre assorto il suo ultimo campo
per dar vita al perenne ciclo della natura.

«Orbene questa traccia ci lega tutti quanti
qual filo dell'ordito sul qual cresce la trama
di magici color che lo spazio tien distanti
intanto che la notte affilerà la lama»
e se ci vorran giorni, anni, oppure istanti,
c'accoglierà l'abbraccio della paziente dama.

«Uno dopo l'altro veniam colti dall'ignoto
ma uno dopo l'altro da esso proveniamo,
se v'è inizio e fine allora non è vuoto,
se tu mi rispondi vuol dir che io ti chiamo»
e se restiamo muti e indugiamo un poco,
sarà nell'attesa il senso che cerchiamo?

Franco

Citazione
CitazioneFranco ( =F):

Per tornare alla questione della morte: altro è la convinzione che dopo la morte  sia - scrivo  sia - una condizione di beatitudine ultraterrena, altro è la convinzione che si muoia. La realtà di chi di quella beatitudine è convinto non cessa di essere perché altri ne mostrano il carattere illusorio. 



Ipazia:

Mai mi sognerei di negare la realtà di un'illusione. Mi limito a segnare il confine tra realtà e illusione, consegnando alla psicologia lo studio della realtà dell'illusione e alla biologia la realtà della realtà.

F:

Bene, ci siamo. Solo tenendo ben ferma la distinzione tra il piano della realtà della fede da quella della realtà del carattere illusorio di certi suoi contenuti, è possibile porre sul suo giusto terreno la problematica della fede religiosa quale declinazione fondamentale della necessità di pensare la morte come tra - passo da essere a essere e non da essere a nulla. Dico della necessita di pensare la morte come tra - passo , dunque della necessità di pensare la morte come ciò che non presenta i caratteri della definitivita'. 

Che la fede religiosa nell'essere dopo la morte sia ( = che essa sia una realtà) implica - tra l'altro - la posizione del problema fondamentale della semantizzazione di ciò che come nulla - dopo - la morte viene posto nella riflessione sul fenomeno della morte. Che cosa significherebbe il termine "nulla" nell'espressione "nulla - dopo - la - morte"? Perché, come fa daniele75, ci si affretta a dichiarare il nulla dopo la morte, ossia la morte come annichilimento? Non tradisce la formulazione stessa dell'affermazione dell'annullamento della morte (genitivo soggettivo) qualcosa come una concezione riduzionista della coscienza? Che cosa propriamente muore con la morte? Che il morto più non ci parli è forse la dimostrazione dell'annichilimento della sua coscienza? Rientra forse nella nostra capacità percettiva che il morto non sia più cosciente? Di più, come facciamo a pensare il dopo - morte del morto? Che cos'è il "fatto" del pensamento del dopo - morte? Prima o poi la morte ci tocca. Assistiamo alla morte di un certo numero di individui viventi, piante, animali, uomini.  Noi stessi saremo il contenuto morto dell'esperienza percettiva altrui. Non è forse la reciprocità di tale esperienza una traccia se non una prova della nostra eternità? Che cosa è infatti certo nel fenomeno della morte e del morire se non la reciprocità del pensare la morte altrui? 

Jacopus

CitazioneNon è forse la reciprocità di tale esperienza una traccia se non una prova della nostra eternità? 
Direi di no. La capacità di "metterci nei panni degli altri", compresi quelli funebri, fa parte della nostra architettura cerebrale, neuroni specchio, circuito dell'empatia, autoriflessivita'. Un cervello pertanto alquanto complesso, ma che non è collegabile al momento, ad una situazione di immortalità, se non nei termini della poesia o della religione.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

niko

Intervengo di nuovo perchè mi dispiace non essere stato chiaro nei miei interventi precedenti, spero che adesso quello che voglio dire si capisca:

Riporto la definizione che da wikipedia, appoggiandosi al dizionario di filosofia Treccani, del concetto di vertità, perché questo si lega al nulla-dopo-la-morte come ultima e neanche tanto disperata eternizzazione del soggetto: il nulla come e tomba-aldilà in cui il soggetto e la coscienza continuano paradossalmente ad esistere, nel senso etimologico di esistenza, ricevendo l'essere dal nulla. Anche per pensare il nulla, cioè per essere morti, si deve ex-sistere, quantomeno perché si è l'ente per cui il nulla, come accordo delle cose alla parola, come coerenza esistenziale, è vero, è un fatto, mentre è falso, non è un fatto, in altre circostanze e per altri enti. C'è bisogno del contributo prospettico, e quindi esistenziale, del defunto perchè quel nulla assoluto a cui si suppone sia ridotta la coscienza del defunto (in cui si suppone sia sprofondata) sia vero, altrimenti quel nulla, come stato di fatto descrivibile a parole dai vivi e confrontato con lo stato di fatto del mondo, è falso, quantomeno perchè il mondo è il luogo dell'essere, e del divenire.

Anche in una definizione sociale della verità, il defunto è in un solipsismo, è in un nulla che percepisce solo lui, che è falso per tutti gli altri ma è vero per lui. Se veramente il defunto è nel nulla, quel nulla è un nulla che ha bisogno di lui come soggetto generico per essere vero, per (non) manifestarsi anche solo come nulla; non è un nulla autonomo, autosussistente. Defunto e nulla si eternizzano e si "danno l'essere" a vicenda: sono quella corrispondenza tra soggetto e oggetto, quell'uno, che in molte tradizioni filosofiche è la verità.

scrive wikipedia:

Con il termine verità(inlatinoveritas, in grecoἀλήθεια) si indica il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso (...) Per Parmenidela verità si fonda sull'indistinzione, o coincidenza, tra pensieroed essere, tra logicae ontologia, che avrebbe contraddistinto tutto il pensiero antico: egli non attribuisce alla verità nessuna determinazione, appellandosi piuttosto al rigore logicoche vede la verità rigorosamente contrapposta all'errore, per cui semplicemente l'«essere è», e il «non-essere non è. (...) Nellafilosofia modernail problema gnoseologico degli strumenti di ricerca della verità diventa preponderante, soprattutto in Cartesioche individua nel cogitoil metodo fondamentale per distinguere il vero dal falso; mentre Kantdarà per scontata la verità preoccupandosi piuttosto delle possibilità di accesso alla verità.

Ora, se la verità è:

"il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso"

E' evidente che solo il defunto può essere in accordo con il nulla-della-morte e percepirlo come una realtà oggettiva, e solo per il defunto il nulla-della-morte esiste in senso assoluto e non può essere falso.
Dopo la morte il mondo continua ed è un'estensione eterna, infinita e soprattutto impenetrabile di essere, il nulla-della-morte non ha luogo e non ha tempo, non ha localizzazione se non nell'interiorità del defunto, che è assurdamente tratto fuori dal mondo, per quanto il mondo sia infinito, e non percepisce e non prova più nulla, ma questo vuol dire che l'interiorità del defunto non è annientata, non è realmente tolta come interiorità, perché è il luogo in cui fluisce ed è vero quel nulla, che non è vero da nessuna altra parte del mondo e in nessuna coscienza di essere ancora vivente, cioè da nessuna parte dell'essere sopravvivente al defunto.

E' evidente che il nulla della morte è un nulla gnoseologico e non ontologico, un nulla che si riduce all'indefinito e quindi al campo della coscienza come pura possibilità, pure virtualità. Nell'interiorità del defunto si da lo stato di cose che è correttamente descritto dalla parola "nulla", questo stato di cose non si da da nessuna altra parte del mondo e in nessuna altra coscienza che sia di essere ancora vivente, quindi nella parola nulla c'è, quantomeno per i vivi che la pronunciano, la convinzione che l'interiorità, il campo di coscienza del defunto, esista: appunto il nulla è una tomba, un costrutto per eternizzare i defunti, e in certi casi anche per pensare che stiano "bene", e che anche noi stremo bene, quando staremo nel "nulla".

Il nulla assoluto come realtà materiale non si trova da nessuna parte nell'eternità spaziale e temporale del mondo prima e dopo di noi, quindi è evidente che il suo "essere", il suo eventuale "essere vero" è uno stato psicologico, un fatto di coscienza, e quindi quel nulla non riesce realmente ad annullare la coscienza, ma solo a farla precipitare nell'oblio, nell'indefinito. Oblio che anche nel senso comune del termine (il termine oblio per come è usato di solito) è il nulla solo-della-coscienza, e non di tutto l'essere.

Ovviamente la coscienza che percepisce il nulla è spersonalizzata, non è la coscienza di qualcuno, ma la coscienza che corrisponde perfettamente a quel nulla che percepisce, ma qui si tocca appunto il problema del soggetto, e mi vengono in mente i filosofi che hanno pensato le forme generiche universali e impersonali del pensare (principalmente Cartesio e Kant) o la verità come corrispondenza di soggetto e oggetto (principalmente Hegel).


Ma anche pensando a Parmenide, se accettiamo l'identità di di essere e pensiero, non possiamo non accettare anche l'inverso di questa proposizione, cioè che il nulla, in quanto opposto dell'essere, sia la differenza intercorrente tra essere e pensiero, stante che l'essere è l'identità, di essere e pensiero.

Il nulla è pensiero che è falso perché non pensa l'essere; il pensiero che non si riferisce all'essere e non lo pensa è il nulla, perché è l'impossibile forma vuota del pensiero, vuota di contenuti, di fatti, di percezioni, di voci, eccetera. I morti sono nel nulla, e quindi nella differenza-tra-essere-e-pensiero: essi o sono senza pensare, o pensano il non essere, la forma vuota del pensiero, due stati minimi possibili di soggettività che nel nulla concepito come differenza di essere e pensiero sono lo stesso: allora la loro anima è lo stato larvale, quello che sopravvive nell'ade come coscienza vuota, incosciente.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

bobmax

#82
Ciao Niko,
percepisco una grande passione nei tuoi interventi.

Tuttavia mi riesce difficile seguirti. Questa difficoltà dipende senz'altro anche dai miei limiti, ma ritengo vi sia pure dell'altro.

Poiché mi pare d'intravedere in cosa possa consistere quest'altra possibile causa, che rende difficile la comprensione almeno per me, provo qui a descriverla. Scusami sin d'ora se non ti troverai d'accordo.

Ho l'impressione che vi sia come uno scoglio dove s'infrangono le ondate della tua passione.
Questo scoglio consiste nel cercare di trattare l'assoluto come fosse relativo, e ciò non è possibile.

Bene hai fatto a introdurre il tuo ultimo discorso proponendo una definizione di Verità.
Perché è proprio lì, a mio avviso, lo scoglio. Ossia nel presupporre "ovvio" dover dare una definizione del Vero.

Perché una definizione è senz'altro utile, indispensabile, se rimaniamo nell'ambito dell'esserci mondano. Ossia se consideriamo ciò che in sostanza è necessariamente "relativo".
Ma se desideriamo rivolgerci all'assoluto, allora non c'è definizione che tenga.

Nel nostro esserci, il "vero" può benissimo essere inteso come:

"il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso"

Ma ciò è valido rimanendo però sempre consapevoli che questa "verità" è pur sempre relativa, mai assoluta.
L'accordo e la coerenza sono sempre relativi, mai assoluti. Così come non esiste alcun dato o realtà oggettiva veri di per sé.
E che quel "senso assoluto" è solo un modo di dire.
Consapevoli, inoltre, di quel "ciò" che non può certo essere assoluto, essendo un qualcosa, e anche di quel "non può essere falso".

Difatti la verità, nell'esserci (ossia nel relativo), non consiste mai di una semplice affermazione, che non avrebbe alcun senso. Ma consiste nel suo continuo imporsi come negazione di ogni possibile falsità.
L'A = A, per esempio consiste nella negazione di ogni possibile non A. Una negazione che necessita di essere continuamente riconfermata.

Tuttavia, questa "verità" non può essere Assoluta.
Per la semplice ragione, che l'Assoluto non può avere legame di sorta.
Neppure la necessità di negare ciò che non è!

Può sembrare una questione di lana caprina... ma non lo è affatto!

Che sia invece sostanziale, lo possiamo intuire se ci spingiamo ai limiti del comprensibile.

Per esempio, cercando di pensare il Tutto, possiamo cogliere che il Tutto non può essere "qualcosa"!
Difatti il Tutto è... assoluto.

Se invece non si avverte il limite, in cui si infrange inevitabilmente la mente che vorrebbe raggiungere l'assoluto, il pensiero finisce immancabilmente per avvitarsi su se stesso.

Capitava a Kant. E capita pure nei tuoi scritti. E' l'onestà intellettuale, che non vuole ingannarsi, e cerca la Verità. Senza però avvertirne il limite. E così vi rimbalza inconsapevole e prende a girare su se stessa.

Spero di non aver turbato al tua sensibilità. Perché non era per niente mia intenzione.

Ti auguro ogni bene  
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Franco

Citazione
CitazioneFranco (=F):

Non è forse la reciprocità di tale esperienza una traccia se non una prova della nostra eternità? 


Jacopus:

Direi di no. La capacità di "metterci nei panni degli altri", cohmpresi quelli funebri, fa parte della nostra architettura cerebrale, neuroni specchio, circuito dell'empatia, autoriflessivita'. Un cervello pertanto alquanto complesso, ma che non è collegabile al momento, ad una situazione di immortalità, se non nei termini della poesia o della religione.

F:

Il mio discorso è ben più complesso e non è stato avvistato da Jacopus. Che questo sia vero è indicato almeno dalla circostanza nella quale jacopus ritiene di avanzare un rilievo critico facendo subito e dunque essenzialmente uso del linguaggio metaforico. Il quale a ben considerare è proprio quello del quale si sostanzia quella dimensione poetica e religiosa pur da lui medesimo considerate come le "sole collegabili ad una situazione di immortalità". 

Ciò che ho inteso iniziare a discutere non è affatto qualcosa come la "capacità di mettersi nei panni altrui" nel senso della capacità di immedesimarsi nell'aspettativa della morte, - il che è l'unica interpretazione possibile della metafora, salvo pensare di potersi immedesimare in un nulla di coscienza come nulla del dopo morte -  bensì la certezza della coscienza della reciprocità della esperienza della morte e del defunto. Che una serie di cuori smetta di battere non equivale al rilevamento fenomenologico della morte della coscienza. Come già iniziato a dire, si fa esperienza della morte degli altri, ossia si fa esperienza ( = è un contenuto fenomenologico) del venir meno di una serie di eventi corporei, (della parola, del battito cardiaco, della funzione respiratoria...) ma non del venir meno della coscienza. 

niko

#84
Citazione di: bobmax il 21 Novembre 2019, 14:40:32 PM
Ciao Niko,
percepisco una grande passione nei tuoi interventi.

Tuttavia mi riesce difficile seguirti. Questa difficoltà dipende senz'altro anche dai miei limiti, ma ritengo vi sia pure dell'altro.

Poiché mi pare d'intravedere in cosa possa consistere quest'altra possibile causa, che rende difficile la comprensione almeno per me, provo qui a descriverla. Scusami sin d'ora se non ti troverai d'accordo.

Ho l'impressione che vi sia come uno scoglio dove s'infrangono le ondate della tua passione.
Questo scoglio consiste nel cercare di trattare l'assoluto come fosse relativo, e ciò non è possibile.

Bene hai fatto a introdurre il tuo ultimo discorso proponendo una definizione di Verità.
Perché è proprio lì, a mio avviso, lo scoglio. Ossia nel presupporre "ovvio" dover dare una definizione del Vero.

Perché una definizione è senz'altro utile, indispensabile, se rimaniamo nell'ambito dell'esserci mondano. Ossia se consideriamo ciò che in sostanza è necessariamente "relativo".
Ma se desideriamo rivolgerci all'assoluto, allora non c'è definizione che tenga.

Nel nostro esserci, il "vero" può benissimo essere inteso come:

"il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso"

Ma ciò è valido rimanendo però sempre consapevoli che questa "verità" è pur sempre relativa, mai assoluta.
L'accordo e la coerenza sono sempre relativi, mai assoluti. Così come non esiste alcun dato o realtà oggettiva veri di per sé.
E che quel "senso assoluto" è solo un modo di dire.
Consapevoli, inoltre, per quel "ciò" che non può certo essere assoluto, essendo un qualcosa, e anche per quel "non può essere falso".

Difatti la verità, nell'esserci (ossia nel relativo), non consiste mai di una semplice affermazione, che non avrebbe alcun senso. Ma consiste nel suo continuo imporsi come negazione di ogni possibile falsità.
L'A = A, per esempio consiste nella negazione di ogni possibile non A. Una negazione che necessita di essere continuamente riconfermata.

Tuttavia, questa "verità" non può essere Assoluta.
Per la semplice ragione, che l'Assoluto non può avere legame di sorta.
Neppure la necessità di negare ciò che non è!

Può sembrare una questione di lana caprina... ma non lo è affatto!

Che sia invece sostanziale, lo possiamo intuire se ci spingiamo ai limiti del comprensibile.

Per esempio, cercando di pensare il Tutto, possiamo cogliere che il Tutto non può essere "qualcosa"!
Difatti il Tutto è... assoluto.

Se invece non si avverte il limite, in cui si infrange inevitabilmente la mente che vorrebbe raggiungere l'assoluto, il pensiero finisce immancabilmente per avvitarsi su se stesso.

Capitava a Kant. E capita pure nei tuoi scritti. E' l'onestà intellettuale, che non vuole ingannarsi, e cerca la Verità. Senza però avvertirne il limite. E così vi rimbalza inconsapevole e prende a girare su se stessa.

Spero di non aver turbato al tua sensibilità. Perché non era per niente mia intenzione.

Ti auguro ogni bene  


Ho capito in che senso non sei d'accordo, ma non ho capito in che senso non hai capito o non mi segui..

Vuoi relativizzare la verità? Ma è quello che anche io sto cercando di dire da tre post:

Il nulla dove vai a finire dopo la morte, non è una verità del mondo o di chi sopravvive, ma una tua prospettiva, una tua verità: una verità che pertiene a te (a te persona generica che pensi di finire nel nulla, che pensi sia questo il tuo destino): nella memoria di chi sopravvive, e nel mondo, quel nulla non c'è! C'è solo l'essere! Si vuole che quel nulla esista, almeno come nulla? Allora si deve ammettere che una pur minima parte della coscienza del defunto sopravviva, per percepire quel nulla che non è da nessuna altra parte e non è percepito da nessun altro..

Nel mondo che ti sopravvive e che ti ha preceduto da sempre e per sempre, ci saranno degli esseri immateriali, esseri di coscienza o di memoria nella mente dei vivi, e degli esseri materiali, sassi, aria, fuoco, pianeti eccetera, ma non certo il nulla: il nulla nel mondo non c'è! E nemmeno nella coscienza altrui, dove con altrui intendo dei vivi, che hanno ancora rappresentazioni e ricordi del mondo materiale! Se c'è, può essere solo nella tua, di coscienza, che deve persistere come coscienza vuota, indeterminata, senza più contatti con gli altri e con il mondo materiale: coscienza di nulla.

In parole povere, quando nasci, si apre una finestra che ti fa vedere una (piccola) parte del mondo, quando muori, la finestra si chiude e non vedi più niente, ma quella non-visione pertiene forse al mondo? E' uno stato del mondo? Niente affatto, pertiene a te! è un tuo stato! E se hai uno stato e qualcosa che ti pertiene, paradossalmente non sei annientato... quel nulla funziona come nulla gnoseologico ma non come nulla ontologico, ti fa avere una corrispondenza tra te stesso, che sei soggetto nullo, e il nulla che ti fa da mondo, da oggetto di percezione, che è oggetto nullo, ma questa corrispondenza è un uno, una verità.

Quindi quel nulla che è il nulla della morte, o tu ci sei che lo inveri, che non percependo e non provando niente lo rendi vero almeno per te laddove non è vero per nessun altro, e allora non sei definitivamente annientato, o la vita è sempre stata un falso, una prospettiva su qualcosa di più complesso o di più semplice che vita non è, e allora quel nulla ne è la continuazione.

Relativizzare una verità significa dargli un luogo e una storia... qui la verità da relativizzare è la verità del nulla-della-morte o del nulla-dopo-la-morte, e appunto, quale altro luogo, e quale altro tempo, per questo nulla, nell'infinità di un mondo pregno e impenetrabile di essere, che non l'interiorità del defunto, che non è più nell'essere e non è più nel mondo? Una cosa che non è nel mondo, che non ha un corrispettivo nel mondo, può stare solo in un'interiorità, in un soggetto, questa cosa nella mia prospettiva corrispondentista della verità può essere solo un errore, ma allora il nulla è errore come lo è la vita, nel nulla la vita continua con altri mezzi..

Quale è l'errore le la semplificazione vera del mio discorso? E' che naturalmente per essere più chiaro e più spiccio ho considerato il nulla una sostanza come un altra, un qualcosa che può essere vero per alcuni e falso per altri, che si aggiunge all'essere e lo completa, e non un'orizzonte impossibile e inattingibile, non come l'impensabile. Ma si può arrivare alle stesse conclusioni anche supponendo che il nulla non esista: il nulla non esiste, quindi non può essere nemmeno un destino o un punto di arrivo, quindi neanche nella morte si va a finire lì. La morte è solo l'oblio, la morte della coscienza, ma una coscienza inattiva, vuota, può essere davvero considerata come inesistente? secondo me no, continua a esistere come possibilità, come virtualità. Ogni negazione è una determinazione, quindi anche la negazione della coscienza che consegue alla morte è una determinazione riferita all'indeterminato, un campo di coscienza che si ripropone come campo virtuale, vuoto, ma impalpabilmente sussistente.

Questa semplificazione è dovuta al fatto che a me interessa indagare soprattutto le condizioni psicologiche e umane che hanno portato a pensare il nulla come destino dopo la morte, non tanto la verità della questione in se. E' evidente, anche solo per esclusione, che un supposto nulla che non sta nel mondo, che non ha corrispettivo nel mondo è uno stato di coscienza (immaginato dai vivi o reale anche per i morti non importa), un qualcosa pertinente anche alla psicologia e all'antropologia: i vivi, (e solo alcuni di loro) hanno immaginato questo stato di coscienza, lo stato di coscienza del nulla in cui si troverebbe chi non è più cosciente, spesso senza vederne le contraddizioni e le implicazioni etiche: pensa che addirittura in questa discussione mi è stato detto che un'etica basata sul pensiero di un eterno ritorno è un fantasma e una paturnia, cioè milioni di persone non si rendono neanche vagamente conto di come anche un'etica -spesso edonistica, raramente titanica o eroica in altro senso- basata sulla brevità della vita e sulla verità epistemica della morte possa essere una paturnia, al vaglio del reale funzionamento della natura e della tecnica, che per me è l'unica verifica possibile di ogni etica.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

doxa

#85
Niko ha scritto
CitazioneSi vuole che quel nulla esista, almeno come nulla? Allora si deve ammettere che una pur minima parte della coscienza del defunto sopravviva, per percepire quel nulla che non è da nessuna altra parte e non è percepito da nessun altro..

Nel mondo che ti sopravvive e che ti ha preceduto da sempre e per sempre, ci saranno degli esseri immateriali, esseri di coscienza o di memoria nella mente dei vivi,

Non capisco perché una minima parte della coscienza del defunto debba sopravvivere per ammettere l'esistenza del "nulla".

Quando si muore non c'è traccia di coscienza nel defunto. Perciò cosa c'entra la coscienza con il nulla post mortem ?

Dici anche
Citazioneil nulla nel mondo non c'è
Ma cosa c'entra il mondo con l'aldilà ?

Chi ha una fede religiosa pensa di andare verso la beatitudine, chi non l'ha può immaginare diverse soluzioni conseguenti la morte, fra le quali il "nulla", perciò, scusami, ma non riesco a seguirti nelle tue lunghe elucubrazioni.

Ci riesci a contenere la tua opinione su questo tema nel massimo di 5 righi ?

Nell'ambito radiotelevisivo il bravo giornalista deve riuscirci.

Ipazia

Citazione di: niko il 21 Novembre 2019, 16:47:12 PM
Quale è l'errore le la semplificazione vera del mio discorso? E' che naturalmente per essere più chiaro e più spiccio ho considerato il nulla una sostanza come un altra e non un'orizzonte impossibile e inattingibile.

Soluzione cui era arrivato Parmenide già due millenni e mezzo fa, che non si limita a dire: il non essere non è, ma mette in guardia dallo scrutarne troppo l'abisso, affermando la "necessità" di questo non essere del non essere in quanto "sentiero del tutto inaccessibile" ad aletheia, alla verità. Questa "necessità" ha un potenziale etico che gli evocatori di fantasmi troppo spesso ignorano.

CitazioneMa si può arrivare alle stesse conclusioni anche supponendo che il nulla non esista: il nulla non esiste, quindi non può essere nemmeno un destino o un punto di arrivo, quindi neanche nella morte si va a finire lì.

Il "quindi" sottolineato è aporetico. La morte è un destino del vivente, inclusa la sua psiche: si va a finire lì e si chiudono tutti i cerchi logici, ermeneutici e reali.

CitazioneLa morte è solo l'oblio, la morte della coscienza, ma una coscienza inattiva, vuota, può essere davvero considerata come inesistente? secondo me no, continua a esistere come possibilità, come virtualità.

La morte non è oblio: è proprio morte. Non c'è una coscienza inattiva, vuota: non c'è proprio più.

CitazioneOgni negazione è una determinazione, quindi anche la negazione della coscienza che consegue alla morte è una determinazione riferita all'indeterminato, un campo di coscienza che si ripropone come campo virtuale, vuoto, ma impalpabilmente sussistente.

Nessuno nega la morte. La morte è un fenomeno naturale oggettivamente dimostrabile. Quel campo di coscienza, come giustamente prosegui, non è riferito al morto ma al vivo che si fa delle idee sull'indeterminato del post mortem. Ma anche qui non farei troppe ipotesi su quell'indeterminatezza dato il suo grado assai basso di relatività, visto che tutti i test sui cadaveri e le loro coscienze defunte lasciano poco spazio all'indeterminazione.  

Citazionequesta semplificazione è dovuta al fatto che a me interessa indagare soprattutto le condizioni psicologiche e umane che hanno portato a pensare il nulla come destino dopo la morte, non tanto la verità della questione in se.

Avessimo seguito il monito di Parmenide ci saremmo sgravati dal nulla e da tutte le paturnie correlate. Ma l'illusionalità umana è fatalmente attratta dall'abisso. E l'abisso ha guardato dentro di noi (cit.)

CitazioneE' evidente, anche solo per esclusione, che un supposto nulla che non sta nel mondo, che non ha corrispettivo nel mondo è uno stato di coscienza (immaginato dai vivi o reale anche per i morti non importa), un qualcosa pertinente anche alla psicologia e all'antropologia: i vivi, (e solo alcuni di loro) hanno immaginato questo stato di coscienza, lo stato di coscienza del nulla, spesso senza vederne le contraddizioni e le implicazioni etiche:

Questi pensieri sono alquanto confusi. Concordo sul fatto, ma non so se corrisponda a ciò che intendi dire, che la coscienza metafisica del nulla ha contraddizioni portatrici anche di implicazioni etiche.

Citazionepensa che addirittura in questa discussione mi è stato detto che un'etica basata sul pensiero di un eterno ritorno è un fantasma e una paturnia, cioè milioni di persone non si rendono neanche vagamente conto di come anche un'etica -spesso edonistica, raramente titanica o eroica in altro senso- basata sulla brevità della vita e sulla verità epistemica della morte possa essere una paturnia, al vaglio del reale funzionamento della natura o della tecnica, che per me è l'unica verifica possibile di ogni etica.

Anche qui non colgo i fili del ragionamento. Vedo di intuirne il senso a partire dalla citazione nicciana, ma tralasciando l'eterno ritorno che non è la soluzione del problema, ma una metafora di essa.

La soluzione sta nella creazione di valori radicati nel reale della vita umana così persuasivi, ovvero veridici in senso parmenideo, da risollevare il bradisismo valoriale subentrato alla "morte di Dio", riuscendo a competere, in meglio, col bagaglio valoriale perduto. In cui, giustamente come affermi, l'unico ethos persuasivo sia da ricercarsi nella dialettica in divenire - anche Eraclito ha la sua parte - tra physis e techne.

(chiedo scusa a bobmax se mi sono frapposta. Condivido la sua critica di fondo al modus operandi di niko e il bersaglio individuato. Non altrettanto, temo, potrò condividere le risposte alle questioni poste. Ma è bello così: sentire tutte le campane.)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

@Niko
 
Non ti seguo proprio perché vuoi relativizzare la Verità.
Cioè appiattisci tutto all'esserci, anche ciò che può avere soltanto un significato metafisico.
 
Essere e Nulla, per esempio, alludono entrambi all'Assoluto, alla sua possibile ambivalenza, ma non hanno alcun significato nel nostro esserci mondano.
Noi diciamo "essere" ma intendiamo "esserci"!
Così come diciamo "nulla" ma intendiamo "non esserci".
 
Perché siamo sempre a valle della scissione soggetto/oggetto. E a valle di questa scissione è esserci. Mentre dell'Essere, ossia a monte della scissione, non sappiamo proprio un bel niente. L'Essere infatti equivale al Nulla.
 
Ora mi pare evidente dal tuo discorso che con nulla tu intendi il non esserci di qualcosa che "avrebbe potuto" esserci.
Di modo che tutto il tuo discorso resta appiattito sull'immanenza. Che è la composizione inestricabile di esserci e non esserci.
Magari parli di essere e nulla, ma intendi sempre esserci e non esserci.
 
In questo modo non riesci evidentemente ad avvertire l'assurdità della famosa domanda: "Perché c'è qualcosa e non piuttosto il nulla?".
Che non è affatto fondamentale come si è voluto far credere, è infatti una domanda vuota. Perché dà per scontato il significato di qualcosa e di nulla, ossia esserci e non esserci, e poi si pone la questione!
Ma è una questione finta!
E così si perde completamente la profondità metafisica che si cela dietro il Nulla.
 
Allo stesso modo, quando affermi: "Il nulla nel mondo non c'è!" non è che una frase vuota, perché intendi: non esserci = non c'è. Ma il non esserci è proprio il non c'è!
 
Vedi come il pensiero si contorce su se stesso?
Ciò avviene perché s'illude di comprendere. Mentre non vi è proprio niente che si possa "prendere"!
 
Ben diverso è l'approccio metafisico.
Dove, affermare: "Il Nulla non c'è!" può essere denso di significato.

Ma in quanto non siamo più mero esserci!
Ossia consapevoli del limite, per cui possiamo pure affermare "L'Essere non c'è!" con la stessa intensità.
Perché avvertiamo come l'Essere sia oltre la dicotomia esserci-non esserci. Cioè oltre la scissione originaria soggetto/oggetto.
 
(Non so Ipazia se condividi questa mia replica, ma anche se ciò non fosse, mi sa che non siamo poi tanto distanti uno dall'altra...)
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Vedi bobmax io posso anche scientemente annullare il mio io e sentirmi parte di un Tutto che potrebbe essere anche Nulla, ma sono certa, al punto di giocarmi la testa che non avrò più, che questo esercizio mentale lo posso fare finchè ci sono, mentre non lo potrò più fare quando non ci sarò più.

Tu puoi anche dire che va bene così, che l'importante è arrivarci metafisicamente. A me non basta, dovrei arrivarci anche fisicamente. Al che tu risponderai che il metafisicamente basta e avanza e il fisicamente è un inganno dell'io. Ma ugualmente non mi convinceresti.

Resto pertanto legata al mio io e al mio esserci, e quando non ci sarò più il Nulla/Tutto/bobmax potrà anche dirmi: "lo vedi che avevo ragione !". Ma poiche io non ci sarò, non potrò nemmeno dargli la soddisfazione di rispondere: "Sì".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Ma Ipazia, anche se comparisse Dio e mi dicesse: "Hai ragione!" non sarebbe comunque sufficiente...
 
Perché subito mi chiederei: "...Siamo certi che intendiamo la stessa cosa? E poi siamo sicuri che si tratti proprio di Dio? E se davvero lo è, come posso esserci ancora io?"
 
Insomma, ciò che conta è percepire il limite.
 
Poi non c'è ragione che tenga. Occorre fare il salto.
 
E il salto è sempre in una direzione: l'Amore.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

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