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La morte

Aperto da daniele75, 09 Novembre 2019, 07:44:10 AM

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Freedom

Citazione di: Ipazia il 17 Novembre 2019, 10:04:24 AM
Se fossimo stati davvero così arroganti  stupidi da ridurre tutto a ciò che possiamo percepire, non avremmo inventato neppure la ruota.
Potrei risponderti che quasi sempre le invenzioni, la fantasia, l'immaginazione, etc. sono state asservite alle necessità materiali (lavorative, militari, etc.) del momento. C'è, per fortuna, quel "quasi sempre". E dunque, vivaddio, esiste l'arte, la ricerca scientifica per amore della scienza, etc. Ma siamo sempre nell'ambito di ciò che si percepisce (laddove per percezione, credo tu possa essere d'accordo, rientra anche la fantasia, l'immaginazione, l'invenzione!). Ma hai ragione a rispondermi come mi hai risposto. Perché hai replicato al significato letterale di quanto da me affermato. Quello che tuttavia volevo significare ma non sono riuscito a far passare nel mio messaggio, era che non possiamo avvertire e dunque negare a priori, ciò che sfugge alla nostra percezione. Laddove, lo ribadisco per chiarezza, la percezione umana è costituita dai 5 sensi più la mente razionale e la mente irrazionale (quest'ultima parola l'avevo omessa e forse questa mancanza ha reso le mie parole non conseguenti a quello che volevo esprimere).

Ho citato i raggi ultravioletti e quelli x perché vennero scoperti quasi per caso. Specialmente gli ultravioletti. Come, tanto per fare una battuta "simpatica", l'LSD.

E qui mi fermo perché siamo in filosofia ma se fossimo in spiritualità.........allora farei balenare la possibilità di una qualche, possibile ma forse non probabile, scoperta spirituale. Che magari potrebbe aggiungere e/o introdurre elementi del tutto nuovi e sorprendenti.

Non è vietato contemplarlo e la mia ostinata speranza è che possa suggerire maggiore cautela e apertura mentale a chi affronta determinati temi.

Citazione di: Ipazia il 17 Novembre 2019, 10:04:24 AMChe la realtà materiale continui a porre enigmi penso sia nella consapevolezza di chi più a fondo la conosce. Basti pensare alla sfida che la malattia mortale per definizione continua a lanciarci.
;)  :)
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

niko

#61
Rispondo a chi mi ha detto di spiegarmi con parole più semplici...

Il nulla non esiste, e quindi in filosofia il nulla dopo la morte, come pensiero filosofico, è l'equivalente di quello che in antropologia è la tomba che segna l'inizio delle antiche civiltà, un costrutto -inesistente prima che l'uomo lo costruisse- che funge da luogo dove "riposare", cioè pretendere di sopravvivere, nell'immaginazione di un oltretomba di qualche tipo o nella memoria dei posteri.

La piramide è fatta di tufo, il nulla di pensiero, ma entrambi sono lì per eternizzare un defunto, la piramide fa segno a un al di là, e pure il nulla, come costrutto di pensiero, fa segno a un al di là, entrambe dicono: "il mondo dell'apparire non è completo, perché oltre a ciò che appare, oltre al mondo sensibile e materiale, c'è pure l'oltretomba e la vita impalpabile del defunto nella memoria, o, in alternativa, pure il nulla, che è comunque anch'esso un oltretomba, e un qualcosa che funge potentissimamente da richiamo del defunto alla memoria."

Il nulla è dunque un costrutto del pensiero inventato con funzione di tomba, una continuazione del culto dei morti con altri mezzi.

Il nulla è speranza come può essere speranza un paradiso con gli angioletti o un nirvana buddista, almeno per due ovvi motivi..

il primo: perché il nulla significa la possibilità di sopravvivere nella memoria dei posteri per chi ne è degno (basti pensare a tutti i popoli che avevano l'epica come enciclopedia tribale, i greci stessi prima della filosofia, chi muore da eroe entra nell'epica, cioè nella vita collettiva del popolo a cui appartiene, tema che c'è anche nei sepolcri del Foscolo).

Il secondo, ancora più grande e ancora più ovvio: perché il nulla è comunque redenzione dalla sofferenza, felicità negativa, non avere bisogni.
Una vita che finisce col nulla, finisce bene, almeno nella lezione di tutti i grandi filosofi che hanno definito il piacere come mera assenza di dolore senza dargli un connotato esistenziale positivo, mi viene in mente Schopenauer, per il quale la vita non finisce per niente con il nulla, ma se per ipotesi (sbagliata) finisse col nulla, finirebbe bene. Se si identifica la vita col desiderio, se si è profondamente romantici o irrazionalisti, non si può che desiderare la morte, se in essa si vede l'avvento del nulla per sé stessi, e quindi la fine dei propri desideri.

Inoltre da un punto di vista epicureo o comunque materialista come si riscontra nella maggior parte dei materialismi, pensare che la vita venga dal nulla e vada a finire nel nulla, giustifica anche in vita, a prescindere dal mio precedente discorso sulla felicità negativa, aver perseguito il piacere e non il dolore, perché il piacere, contrapposto al dolore, è l'unica cosa che vale davanti al nulla da cui veniamo e al nulla che ci aspetta, è l'unica misura dell'esistenza.

Ma il mio intervento voleva dire che la ragione stessa porta a superare il nulla come pensiero del dopo morte, perché il nulla assoluto non esiste, c'è il nulla relativo di quello che ora siamo (appunto diventare scheletro, diventare cenere) ma questo vuol dire diventare radicalmente altro e non annullarsi. Diventare un'alterità inconcepibile e inconoscibile. Infatti mentre il corpo può frammentarsi, il pensiero, il senso del sé, non può frammentarsi, lo diceva già Platone, per il quale l'immortalità dell'anima era data dal suo essere semplice e non composita: le cose composite sono passibili di distruzione -scomposizione-, le cose semplici no: dunque l'anima, che è semplice, sopravviverà al corpo, che è composito.

Con un po' più di razionalità il pensiero del nulla come destino del dopo morte, diventa pensiero dell'oblio, dell'ignoto, del non poter sapere neanche se dopo la morte ci sia il nulla o ci sia il radicalmente altro, ma questo non coglie secondo me ancora la realtà dell'uomo, che è psicosoma, unione di anima è corpo: volendo morire alla conoscenza, entrare dopo la morte nell'ignoto e non necessariamente nel nulla, l'anima vuole morire a se stessa, restare se stessa anche nella morte, vuole affermare di essere fin da ora, fin da  adesso che è viva, pura conoscenza, pura anima: l'oblio, l'entrata nell'inconoscibile, non è un nulla assoluto o qualsiasi, ma è il nulla specifico, "personalizzato" di chi già è, o si ritiene, un ente di pura coscienza/conoscenza: ma noi non siamo pura coscienza/conoscenza, siamo anche corpo e istinto, quindi il nostro destino non può essere solo l'oblio, nella misura in cui fin da ora non siamo solo conoscenza. Non possiamo morire a noi stessi come enti di pura conoscenza, perché non lo siamo, quindi ci sono buone ragioni filosofiche anche contro l'oblio e l'inconoscibilità.

Ricacciati fuori dal nulla e dall'oblio, rimane solo l'eterno ritorno come prospettiva del dopo morte, per questo invitavo a riflettere sulle possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita, il che determinerebbe in qualche misura come vivere, un'etica che dovrebbe valere anche per i vivi.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Freedom

Da un punto di vista matematico, il nulla e il tutto si equivalgono.
Il nulla non si può identificare con lo 0 ma ci si avvicina. Perché + infinito - infinito = nulla
E' interessante notare come il punto (.) in geometria sia senza dimensione cioè 0 quindi parente stretto del nulla.
Così come in insiemistica lo zero è definito come l'insieme vuoto. Dunque ancora parente stretto del nulla.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

bobmax

Citazione di: niko
Ricacciati fuori dal nulla e dall'oblio, rimane solo l'eterno ritorno come prospettiva del dopo morte, per questo invitavo a riflettere sulle possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita, il che determinerebbe in qualche misura come vivere, un'etica che dovrebbe valere anche per i vivi.

L'etica dovrebbe quindi dipendere dalle "possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita"?
Davvero l'etica dovrebbe essere condizionata dall'idea di un eterno ritorno?
A mio avviso, considerazioni di questo tipo possono condurre solo ad una esaltazione della volontà di potenza.

Mentre l'Etica è una sola: Fede nel Bene.

Il nulla assoluto esiste, come possibilità, ed è essenzialmente la possibilità che la fede etica sia un'illusione.
E' l'horror vacui di fronte alla nullità di ogni possibile valore.
Che poco ha a che vedere con la morte in quanto tale, ma ha a che fare con la possibilità che il Bene non sia.

La paura della morte deriva dall'attaccamento all'esserci mondano. Un attaccamento che svanisce quando in gioco vi è il Bene.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

bobmax

Citazione di: Freedom
Da un punto di vista matematico, il nulla e il tutto si equivalgono.

Non solo in matematica.

Il Tutto non è un qualcosa. E ciò che non è qualcosa è nulla.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Jacopus

CitazioneLa paura della morte deriva dall'attaccamento all'esserci mondano. Un attaccamento che svanisce quando in gioco vi è il Bene.
Un principio molto interessante e in cui mi riconosco molto. Ti posso chiedere se è collegato a qualche teoria filosofica o spirituale? In generale il tuo modo di pensare mi sembra, nella mia ignoranza, qualcosa di attinente al buddismo, ma talvolta anche piuttosto severo con questo richiamo continuo al nulla.
Ciao e grazie.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

niko

#66
Citazione di: bobmax il 17 Novembre 2019, 19:21:44 PM
Citazione di: niko
Ricacciati fuori dal nulla e dall'oblio, rimane solo l'eterno ritorno come prospettiva del dopo morte, per questo invitavo a riflettere sulle possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita, il che determinerebbe in qualche misura come vivere, un'etica che dovrebbe valere anche per i vivi.

L'etica dovrebbe quindi dipendere dalle "possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita"?
Davvero l'etica dovrebbe essere condizionata dall'idea di un eterno ritorno?
A mio avviso, considerazioni di questo tipo possono condurre solo ad una esaltazione della volontà di potenza.

Mentre l'Etica è una sola: Fede nel Bene.

Il nulla assoluto esiste, come possibilità, ed è essenzialmente la possibilità che la fede etica sia un'illusione.
E' l'horror vacui di fronte alla nullità di ogni possibile valore.
Che poco ha a che vedere con la morte in quanto tale, ma ha a che fare con la possibilità che il Bene non sia.

La paura della morte deriva dall'attaccamento all'esserci mondano. Un attaccamento che svanisce quando in gioco vi è il Bene.

Per me il nulla assoluto è, banalmente, la possibilità che non esista nulla. Neanche il nostro pensiero, neanche noi che scriviamo queste cose.

Altrettanto probabile della possibilità che invece esista qualcosa, altrettanto indimostrabile. L'essere potrebbe essere solo un decremento, o un frazionamento, o una visione prospettica del nulla. Da dentro non lo si può sapere.

Questa prospettiva che non esista nulla, niente di niente, ben lungi dall'annullare l'etica come un'illusione, rende possibili un sacco di prospettive etiche nuove e interessanti che se si suppone che esista qualcosa sono più difficili da accettare e da implementare, come quella di un'etica derivante dell'eterno ritorno, quindi per me ben venga, l'ipotesi del nulla assoluto. Semplifica un sacco di cose.

Per me l'etica non è qualcosa in cui avere fede, non è un oggetto di fede, ma una cosa che deve dare felicità, una strategia per essere felici.
Che me ne faccio del bene? Perché dovrei aver paura del vuoto? Il vuoto è leggerezza, è essere accolti da qualcosa che non cade mentre tutto il resto cade.

Dicevo nel mio intervento precedente di escludere il nulla assoluto, perché comunemente la gente lo esclude, comunque il punto è che anche se siamo già nel nulla assoluto, non c'è un nulla relativo della morte in cui andare, non c'è un inizio, non c'è una fine; il procedimento più comune è vedere quel nulla relativo, quello proprio del fenomeno morte, come un nulla assoluto (perché tale è per la coscienza, e tipicamente ci si identifica con la propria coscienza) ed escluderlo, ma nulla vieta di postulare che siamo già nel nulla, in un mondo complessivamente o localmente nullo, e quindi in un ulteriore nulla non possiamo precipitare da morti.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

bobmax

Citazione di: Jacopus il 17 Novembre 2019, 20:07:29 PM
CitazioneLa paura della morte deriva dall'attaccamento all'esserci mondano. Un attaccamento che svanisce quando in gioco vi è il Bene.
Un principio molto interessante e in cui mi riconosco molto. Ti posso chiedere se è collegato a qualche teoria filosofica o spirituale? In generale il tuo modo di pensare mi sembra, nella mia ignoranza, qualcosa di attinente al buddismo, ma talvolta anche piuttosto severo con questo richiamo continuo al nulla.
Ciao e grazie.

Ciao Jacopus
Ritengo che il mio modo di pensare risenta della Filosofia dell'Esistenza di Karl Jaspers, che considero mio maestro. E' dalla sua filosofia che ho tratto questo principio.
Anche se queste idee non hanno mai una sola origine... E poi ognuno di noi rielabora la propria filosofia, a seguito delle sue letture, delle esperienze, degli incontri.

Sono invece pervenuto al Nulla e all'inesistenza del libero arbitrio negli ultimi anni seguendo la mistica, in particolare quella cristiana.
Certo, il termine Nulla è anch'esso inadatto per dire l'indicibile, come qualsiasi altra parola.
E suscita una qual repulsione.
Ma, forse per questo mio modo di sentire drammatico,  l'ho trovato più consono a descrivere l'Assoluto.

Grazie a te Jacopus, e buona serata
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

davintro

per Jacopus

come scritto prima, sostituire una causalità spirituale con una prodotta dal sistema nervoso centrale nel rendere ragione di fenomeni psichici come il ricaricamento energetico è un argomento che va benissimo se si parla di contestare un dualismo radicale cartesiano che intende lo spirito come una sorta di sostanza del tutto indipendente da quella estesa corporea, capace di esercitare un potere causale del tutto sufficiente a produrre i fenomeni in questione. Di fronte a ciò, avrebbe buon gioco il progresso delle scienze naturali nel togliere allo "spirito" così inteso un tale potere, una volta riconosciuta la corrispondenza tra reazioni organiche e eventi psichici, attribuendolo al cervello. Ma, confermo, questo dualismo non è la mia posizione. La mia posizione poggia sul principio aristotelico che la materia esiste sempre e solo come materia formata, e mai come materia pura, mera spazialità indeterminata. Quindi per ammettere l'influenza di fonti spirituali nel formarsi dei fenomeni psichici, non c'è, volendo restare nell'ambito dell'immanenza antropologica, alcun bisogno di immaginare sostanze spirituali separate dal sistema nervoso centrale, anche restando nell'immanenza di quest'ultimo, è sufficiente riconoscere come il cervello, come ogni ente materiale, ha una componente materiale che lo rende esteso spazialmente, ma per esistere e funzionare come ente capace di sorreggere l'attività psichica e cosciente che contraddistingue l'essere umano, necessita di una componente formale, che appunto, come dici, lo con-FORMA, che lo vivifichi dall'interno e lo determini la sua materia come materia capace di operare in un modo specifico. L'esempio del cervello cadaverico serviva proprio come conferma empirica di ciò: se riconosciamo l'esistenza di una materia cerebrale priva di vita come quella di un cadavere, allora se ne dovrebbe dedurre che il principio vitale non sta nel cervello in quanto materia, altrimenti ogni materia in quanto tale sarebbe capace di produrre vita. Non sarebbe illogico pensare che il principio differenziante (senza bisogno di sostanzializzarlo!) tra due enti diversi (corpo vivo e cadavere) sia riconducibile a ciò che i due enti hanno in comune, cioè una egual materia, anziché a qualcosa che in uno dei due è presente e nell'altro no? Sarebbe come dire che la differenza che passa tra una pallina bianca e una pallina nera sia data dal loro essere palline, piuttosto che da due diverse colorature. Si tratta di evidente principio di correlazione tra causa (formale in questo caso) ed effetto


 la riconduzione della credenza in un'influenza spirituale a prodotto storico di un adattamento all'ambiente è un'affermazione che andrebbe chiarita... quali sarebbero i fini verso cui l'adattamento è funzionale? Se consistessero in finalità meramente materiali, di autoconservazione biologica o di prosecuzione della specie, in questo caso direi che la fede nell'esistenza dello spirito implicherebbe l'assunzione di scopi distinti da questi ultimi e quindi a disperdere energie che sarebbero sottratte agli impegni pratici e materiali, dunque si rivelerebbe, quantomeno per la maggior parte degli aspetti, un fattore controproducente in vista dell'adattamento (l'esempio più lampante è la possibilità del suicidio, la possibilità del rigetto del fine autoconservativo, che viene subordinato alla valutazione a partire da un modello ideale, cioè spirituale di "vita degna di essere vissuta", non per forza coincidente con la vita biologica). E sarebbe assurdo ipotizzare un adattamento che produce la fede e la visione di qualcosa che si rivela disfunzionale ai fini dell'adattamento stesso. Se invece per "adattamento" si intendesse un processo finalizzato a conseguire finalità anche di natura spirituale, verrebbe da chiedersi che senso avrebbe innescare un processo di adattamento teso alla soddisfazione di istanze provenienti da una dimensione in realtà inesistente. E se anche ipotizzassimo che tale soddisfazione fosse solo un ideale autoingannatorio resterebbe insoluta la questione di come nascerebbe questa illusione, come sarebbe possibile una coscienza realmente prodotta da cause unicamente fisiche che però arriva a elaborare l'idea di qualcosa che trascende la fisicità. Ammettere ciò vorrebbe dire assurdamente svincolare completamente la causa dell'esperienza di un'idea dal senso stesso dell'idea in questione, rompendo ogni rapporto di commisurazione o analogia tra causa ed effetto. Sarebbe come se un pesce sempre vissuto sin dalla nascita nell'acqua riuscisse a riflettere (anche elaborando modelli teorici piuttosto sistematici) riguardo la vita sulla terraferma.

sul punto 2) non direi di avere particolari appunti al riguardo, per quanto riguarda il 3) mi limiterei a dire che quando si parla di "letteratura scientifica" chiamata in causa a supportare punti di vista materialisti, che ci si riferisce a metodologie fondate sull'esperienza sensibile e dunque qualitativamente inadeguate alla conoscenza di realtà spirituali ("conoscenza" da intendersi come facoltà anche di giudicare in generale al riguardo, anche, eventualmente di poter arrivare a negare l' esistenza di realtà spirituali, cioè per dire che non esiste niente di spirituale devo comunque essere in grado di intendere il senso dell'oggetto in questione su cui pronuncio il giudizio di non-esistenza, cioè di essere in possesso di un punto di vista adeguato e corrispondente ad esso). Se si afferma che tale metodologia sia l'unica a partire da cui poter pronunciare giudizi razionali, occorrerebbe ammettere che l'oggetto a cui la metodologia è adeguata, il mondo sensibile, sia l'unico possibile. Come si nota, l'affermazione della fisicità come unica realtà possibile non è la conclusione scientifica di un ragionamento, ma la premessa dogmatica che si accetta fin dall'inizio e che muove a determinare la metodologia adeguata a studiare questo mondo come l'unica sensata da applicare. L'assunzione di questa premessa dogmatica è la componente fideista che grava su ogni pretesa positivista di applicare le scienze della fisica  in un contesto in cui non dovrebbero avere nulla a che fare per definizione, cioè la metafisica

davintro

#69
per Ipazia

la mente umana non è riducibile a un pc, associando il corretto funzionamento di un software prodotto da fattori meccanici alla coscienza, da fattori meccanici, per il semplice motivo che il pc altro non è che una funzione prodotta dall'uomo che si limita a eseguire un programma dall'uomo imposto. Lo spirito non è una "funzione" pratica, ma condizione di libertà entro la quale il soggetto pone autonomamente delle finalità, a cui ciò che è pratico, funzionale viene ricondotto e subordinato. I limiti di questa condizione coincidono con quelli della libertà. Mentre l'energia del pc esiste come solo come funzione e dunque possiamo ricondurre la sua origine a una causalità meccanica prodotta esternamente da chi ha interesse che l'energia funzioni, in assenza della quale essa si esaurisce, la coscienza umana, entro i limiti in cui è libera dal determinismo naturale, cioè attribuisce valore a oggetti a prescindere dall'assolvimento di funzioni pratiche (pensiamo all'arte come espressione di pura bellezza, alla contemplazione del tutto disinteressata di una teoria filosofica/scientifica che ispira meraviglia e ammirazione per il suo rigore ed esaustività) muove da un principio interno ad essa, corrispondente alla sensibilità valoriale, che si alimenta a partire dall'esperienza dei valori a cui tale sensibilità è correlata. Un pc è creato da chi ha interesse che funzioni, chi avrebbe interesse a che la mia coscienza tragga godimento dalla visione di un quadro, dall'ascolto della musica, dalla lettura di un libro?

L'anestesia non "neutralizza" lo spirito, solo ne inibisce provvisoriamente la manifestazione degli effetti a livello esteriore e di autocoscienza superficiale del soggetto in questione. Se davvero si desse neutralizzazione, allora la riattivazione delle funzioni coscienti al termine degli effetti dell'anestetico andrebbe considerata una sorta di magia o creazione divina, far ricomparire qualcosa dal nulla. In realtà la riattivazione è data dallo sblocco dell'inibizione chimica che libera il pieno dispiegarsi degli ordinari effetti della coscienza, la cui energia spirituale era anche sotto anestesia pur sempre presente, solo, incapace di avvalersi di un supporto materiale alterato, e quindi repressa negli strati più latenti e profondi della psiche. Che questa limitazione dello spirito la renda "ben poca cosa" o "ben tanta cosa" è una questione che si presta a risposte tutte legittime, ma chiamanti in causa giudizi di valore unicamente soggettivi e personali che nulla incidono sul problema puramente teoretico. Dal mio punto di vista, anche con limitazioni del genere, la ricchezza delle potenzialità dello spirito nell'uomo resta gran cosa, ma è una posizione che lascia il tempo che trova.


Per Viator

forse non è del tutto esatto dire che ammetterei due diverse tipologie di energia, una spirituale, l'altra materiale, più precisamente noto una distinzione di diverse tipologie di FONTI di energia, quella che si può acquisire dall'ispirazione verso idee immateriali che hanno valore per la nostra coscienza, e quella alimentata materialmente come quella che si acquisisce con il cibo o il riposo. Però direi anch'io che esiste un'unica energia psichica, alimentata però da fonti diverse, in quanto possiamo notare come nel quotidiano l'energia ricavata da una fonte può essere utilizzata per il lavoro di una componente che si alimenta da un'altra fonte e viceversa. Al termine di uno sforzo fisico si ha difficoltà a concentrarsi anche verso attività intellettuali, come la lettura di un libro, anche lo spirito risente di una forte privazione dell'energia materiale, oppure l'entusiasmo per aver ricevuto una bella notizia produce un aumento di energie proveniente da fonte spirituale, cioè il valore esaltato dall'evento di cui veniamo informati, che sentiamo il bisogno di sfogare ballando, saltando, correndo, il valore affettivo (spirito) che attribuisco a un persona che vado a trovare alimenta l'energia che impiego per camminare in direzione del luogo dove è, applicata a uno sforzo fisico. Pensare in senso stretto a due diverse forme, e non solo fonti, di energia, rischierebbe di far ricadere nel separatismo delle sostanze cartesiano (intendendo l'energia come ciò tramite cui le proprietà di una cosa si uniscono in una sostanza autosufficiente per esistere), posizione che non condivido, come già ribadito a Jacopus.

Ipazia

@davintro

Il paragone tra cervello e pc era solo di tipo funzionale, non formale in senso aristotelico. In entrambi i casi l'energia che li alimenta è conditio sine qua non perchè la parte materica funzioni. Venendo ad Aristotele, è evidente che la "forma" dell'unità psicosomatica umana è diversa dalla forma dell'unità macchinica pc, così come la coscienza umana ha un'intenzione assai diversa da quella della cpu. Ma permane la relazione biunivoca tra alimentazione biologica e snc/coscienza così come tra corrente elettrica e pc.

Qualcuno può allocare la coscienza umana in luoghi diversi dal sistema nervoso, ma tutte le dimostrazioni empiriche gli danno torto e quelle non empiriche lasciano il tempo che trovano. Quindi, restando su ciò che è obiettivamente asseverato non resta che approfondire la natura dell' "energia psichica", nella sua parte somatica e nei suoi caratteri trascendentali che la "scienza materialista" non nega avendo perfino allestito una scienza ad hoc che si chiama psicologia, che indaga il comportamento e le motivazioni in sè, senza farsi troppo influenzare dalle derive scientistiche che vorrebbero ridurre il tutto a neuroscienza e sociodarwinismo.

Io concordo con questa rivendicata autonomia epistemologica che sottrae l'agire umano non solo al "disegno intelligente" della divinità, ma pure a quello della natura deterministicamente intesa, lasciando all'umano quel margine di autonomia che il variegato spettro dei suoi comportamenti suggerisce e che la psicologia indaga nei suoi autogeni processi e manifestazioni. In ciò intendo lo spirituale umano, che però - occamisticamente - non necessita di alcun apporto esterno per esistere in tutta la sua compiutezza. Se qualcuno ce lo vuole aggiungere è puro, indimostrabile, atto di fede che dalla mia prospettiva epistemica diventa un suo "disegno intelligente", non della divinità che egli postula. Ovviamente accetto che pure il mio negare quel diavoletto alieno sia un atto di fede. Rafforzato però dal principio epistemologico, opinabile finchè si vuole ma giuridicamente fecondo, che l'onere della prova tocca a chi afferma.

L'indissolubile legame psicosomatico risolve anche i salti mortali della speculazione filosofica sul nulla fisico e i suoi derivati metafisici, accettando, con realismo filosofico, che la morte trasforma la materia e annichilisce la psiche, consegnandola, in ragione dei suoi meriti, alla memoria dei posteri. Cosciente di ciò, potrò inscrivere sulla mia tomba, vissuta ante litteram nel tempo in cui la posso concepire: hic iacet Ipazia, tota.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Sariputra

La morte, direbbe Francesco, è nostra "sora" (sorella). Come una sorella ci vive accanto e ci fa morire a noi stessi continuamente. Sono solo due le nostre "sore": la Terra madre e la morte. Di nessuna delle due possiamo fare a meno. La terra ci sostiene e ci alimenta e la morte segna continuamente il tempo del nostro vivere. Attimo per attimo moriamo e rinasciamo...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Franco

Citazione
CitazioneFranco (=F):

Vorrei comprendere meglio la negazione. A chi si rivolge? Forse a daniele 75 secondo il rilievo mossogli da Franco? Se così non fosse, allora si riproporrebbe - anche in ordine alla comprensione della morte - la questione del senso della fede religiosa. Tirare in ballo allucinogeni, stati illusionali e simili, significa ridurre semplicisticamente le cose.


Ipazia:

I greci erano meno allucinati perchè avevano una concezione più realistica del post mortem rispetto ai cristiani: pochi assurgevano all'Olimpo, molti precipitavano nell'Ade. Indipendentemente dai meriti, ma secondo il capriccio degli dei. Che è quello che accade nella realtà dei paradisi in terra. Nessun motivo logico per non estendere l'analogia ai paradisi celesti, considerando che l'analogica antropomorfica è la base del pensiero religioso. Evidentemente a corrente alternata. 

Nei forum atei girava una simpatica analogia contro l'argomento del numero di credenti nei numi. Te la risparmio perchè non voglio affondare il coltello nella piaga. Comunque non è un argomento valido: un tempo tutti credevano che il sole girasse intorno alla terra e si sbagliavano. Coi numi ci sono ottime probabilità che sia uguale.

Citazione F:
Citazione Ipazia, non ci comprendiamo. Non si argomenta a sfavore della mia tesi richiamando una diversa - diversa nel grado dell'esperienza di allucinazione - configurazione etnica come quella antica dei greci. Una contro - argomentazione effettiva sarebbe quella capace di dimostrare il carattere  di allucino - geno e di allucinazione dell' esperienza cristiana. Cosa che il l tuo ragionamento non mostra. Altro è affermare che la fede religiosa abbia carattere di allucinazione, (= enunciazione della tesi del carattere di allucinazione) altro - ben altro - è dimostrare che l'abbia. Per dimostrarlo, dovresti - tra l'altro - e partendo dalla definizione di sostanza allucinogena, mostrare come questa inneschi - termine questo di innesco che introduco ironicamente in senso anti meccanicistico - il fenomeno della fede religiosa  declinata in senso cristiano. Ti auguro buon lavoro...


Affindare il coltello nella piaga? Mi chiedo quale piaga.

Continui a fraintendere il mio discorso. Nel senso che non riesci a tener ferma la distinzione tra la realtà della fede religiosa e la realtà del contenuto illusorio dell'oggetto di quella fede. Il che somiglia all'atteggiamento contro il quale sembri rivolgerti. Lo ripeto per l'ennesima volta: che il contenuto oggettuale della fede in parola possa essere un contenuto illusorio, non annulla quella fede, ossia il bisogno ( =la spinta, la necessità) che è quella stessa fede. Il credente in senso religioso - cristiano nulla sa di quel contenuto. Onde altro è discutere del contenuto illusorio di quella oggettualità,  altro - ben altro - è discutere della in - coscienza di quel contenuto. 

Per tornare alla questione della morte: altro è la convinzione che dopo la morte sia - scrivo sia - una condizione di beatitudine ultraterrena, altro è la convinzione che si muoia. La realtà di chi di quella beatitudine è convinto non cessa di essere perché altri ne mostrano il carattere illusorio. 



bobmax

Citazione di: Ipazia
L'indissolubile legame psicosomatico risolve anche i salti mortali della speculazione filosofica sul nulla fisico e i suoi derivati metafisici, accettando, con realismo filosofico, che la morte trasforma la materia e annichilisce la psiche, consegnandola, in ragione dei suoi meriti, alla memoria dei posteri. Cosciente di ciò, potrò inscrivere sulla mia tomba, vissuta ante litteram nel tempo in cui la posso concepire: hic iacet Ipazia, tota.

Davanti a quella tomba starà pensoso chi amava Ipazia.

E se resisterà alla cupa disperazione, così come riuscirà ad evitare di razionalizzare a tutti i costi l'evento svuotandone in tal modo il pathos... allora potrà finalmente chiedersi: "Chi, cosa amavo ed amo?"

Se l'amore era sincero, quello stesso amore potrà a quel punto rispondere: "L'amore ama se stesso"
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Freedom

Citazione di: myfriend il 13 Novembre 2019, 20:42:41 PM
Per il semplice fatto che, nell'Universo, l'energia non si crea e non si distrugge. Ma cambia forma.
E' il Primo principio della Termodinamica.
E noi siamo una forma di energia.
Anche lo spazio-tempo è una illusione creata dal nostro cervello (ce lo ha dimostrato Einstein con la Relatività).
Nella realtà vera dell'Universo, non c'è un prima...e non c'è un dopo. Non c'è un sopra e non c'è un sotto. Non c'è un qui e un aldilà.
Noi SIAMO parte di un TUTTO in perenne trasformazione. Punto.
Nella realtà vera - quella che è oltre ciò che il nostro cervello percepisce - noi SIAMO. Punto.
Ho avuto una intuizione simile qualche tempo fa:
https://www.riflessioni.it/forum/filosofia/14052-legge-di-conservazione-della-massa.html
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

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