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La morte

Aperto da daniele75, 09 Novembre 2019, 07:44:10 AM

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Jacopus

#45
Davintro. La ricarica psichica del tuo corridore dipende da fattori del tutto organici. Sono reazioni biochimiche ed ormonali che danno fondo alle nostre riserve di energie conservate in grassi. La possibilità di accedere a quelle fonti dipende a sua volta da altri fattori, come l'entusiasmo, la concentrazione, la resilienza, tutti aspetti caratteriali forgiati dall'interazione del SNC di ognuno di noi con il suo ambiente.
Prova a fare la controprova pensando ad due corridori reduci da una battaglia in vietnam e a due corridori ipervitaminizzati e reduci da una tre giorni in una SPA. Nel primo caso dubito fortemente che si possa attivare la "ghiandola pineale".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

Citazione di: davintro il 14 Novembre 2019, 23:31:22 PM
Ma l'impossibilità di vita umana del tutto slegata dalla materia non implica necessariamente la negazione di una vita eterna oltre la morte. Se il corpo va inteso come materia formata adeguata a supportare determinate funzioni vitali che nel loro complesso costituiscono la forma, l'essenza della vita, allora sarebbe possibile ammettere diverse tipologie di corporeità in corrispondenza di diverse forme definenti i vari modelli di "vita".

Ma la suggerisce alla grande e tutte le esperienze obiettive vanno in tale direzione. L'energia che anima le funzioni superiori della psiche è prodotta biologicamente in complessi processi bio-chimico-fisici la cui "staratura" comporta ineluttabilmente il venir meno della coscienza, la quale dimostra in tal modo di non poter sussistere senza il substrato materiale che la contiene. Basta una banale anestesia per averne la dimostrazione. L'unità psico-somatica è particolarmente elastica e l'organismo umano, anche attraverso forme di difesa biologica innate, è in grado di sopportare stili di vita e situazioni molto variegati ed estremi. Psiche e soma si evolvono congiuntamente. Le condizioni di vita di popolazioni allo stato di natura sono insopportabili per un modello metropolitano. E viceversa. Ma quando si stacca la spina, e il supporto materiale non offre i "nutrimenti" necessari alla psiche, non vi è differenza che tenga. Tutto il vissuto psichico scompare "come lacrime nella pioggia".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Sariputra

Nessuno sa quanto è profondo il fango in cui cresciamo. 
Chi dice di sapere non sa, perché non conosce la profondità della crescita..
La morte è anche Silenzio. Gocce di pioggia che cadono lentamente ai piedi dei crisantemi. E' la loro malinconia che si aspetta qualcosa da noi? Se è la loro malinconia, i fiori sanno già la tua risposta..
Ardua è la lotta. Non esiste vittoria.
Come dire la parola "fine" se non esiste la "fine"? Tutto è un continuo finire senza mai finire, ma tutto è anche un continuo cominciare senza mai veramente cominciare. Principio e fine sono in definitiva parole senza senso, perchè non vi è inizio che non sia già da sempre alla fine. Così 'tutto è ' e 'tutto non è' alla fine riposano assieme...
E non è meglio riposare quando è venuto il momento?
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

bobmax

Citazione di: Ipazia il 15 Novembre 2019, 08:33:43 AM
L'energia che anima le funzioni superiori della psiche è prodotta biologicamente in complessi processi bio-chimico-fisici la cui "staratura" comporta ineluttabilmente il venir meno della coscienza, la quale dimostra in tal modo di non poter sussistere senza il substrato materiale che la contiene. Basta una banale anestesia per averne la dimostrazione. L'unità psico-somatica è particolarmente elastica e l'organismo umano, anche attraverso forme di difesa biologica innate, è in grado di sopportare stili di vita e situazioni molto variegati ed estremi. Psiche e soma si evolvono congiuntamente. Le condizioni di vita di popolazioni allo stato di natura sono insopportabili per un modello metropolitano. E viceversa. Ma quando si stacca la spina, e il supporto materiale non offre i "nutrimenti" necessari alla psiche, non vi è differenza che tenga. Tutto il vissuto psichico scompare "come lacrime nella pioggia".

E tutto questo è magnifico!

Perché suggerisce che pure ciò che eravamo convinti ci fosse... in realtà non esisteva.

Il nostro io altro non era che illusione.

PS
Anche una banale anestesia totale può far percepire, nel momento del ritorno della coscienza, l'illusorietà dell'io. Sebbene questa esperienza venga di solito poi considerata un'allucinazione...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

viator

Salve. Per Ipazia : citandoti: "L'energia che anima le funzioni superiori della psiche è prodotta biologicamente in complessi processi bio-chimico-fisici la cui "staratura" comporta ineluttabilmente il venir meno della coscienza, la quale dimostra in tal modo di non poter sussistere senza il substrato materiale che la contiene. Basta una banale anestesia per averne la dimostrazione. L'unità psico-somatica è particolarmente elastica e l'organismo umano, anche attraverso forme di difesa biologica innate, è in grado di sopportare stili di vita e situazioni molto variegati ed estremi. Psiche e soma si evolvono congiuntamente. Le condizioni di vita di popolazioni allo stato di natura sono insopportabili per un modello metropolitano. E viceversa. Ma quando si stacca la spina, e il supporto materiale non offre i "nutrimenti" necessari alla psiche, non vi è differenza che tenga. Tutto il vissuto psichico scompare "come lacrime nella pioggia".
Entusiasmante "lectio elementaris". Brava e saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

niko

Io penso che anche il nulla immaginato come destino che ci aspetta dopo la morte (come anche il paradiso, come anche la "vita eterna") eternizzi il soggetto, quindi può essere oggetto di paura, ma in fondo anche di speranza.

Il mondo materiale dove viviamo e di cui in quanto esseri corporei siamo un frammento è un mondo fatto solo di essere e divenire, un'ubiquità impenetrabile di essere e divenire che riempie e satura tutto lo spazio e tutto il tempo; nel mondo dell'essere e del divenire il nulla non ha luogo e non ha tempo, non esiste e non sussiste, è a distanza infinita da tutto il resto che esiste; il soggetto immaginando dopo la sua morte di andare a finire "nel nulla" ribadisce la sua pretesa di eterna verità e la sua pretesa di eterna distinzione egoica dal mondo, il nulla è un fuori-luogo rispetto al mondo reale e materiale in cui si potrebbe davvero morire, una tomba antropomorfa -faraonica- dove fingere di morire per -in realtà- non morire mai, è la pretesa che le categorie veritative e percettive già proprie dell'umano vivente possano esistere e trionfare anche da vuote: spazio vuoto, tempo vuoto, verbo vuoto, campo della coscienza vuoto.

Conosciamo il nulla "della morte" per analogia col sonno e con l'osservazione dei nostri simili morti, e lo conosciamo come un nulla gnoseologico, non come un nulla ontologico: i morti, e gli addormentati ci sono, ma non sanno di esserci, ci sono, ma non nello stesso senso in cui lo intendono i vivi normalmente.


Il nulla quindi come campo della possibilità che deriva ed è rivelato dal toglimento dell'insieme completo degli enti senza che questo toglimento completo degli enti sia e possa essere il toglimento dell'essere stesso come accadimento impersonale: togliendo l'insieme dei contenuti di coscienza resta il campo vuoto di una possibile e potenziale ulteriore coscienza, il consumarsi impersonale di qualcosa che comunque non è un nulla, un nulla gnoseologico che non è un nulla ontologico, l'appercezione come unità vuota, riferita al vuoto stesso.


L'autocoscienza è quello che definisce gli esseri evoluti, gli uomini nel loro sentirsi "animali superiori",  ma il punto è proprio che l'autocoscienza, a differenza della coscienza, che è sempre piena e pregna dei contenuti del mondo e con questi contenuti si identifica, può essere anche vuota, può essere anche pura coscienza di sé stessi in assenza di sensazione interna e stimolo esterno; per questo gli esseri autocoscienti hanno coscienza di morte, perché possono immaginare le loro categorie conoscitive anche come vuote, non perturbate dal mondo, dall'altro da sé, e immaginare questa condizione permanente come fantasmaticamente proiettata sul morto e sull'inanimato: possono, pur non conoscendo veramente la morte, farsene un'idea per analogia, per metafora, per narrazione.

E' l'estrema implosione del soggetto su sé stesso, pesare che la verità sia nell'essere della coscienza -come invariante- e non nel contenuto -variabile- che gli eventi del mondo apportano alla coscienza, pensare che le categorie kantiane possano esistere anche da vuote, ma questo già di per sé implica l'oblio, il pensare che quello che un tempo fu coscienza-del-mondo possa di passare all'eternità come coscienza-di-nulla.
Il nulla come inconoscibile quindi, cioè l'eternità stessa dell'anima e dell'essere disincarnato: tutto nell'anima è coscienza o conoscenza, l'inconoscibile non è un nulla qualsiasi, è specificamente il nulla dell'anima, dell'essere che si autodefinisce come cosciente e conoscente e si rispecchia in questa attività, che nel pensiero del suo eventuale (o certo) smettere di conoscere, nel pensiero del suo passare dalla conoscenza nell'oblio, vede tanto il suo divenire altro da quello che ora è, quanto il suo essere fin da ora un essere (conoscente) diverso dagli altri esseri (non conoscenti).

Il nulla è nulla, quindi è facile riconoscere che non è possibile andarci a finire nemmeno dopo la morte; quindi dopo la morte si pensa che ci sia un'alterità inconoscibile, un oblio, un nulla che non è il nulla assoluto -che non esiste- ma il nulla della cosa che nel quadro del divenire complessivo del tutto si è trasformata in altro da sé -il nulla della legna che diventa cenere, o di una cosa che non è un'altra-, ma questo oblio è il trionfo dell'anima, la cui nullità in morte è oblio, il che prova a posteriori che la sue essenza in vita è sempre stata -fu- conoscenza.

Non potendo andare nel nulla, si pensa di poter andare nell'oblio, ma questo vuol dire pensare di morire alla conoscenza che fin da adesso si è, e quindi pensare di essere conoscenza, e credere di comprovarlo avendo l'altro da se come limite alla conoscenza, come numeno, come  pensabile non-conoscibile. E' la vittoria della mente e dell'astrazione sulla materialità e sul corpo, sull'istinto.Si muore, e non si conosce più:questo è l'assunto di chi pensa dopo la sua morte di finire nell'oblio: egli ha quindi la soddisfazione di poter dire, in vita sono sempre stato conoscenza, non sono mai stato il mio corpo, il mio sangue, la mia molteplicità, i miei umori più sporchi. Egli ha la soddisfazione di porre l'anima, il razionale, la testa, sul corpo e sulla materialità. Il suo nulla è oblio, è un nulla di conoscenza, non è la putrefazione, non è l'essere mangiato dai vermi, non è la disgregazione del suo corpo. Questo oblio gli garantisce a posteriori di essere sempre stato quella coscienza che non è più. Che da un certo punto in poi non sarà più. E' il surrogato nascosto di quello che in una religione sarebbe un paradiso, o un ade, o un qualche tipo di posto dove sopravvivere. Passare dall'unità dell'essere all'unità del nulla non è un disgregarsi; è al limite un passaggio di campo. Egli muore alla sua coscienza e alla sua conoscenza, non al suo istinto animalesco e al suo corpo.  Ma come può la conoscenza morire realmente? Non ha corpo, non ha tempo... il suo assentarsi è comunque una continuazione dell'essere e non un nulla, un campo vuoto aperto all'ulteriorità, alla possiblità di nuova conoscenza. La finitezza della conoscenza è la sua verità. Non dipendere più dalla narrazione, dalle cose, dalla storia. E' necessario che l'esperienza della conoscenza a un certo punto finisca, se l'oggetto della conoscenza lo si pone come (almeno in parte) conoscibile ed eterno. Pensare di smettere di conoscere è, filosoficamente e psicologicamente, molto più accettabile che pensare di smettere di esistere, nel pensare di smettere di conoscere il problema della morte è comunque eluso. La morte è la molteplicità che già siamo, la non-conoscenza che già siamo. Non il fatto che smetteremo di conoscere, ma la vita come illusione, il fatto che non abbiamo mai conosciuto nulla.


Del resto, anche da un punto di vista materialistico, come non siamo sicuri del nulla, non possiamo essere sicuri neanche dell'oblio, perché le condizioni fisiche che generano il nostro corpo potrebbero essere reversibili. Nell'infinità del tempo e dello spazio è possibile che lo siano. Il nostro corpo, o la nostra coscienza, potrebbero essere rigenerabili, sia tecnicamente che naturalmente.

Se la vita è effetto, non sappiamo nulla della sua causa. Non conosciamo la possibilità o no del ripresentarsi di quella specifica causa che determina la nostra vita come effetto ciclicamente o distanza nello spazio e nel tempo, ripresentarsi che, se avvenisse, smentirebbe il nostro stesso sentirci unici, la nostra stessa coscienza di morte.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

davintro

è un errore dedurre dall'individuazione di reazioni fisiche/neurologiche concomitanti all'azione sulla nostra psiche di fattori spirituali che tali reazioni siano le cause esplicative dell'azione stessa, e non delle conseguenze concomitanti di qualcosa agente a livello più profondo e non esteriormente rilevabile. Lo dice la parola stessa, "reazione", cioè non la causa prima, ma l'effetto di qualcosa che viene prima, se non a livello cronologico, comunque logico. Le reazioni chimiche che si producono concomitanti all'afflusso di nuove energie nella risposta allo stimolo a cui attribuiamo soggettivamente importanza, non potrebbero essere la causa esplicativa dell'evento, in quanto il riconoscimento del valore verso cui è stimolato, si rivolge a enti ideali, dal senso intelligibile, di cui non abbiamo apprensione corporea. L'entusiasmo che posso provare leggendo un libro che cita valori in cui credo consiste in un afflusso energetico alimentato da fonti di cui non potrei avere alcuna esperienza fisica, cioè registrabile per via sensibile. Non vedo, non ascolto, non tocco l'amore, la libertà, la giustizia, l'amicizia, eppure ho un'intuizione di questi valori, e stimoli riferiti a tali idee suscitano una produzione di nuove energie, a testimonianza di una componente spirituale della nostra mente, che pur non avendo la facoltà di svincolare la coscienza dalla necessità di un supporto materiale, esprime una vitalità non ricavata da fonti materiali. Quindi direi che le reazioni organiche concomitanti al fenomeno del "ricarimento energetico" è un argomento valido in contrapposizione a un radicale dualismo cartesiano che vede fenomeni mentali e corporei in assenza di alcuna implicazione logica che li colleghi, e che non è la mia posizione, ma non riguardo un'impostazione aristotelica che vede anima e corpo come forma e materia, e dove la componente formale e immateriale segue proprie leggi distinte da quelle riferite all'aspetto di mera estensione spaziale, anche se da sola non basta a fondare una sostanza. Già il fatto che si parli  di "reazioni organiche" implica il trovarci in un contesto dove la realtà non si riduce a estensione materica, ma materia pervasa e organizzata da un principio formale/immateriale che la specifica attribuendole una funzionalità, appunto, organica definita come vita, funzionalità che la pura materia non potrebbe darsi (il cervello inteso come pura massa materica resta presente nel cadavere, a riprova che la vita non scaturisce direttamente da tale massa, ma da un'interiorità che la informa, che configura unitariamente le singole parti senza ridursi a una di essa o a una mera somma). Per quanto riguarda l'esempio dell'anestesia, direi che, essendo una condizione provvisoria al cui termine la coscienza riprende a produrre i suoi effetti, non si smentisce una relazione in cui la materia è strumento dello spirito: perché lo strumento funzioni deve operare in una certa efficienza, che l'anestesia sospende, impedendo allo spirito di esprimersi, ma tutto ciò non nega l'idea per cui la coscienza ricaverebbe la propria energia psichica anche da fonti immateriali. Il fatto che la condizione in cui il supporto materiale versa impedisca l'attualizzarsi delle funzioni in cui tale energia si esprime non toglie che le fonti che alimentano quest'energia non siano date dal supporto in questione, a meno di non confondere il fatto che un certo fattore (l'efficienza materiale) sia necessario per il darsi di un certo evento (l'attività cosciente), con quello per cui il fattore necessario diventi anche sufficiente. Il riduzionismo materialista nasce da questa confusione.

doxa

Ciao Niko.

Niko ha scritto
CitazioneIo penso che anche il nulla immaginato come destino che ci aspetta dopo la morte (come anche il paradiso, come anche la "vita eterna") eternizzi il soggetto, quindi può essere oggetto di paura, ma in fondo anche di speranza.
Il mio nulla dopo la morte non capisco come mi possa eternizzare. Me lo spieghi per favore ?
Il nulla dopo la morte non mi dà paura né speranza. A chi viene inumato rimane lo scheletro,  chi sceglie la cremazione rimangono le ceneri con diversa destinazione.

Citazionenel mondo dell'essere e del divenire il nulla non ha luogo e non ha tempo, non esiste e non sussiste, è a distanza infinita da tutto il resto che esiste; il soggetto immaginando dopo la sua morte di andare a finire "nel nulla" ribadisce la sua pretesa di eterna verità e la sua pretesa di eterna distinzione egoica dal mondo,
Col mio immaginare dopo la morte di andare a finire nel nulla non ribadisco nessuna pretesa di eterna verità e non ho la pretesa di distinzione egoica dal mondo. Credo che ci sia il nulla, ma ciò non mi turba, mi lascia indifferente.

CitazioneIl nulla quindi come campo della possibilità che deriva ed è rivelato dal toglimento dell'insieme completo degli enti senza che questo toglimento completo degli enti sia e possa essere il toglimento dell'essere stesso come accadimento impersonale: togliendo l'insieme dei contenuti di coscienza resta il campo vuoto di una possibile e potenziale ulteriore coscienza, il consumarsi impersonale di qualcosa che comunque non è un nulla, un nulla gnoseologico che non è un nulla ontologico, l'appercezione come unità vuota, riferita al vuoto stesso.
Questa tua proposizione non l'ho capita. Immaginami come un contadino semi-analfabeta e cerca di farmi comprendere con parole semplici ciò che vuoi dire, senza usare "toglimento".

Più volte in questo forum ho invitato i vari nick a non "incartarsi" nell'esprimere la loro opinione filosofica, ma di farsi capire dal "volgo" quando scrivono. La comunicazione serve per farsi comprendere da chi ci legge, da chi ascolta, non è autoreferenziale. 

Citazionegli esseri autocoscienti hanno coscienza di morte, perché possono immaginare le loro categorie conoscitive anche come vuote, non perturbate dal mondo, dall'altro da sé, e immaginare questa condizione permanente come fantasmaticamente proiettata sul morto e sull'inanimato: possono, pur non conoscendo veramente la morte, farsene un'idea per analogia, per metafora, per narrazione.
Anche questa non l'ho capita. Lo so, facilmente puoi rispondere che non è colpa tua se io sono "duro di comprendonio".

CitazioneIl nulla come inconoscibile quindi, cioè l'eternità stessa dell'anima e dell'essere disincarnato: tutto nell'anima è coscienza o conoscenza, l'inconoscibile non è un nulla qualsiasi, è specificamente il nulla dell'anima, dell'essere che si autodefinisce come cosciente e conoscente e si rispecchia in questa attività, che nel pensiero del suo eventuale (o certo) smettere di conoscere, nel pensiero del suo passare dalla conoscenza nell'oblio, vede tanto il suo divenire altro da quello che ora è, quanto il suo essere fin da ora un essere (conoscente) diverso dagli altri esseri (non conoscenti).
Non comprendo il nesso tra il nulla e l'eternità dell'anima e dell'essere disincarnato. Mah !

CitazioneIl nulla è nulla, quindi è facile riconoscere che non è possibile andarci a finire nemmeno dopo la morte; quindi dopo la morte si pensa che ci sia un'alterità inconoscibile, un oblio, un nulla che non è il nulla assoluto -che non esiste- ma il nulla della cosa che nel quadro del divenire complessivo del tutto si è trasformata in altro da sé -il nulla della legna che diventa cenere, o di una cosa che non è un'altra-, ma questo oblio è il trionfo dell'anima, la cui nullità in morte è oblio, il che prova a posteriori che la sue essenza in vita è sempre stata -fu- conoscenza.
Se si considera il nulla come vuoto perché è impossibile allocarci il post mortem ?

Il tuo post è lungo, è quasi mezzanotte, perciò preferisco fermarmi qui.
Buonanotte. 

Jacopus

#53
Davintro. È un errore ricavare che vi siano forze spirituali contrapposte a quelle fisiche. Si tratta di una affermazione senza dimostrazione, che anzi, proprio a causa della sua particolare natura, se ne afferma l'impossibilità di una dimostrazione, ritenuta indegna e troppo terrestre per comprenderne la  dinamica.
Allo stesso modo si può dichiarare che la pazzia è causata dalla bile o che la terra è piatta.
Noi esseri umani siamo molto complessi e pertanto è vero che il nostro agire-non agire non dipende solo da reazioni biochimiche, altrimenti non saremmo appunto così complessi. Ma i principi di amore, libertà, giustizia, amicizia, non nascono da un nucleo di spiritualità non ben identificato, bensì dalla conformazione stessa del nostro SNC e, nella fattispecie, da tre sue caratteristiche peculiari che condividiamo solo, e solo molto parzialmente, con i primati superiori.
1- Plasticità. Il ns SNC, si adatta splendidamente al mondo circostante, sia a quello reale che a quello culturale. Pertanto credere, ad esempio, agli effetti della spiritualità, avrà delle conseguenze conportamentali, così come tutte le possibili altre credenze, compresa quella del metodo scientifico, o appunto, della libertà ( e tutti i suoi modelli), della giustizia ( e tutti i suoi modelli) e così via.
2 - Trasmissione di valori culturali. Il ns SNC è affiancato, ormai da millenni, da una serie sempre più estesa di ausili, affinché la generazione successiva non debba ripartire da zero. Questi ausili hanno registrato una storia di quei valori che tu citi (libertà, amore...), che è stata interiorizzata dal genere umano e dalla quale non possiamo prescindere. Un po' come non possiamo prescindere dalla nostra storia in quanto singoli esseri viventi.
3 - Configurazione cooperativa del SNC della specie homo sapiens. Quei valori rispecchiano la natura cooperativa ed empatica del SNC. La natura dell'uomo può virare verso l'egoismo e l'avidità apprendendole secondo quanto descritto al punto 1 e al punto 2, ma vi sono ormai moltissime evidenze che dimostrano come il nostro cervello sia organizzato in modo cooperativo ed empatico, al punto che ci commuoviamo per vicende altrui e sentiamo l'ingiustizia subita dagli altri, e siamo felici se siamo amati. A differenza della tesi spiritualistica, in questo caso vi è una vastissima letteratura scientifica che non elenco in questo post, ma che posso fornire a chi vuole approfondire l'argomento.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Freedom

E' del tutto velleitario desiderare di giungere ad una conclusione soddisfacente e definitiva sull'argomento della morte con il solo aiuto della razionalità.

Non ci si è riusciti in circa 5.000 anni di civiltà nonostante il grande progresso tecnologico-scientifico compiuto dal genere umano. Dubito sia oggi il giorno del disvelamento del mistero.

Mi pare più appropriato parlarne in termini di ipotesi, probabilità, possibilità. Chi assume un atteggiamento diverso rischia di fare la figura del presuntuoso e del superficiale.

Mi permetto infine di aggiungere che, a mio parere, il tema necessita, per essere affrontato a tutto tondo, di uno slancio del cuore, un vero e proprio afflato.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Ipazia

#55
Citazione di: niko il 15 Novembre 2019, 22:38:01 PM
Io penso che anche il nulla immaginato come destino che ci aspetta dopo la morte (come anche il paradiso, come anche la "vita eterna") eternizzi il soggetto, quindi può essere oggetto di paura, ma in fondo anche di speranza.

In effetti il nulla ė invenzione di un animale autocosciente che lo contrappone al proprio insoddisfatto antropocentrismo, rimestando la propria insoddisfazione per via mentale, visto che quella fisica nol consente. In natura vale il principio di conservazione e farsene una ragione eliminerebbe il nichilismo alla radice e ci permetterebbe di goderci la fetta di esperienza individuale, limitata nel tempo, che l'evoluzione naturale ci ha, bontà sua, concesso.

Citazione
L'autocoscienza è quello che definisce gli esseri evoluti, gli uomini nel loro sentirsi "animali superiori",  ma il punto è proprio che l'autocoscienza, a differenza della coscienza, che è sempre piena e pregna dei contenuti del mondo e con questi contenuti si identifica, può essere anche vuota, può essere anche pura coscienza di sé stessi in assenza di sensazione interna e stimolo esterno; per questo gli esseri autocoscienti hanno coscienza di morte, perché possono immaginare le loro categorie conoscitive anche come vuote, non perturbate dal mondo, dall'altro da sé, e immaginare questa condizione permanente come fantasmaticamente proiettata sul morto e sull'inanimato: possono, pur non conoscendo veramente la morte, farsene un'idea per analogia, per metafora, per narrazione.

Individuare nell'autocoscienza, quale suo carattere peculiare, la coscienza della propria mortalità ci può stare. Mi pare un po' riduttivo sul piano psicosomatico, ma metafisicamente regge. Per quanto all'autocoscienza umana penso si possa chiedere anche metafisicamente qualcosina di più di una luttuosa consapevolezza.

CitazioneE' l'estrema implosione del soggetto su sé stesso, pesare che la verità sia nell'essere della coscienza -come invariante- e non nel contenuto -variabile- che gli eventi del mondo apportano alla coscienza, pensare che le categorie kantiane possano esistere anche da vuote, ma questo già di per sé implica l'oblio, il pensare che quello che un tempo fu coscienza-del-mondo possa di passare all'eternità come coscienza-di-nulla....

Tralascio il seguito che sviluppa il concetto di un soggetto avviluppato nel suo cogitante tarlo conoscitivo. Personalmente non mi turba più di tanto "passare all'eternità come coscienza-di-nulla" dopo essermi fatta la mia passeggiata di imperfetta, ma appagante, coscienza-del-mondo, che mi godo nei limiti che conosco senza implodere in me stessa, tenendo fermo il timone del mio transeunte ego finché non giungerà al suo asseverato termine.

CitazioneDel resto, anche da un punto di vista materialistico, come non siamo sicuri del nulla, non possiamo essere sicuri neanche dell'oblio, perché le condizioni fisiche che generano il nostro corpo potrebbero essere reversibili. Nell'infinità del tempo e dello spazio è possibile che lo siano. Il nostro corpo, o la nostra coscienza, potrebbero essere rigenerabili, sia tecnicamente che naturalmente.

Qual'é il problema ? Come siamo stati gettati in questo mondo e ce la siamo sfangata, sopravviveremo anche alle eventuali reiterazioni con la stesso onestà intellettuale che ci ha permesso di vivere questo mondo senza popolarlo di fantasmi e paturnie.

CitazioneSe la vita è effetto, non sappiamo nulla della sua causa. Non conosciamo la possibilità o no del ripresentarsi di quella specifica causa che determina la nostra vita come effetto ciclicamente o distanza nello spazio e nel tempo, ripresentarsi che, se avvenisse, smentirebbe il nostro stesso sentirci unici, la nostra stessa coscienza di morte.

Come sopra. La consapevolezza della morte deriva da un approccio epistemicamente onesto con la realtà che epistemicamente ci é data. Se dopo morti dovessimo approdare ad una differente episteme, onestamente ci rapporteremo pure con essa. E magari neppure allora verremo a capo della causa. Ma  "vivremo" bene ugualmente nell'effetto che essa fa.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Citazione di: davintro il 15 Novembre 2019, 23:21:41 PM
Già il fatto che si parli  di "reazioni organiche" implica il trovarci in un contesto dove la realtà non si riduce a estensione materica, ma materia pervasa e organizzata da un principio formale/immateriale che la specifica attribuendole una funzionalità, appunto, organica definita come vita, funzionalità che la pura materia non potrebbe darsi (il cervello inteso come pura massa materica resta presente nel cadavere, a riprova che la vita non scaturisce direttamente da tale massa, ma da un'interiorità che la informa, che configura unitariamente le singole parti senza ridursi a una di essa o a una mera somma).

Jacopus ha già risposto con argomenti antropologico-evolutivi, che io desidero integrare a livello fisico e metafisico.

L'organico è pur sempre materia benché assai più complessa dell'inorganico. E' questa complessità che rende improponibile l'argomento del cervello morto. Ma perfino riducendo la questione a pura meccanica, il cervello morto é l'equivalente del PC rotto in cui non arriva più la corrente ai suoi device. Corrente che non ha nulla di spirituale, così come il sangue, impulsi elettrici, mediatori biochimici che alimentano il cervello e ne permettono la funzionalità psichica.

CitazionePer quanto riguarda l'esempio dell'anestesia, direi che, essendo una condizione provvisoria al cui termine la coscienza riprende a produrre i suoi effetti, non si smentisce una relazione in cui la materia è strumento dello spirito: perché lo strumento funzioni deve operare in una certa efficienza, che l'anestesia sospende, impedendo allo spirito di esprimersi, ma tutto ciò non nega l'idea per cui la coscienza ricaverebbe la propria energia psichica anche da fonti immateriali.

Peró rende lo "spirito" ben poca cosa se basta un po' di chimica per neutralizzarlo. Se invece ragioniamo in termini esclusivamente biologici l'episteme fila che é una meraviglia.

CitazioneIl fatto che la condizione in cui il supporto materiale versa impedisca l'attualizzarsi delle funzioni in cui tale energia si esprime non toglie che le fonti che alimentano quest'energia non siano date dal supporto in questione, a meno di non confondere il fatto che un certo fattore (l'efficienza materiale) sia necessario per il darsi di un certo evento (l'attività cosciente), con quello per cui il fattore necessario diventi anche sufficiente. Il riduzionismo materialista nasce da questa confusione.

O é piuttosto l'espansionismo spiritualista che fa confusione anteponendo un fattore esogeno, di cui i processi psicosomatici non hanno alcuna necessità, riuscendo comunque, come spigava Jacopus - ed in ció é anche sufficiente -, ad esprimere tutta la "spiritualità" a partire dal loro substrato biologico così come l'evoluzione naturale lo ha generato e perfezionato. Spirituale che si emancipa sulla materia a partire da essa. Trascendentale kantiano, etica, episteme, ...
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Per Davintro. Citandoti : "ma tutto ciò non nega l'idea per cui la coscienza ricaverebbe la propria energia psichica anche da fonti immateriali".
Sembrerebbe quindi che secondo te o qualcun altro esisterebbero - del tutto distinte ed a quanto sembra pure incompatibili - una energia fisica ed una energia psichica.
Tu - credo - chiami energia psichica l'esistenza noumenica dello spirito, contrapponendola ad una pretesa "energia fisica", quella cioè che mostra i propri effetti sulle cose.
Esiste secondo me invece una sola energia, ed è immateriale (altrimenti dovremmo chiamarla materia). Quella che viene chiamata energia fisica non è l'energia in sè, ma solo l'insieme degli effetti, delle interazioni dell'immateriale (ma non per questo meno sostanziale e fisico !) con il materiale.

E' come dover distinguere tra la cosa in sè e gli effetti dell'esistenza della cosa in sè. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Freedom

Comprendo che uno gioca con le carte che ha in mano e nel caso di specie sono i 5 sensi + mente razionale.  Lo capisco dicevo, pur tuttavia non mi faccio ragione che l'arroganza umana riduca tutto quanto a ciò che può percepire. Penso a ciò che avrebbe risposto un antico filosofo greco rispetto a qualcuno che gli avesse parlato di raggi ultravioletti o raggi x. O alla possibilità di volare e addirittura di andare sulla Luna
Quallo che intendo dire è che la realtà cosiddetta materiale va, incontrovertibilmente va, al di là di ciò di cui abbiamo OGGI, contezza.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Ipazia

Citazione di: Freedom il 16 Novembre 2019, 23:02:02 PM
Comprendo che uno gioca con le carte che ha in mano e nel caso di specie sono i 5 sensi + mente razionale.  Lo capisco dicevo, pur tuttavia non mi faccio ragione che l'arroganza umana riduca tutto quanto a ciò che può percepire. Penso a ciò che avrebbe risposto un antico filosofo greco rispetto a qualcuno che gli avesse parlato di raggi ultravioletti o raggi x. O alla possibilità di volare e addirittura di andare sulla Luna.
Quallo che intendo dire è che la realtà cosiddetta materiale va, incontrovertibilmente va, al di là di ciò di cui abbiamo OGGI, contezza.

Se fossimo stati davvero così arroganti  stupidi da ridurre tutto a ciò che possiamo percepire, non avremmo inventato neppure la ruota. Che la realtà materiale continui a porre enigmi penso sia nella consapevolezza di chi più a fondo la conosce. Basti pensare alla sfida che la malattia mortale per definizione continua a lanciarci.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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