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La morte

Aperto da daniele75, 09 Novembre 2019, 07:44:10 AM

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Ipazia

Citazione di: Franco il 13 Novembre 2019, 16:36:17 PM
Vorrei comprendere meglio la negazione. A chi si rivolge? Forse a daniele 75 secondo il rilievo mossogli da Franco? Se così non fosse, allora si riproporrebbe - anche in ordine alla comprensione della morte - la questione del senso della fede religiosa. Tirare in ballo allucinogeni, stati illusionali e simili, significa ridurre semplicisticamente le cose.

I greci erano meno allucinati perchè avevano una concezione più realistica del post mortem rispetto ai cristiani: pochi assurgevano all'Olimpo, molti precipitavano nell'Ade. Indipendentemente dai meriti, ma secondo il capriccio degli dei. Che è quello che accade nella realtà dei paradisi in terra. Nessun motivo logico per non estendere l'analogia ai paradisi celesti, considerando che l'analogica antropomorfica è la base del pensiero religioso. Evidentemente a corrente alternata.

Nei forum atei girava una simpatica analogia contro l'argomento del numero di credenti nei numi. Te la risparmio perchè non voglio affondare il coltello nella piaga. Comunque non è un argomento valido: un tempo tutti credevano che il sole girasse intorno alla terra e si sbagliavano. Coi numi ci sono ottime probabilità che sia uguale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

myfriend

#31
@Daniele

La morte è un'illusione.
Per il semplice fatto che, nell'Universo, l'energia non si crea e non si distrugge. Ma cambia forma.
E' il Primo principio della Termodinamica.
E noi siamo una forma di energia.
Anche lo spazio-tempo è una illusione creata dal nostro cervello (ce lo ha dimostrato Einstein con la Relatività).
Nella realtà vera dell'Universo, non c'è un prima...e non c'è un dopo. Non c'è un sopra e non c'è un sotto. Non c'è un qui e un aldilà.
Noi SIAMO parte di un TUTTO in perenne trasformazione. Punto.
Non siamo mai, in realtà, nati. E non moriremo mai. Perchè nell'Universo, nulla in realtà nasce e nulla in realtà muore. Ma tutto si trasforma.
E' il nostro cervello che costruisce per noi una "realtà virtuale" nella quale nasciamo e moriamo...nella quale siamo qui e poi non ci siamo più.
Nella realtà vera - quella che è oltre ciò che il nostro cervello percepisce - noi SIAMO. Punto.
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Ipazia

C'è solo un piccolo problema che non fa tornare i conti: io sono Ipazia non Universo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

davintro

l'argomentazione atea per cui la fede sarebbe solo un tentativo di sfuggire al pensiero angosciante del Nulla dopo la morte a mio avviso ha il torto di capovolgere i termini della questione, considerando la formazione delle idee metafisiche su cui la fede fa leva come effetto di una causa consistente nel bisogno umano di autoingannarsi per evitare l'angoscia della finitezza. Causa ed effetto andrebbero invertiti, sulla base dell'evidenza che ogni timore nei confronti del possibile darsi di un qualsivoglia evento, come appunto il Nulla dopo la morte, è sempre l'altra faccia della medaglia della speranza del suo contrario, cioè la vita eterna. Paura e speranza non si danno mai l'una separata dall'altra, si correlano costantemente, senza alcuna anteriorità né logica né cronologica di una sull'altra (il correlato negativo dell'assenza della speranza non è la paura, può essere la tristezza, la malinconia, la rassegnazione, l'indifferenza, sentimenti ben diversi dalla paura). Se a ciò aggiungiamo un'altra evidenza, cioè che la speranza della vita eterna da sempre correlata al timore della sua mancanza implichi l'intuizione dell'idea di Eternità, allora dovremmo riconoscere come assurdo l'argomento ateo per cui tale idea si formerebbe come conseguenza successiva della paura del Nulla dopo la morte. Infatti sin dal primo istante in cui ci si pone il problema del dopo la morte e si comincerebbe a provare timore nei confronti della possibilità del Nulla, l'intuizione dell'idea di Vita Eternità, della cui esistenza abbiamo speranza sarebbe già presente nella nostra morte. Non si avrebbe alcun timore del Nulla dopo la morte se ad ogni istante questo timore non sia associato al pensiero di un'esistenza eterna, e dunque questo pensiero non può essere il prodotto originato del timore, espressione di un'attività psicologica umana che si dà nel tempo. Se così fosse, dovremmo ammettere un tempo in cui la paura del Nulla era presente in assenza della speranza del "non-Nulla", e dunque dell'idea di tale vita eterna, cosa illogica, sulla base del significato della paura. Questa originarietà dell'idea della vita eterna restituisce legittimità alla posizione metafisica e trascendentista: recuperando l'assunto cartesiano, dovremmo ammettere che la formazione di ogni idea implichi l'esperienza da parte del pensiero che la pensa di un ente che sia in qualche modo commisurato al senso dell'idea in questione. E se la finitezza è la condizione ontologica di ogni ente mondano, l'idea di un'esistenza eterna implica un rapporto spirituale tra la mente umana e una realtà sovramondana come Dio, unica ad essere adeguata a produrre in noi la presenza di tale idea, perché la rispecchia nel suo Essere. Il che non vuol dire che ogni rappresentazione storica di Dio delle varie religioni possa adempiere alla risoluzione di tale questione teoretica, cioè l'origine della presenza in noi di questa idea, ma che quantomeno un'idea generica di Dio come Causa sovratemporale che anche un deista potrebbe accettare, può assolvere a tale funzione esplicativa

viator

Salve my friend. Per il mondo fisico è come dici. La morte non lo riguarda. Essa consiste in un fenomeno relativo e del tutto specifico che riguarderebbe solo i viventi in possesso di coscienza. Quindi l'uomo, quando tratta della morte non si occupa di una prospettiva reale, bensì solamente di un aspetto che egli teme sopra ogni altro : la perdita definitiva della coscienza di sè.

Io sono me stesso anche se vengo privato di tutte le mie parti, delle quali non posso (in realtà : non voglio) seguire il destino. D'altra parte la paura della morte svolge benissimo un proprio preciso ruolo biologico : assecondare l'istinto di sopravvivenza. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

L'idea di Dio non è legata soltanto alla paura della morte. Della morte tutti hanno paura, atei compresi. L'idea di Dio è un combinato disposto di speranza, paura e voglia di far tornare i conti che la nostra immaginifica mente partorisce: ovvero tutti quegli attributi divini di perfezione che da Platone ci siamo trovati sempre tra i piedi. Anzi è proprio questa fede intellettuale lo scoglio più duro da superare, perchè non ha quella barriera razionale che invece la natura, con le sue umanissime paura della morte e speranza di una vita eterna pone. Barriera che l'immanenza riconferma costantemente mostrandone l'illusionalità.

Al contrario la fede intellettuale può decodificare ogni aspetto del reale in simboli e metafore che rimandano ad un mondo dietro il mondo avendo come limite soltanto la facoltà immaginativa, praticamente infinita. Ed è l'unico infinito di cui si abbia un riscontro oggettivo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

myfriend

Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2019, 21:24:26 PM
C'è solo un piccolo problema che non fa tornare i conti: io sono Ipazia non Universo.
Il tuo "io" è una particolare forma di energia che si manifesta attraverso il tuo corpo.
Quel tuo "io" è una particolare frequenza - o fluttuazione - della Coscienza universale che è alla base della materia.
E quindi esiste, in una forma che il nosto cervello attuale non può captare, indipendentemente dal tuo corpo.
Esisteva prima del tuo corpo - in una forma potenziale o latente - ed esisterà dopo il tuo corpo in una forma che il nostro cervello non può percepire perchè è oltre la "gamma di frequenze" che il nostro cervello riesce a percepire.
In realtà noi SIAMO (indipendentemente dallo spazio e dal tempo)...in forme differenti.
Perchè? Perchè nell'universo nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
Noi siamo una particolare frequenza - o fluttuazione o vibrazione - della Coscienza universale che è alla base di TUTTO. E, in quanto tale, esistiamo da sempre ed esisteremo per sempre.
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Freedom

La fede deve necessariamente essere, in qualche modo, "illuminata" dalla ragione. Nel senso che non può essere cieca altrimenti precipita nel fanatismo.

Pur tuttavia la fede, la scintilla della fede, l'atomo originario della fede, la sorgente della fede dentro di noi, non so come altro parlarne, vi chiedo uno slancio del cuore per comprendere quello che desidero trasmettervi, la fede dicevo, è qualcosa che nasce da un non so che......che è attinente al sentimento.  

Nel caso della fede nella vita oltre la morte la paura può giocare un ruolo ma come il catalizzatore che suscita una reazione chimica. Null'altro. Nel senso che se suscita autentica fede allora nasce un "sentimento", una specie di certezza però non dimostrabile (lo so sembra un ossimoro!) che ci conduce ad essere sicuri senza tuttavia poterne discutere logicamente.

Questo, nella mia pur limitata esperienza, è la fede nella vita oltre la morte.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

davintro

Citazione di: davintro il 13 Novembre 2019, 21:28:17 PMl'argomentazione atea per cui la fede sarebbe solo un tentativo di sfuggire al pensiero angosciante del Nulla dopo la morte a mio avviso ha il torto di capovolgere i termini della questione, considerando la formazione delle idee metafisiche su cui la fede fa leva come effetto di una causa consistente nel bisogno umano di autoingannarsi per evitare l'angoscia della finitezza. Causa ed effetto andrebbero invertiti, sulla base dell'evidenza che ogni timore nei confronti del possibile darsi di un qualsivoglia evento, come appunto il Nulla dopo la morte, è sempre l'altra faccia della medaglia della speranza del suo contrario, cioè la vita eterna. Paura e speranza non si danno mai l'una separata dall'altra, si correlano costantemente, senza alcuna anteriorità né logica né cronologica di una sull'altra (il correlato negativo dell'assenza della speranza non è la paura, può essere la tristezza, la malinconia, la rassegnazione, l'indifferenza, sentimenti ben diversi dalla paura). Se a ciò aggiungiamo un'altra evidenza, cioè che la speranza della vita eterna da sempre correlata al timore della sua mancanza implichi l'intuizione dell'idea di Eternità, allora dovremmo riconoscere come assurdo l'argomento ateo per cui tale idea si formerebbe come conseguenza successiva della paura del Nulla dopo la morte. Infatti sin dal primo istante in cui ci si pone il problema del dopo la morte e si comincerebbe a provare timore nei confronti della possibilità del Nulla, l'intuizione dell'idea di Vita Eterna, della cui esistenza abbiamo speranza sarebbe già presente nella nostra morte. Non si avrebbe alcun timore del Nulla dopo la morte se ad ogni istante questo timore non fosse associato al pensiero di un'esistenza eterna, e dunque questo pensiero non può essere il prodotto originato del timore, espressione di un'attività psicologica umana che si dà nel tempo. Se così fosse, dovremmo ammettere un tempo in cui la paura del Nulla era presente in assenza della speranza del "non-Nulla", e dunque dell'idea di tale vita eterna, cosa illogica, sulla base del significato della paura. Questa originarietà dell'idea della vita eterna restituisce legittimità alla posizione metafisica e trascendentista: recuperando l'assunto cartesiano, dovremmo ammettere che la formazione di ogni idea implichi l'esperienza da parte del pensiero che la pensa di un ente che sia in qualche modo commisurato al senso dell'idea in questione. E se la finitezza è la condizione ontologica di ogni ente mondano, l'idea di un'esistenza eterna implica un rapporto spirituale tra la mente umana e una realtà sovramondana come Dio, unica ad essere adeguata a produrre in noi la presenza di tale idea, perché la rispecchia nel suo Essere. Il che non vuol dire che ogni rappresentazione storica di Dio delle varie religioni possa adempiere alla risoluzione di tale questione teoretica, cioè l'origine della presenza in noi di questa idea, ma che quantomeno un'idea generica di Dio come Causa sovratemporale che anche un deista potrebbe accettare, può assolvere a tale funzione esplicativa

errata corrige, nel passo "sarebbe già presente alla nostra morte", in realtà intendevo scrivere: "sarebbe già presente alla nostra mente". Spero il refuso non abbia compromesso l'intelligibilità in generale del messaggio. Chiedo scusa.

bobmax

Citazione di: Freedom il 13 Novembre 2019, 23:36:24 PM
La fede deve necessariamente essere, in qualche modo, "illuminata" dalla ragione. Nel senso che non può essere cieca altrimenti precipita nel fanatismo.

Pur tuttavia la fede, la scintilla della fede, l'atomo originario della fede, la sorgente della fede dentro di noi, non so come altro parlarne, vi chiedo uno slancio del cuore per comprendere quello che desidero trasmettervi, la fede dicevo, è qualcosa che nasce da un non so che......che è attinente al sentimento.  

Nel caso della fede nella vita oltre la morte la paura può giocare un ruolo ma come il catalizzatore che suscita una reazione chimica. Null'altro. Nel senso che se suscita autentica fede allora nasce un "sentimento", una specie di certezza però non dimostrabile (lo so sembra un ossimoro!) che ci conduce ad essere sicuri senza tuttavia poterne discutere logicamente.

Questo, nella mia pur limitata esperienza, è la fede nella vita oltre la morte.

Non se ne può discutere logicamente perché l'autentica fede è fede nella Verità.

E la Verità viene "prima" di qualsiasi logica. È per questo che appare come Nulla.

D'altronde il Bene necessariamente supera ogni realtà, annullandola in sé.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

anthonyi

Citazione di: davintro il 13 Novembre 2019, 21:28:17 PM
l'idea di un'esistenza eterna implica un rapporto spirituale tra la mente umana e una realtà sovramondana come Dio, unica ad essere adeguata a produrre in noi la presenza di tale idea, perché la rispecchia nel suo Essere. Il che non vuol dire che ogni rappresentazione storica di Dio delle varie religioni possa adempiere alla risoluzione di tale questione teoretica, cioè l'origine della presenza in noi di questa idea, ma che quantomeno un'idea generica di Dio come Causa sovratemporale che anche un deista potrebbe accettare, può assolvere a tale funzione esplicativa

Ciao davintro, l'esistenza di un aldilà non comporta l'esistenza di Dio. Dio, inteso come origine e spiegazione del tutto, sia terreno che spirituale, è comunque motivato dal bisogno di spiegare l'esistenza della realtà terrena al di là dell'esistenza di quella spirituale. Non è un caso che alcune rappresentazioni teologiche negano la sopravvivenza dell'anima dopo la morte pur sostenendo l'esistenza di un Dio che in futuro creerà un nuovo mondo per coloro che risorgeranno.

Ipazia

Citazione di: myfriend il 13 Novembre 2019, 23:32:16 PM
Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2019, 21:24:26 PM
C'è solo un piccolo problema che non fa tornare i conti: io sono Ipazia non Universo.
Il tuo "io" è una particolare forma di energia che si manifesta attraverso il tuo corpo.
Quel tuo "io" è una particolare frequenza - o fluttuazione - della Coscienza universale che è alla base della materia.
E quindi esiste, in una forma che il nosto cervello attuale non può captare, indipendentemente dal tuo corpo.
Esisteva prima del tuo corpo - in una forma potenziale o latente - ed esisterà dopo il tuo corpo in una forma che il nostro cervello non può percepire perchè è oltre la "gamma di frequenze" che il nostro cervello riesce a percepire.
In realtà noi SIAMO (indipendentemente dallo spazio e dal tempo)...in forme differenti.
Perchè? Perchè nell'universo nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
Noi siamo una particolare frequenza - o fluttuazione o vibrazione - della Coscienza universale che è alla base di TUTTO. E, in quanto tale, esistiamo da sempre ed esisteremo per sempre.

Tutto molto bello. Peccato che manchi la dimostrazione sperimentale. Dei miei cari morti a cui chiesi di venirmi a dimostrare che sbagliavo, nemmeno l'ombra. Certo potrebbero essere in una dimensiona e forma a me iraggiungibile. Ma anche di questo manca qualsiasi straccio di dimostrazione.

Non resta che buttarla in "metafisica del profondo" come fa Bobmax. In cui al posto della logica e dell'esperimento si mette la fede. Di fronte alla quale mi taccio. Continuando a perseguire la mia fede. E la mia scommessa.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

La morte è un tema così ricco di storia e di narrazioni che forse si fa fatica a semplificarlo, tuttavia ho l'impressione che sia oggi uno dei temi classici più "sopravvalutati": la mia autocoscienza, autopercezione, autoconsapevolezza, autoetc., ha avuto un suo innesco biologico (dalla fecondazione alla nascita, etc.) a cui seguirà un disinnesco altrettanto bio-logico (differenti possono esserne le cause), che lascerà la materia del mio corpo priva di quell'attività (neurologica, vascolare, etc.) chiamata «vita». Fin qui ho pochi dubbi.
Pensare che a seguito dell'innesco biologico debba crearsi una (auto)coscienza eterna (attributo per sua definizione inverificabile) che continui la sua attività prescindendo dal corpo che l'ha ospitata (ipotesi infalsificabile nell'al di qua) mi sembra epistemologicamente piuttosto infondato, al netto di tutte le tradizioni culturali e dei topos letterari. Quali prove, che non siano narrazioni degli antichi (ricchi di fantasia ma poveri di nozioni), depone a favore di tale generazione di un'attività immateriale eterna partendo da un innesco biologico?
Quando la fiamma di una candela si spegne (tanto per usare un esempio originale), dove va? Oppure non va da nessuna parte, ma cambia semplicemente il suo stato fisico, non essendo più fiamma bensì fumo (non più uomo-vivo bensì cadavere)? L'uomo non è una candela, certo, ma intanto, fino a prova contraria, nonostante l'abbondanza di teorie infalsificabili (che non forniscono prove in merito), la vedo piuttosto semplice.

Jacopus

#43
La candela non può pensare sè stessa pensante. L'uomo sí. E pensare sè stesso è un processo incrementato da tutti gli ausili culturali che abbiamo inventato negli ultimi diecimila anni (miti compresi).
Per questo motivo ci chiediamo il senso della vita e il significato della morte ed un significato è quello mostrato dalle religioni.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

davintro

Citazione di: Phil il 14 Novembre 2019, 16:36:51 PMLa morte è un tema così ricco di storia e di narrazioni che forse si fa fatica a semplificarlo, tuttavia ho l'impressione che sia oggi uno dei temi classici più "sopravvalutati": la mia autocoscienza, autopercezione, autoconsapevolezza, autoetc., ha avuto un suo innesco biologico (dalla fecondazione alla nascita, etc.) a cui seguirà un disinnesco altrettanto bio-logico (differenti possono esserne le cause), che lascerà la materia del mio corpo priva di quell'attività (neurologica, vascolare, etc.) chiamata «vita». Fin qui ho pochi dubbi. Pensare che a seguito dell'innesco biologico debba crearsi una (auto)coscienza eterna (attributo per sua definizione inverificabile) che continui la sua attività prescindendo dal corpo che l'ha ospitata (ipotesi infalsificabile nell'al di qua) mi sembra epistemologicamente piuttosto infondato, al netto di tutte le tradizioni culturali e dei topos letterari. Quali prove, che non siano narrazioni degli antichi (ricchi di fantasia ma poveri di nozioni), depone a favore di tale generazione di un'attività immateriale eterna partendo da un innesco biologico? Quando la fiamma di una candela si spegne (tanto per usare un esempio originale), dove va? Oppure non va da nessuna parte, ma cambia semplicemente il suo stato fisico, non essendo più fiamma bensì fumo (non più uomo-vivo bensì cadavere)? L'uomo non è una candela, certo, ma intanto, fino a prova contraria, nonostante l'abbondanza di teorie infalsificabili (che non forniscono prove in merito), la vedo piuttosto semplice.

Nemmeno a me convince l'idea di un'anima totalmente affrancata dal corpo, proprio da un punto di vista logico-speculativo. Un'anima, una forma spirituale del tutto autosufficiente rispetto al rapporto con una base materiale, assurgerebbe a una condizione divina, quella dello Spirito assoluto, incompatibile con la sua condizione ontologica umana, finita e contingente. Ma l'impossibilità di vita umana del tutto slegata dalla materia non implica necessariamente la negazione di una vita eterna oltre la morte. Se il corpo va inteso come materia formata adeguata a supportare determinate funzioni vitali che nel loro complesso costituiscono la forma, l'essenza della vita, allora sarebbe ammettere possibile diverse tipologie di corporeità in corrispondenza di diverse forme definenti i vari modelli di "vita". Due ragazzi vanno a correre (supponendo abbiano grossomodo la stessa disposizione alla resistenza fisica, per evitare di complicare il senso dell'esempio). Il primo decide di fermarsi dopo 10 minuti, il secondo prosegue per mezzora. Quest'ultimo appena concluso l'esercizio incontra una persona che gli parla di un argomento che gli sta fortemente a cuore. Subito le sue energie si ricaricano immediatamente sospinte dallo stimolo mentale verso l'argomento di discussione, al punto che si sente persino più fresco ed energico del primo ragazzo, pur avendo appena concluso un esercizio fisico tre volte più prolungato. Ciò, nell'ottica di un'antropologia totalmente fisicalista e meccanicista sarebbe inconcepibile. In un'ottica di questo genere, ogni evento psichico, come l'aumento o perdita di forza vitale dovrebbe essere riconducibile a una causalità fisica del tutto prevedibile esteriormente, articolata nella polarità sforzo/dispersione energetica vs riposo/recupero. Invece l'esempio mostra l'influsso di una componente soggettiva, spirituale, motivazionale, il nostro sistema di valori, che, accanto alle cause fisiche, interviene sulla psiche rinvigorendone l'energia nel caso dei sentimenti positivi o esaurendola nel caso dei sentimenti negativi (direi, il caso della depressione). Penso che anche il più radicale riduzionista cultore delle neuroscienze non potrebbe immaginare una previsione scientifica così esatta delle reazioni psicologiche di fronte a stimoli di natura valoriale. Questa sfera motivazionale-spirituale, irriducibile alla causalità fisica, costituisce una fonte di autoricarimento delle energie psichiche, e se a ciò aggiungiamo il principio per cui l'abituale esercizio di una facoltà determina il formarsi di una disposizione stabile (come a livello fisico notiamo come dopo anni di allenamento un atleta raggiunga un livello di coordinazione o potenza che consente di utilizzare il corpo per raggiungere livelli di efficienza irraggiungibili per gli altri), allora troverei del tutto ragionevole ammettere che una persona abituata nel corso della vita a trarre forza soprattutto da valori spirituali (etica, conoscenza, politica, certe forme artistiche) piuttosto che sul possesso dei beni materiali, possa sviluppare una disposizione psichica ad alimentare la propria energia a partire da fonti distinte da quelle da cui attinge il corpo, e dunque a preservare, entro i limiti in cui sviluppa tale indipendenza, un certo livello di energia.  Se tutto questo discorso lo calibriamo col principio ricordato in precedenza, di negare per l'anima condizione divina di una condizione puramente spirituale, allora la soluzione più ragionevole appare essere che il livello di energia psichica spiritualmente alimentata (nulla di new age, mistico, cialtronesco, basti l'esempio di prima dell'entusiasmo per i valori personali che contrastano l'azione della causalità fisica nel caso dell'atleta, un fenomeno potenzialmente ricorrente e che tutti possono naturalmente constatare), necessiti sempre di un corpo, di un supporto materiale, ma di un tipo qualitativamente distinto e irriducibile dai corpi di cui abbiamo esperienza, corpi maggiormente adeguati a supportare materialmente delle forme vivente che hanno raggiunto, dopo il distacco dai corpi della vita precedente, un livello spirituale più elevato e profondo. Una tipologia di corpi impossibili da descrivere sulle basate delle attuali categorie intellettive tarate per il nostro attuale livello, ma che si potrebbero avvicinare all'idea di una "materia angelica", complesso di potenzialità di enti, il cui atto, la componente formale che configura la materia e la specifica ordinandola in distinte funzioni, non è puro come quello divino, ma occupa un livello ontologico superiore rispetto agli atti umani

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