Menu principale

La morte

Aperto da daniele75, 09 Novembre 2019, 07:44:10 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Phil

Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
A rigor di termini, i sensi non sbagliano né correggono mai, per la semplice ragione che non giudicano, cioè non pongono il contenuto che recepiscono come uno stato di cose oggettivo di fronte alla quale tale presa di posizione può essere errata o meno. Anche nel caso in cui tutto ciò che i sensi recepiscono corrispondesse pienamente alla realtà oggettiva, ciò non porterebbe a porre la sensibilità come parametro sufficiente a legittimare razionalmente il valore di verità di una conoscenza fondata su di essi
Credo dipenda molto dal tipo di oggetto che ci apprestiamo a conoscere: se è un oggetto sensibile, le percezioni (ovviamente elaborate da un cervello pensante) sono talvolta sufficienti (per conoscere e studiare una finestra, ad esempio); se parliamo di oggetti da conoscere del tipo di concetti, idee, etc., la questione è decisamente più complessa e sovrasensibile, perché tale conoscenza scopre il fianco alle problematiche della comunicabilità, interpretazione, verificabilità, etc. spesso in senso extra-empirico e ricade nella conseguente ambiguità logica (di cui sotto).

Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
Se ci attenessimo rigorosamente all'esperienza da cui l'induzione trae le generalizzazioni dovremmo limitarci a giudicare che "i cigni FINORA osservati sono bianchi", mentre la legge scientifico/zoologica "tutti i cigni sono bianchi" presuppone l'utilizzo della categoria "tutti", comprendente anche tutti i cigni finora mai osservati", e dunque un elemento non empirico, ma presente alla nostra mente in modo originario (se il termine "innato" infastidisce).
Si può "lavorare" bene, sia in scienza che in filosofia, ponderando adeguatamente quel «finora» o un «fino a prova contraria»; non vedo alcuna necessità, né logica né pragmatica, di universalizzare (vecchio vizio dei filosofi): agisco e penso basandomi sulla casistica (e sulle sue previsioni annesse), senza precludermi la possibilità di gestire un'eccezione alla regola generale. «Finora tutti i cigni osservati sono bianchi» e se mi imbatto in un cigno nero, non deduco che non possa essere un cigno perché è nero, né lo classifico come (brutto) anatroccolo; piuttosto aggiorno la casistica e modifico la norma generale in «finora la gran parte dei cigni osservati sono bianchi». Se invece mi fidavo della legge universale «tutti i cigni sono bianchi», la confutazione empirico-induttiva di tale assioma comporta crisi nella struttura di pensiero che vi si fondava (praticamente, fuor di metafora, quello che è successo alla metafisica classica, alla logica aristotelica, alla geometria euclidea, etc. nel famigerato novecento).
Secondo me, in tutta la scienza onestamente sperimentale c'è quello sbiadito «finora» prima della generalizzazione che segue.

Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
L'induzione (ma forse sarebbe meglio dire l'esperienza) può smentire una deduzione nelle sue premesse, ma entro i limiti in cui le premesse presumono di poggiare, a loro volta, sull'esperienza. Tutto ciò che fischia è una locomotiva-Socrate fischia-Socrate è una locomotiva è un esempio di deduzione la cui premessa è facilmente smentibile dall'esperienza, ma questi sillogismi sono solo per Aristotele esempi applicativi di deduzione, la loro falsificabilità empirica non tocca l'essenza del metodo, che consiste nella necessità consequenziale dei passaggi logici che connettono le premesse alle conclusioni: l'esperienza può smentire le premesse su cui le deduzioni poggiano, ma mai i principi logici che strutturano formalmente il ragionamento, e la deduzione filosofica fa leva su questi ultimi, non sul contenuto empirico delle premesse, e in questo senso non è vero sia infalsificabile, e dunque non scientifica.
La deduzione in sé non è falsificabile o meno, scientifica o meno: come ricordavo a donquixote, la logica formale (usiamo il singolare semplificando) consente ragionamenti validi, ma non necessariamente veri: il tallone d'Achille della logica è la "compilazione" dei suoi elementi, dei suoi assiomi, delle sue proposizioni, etc.. La conseguenza filosofica (e non) è che la validità logica non comporta affatto attendibilità veritativa: circoli viziosi, falsità, fallacie semantiche, etc. possono essere costituite da ragionamenti perfettamente validi dal punto di vista logico.
Per questo la logica deduttiva non serve a conoscere attendibimente se non è verificata "dal basso", dall'empiria, e ciò che non può essere verificato, o almeno potenzialmente falsificato, non è da considerare attendibile solo perché è logicamente coerente (come dimostrano le varie "prove logiche" dell'esistenza di un dio, dai medioevali a Godel: è un semplice concetto infalsificabile, non ha senso scomodare petitio principii o duellare sofisticamente partendo da assiomi e paradigmi differenti).

Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
Infatti proprio perchè gli assiomi logici costituiscono regole comuni a ogni pensiero, in via ipotetica ogni pensiero può provare a smentirne il valore di verità, che poi di fatto ciò sia impossibile (se provassi a contestare il principio di non contraddizione finirei per contraddirmi e dunque per autoinvalidare la critica) non attesta l'infalsficabilità e la non-scientificità del valore di verità delle regole, ma anzi ne conferma necessariamente e costantemente la sua validità, regge alla prova della falsificazione, solo la regge ad un livello superiore rispetto a quello delle verifiche empiriche delle scienze naturali, perché in ogni caso il tentativo di smentirle può in ogni momento essere provato e constatato come fallimentare
Il principio di non contraddizione non fa eccezione al suddetto problema della "compilazione"; non sono esperto di logiche paraconsistenti (che tuttavia esistono e violano in modo controllato il principio di non contraddizione), quindi faccio un esempio banale: due rette parallele prolungate all'infinito, si toccano o non si toccano? Ognuna delle due risposte ha un suo sistema di riferimento non auto-contraddittorio; eppure, ci chiederebbe un "monista", qual'è allora la verità?
All'interno della validità della logica aristotelica (limitandoci quindi a quella più basilare, lasciando fuori quelle modali, le suddette paraconsistenti, il tema della temporalità, etc.) non abbiamo alcuna garanzia di conoscenza veridica, ma solo di formulazione logicamente valida (che, come ricordato, non esclude circoli viziosi, falsità, etc.). L'induzione ci dà i dati, gli elementi, le evidenze (per quanto fallibili e interpretabili) per ancorare, fino a prova contraria, la validità alla verità, pagando però il prezzo di perdere l'agognata universalità e/o assolutezza che faciliterebbero l'assiomatizzazione della conoscenza.


P.s.
Non intendo certo sconsigliare l'uso della deduzione o sminuire il ruolo fondamentale della logica formale, ma considerarne gli "angoli ciechi" è comunque interessante; su astrazione/innatismo deduttivo, metafisica, etc. discutemmo già abbastanza approfonditamente qui, per cui evito di innescare ripetizioni.

davintro

Citazione di: Phil il 27 Novembre 2019, 17:07:30 PM
Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AMA rigor di termini, i sensi non sbagliano né correggono mai, per la semplice ragione che non giudicano, cioè non pongono il contenuto che recepiscono come uno stato di cose oggettivo di fronte alla quale tale presa di posizione può essere errata o meno. Anche nel caso in cui tutto ciò che i sensi recepiscono corrispondesse pienamente alla realtà oggettiva, ciò non porterebbe a porre la sensibilità come parametro sufficiente a legittimare razionalmente il valore di verità di una conoscenza fondata su di essi
Credo dipenda molto dal tipo di oggetto che ci apprestiamo a conoscere: se è un oggetto sensibile, le percezioni (ovviamente elaborate da un cervello pensante) sono talvolta sufficienti (per conoscere e studiare una finestra, ad esempio); se parliamo di oggetti da conoscere del tipo di concetti, idee, etc., la questione è decisamente più complessa e sovrasensibile, perché tale conoscenza scopre il fianco alle problematiche della comunicabilità, interpretazione, verificabilità, etc. spesso in senso extra-empirico e ricade nella conseguente ambiguità logica (di cui sotto).
Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AMSe ci attenessimo rigorosamente all'esperienza da cui l'induzione trae le generalizzazioni dovremmo limitarci a giudicare che "i cigni FINORA osservati sono bianchi", mentre la legge scientifico/zoologica "tutti i cigni sono bianchi" presuppone l'utilizzo della categoria "tutti", comprendente anche tutti i cigni finora mai osservati", e dunque un elemento non empirico, ma presente alla nostra mente in modo originario (se il termine "innato" infastidisce).
Si può "lavorare" bene, sia in scienza che in filosofia, ponderando adeguatamente quel «finora» o un «fino a prova contraria»; non vedo alcuna necessità, né logica né pragmatica, di universalizzare (vecchio vizio dei filosofi): agisco e penso basandomi sulla casistica (e sulle sue previsioni annesse), senza precludermi la possibilità di gestire un'eccezione alla regola generale. «Finora tutti i cigni osservati sono bianchi» e se mi imbatto in un cigno nero, non deduco che non possa essere un cigno perché è nero, né lo classifico come (brutto) anatroccolo; piuttosto aggiorno la casistica e modifico la norma generale in «finora la gran parte dei cigni osservati sono bianchi». Se invece mi fidavo della legge universale «tutti i cigni sono bianchi», la confutazione empirico-induttiva di tale assioma comporta crisi nella struttura di pensiero che vi si fondava (praticamente, fuor di metafora, quello che è successo alla metafisica classica, alla logica aristotelica, alla geometria euclidea, etc. nel famigerato novecento). Secondo me, in tutta la scienza onestamente sperimentale c'è quello sbiadito «finora» prima della generalizzazione che segue.
Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AML'induzione (ma forse sarebbe meglio dire l'esperienza) può smentire una deduzione nelle sue premesse, ma entro i limiti in cui le premesse presumono di poggiare, a loro volta, sull'esperienza. Tutto ciò che fischia è una locomotiva-Socrate fischia-Socrate è una locomotiva è un esempio di deduzione la cui premessa è facilmente smentibile dall'esperienza, ma questi sillogismi sono solo per Aristotele esempi applicativi di deduzione, la loro falsificabilità empirica non tocca l'essenza del metodo, che consiste nella necessità consequenziale dei passaggi logici che connettono le premesse alle conclusioni: l'esperienza può smentire le premesse su cui le deduzioni poggiano, ma mai i principi logici che strutturano formalmente il ragionamento, e la deduzione filosofica fa leva su questi ultimi, non sul contenuto empirico delle premesse, e in questo senso non è vero sia infalsificabile, e dunque non scientifica.
La deduzione in sé non è falsificabile o meno, scientifica o meno: come ricordavo a donquixote, la logica formale (usiamo il singolare semplificando) consente ragionamenti validi, ma non necessariamente veri: il tallone d'Achille della logica è la "compilazione" dei suoi elementi, dei suoi assiomi, delle sue proposizioni, etc.. La conseguenza filosofica (e non) è che la validità logica non comporta affatto attendibilità veritativa: circoli viziosi, falsità, fallacie semantiche, etc. possono essere costituite da ragionamenti perfettamente validi dal punto di vista logico. Per questo la logica deduttiva non serve a conoscere attendibimente se non è verificata "dal basso", dall'empiria, e ciò che non può essere verificato, o almeno potenzialmente falsificato, non è da considerare attendibile solo perché è logicamente coerente (come dimostrano le varie "prove logiche" dell'esistenza di un dio, dai medioevali a Godel: è un semplice concetto infalsificabile, non ha senso scomodare petitio principii o duellare sofisticamente partendo da assiomi e paradigmi differenti).
Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AMInfatti proprio perchè gli assiomi logici costituiscono regole comuni a ogni pensiero, in via ipotetica ogni pensiero può provare a smentirne il valore di verità, che poi di fatto ciò sia impossibile (se provassi a contestare il principio di non contraddizione finirei per contraddirmi e dunque per autoinvalidare la critica) non attesta l'infalsficabilità e la non-scientificità del valore di verità delle regole, ma anzi ne conferma necessariamente e costantemente la sua validità, regge alla prova della falsificazione, solo la regge ad un livello superiore rispetto a quello delle verifiche empiriche delle scienze naturali, perché in ogni caso il tentativo di smentirle può in ogni momento essere provato e constatato come fallimentare
Il principio di non contraddizione non fa eccezione al suddetto problema della "compilazione"; non sono esperto di logiche paraconsistenti (che tuttavia esistono e violano in modo controllato il principio di non contraddizione), quindi faccio un esempio banale: due rette parallele prolungate all'infinito, si toccano o non si toccano? Ognuna delle due risposte ha un suo sistema di riferimento non auto-contraddittorio; eppure, ci chiederebbe un "monista", qual'è allora la verità? All'interno della validità della logica aristotelica (limitandoci quindi a quella più basilare, lasciando fuori quelle modali, le suddette paraconsistenti, il tema della temporalità, etc.) non abbiamo alcuna garanzia di conoscenza veridica, ma solo di formulazione logicamente valida (che, come ricordato, non esclude circoli viziosi, falsità, etc.). L'induzione ci dà i dati, gli elementi, le evidenze (per quanto fallibili e interpretabili) per ancorare, fino a prova contraria, la validità alla verità, pagando però il prezzo di perdere l'agognata universalità e/o assolutezza che faciliterebbero l'assiomatizzazione della conoscenza. P.s. Non intendo certo sconsigliare l'uso della deduzione o sminuire il ruolo fondamentale della logica formale, ma considerarne gli "angoli ciechi" è comunque interessante; su astrazione/innatismo deduttivo, metafisica, etc. discutemmo già abbastanza approfonditamente qui, per cui evito di innescare ripetizioni.

pur ritenendo di poter mantenere, nonostante questi appunti, nel complesso le mie convinzioni espresse in precedenza, preferisco per ora fermarmi qui riguardo la trattazione di questi temi, perché penso che ci sia il rischio di allontanarsi eccessivamente dal tema di partenza della discussione. Ovviamente con l'auspicio di poter riprendere le argomentazioni in altri contesti

Phil

Hai ragione, in teoria saremmo in un topic che ha per tema la morte; coerentemente, il tema stesso è morto lasciando spazio ad un post mortem di discussioni su etica, "videogame", logica, etc. a metaforica dimostrazione di come sia un tema fatalmente sfuggente, indicibile, che ci rimbalza sempre nell'al di qua.

and1972rea

#168
Citazione
È chiaro che siamo reazioni chimiche a scadenza, non è una macchina perfetta l'uomo, chi lo dice è solo un positivista. L'uomo è difettoso, si ammala. La fede e la malattia mentale sono la via per sconfiggere il pensiero della morte.
Se consistessimo davvero in alcune reazioni chimiche, basterebbe poter ripetere le stesse tal quali davanti ai nostri occhi per ottenere un clone identico a noi, ma basterebbe guardare questo individuo negli occhi per comprendere  che egli non sarebbe evidentemente affatto noi, e che il suo essere cosciente di sé stesso non sarebbe il nostro, né la nostra autocoscienza la sua, nonostante possa egli condividere con noi tutta la nostra memoria ed il nostro modo di percepire i fenomeni. Quindi, logicamente ,noi non possiamo affermare di essere ciò che vediamo di noi stessi, non possiamo consistere in una serie per quanto organizzata e relazionata di porzioni qualunque di materia elementare; insomma, non possiamo dire :" ecco, io sono semplicemente un gruppetto di atomi ben  organizzato che produce la mia esistenza fino a che, ovunque ,ogni volta che, e soltanto se si organizza in un certo modo" , questa affermazione non ha evidentemente alcun fondamento né razionale, né scientifico. Il mio suggerimento per affrontare il concetto di morte, quindi, è di non abbandonarsi all'irrazionalità ,all'immaginazione, alla suggestione di modelli che ci siamo creati fino ad ora per raccontare la nostra esistenza e ciò che sembra circondarci; noi siamo evidentemente molto più di tutto ciò che dobbiamo usare per vivere ,che è molto meno di tutto quello a cui dovremmo tendere nel cercare il fondamento della nostra esistenza .







Arjuna56

Io credo nell'energia. L'universo è energia, non lo dico io ovviamente, ogni esistenza è energia. Ogni materiale ha energia seppur privo di coscienza. L'energia è nella cellula e nell'atomo. Inifniti atomi compongono l'universo, che è materia intriseca di energia, mutevole tra l'altro poichè l'universo come diceva il buon Albert, è curvo. Esattamente ad Onde. Si suddivide poi la materia visibile da quella invisibile, con la componente aggiuntiva dell'antimateria. Ma il discorso sull'anti materia è ancora in dibattito. La materia invisibile, la materia oscura, è la maggioranza nell'universo. Per semplificare nello spazio la parte oscura è materia intrinseca di energia. Detto ciò tutto è energia. Nella mia visione scientifica, l'energia si divide in conscia ed inconscia. La pietra è energia inconscia, la pianta è conscia tanto quanto l'animale. Studi recenti, giapponesi, individuano come le vibrazioni energetiche (tutto vibra nell'universo, nulla è statico) della pianta cambino a seconda di ciò che essa subisce. Se accarezzata le vibrazioni sono curve e dolci, se strappata sono acute e taglienti. L'esperimento indica che le piante hanno coscienza di ciò che gli accade e questo basta. 
CURIOSITÀ: Le piante comunicano tra loro tramite onde elettromagnetiche inviate dalle radici. 
Detto tutto ciò l'esistenza è energia, noi siamo energia e l'oriente mi sostiene in questa mia visione seppur con differenze.

Discussioni simili (5)