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La mano e la moneta

Aperto da Eutidemo, 22 Dicembre 2019, 15:47:11 PM

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baylham

A me sembra che ci sia una differenza teorica e non solo pratica tra la tesi che afferma l'esistenza di qualcosa e la tesi contraria, che sostiene l'inesistenza di qualcosa: la prima è una proposizione infalsificabile, la seconda è falsificabile.
Questa differenza mi sembra avvantaggi la religione, la metafisica, il soprannaturale, la magia, il miracolo.

Eutidemo

Citazione di: baylham il 24 Dicembre 2019, 09:24:11 AM
A me sembra che ci sia una differenza teorica e non solo pratica tra la tesi che afferma l'esistenza di qualcosa e la tesi contraria, che sostiene l'inesistenza di qualcosa: la prima è una proposizione infalsificabile, la seconda è falsificabile.
Questa differenza mi sembra avvantaggi la religione, la metafisica, il soprannaturale, la magia, il miracolo.

Giusto! :)
Però, secondo me, non c'è "equipollenza" tra una proposizione infalsificabile ed una  falsificabile; chi sostiene che ci sia, secondo me, cade nel sofisma della "falsa isostenia"

Phil

Citazione di: Eutidemo il 24 Dicembre 2019, 09:54:42 AM
Citazione di: baylham il 24 Dicembre 2019, 09:24:11 AM
A me sembra che ci sia una differenza teorica e non solo pratica tra la tesi che afferma l'esistenza di qualcosa e la tesi contraria, che sostiene l'inesistenza di qualcosa: la prima è una proposizione infalsificabile, la seconda è falsificabile.
Questa differenza mi sembra avvantaggi la religione, la metafisica, il soprannaturale, la magia, il miracolo.

Giusto! :)
Però, secondo me, non c'è "equipollenza" tra una proposizione infalsificabile ed una  falsificabile; chi sostiene che ci sia, secondo me, cade nel sofisma della "falsa isostenia"
Non credo che l'affermazione di esistenza sia di per sé infalsificabile: se affermo che nella stanza c'è una sedia, tale proposizione può essere falsificata verificando che nella stanza non c'è nessuna sedia.
L'affermazione di esistenza diventa infalsificabile se lo spazio e/o il tempo e/o le modalità dell'adeguata verifica di esistenza eccedono l'efficacia del praticabile metodo di verifica (v. la famosa teiera di Russell); oppure se si afferma l'esistenza di qualcosa per sua stessa definizione infalsificabile (una sedia invisibile, intangibile, etc.).

davintro

Avevo già considerato l'evidente differenza ("differenza", sesta parola del mio messaggio, chissà se Eutidemo l' ha azzeccata...) che passa tra una stanza in cui verificare la mancanza di un mostro e delle sedie e un mondo intero dove dover verificare l'inesistenza di un unicorno, ed è un'obiezione che mi aspettavo di ricevere. Ma questa differenza, per quanto abissale, resta pur sempre un differenza quantitativa, e non qualitativa, e in quanto tale non può mai incidere sul problema della distinzione tra un approccio argomentativo sufficiente a legittimare la razionalità di un discorso e uno insufficiente, distinzione che resta uno stacco qualitativo, in quanto la categoria di "vero", da riferire a una tesi è una categoria che si oppone al "falso" in un aut aut qualitativo e non come sfumatura in un continuum di "più o "meno" (che un discorso complesso possa contenere sia elementi di verità o di falsità non cambia i termini della questione, in quanto questo discorso complesso sarà sempre una sintesi di singole tesi che considerate una per una non escono dal bivio "tesi vera" "tesi falsa"). Le difficoltà tecniche di applicazione di una metodologia di ricerca non riguardano il lavoro dell'epistemologo-filosofo (faccio coincidere le due categorie, in quanto l'epistemologia è branca della filosofia, se coincidesse con una delle scienze di cui si occupa di argomentare i presupposti, il margine di validità della metodologia e i limiti, non potrebbe astrarsi da essa per valutarla in modo autonomo, come se in un processo l'imputato fosse al tempo stesso accusatore) , che si ferma nel momento in cui vengono chiarite le condizioni a priori di verifica della razionalità di un discorso, per poi lasciare spazio ai problemi tecnici al ricercatore empirico che applica un metodo all'interno della particolare regione ontologica a cui riferisce le questioni che mira a risolvere. Pensare che le difficoltà applicative debbano arrivare a incidere sul lavoro teorico pregresso dell'individuazione dei criteri di razionalità del discorso, vuol dire snaturare il secondo, sovrapponendo il piano pragmatico a quello teorico. E ciò è da rigettare non, ovviamente, in nome di una superiorità assiologica della teoria sulla prassi (al di là del fatto delle personali legittime priorità di interesse che noi tutti siamo liberi di coltivare), ma in nome della distinzione di due punti di vista che restano ben distinti, quello teorico delle garanzie universali di razionalità del metodo, di cui un sapere non empirico ma eidetico come quello filosofico si occupa, e quello tecnico di superamento delle difficoltà contingenti di applicazione del metodo in uno specifico contesto esistenziale. Pretendere che le difficoltà del secondo piano debbano riversarsi sul primo, sarebbe come se io contestassi la bontà della ricetta di una torta solo perché i negozi dove acquistare gli ingredienti indicati sono troppo lontani, e non c'ho voglia di uscire di casa, oppure anche mettendomi alla ricerca non farei in tempo per la cena di stasera. La bontà della ricetta non è determinata dalla facilità di realizzazione, ma dal fatto che, nel momento in cui la realizzazione venisse messa in atto, la torta risulterebbe comunque gustosa, tradotto nel nostro caso, il riconoscimento della razionalità del discorso ne garantirebbe l'oggettività.

Phil

Citazione di: davintro il 24 Dicembre 2019, 15:25:18 PM
il riconoscimento della razionalità del discorso ne garantirebbe l'oggettività.
Eppure, ha davvero senso fondare la presunta "oggettività" sulla razionalità del discorso e non piuttosto sulla realtà dei presunti oggetti?
Se vogliamo dimostrazioni, oneri della prova d'esistenza, verità, etc. possiamo davvero fare a meno di rivolgerci alla concretezza di dati, fatti ed eventi, in nome di una deduzione in cui gli assiomi chiudono sempre tautologicamente il loro cerchio teorico, a prescindere dalla loro pertinenza con la realtà (ovvero basta che il sistema non sia autocontraddittorio per essere razionale e, a quanto proponi, garante di "oggettività")?
Se parliamo di esistenza, non è forse fondamentale coinvolgere pragmaticamente gli esist-enti?
Un'epistemologia che non considera la prassi delle scienze a cui si riferisce, non resta sempre "monca" e nondimeno narcisista (per non dire inservibile)?
La differenza fra fisica teorica e fisica sperimentale è secondo me eloquente in merito a oneri della prova, oggettività, verificazione contro possibilità etc.

Eutidemo

#20
Per tornare al "rasoio di Ockham", per sintetizzare al massimo il concetto, esso si riassume brevemente in questo: a parità di elementi la soluzione di un problema è quella più semplice e ragionevole.
Ma la faccenda non è così "liscia" :) .

***
Ad esempio, due secoli fa, se, trovandoci di notte in un cimitero, avessimo assistito al fenomeno dei "fuochi fatui", la spiegazione "più semplice" sarebbe potuta sembrare quella che si trattava degli spiriti dei defunti, sepolti nella terra proprio nel punto da cui scatuirivano le misteriose fiammelle; ed invece, riflettendoci sopra, avremmo dovuto sospettare che quella, invece, era la spiegazione più "complicata".
Ed infatti, per spiegare un fenomeno più o meno misterioso, supporre che esso sia dovuto all'intervento di entità "non fisiche", in  realtà, è molto più "complicato" che supporre che esso si verifichi per il concorso, seppur complesso, di fattori meramente "fisici"; perchè questo ci spingerebbe a supporre qualcosa di non verificabile (e non "falsificabile").
Ed infatti, approfondendo la natura fisica del fenomeno, alla fine si scoprì che si trattava semplicemente di fiammelle derivate dalla combustione del metano e del fosfano dovuta alla decomposizione dei cadaveri; con conseguente fuoriuscita del metano originato dalla decomposizione della salma.
Ma, ad una mente "non scientifica", probabilmente anche oggi l'ipotesi dei fantasmi sembra sempre la più "semplice"! ;)

***
Quanto sopra, peraltro, non vale solo per l'alternativa "fisico"/"metafisico", ma anche al mero livello "fenomenico".
Ed infatti, il mancato uso del rasoio di Ockham è una caratteristica delle "pseudoteorie", in tutti quei casi in cui si cerca di spiegare un fenomeno più o meno misterioso ipotizzandone altri di ancora più improbabili.
Per esempio, le piramidi d'Egitto sono meraviglie architettoniche e non è ancora del tutto chiaro come gli antichi Egizi riuscirono a costruirle, per cui:
a)
E' senz'altro possibile congetturare che lo abbiano fatto grazie a tecnologie avanzate fornite loro da civiltà aliene, magari anche basandoci su presunti "indizi";
b)
Però, seguendo "il principio di economia" di Ockam, è sicuramente preferibile supporre che ci siano riusciti da soli sfruttando in modo ingegnoso le conoscenze dell'epoca.
Ed infatti, nel secondo modo non siamo costretti ad ipotizzare una serie di condizioni particolari (e non dimostrate), e, cioè:
- che gli alieni esistano;
- che siano riusciti ad arrivare sulla Terra;
- che siano riusciti a comunicare con gli Egizi;
- che, infine, siano scomparsi senza lasciare tracce, e senza più tornare a darci una mano (cosa di cui oggi avremmo estremo bisogno).
Per cui è molto più "semplice" (e plausibile) spiegare lo stesso fenomeno delle piramidi, facendo ricorso a "meno" ipotesi consequenziali, e che gli Egizi ci siano riusciti da soli. ;)

***
Fin qui tutto bene, ma, come osserva A.Ferrero, le cose:
1)- diventano "più complicate" se proviamo a definire esattamente che cosa vuol dire "più semplice";
2)- perché mai, comunque, dovremmo preferire la spiegazione più semplice e non quella "più complicata".

***
1)
Quanto alla questione sub 1), la "teoria più semplice":
- da alcuni è ritenuta quella che richiede meno entità dello stesso tipo (semplicità quantitativa);
- da altri è ritenuta quella che richiede meno tipi diversi di entità (semplicità qualitativa);
- ovvero ancora,  quella che richiede meno tipi di processi causali diversi, o meno ipotesi ausiliarie, o meno asimmetrie.
***
In filosofia della scienza, peraltro, ci sono almeno una decina di definizioni diverse di "semplicità":
- alcune delle quali riguardano ciò che pensiamo del mondo (per esempio quante forze fondamentali o quante particelle elementari pensiamo che esistano);
- altre riguardano   la struttura che vogliamo dare alle nostre teorie (per esempio se si possano mettere alla prova sperimentalmente, o se si possano esprimere in equazioni brevi e con poche variabili).
***
Ed allora, come facciamo a valutare una teoria che è più semplice di un'altra secondo uno di questi criteri, ma più complicata secondo un altro?
Come decidiamo se aggiungere a un modello una variabile che ne aumenta il potere esplicativo, a prezzo però di un aumento della complessità che lo rende meno plausibile?
Per chi interessa, l'argomento è trattato approfonditamente dal filosofo della scienza Elliott Sober nel libro Ockham's Razors – A User's Manual, Cambridge University Press, 2015.
***
A tutt'oggi, scientificamente, non esiste il consenso su una definizione specifica e precisa di "semplicità; tuttavia, da Galileo, a Newton, a Lavoisier ad Einstein, fino agli scienziati attuali, tutti sono d'accordo che essa sia un principio basilare della conoscenza.
***
Per quel poco che può valere la mia modesta opinione, tutto dipende da quanto rigorosamente si vuole applicare tale principio; ed invero, se si rispettano "tutti" i parametri di cui sopra (nei casi in cui è possibile), non c'è dubbio che si tratti della teoria preferibile; altrimenti la questione diventa più opinabile.
Quanto al problema di come facciamo a valutare una teoria che è più semplice di un'altra secondo uno di questi criteri, ma più complicata secondo un altro, i casi sono due:
- se è possibile si sceglie  una via di mezzo;
- se non è possibile, ognuno si sceglie la teoria che preferisce.
Tanto, in ogni caso, nè il "Rasoio di Ockham", nè alcun altro metodo umano, ci daranno mai la "certezza assoluta" riguardo a niente!


***
2)
Mettiamo allora da parte  la questione di che cos'è la "semplicità" e proviamo a capire meglio perché gli scienziati preferiscono le teorie "più semplici"; ed infatti, perchè mai non si dovrebbero preferire le teorie "più complicate"?
Il "tafazzismo", infatti, non è certo un reato!
Al riguardo:

a)
La risposta più "semplice" è che le teorie più "semplici" hanno più probabilità di essere "vere"; ma non è del tutto esatto!
Ed infatti, la storia della scienza ci mostra molti esempi di teorie più complicate che hanno soppiantato teorie più semplici e lineari.
Per fare un esempio, qualunque sia la nostra definizione di semplicità, è difficile negare che i 118 elementi chimici attualmente noti formino un quadro più complesso delle 33 sostanze elementari identificate da Lavoisier e delle quattro di Empedocle (aria, acqua, terra, fuoco).
Per fare un altro esempio, la fisica subatomica di oggi, con i suoi numerosi tipi di particelle elementari, è un modello molto più "complesso" di quella del primo Novecento, che si fermava a protoni, neutroni ed elettroni.
E si potrebbero fare molti altri esempi; però, secondo me, non bisogna confondere:
- le teorie "semplici" con le teorie "meno aggiornate", perchè scientificamente più antiche e, quindi, meno "elaborate";
- le teorie gratuitamente "complicate" con le teorie "più complesse", in quanto dovute ad un maggior "progresso scientifico" rispetto al passato.

b)
Però si può fare un diverso ragionamento, per trovare una giustificazione metodologica del rasoio di Ockham: e, cioè, che, proprio perché la natura è complicata ed è probabile che le mie ipotesi si rivelino sbagliate, la "semplicità" mi aiuta a ridurre il rischio di errore, perché meno ipotesi introduco nella mia teoria e più riduco il rischio di sbagliare.
Detto in altre parole, se io parto da teorie "semplici", composte da poche ipotesi e quindi più facili da verificare, e solo dopo aver corretto gli errori comincio ad affinarle, aggiungere altre ipotesi e renderle man mano più "complicate", sarà più "semplice" costruire un po' per volta una rappresentazione sempre più accurata della realtà.
Forse il mio ragionamento può sembrare un po' contorto, ma, almeno secondo me, è del tutto sensato.

c)
Ed invero, quando si fa un esperimento scientifico:
- è tecnicamente impossibile verificare singolarmente le diverse ipotesi che compongono una teoria;
- per cui è inevitabile dover mettere alla prova contemporaneamente diverse ipotesi collegate fra loro;
- e, se il risultato non è quello previsto, almeno ne deduciamo che una delle ipotesi è errata...pur non sapendo, sul momento, quale.

d)
Ne consegue che più sono numerose le ipotesi che mettiamo alla prova allo stesso tempo e più diventa difficile capire quali sono quelle sbagliate se i risultati sperimentali sono diversi da quelli previsti.

e)
In questo senso la versione più adatta del "principio di economia" di Ockham è quella di Bertrand Russell, il quale spesso ripeteva che: "Ogni volta che sia possibile, occorre sostituire le spiegazioni che usano enti sconosciuti con quelle che usano enti conosciuti".

***
In conclusione, l'importanza del rasoio di Ockham sta:
- nel costringerci a distinguere tra ciò che sappiamo da ciò che non sappiamo;
- nel proibirci di andare oltre la più semplice descrizione possibile.
In pratica, quindi, il rasoio di Ockham ci aiuta a stare alla larga dalle conoscenze "presunte" (come quella dell'etere luminifero) ed a capire dove le nostre teorie sono incomplete e hanno bisogno di essere migliorate.

Un saluto a tutti :)

Ipazia

#21
Citazione di: Eutidemo il 26 Dicembre 2019, 07:57:05 AM
Per fare un esempio, qualunque sia la nostra definizione di semplicità, è difficile negare che i 118 elementi chimici attualmente noti formino un quadro più complesso delle 33 sostanze elementari identificate da Lavoisier e delle quattro di Empedocle (aria, acqua, terra, fuoco).

Non è così. Nel caso della chimica Ockham funziona perfettamente: bastano 3 enti per scrivere tutta la tabella di Mendeleev, disponendoli diversamente come mattoncini lego. Inclusi gli eventuali elementi futuri che si dovessero produrre artificialmente. Ancora meno dei 4 arcaici e con una teoria esplicativa che non ha confronto. E molto meno dei 33 elementi di Lavoisier che non avevano alcun denominatore comune.

CitazionePer fare un altro esempio, la fisica subatomica di oggi, con i suoi numerosi tipi di particelle elementari, è un modello molto più "complesso" di quella del primo Novecento, che si fermava a protoni, neutroni ed elettroni.

Per l'atomo i 3 enti sono sufficienti a dar ragione di tutta la chimica. A livello subatomico si cerca comunque di unificare le teorie riducendo gli enti in gioco, in cui spesso non si tratta di nuovi enti ma di aggregazione di enti più semplici

CitazioneE si potrebbero fare molti altri esempi; però, secondo me, non bisogna confondere:
- le teorie "semplici" con le teorie "meno aggiornate", perchè scientificamente più antiche e, quindi, meno "elaborate";
- le teorie gratuitamente "complicate" con le teorie "più complesse", in quanto dovute ad un maggior "progresso scientifico" rispetto al passato.

Su questo, e sulle conclusioni del post, concordo. Però va sottolineato che una maggiore complicazione teorica deve avere controfiocchi sperimentali per sopravvivere al rasoio di Ockham, che rimane un criterio epistemologico irrinunciabile.

A livello di ricerca fondamentale l'attrazione verso l'unificazione e semplificazione è irresistibile e il successo più clamoroso riguarda il mondo della vita, unificato sotto un unico ente originario: il DNA.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

davintro

Citazione di: Phil il 24 Dicembre 2019, 17:06:13 PM
Citazione di: davintro il 24 Dicembre 2019, 15:25:18 PMil riconoscimento della razionalità del discorso ne garantirebbe l'oggettività.
Eppure, ha davvero senso fondare la presunta "oggettività" sulla razionalità del discorso e non piuttosto sulla realtà dei presunti oggetti? Se vogliamo dimostrazioni, oneri della prova d'esistenza, verità, etc. possiamo davvero fare a meno di rivolgerci alla concretezza di dati, fatti ed eventi, in nome di una deduzione in cui gli assiomi chiudono sempre tautologicamente il loro cerchio teorico, a prescindere dalla loro pertinenza con la realtà (ovvero basta che il sistema non sia autocontraddittorio per essere razionale e, a quanto proponi, garante di "oggettività")? Se parliamo di esistenza, non è forse fondamentale coinvolgere pragmaticamente gli esist-enti? Un'epistemologia che non considera la prassi delle scienze a cui si riferisce, non resta sempre "monca" e nondimeno narcisista (per non dire inservibile)? La differenza fra fisica teorica e fisica sperimentale è secondo me eloquente in merito a oneri della prova, oggettività, verificazione contro possibilità etc.


Penso che questa impostazione sconti pregiudizi di natura empirista e materialista, per i quali si limita il campo della "concretezza" del contenuto di ogni possibile conoscenza scientifica ai dati appresi per via sensibile, all'interno di un'esperienza spazio-temporale, relegando la logica deduttiva a discorso meramente astratto e tautologico, impossibilitato a render ragione di alcunché di reale. Questa impostazione non tiene conto del principio per cui ogni atto di pensiero implica l'assunzione a livello intenzionale (cioè, anche se un giudizio fosse errato di fatto, resterebbe il fatto che nell'intenzionalità del soggetto giudicante il suo contenuto è sempre posto come verità oggettiva) del proprio contenuto come reale stato di cose, e dunque se gli assiomi della logica formale sono norme necessarie per ognuno di questi atti di pensiero, allora devono anche essere norme necessarie delle cose reali, che sono il contenuto che sempre tali atti intenzionano. Se in assenza di logica ogni pensiero sarebbe assurdo, e ogni pensiero è sempre pensiero riferito alla realtà, allora, perché la realtà non sia assurda, dovrebbe condividere le stesse regole logiche che strutturano il pensiero. L'errore empirista sta nell'associare tutto ciò di inerente al "formale", con l'astratto, cosicché la logica formale viene vista come circolo del tutto autoreferenziale impossibilitato a fondare un proprio specifico contenuto di conoscenza attinente al reale, non considerando come, aristotelicamente, le forme sono a tutti gli effetti elementi ontologici, rendono ragione della struttura essenziale degli enti, anche se applicate alla materia. Quindi, quando parliamo di principio di identità o di terzo escluso, non stiamo solo parlando di principi di pensiero, ma di ontologia, in quanto sono principi che ogni ente concreto segue, e da cui la filosofia si impegna a dedurre una serie di corollari che nel loro complesso formerà un sistema di verità metafisiche, che se non riguardano gli aspetti sensibili e contingenti delle cose, quelle di cui si occupano le scienze naturali, non per questo riguardano sfere meno reali e scientifiche di quegli altri. All'interno di questo sistema, questa sfera trascendentale, fanno parte i princìpi epistemologici tramite cui si fissano le condizioni di validità di ogni discorso vero, dunque le condizioni di validità di ogni altra scienza. L'accusa di narcisismo e autoreferenzialità ad una filosofia che non si faccia influenzare nel suo lavoro di individuazione delle condizioni di validità metodologica sulla base dei problemi contingenti di applicazione, penso abbia un senso solo nel momento in cui si intenda la filosofia come mero strumento in funzione del lavoro delle scienze naturali, mentre in realtà l'epistemologia non va vista primariamente come servizio che la filosofia sarebbe chiamata a svolgere (al di là del fatto che poi, effettivamente le riflessioni epistemologiche siano di giovamento agli scienziati) ma come conseguenza del fatto che la filosofia si occupa di questioni teoretiche distinte da quelle di ordine tecnico-applicativo, la cui risoluzione non può dunque influenzare la ricerca riguardo alle altre.



Per quanto riguarda il Rasoio di Ockam, penso che bisognerebbe cominciare a mettere in discussione l'idea che "semplicità" o "complessità" siano categorie davvero attinenti per descrivere e distinguere le teorie. Cioè, non penso che esistano teorie oggettivamente più "semplici" o più "complesse" di altre, ma che semplicità e complessità siano solo nostre percezioni circa una teoria, relative al grado di approfondimento analitico, con cui le si interpreta. Una visione del mondo non è una somma delle parti, una sorta di "magazzino" di fenomeni che si fa tanto più "complessa" quanto più si aggiungono enti che si vanno a sommare ad altri, come un negozio che diventa sempre più pieno quanto più si introducono cose. Una concezione meramente quantitativa che non tiene conto che se, come detto prima, ogni negazione può essere convertita in affermazione modificando la sintassi senza che la semantica muti, vale anche l'inverso, cioè, alla Spinoza, omnis determinatio est negatio, ogni ente che "si aggiunge" implica la negazione di tutti quei dati che legittimerebbero la sua esclusione. Non si tratterebbe di "allargare" in senso quantitativo la visione del mondo introducendo fenomeni di cui si dovrebbe chieder ragione, al contrario dei vecchi fenomeni di cui non si avrebbe necessità di ridiscuterli, si tratta piuttosto di una riformulazione qualitativa, in cui il nuovo elemento non va sommarsi, bensì ne SOSTITUISCE altri, logicamente incompatibili con esso. Le condizioni che si dovrebbero introdurre per giustificare l'ipotesi dell'origine aliena delle Piramidi egizie (ipotesi, a cui, a scanso di equivoci, personalmente non credo) non rendono il discorso più complesso/più improbabile, perché la loro considerazione coinciderebbe automaticamente con il venir a cadere delle condizioni che giustificherebbe ogni ipotesi alternativa a quella aliena, compresa ovviamente la più probabile, cioè la creazione ad opera degli antichi egizi. Se si vede ciò come una "complicazione" è solo perché la forza dell'abitudine ci porta a vedere le condizioni che sorreggono la teoria preesistente come qualcosa di ovvio e scontato, invece che come qualcosa di consistente a sua volta in una serie di fenomeni a cui associamo la corrispondenza con la verità. Nella misura in cui analizziamo le singole componenti di un modello teorico, tale modello apparirà più complesso, nelle misura in cui ci fermiamo a un'unità sintetica immediata, ci apparirà semplice, ma tutto questo riguarda unicamente l'impatto psicologico che si ha di fronte a una teoria, non il contenuto oggettivo della teoria in sé, e se la verità di una teoria riguarda la sua corrispondenza con la realtà oggettiva, cioè la natura del  contenuto intrinseco di tale teoria e non il modo soggettivo in cui la percepiamo, va da sé che la dicotomia semplice-complesso (che invece riguarda la nostra percezione) non ha nulla a che fare con le condizioni di verità di una teoria, e il Rasoio resta un mero accorgimento economico-pratico di comodità metodologica per chi vuole evitare di rimettere in discussione tutte gli elementi pregressi di fronte a nuove ipotesi, ma niente affatto un principio di verificazione razionale di verità delle teorie.

Vorrei proporre un ulteriore esempio sperando di riuscire a chiarirmi meglio... Se due persone osservano uno stesso tavolo e la prima sostiene di vedere di fronte a sé un tavolo con nulla appoggiato sopra, (ipotesi A) e la seconda un tavolo con sopra dei bicchieri (ipotesi B), non avrebbe alcun senso pensare che l'ipotesi A sia più "semplice" di quella B, e dunque meno necessitante di onus probandi o addirittura più probabile, in quanto non è quantitativamente più ampia, non richiede davvero una serie maggiore di fenomeni di cui rendere conto. Infatti quel "nulla appoggiato sopra" non è affatto un vero e proprio nulla, chiamarlo così è un'imprecisione. I bicchieri compresi nell'ipotesi B non si sommano alla visione A, ma ne sostituiscono dei tratti di sfondo oltre il tavolo che hanno una loro datità fenomenica visuale. Se la persona che sostiene l'ipotesi A non vede i bicchieri è perché AL LORO POSTO vede quei tratti di parete posta sullo sfondo che invece la persona che sostiene l'ipotesi B non vede perché coperti (o offuscati se si tratta di bicchieri in vetro, questo non ha importanza) dai bicchieri. E la presenza reale di questi tratti di parete l'ipotesi A è chiamata a render ragione nella stessa esatta misura in cui l'ipotesi B è chiamata a render ragione dell'esistenza dei bicchieri, senza sperare di appellarsi ad una inesistente maggior semplicità esplicativa. Non esiste alcun modello esplicativo che sia più ampio o più complesso di un altro, i modelli differiscono solo qualitativamente, e il fatto che alcuni appaiano più semplici di altri deriva dal non tenere in conto tutta una serie di dettagli dati per scontati che sorreggono la sintesi, solo apparentemente più "compatta" e coesa

Un augurio di buone feste a tutto il forum, sempre ringraziando per la pazienza di leggere i miei interventi, non così meritevoli di ciò

Phil

@davintro
Preso atto della consolidata divergenza di prospettive, sollecito ancora l'esitazione con un paio di domande:
Citazione di: davintro il 26 Dicembre 2019, 16:14:34 PM
ogni atto di pensiero implica l'assunzione a livello intenzionale [...] del proprio contenuto come reale stato di cose, e dunque se gli assiomi della logica formale sono norme necessarie per ognuno di questi atti di pensiero, allora devono anche essere norme necessarie delle cose reali, che sono il contenuto che sempre tali atti intenzionano. Se in assenza di logica ogni pensiero sarebbe assurdo, e ogni pensiero è sempre pensiero riferito alla realtà, allora, perché la realtà non sia assurda, dovrebbe condividere le stesse regole logiche che strutturano il pensiero.
eppure, è la logica a forgiare la realtà o è la realtà (enti, eventi, "meccanicismi" naturali, etc.) a forgiare la (fruibilità pragmatica, non solo autoreferenziale della) logica?
Chi cerca di tradurre, con/per i suoi canoni, le leggi di chi?

Citazione di: davintro il 26 Dicembre 2019, 16:14:34 PM
L'accusa di narcisismo e autoreferenzialità ad una filosofia che non si faccia influenzare nel suo lavoro di individuazione delle condizioni di validità metodologica sulla base dei problemi contingenti di applicazione, penso abbia un senso solo nel momento in cui si intenda la filosofia come mero strumento in funzione del lavoro delle scienze naturali, mentre in realtà l'epistemologia non va vista primariamente come servizio che la filosofia sarebbe chiamata a svolgere (al di là del fatto che poi, effettivamente le riflessioni epistemologiche siano di giovamento agli scienziati) ma come conseguenza del fatto che la filosofia si occupa di questioni teoretiche distinte da quelle di ordine tecnico-applicativo, la cui risoluzione non può dunque influenzare la ricerca riguardo alle altre.
Pur confinandoci nella fenomenologia husserliana (perpetrando un'ingiustizia per i suoi sviluppi, francesi e non, oltre che al resto del '900, i pluricitati Godel, logiche polivalenti e paraconsistenti, etc.), senza voler valicare i limiti dell'approccio trascendentale (gesto amichevolmente ermeneutico, per garantire un minimo di aderenza alla tua prospettiva, di cui ti chiedo), non andrebbe almeno considerato seriamente, se non attualizzato, l'invito husserliano a «tornare alle cose stesse»?
Ecco, come regalo post-natalizio, il passo dalle Ricerche Logiche:
«Non  vogliamo  affatto  accontentarci  di  "pure  e  semplici  parole",  cioè  di  una comprensione  puramente  simbolica  delle  parole,  cosÏ  come  ci  è  data  anzitutto sul  senso  delle  leggi,  presentate  dalla  logica  pura,  concernenti  i  "concetti", "giudizi", "verità", ecc., in tutte le loro specificazioni. Non ci possono bastare significati  ravvivati  da  intuizioni  lontane  e  confuse,  da  intuizioni  indirette  - quando  sono  almeno  intuizioni.  Noi  vogliamo  tornare  alle  "cose  stesse".  Vogliamo  rendere  evidente,  sulla  base di  intuizioni  pienamente  sviluppate,  che  proprio  ciò  che  è  dato  nell'astrazione attualmente effettuata è veramente e realmente corrispondente al significato delle parole nell'espressione della legge; e, dal punto di vista della praxis della conoscenza, vogliamo suscitare in noi la capacità di mantenere i significati nella loro irremovibile identità, mediante una verifica, sufficientemente ripetuta, sulla base dell'intuizione  riproducibile  (oppure  dell'effettuazione  intuitiva  dell'astrazione). In  questo  modo,  portando  alla  luce  i  significati  variabili, che uno stesso termine logico  assume  in  contesti  enunciativi  diversi,  ci  convinciamo  appunto  dell'esistenza  dell'equivocazione; diventa per noi evidente che ciò che la parola significa in questo o quel luogo trova il suo riempimento in formazioni o momenti sostanzialmente diversi dall'intuizione, cioè in concetti generali essenzialmente differenti. Specificando  i  concetti  confusi  e  modificando  opportunamente  la  terminologia,  otteniamo allora anche la desiderata "chiarezza e distinzione" delle proposizioni logiche».

Eutidemo

#24
Ciao Davintro. :)
Come vedi, ho azzeccato in pieno la mia previsione del 23/12/19! :)

Per sicurezza, e per meglio dimostrare la cosa, l'avevo persino messa per scritto, datandola.

Ed infatti, tu, il 24/12/19, hai confermato che la mia predizione era esatta: la tua sesta parola era, appunto "differenza"! ;)

Come te lo spieghi? ;D
Un saluto! :)

bobmax

Applicando il rasoio di Ockham, dovremmo convenire che probabilmente il libero arbitrio è un'illusione.

In quanto la sua eventuale esistenza richiederebbe la presenza di elementi che trascendano il mondo fisico, così come lo concepiamo.

Elementi solo supposti, ma che non hanno alcuna conferma nelle leggi fisiche che abbiamo sviluppato e sulla cui base, senza eccezioni, ci inoltriamo nel mondo.

Anche solo per semplicità, sarebbe meglio almeno provare a considerare fasulli questi elementi.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Il trascendentale umano si concretizza in speculazione razionale e produzione artificiale trascendendo il mondo fisico, così come lo concepiamo, incluso il suo deterministco divenire. Il rasoio è ricetta epistemologica, non dogma di fede o legge naturale. E' un etico invito alla sobrietà, come risulta dalla sua versione autografa:

Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora.

È inutile fare con più ciò che si può fare con meno.


Precetto antifrustrazione che rimanda ad Epicuro ed alla sapienza greca. E vale pure quando esercitiamo il nostro libero arbitrio, sollecitandoci al miglior dosaggio di ragione e desiderio.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Citazione di: Ipazia il 28 Dicembre 2019, 14:41:20 PM
Il trascendentale umano si concretizza in speculazione razionale e produzione artificiale trascendendo il mondo fisico, così come lo concepiamo, incluso il suo deterministco divenire. Il rasoio è ricetta epistemologica, non dogma di fede o legge naturale. E' un etico invito alla sobrietà, come risulta dalla sua versione autografa:

Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora.

È inutile fare con più ciò che si può fare con meno.


Precetto antifrustrazione che rimanda ad Epicuro ed alla sapienza greca. E vale pure quando esercitiamo il nostro libero arbitrio, sollecitandoci al miglior dosaggio di ragione e desiderio.

Non vi è alcuna prova che la speculazione razionale e la produzione artificiale trascendano il mondo fisico.
Per affermare che lo trascendono occorre infatti una "prova" che dimostri la loro incommensurabilità rispetto ad esso.
Ma così non è.
Né potrà mai esserlo.
Per la semplice ragione che se ciò davvero avvenisse... il mondo fisico ne verrebbe esso stesso irrimediabilmente compromesso. Non più Cosmo, bensì Caos!

Questo voler credere a qualcosa di "trascendente" è il peccato originale di ogni religione, anche dello scientismo. E' superstizione.
Anche il voler credere nel libero arbitrio, non è che superstizione. Ossia una fede mal posta.

Quando finiremo per renderci conto che solo una può essere l'autentica fede?
Che ogni altra non è che superstizione?
L'unica possibile fede è fede nella Verità.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

davintro

tengo a precisare che quella che ho provato a esporre in questa discussione non vuole essere una critica in assoluto al Rasoio di Ockam. Ne posso riconoscere l'utilità come espediente strategico di economia del pensiero, di risparmio del tempo, per evitare di considerare immotivatamente nuovi elementi in una teoria, dovendo nel caso rivalutare tutte le condizioni entro cui era verificata la teoria che i nuovi elementi andrebbero a modificare,  ma ne considero un abuso nel momento in cui lo si intenda applicare come criterio epistemico di riconoscimento della razionalità di un discorso. "Non moltiplicare gli enti se non necessario" resta da un lato un richiamo generico, in quanto non indica di per sé alcuna condizione entro cui riconoscere la necessità. In assenza di questo chiarimento, il rasoio di Ockam resta di per sé inservibile al fine di poter essere utilizzato come fattore di verifica di verità. Il concetto di "necessario" si identifica in un contenuto del tutto soggettivo, sempre impossibilitato a porsi come schema entro cui pretendere di comprendere oggettivamente la realtà. E dall'altro lato non c'è una ragione per cui una visione del reale dovrebbe essere tanto più vera quanto più coincide con i nostri schemi soggettivi entro cui consideriamo la considereremmo "necessaria". L'abuso del Rasoio come principio di verità nasce dall'errore di confondere l'idea di "non-necessità", "contingenza" con quello di "irrazionalità", di fatto un'indebita proiezione del nostro pensiero soggettivo sulla realtà, che si vuole forzata alle nostre comodità euristiche. La pura contingenza di un ente dovrebbe portare a non pretendere di avere la certezza della sua esistenza, ed eventualmente a ricercare un ente altro da esso, al suo contrario necessario che renda ragione del suo essere, ma non è di per sé motivo razionale per argomentarne l'inesistenza

Ipazia

Citazione di: bobmax il 28 Dicembre 2019, 18:14:40 PM
Non vi è alcuna prova che la speculazione razionale e la produzione artificiale trascendano il mondo fisico.

Non lo trascendono nel modo miracolistico della trascendenza religiosa, ma in quello immanente della creatività umana.

CitazionePer affermare che lo trascendono occorre infatti una "prova" che dimostri la loro incommensurabilità rispetto ad esso.

Perchè il trascendentale umano dovrebbe essere incommensurabile con il mondo fisico, da cui trae il materiale per la sua attività creativa ? Come "prova" basta un traliccio.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri