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La giustizia e il caso

Aperto da baylham, 13 Febbraio 2017, 09:13:43 AM

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baylham

Un recente caso di attualità mi ha portato a riconsiderare la legge 23 marzo 2016, n.41, titolata "Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali...", legge che, sebbene non sia un esperto di diritto penale, giudico gravemente sbagliata, ingiusta, per il motivo che illustro di seguito.

Tratto una questione penale determinata, la pena per la violazione di una norma della circolazione stradale, specificamente le sanzioni per il conducente di un veicolo che passi con il semaforo rosso. Trascuro la valutazione della colpa e la distinzione col dolo in quanto non essenziale ai fini del ragionamento.

L'art. 146, 3 comma,  del Codice della strada stabilisce che "Il conducente del veicolo che prosegue la marcia, nonostante che le segnalazioni del semaforo o dell'agente del traffico vietino la marcia stessa, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 163 a euro 651".

L'art. 589-bis (Omicidio stradale) del Codice penale, introdotto dalla legge sopraindicata stabilisce al quinto comma:
"La pena di cui al comma precedente [la reclusione da cinque a dieci anni] si applica altresì:
...
2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un'intersezione con il semaforo disposto al rosso ..., cagioni per colpa la morte di una persona";

Lo stesso articolo 589-bis all'ottavo comma stabilisce:
"Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di una o più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni ad una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto."

L'art. 590-bis (Lesioni personali stradali gravi o gravissime) del Codice penale, introdotto dalla legge sopraindicata stabilisce al quinto comma:
"Le pene di cui al comma precedente [la reclusione da un anno e sei mesi a tre anni per le lesioni personali gravi e da due a quattro anni per le lesioni gravissime] si applicano altresì:
...
2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un'intersezione con il semaforo disposto al rosso ..., cagioni per colpa a taluno lesioni personali gravi o gravissime";

Lo stesso articolo 590-bis all'ottavo comma stabilisce:
"Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni lesioni a più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo e lesioni"

E' evidente che una stessa violazione colposa, passare con un veicolo a motore il semaforo rosso, viene punita in modo notevolmente differente a seconda delle conseguenze prodotte: da una sanzione pecuniaria di euro 163 nel caso in cui non ci siano conseguenze fino alla reclusione a diciotto anni nel caso di morte di una o più persone e lesioni ad una o più persone. Una differenziazione rilevante.

Se un veicolo passa con il semaforo rosso è prevedibile che possa causare con una determinata distribuzione di probabilità un incidente con uno o più feriti e/o morti. Proprio per questi probabili effetti negativi il legislatore ha posto la regola.  Ma la punizione per essere equa deve trattare in modo eguale, indifferenziato ogni trasgressore della regola. Se invece punisco il trasgressore sulla base degli effetti casuali della sua violazione ottengo una giustizia basata sul caso.
Ritengo che un giusto sistema dovrebbe punire una classe di violazioni nello stesso modo, con la stessa pena, indipendentemente dalle conseguenze, dagli effetti aleatori, casuali prodotti. Ciò è anche più efficace dal punto di vista della prevenzione delle conseguenze dannose.

Mi sembra sia una questione importante sui criteri di giustizia, sia per il caso specifico, sia per il sistema penale in generale.

davintro

#1
sono perfettamente d'accordo con questa osservazione. Trovo che differenziare le pene sulla base di conseguenze che accadono al di là della responsabilità effettiva del reo sia una sorta di residuo (probabilmente inconsapevole) di una mentalità che intende la giustizia in senso quasi "vendicativo", la punizione come finalizzata alla ricostruzione di una sorta di un "equilibrio cosmico", per cui la pena dovrebbe in qualche modo somigliare ai danni effettivamente causati. Se invece si entra, come secondo me si dovrebbe, nell'ottica di un'idea di diritto di tipo liberaldemocratico, per il quale la pena non deve essere una "vendetta", ma deve essere calibrata sulla base del grado di pericolosità sociale dell'individuo, la punizione deve solo essere uno strumento che serve a ridurre al minimo le possibilità che il reato commesso possa ripetersi in futuro. Ora, è chiaro che le conseguenze di un azione casuali, che accadono a prescindere dalla volontà o dalla condizione psichica del reo, non possono incidere come criterio di giudizio sul suo livello di pericolosità sociale, quindi non ha senso che aggravino la pena. Credo che queste differenziazioni  siano assolutamente una stortura del sistema giudiziario che andrebbe quanto prima eleminata, per rendere il sistema sempre più coerente con i principi liberali che scindono il concetto di "pena" legale e di" giustizia" da quello, primitivo e barbarico di "vendetta" o comunque di "punizione etica"

maral

La pena non è vendetta, ma sostituisce la vendetta e questo è vero da sempre, è vero da quando esiste una società umana ed esisterà finché esisterà una società umana. La pena è il risarcimento pubblico (non privato) di un debito contratto con l'azione delittuosa, per questo essa non può essere che proporzionale al danno che si è arrecato. Se così non fosse, se fosse solo espressione di un principio etico per cui ciò che importa è la violazione della norma in sé, la disgregazione sociale sarebbe inevitabile ed estremamente violenta.
Per questo è del tutto assurdo pensare di fissare una pena equivalente per non avere rispettato, come nell'esempio introdotto, un semaforo rosso indipendentemente dal fatto che quell'atto abbia provocato o meno vittime, il debito contratto è enormemente diverso e su questa diversità di valore la pena deve essere commisurata, non sul principio astratto di un atto assoluto, scisso dagli effetti sociali che determina.
 

davintro

non direi che la pena "sostituisce" la vendetta, perché sono due atti rivolti a fini tra loro nettamente diversi. La vendetta desidera mantenere un equilibrio tra il male che si fa e il male che si subisce, in una sorta di visione "religiosa" delle cose, per cui bisogna preservare una sorta di armonia universale che sarebbe turbata dai reati. La pena, in senso razionale e liberale, è un "male necessario", uno strumento finalizzato a infliggere un male minimo necessario ad impedire ragionevolmente a qualcuno che si è manifestato come socialmente pericoloso, di riprodurlo nuovamente. Poi non nego che per molti, e come accade purtroppo ancora oggi in molte culture non toccate dai principi illuministi e razionali, "pena" e "vendetta" finiscano con l'essere interpretati come concetti molti simili tra loro se non pienamente sovrapposti. Ma se devo considerare le cose in base al concetto di "giustizia" che mi sembra personalmente più valido e razionale, non l' "occhio per occhio" che finisce solo per l'aggiungere male a male, ma la giustizia come massimizzazione del bene complessivo all'interno di una comunità o minimizzazione del male, allora trovo logico non considerare a livello penale gli effetti delle azioni non legate alla responsabilità del soggetto,  il cui essere gravato da pene che vanno al di là del suo reale grado di pericolosità sociale, è solo un  vendicativo, irrazionale, infusione di un male gratuito, non necessario in vista del concreto bene comune. Del resto, se il principio della proporzionalità della pena ai danni fosse anteposto a quello per cui ci si limita a fare in modo che il reo non ripeta più il reato, non avrebbe senso un capisaldo fondamentale  e sacrosanto del nostro sistema penale come la riduzione della detenzione carceraria "per buona condotta" (a prescindere dai vari possibili abusi di questo istituto). Se si ritiene che il colpevole ha mostrato di essere pronto nella reintegrazione nel buon vivere civile, la necessità della "proporzionalità della pena" cade in secondo piano

baylham

La vendetta è la giusta sanzione decisa da un singolo o da un gruppo in reazione ad un fatto deciso ingiusto, la pena è la giusta sanzione stabilità da una collettività o da uno stato per una classe di fatti stabiliti ingiusti.

Comunque non è rilevante questa distinzione ai fini del problema posto, che rimane all'interno della logica sanzionatoria:  la pena giusta deve punire, e quindi essere proporzionata a, la causa o gli effetti? Questa è la questione sollevata.

La mia opinione è che la punizione degli effetti è affidata al caso, alla fortuna. Il reo non ha alcun controllo sugli effetti innescati dalla causa, la violazione.  Che un automobilista, dopo aver violato il semaforo rosso, non investa alcuno oppure uno o più pedoni, ciclisti, automobilisti con o senza passeggero è soltanto una questione casuale, di fortuna.
Il legislatore nello stabilire la misura della pena deve secondo me tenere conto della distribuzione di probabilità degli effetti dell'azione illecita e punire l'azione ugualmente indipendentemente dagli effetti casuali. Non c'è affatto "scissione dagli effetti sociali", semmai c'è scissione dagli effetti del caso. Se voglio prevenire e ridurre gli incidenti gravi e mortali causati dalla inosservanza del semaforo rosso, devo punire più severamente questa classe di violazioni, non gli effetti casuali prodotti.

paul11

Citazione di: baylham il 13 Febbraio 2017, 09:13:43 AM
Un recente caso di attualità mi ha portato a riconsiderare la legge 23 marzo 2016, n.41, titolata "Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali...", legge che, sebbene non sia un esperto di diritto penale, giudico gravemente sbagliata, ingiusta, per il motivo che illustro di seguito.

Tratto una questione penale determinata, la pena per la violazione di una norma della circolazione stradale, specificamente le sanzioni per il conducente di un veicolo che passi con il semaforo rosso. Trascuro la valutazione della colpa e la distinzione col dolo in quanto non essenziale ai fini del ragionamento.

L'art. 146, 3 comma,  del Codice della strada stabilisce che "Il conducente del veicolo che prosegue la marcia, nonostante che le segnalazioni del semaforo o dell'agente del traffico vietino la marcia stessa, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 163 a euro 651".

L'art. 589-bis (Omicidio stradale) del Codice penale, introdotto dalla legge sopraindicata stabilisce al quinto comma:
"La pena di cui al comma precedente [la reclusione da cinque a dieci anni] si applica altresì:
...
2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un'intersezione con il semaforo disposto al rosso ..., cagioni per colpa la morte di una persona";

Lo stesso articolo 589-bis all'ottavo comma stabilisce:
"Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di una o più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni ad una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto."

L'art. 590-bis (Lesioni personali stradali gravi o gravissime) del Codice penale, introdotto dalla legge sopraindicata stabilisce al quinto comma:
"Le pene di cui al comma precedente [la reclusione da un anno e sei mesi a tre anni per le lesioni personali gravi e da due a quattro anni per le lesioni gravissime] si applicano altresì:
...
2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un'intersezione con il semaforo disposto al rosso ..., cagioni per colpa a taluno lesioni personali gravi o gravissime";

Lo stesso articolo 590-bis all'ottavo comma stabilisce:
"Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni lesioni a più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo e lesioni"

E' evidente che una stessa violazione colposa, passare con un veicolo a motore il semaforo rosso, viene punita in modo notevolmente differente a seconda delle conseguenze prodotte: da una sanzione pecuniaria di euro 163 nel caso in cui non ci siano conseguenze fino alla reclusione a diciotto anni nel caso di morte di una o più persone e lesioni ad una o più persone. Una differenziazione rilevante.

Se un veicolo passa con il semaforo rosso è prevedibile che possa causare con una determinata distribuzione di probabilità un incidente con uno o più feriti e/o morti. Proprio per questi probabili effetti negativi il legislatore ha posto la regola.  Ma la punizione per essere equa deve trattare in modo eguale, indifferenziato ogni trasgressore della regola. Se invece punisco il trasgressore sulla base degli effetti casuali della sua violazione ottengo una giustizia basata sul caso.
Ritengo che un giusto sistema dovrebbe punire una classe di violazioni nello stesso modo, con la stessa pena, indipendentemente dalle conseguenze, dagli effetti aleatori, casuali prodotti. Ciò è anche più efficace dal punto di vista della prevenzione delle conseguenze dannose.

Mi sembra sia una questione importante sui criteri di giustizia, sia per il caso specifico, sia per il sistema penale in generale.
A mio parere il vero errore è avere troppo avvicinato l'omicidio colposo a quello volontario come quantità di pena.
Si rischia che chi uccide volontariamente rischia meno detenzione di chi colposamente e quindi non volontariamente compie il reato.
E' una legge "pompata" dai mass media che erra nel criterio di giustizia, perchè sbaglia nella proprorzionalità della pena.
Così come la depenalizzazione dei reati a sanzioni amministrative è anche la necessità di rimpinguire le casse delle amministrazioni dirette e indirette ,specialmente delle municipalità, se potessero dare divieti di velocità da 10 km/h lo farebbero volentieri.

Nello specifico è già una violazione passare con il semaforo rosso. ma si sa che chi sbaglia cerca di bruciare il semaforo nel passaggi fra giallo e rosso. Non ho mai visto passare deliberatamente nessuno con il rosso ormai stabile dopo,faccio un esempio, 5 secondi.

La casualità è ovvia, perchè da sempre storicamente  c'è  il risarcimento del danno per un torto subito, anticamente era in natura.

Quindi accade, nell'esempio che paradossalmente passa sparato con un rosso un'automobile e casualmente non c'era nessun pedone, o viceversa.E' chiaro che in teoria la violazione è uguale, ma vorrebbe dire controllare tutti e tutto perchè il criterio teorico di salvaguardia della giustizia sia egualitaria, vale a dire nessuno è esente se viola la legge.

C'è quindi un criterio oggettivo, una dichiarazione di giustizia insita nella legge e poi c'è la parte pratica che è il reato, il fatto che è soggettivo, se così posso dire, nel senso che attenuanti o meno potranno essere "giocate" dagli avvocati di fronte al giudice.
Perchè il fatto che esista un "giudicato" e una giurisprudenza significa che esiste un'interpretazione della teoria nel momento in cui si pratica i reato e ogni reato ha un scenario con i relativi particolari.
Per cui alla fine il reo  , in questo caso, rende il criterio di giustizia alla magistratura che applica la legge e la interpreta e rifonde il danno.

Ma sarebbe interessante anche come le assicurazioni a loro volta gestiscono casualità con i dati consuntivati del numero e quindi frequenza e ammontare finanziario del danno.

davintro

invece secondo me proprio il rapporto che poniamo tra il concetto di "vendetta" e di "giustizia" è il punto focale della questione, se i due concetti vadano identificati o separati. Per "vendetta" intendo l'atto mirante a realizzare una proporzionalità fra il male che una persona commette e il male che subisce, e questo è proprio il nostro caso, aggravare la pena in base a degli effetti non dipendenti dalla responsabilità del soggetto (casuali appunto), vuol dire che in nome della "proporzionalità" si infligge alla persona un male maggiore del minimo necessario strumentale ad impedire che possa ripetere il reato. Questa per me è vendetta, o meglio diritto ispirato da una visione della "giustizia" molto vicina al concetto di "vendetta". Non esiste solo la vendetta privata. I sistemi penali che prevedono la pena di morte agli assassini o il taglio delle mani ai ladri non sono dal mio punto di vista meno vendicativi dei gesti di privati, singoli o gruppi, che spinti dalla disperazione o dalla rabbia cercano di vendicarsi delle persone che hanno loro fatto del male, come nel caso recente di Vasto, solo perché quelle sono sanzioni emanate da uno stato di diritto. In quei casi lo stato viene ispirato da una mentalità, da una cultura che identifica (o collega strettamente) "giustizia" e "vendetta", di cui il diritto è solo una formalizzazione. Non ci deve interessare che esplicitamente lo stato non presenti, con una certa dose di ipocrisia, le motivazioni delle norme come "vendetta", di fatto la vendetta c'entra, e anche considerando che stiamo discutendo nella sezione di filosofia, l'obiettivo penso dovrebbe essere quello di interpretare lo spirito, la visione del mondo che muove i processi, anche quelli giuridici, leggendo fra le righe e non fermandoci alla lettera. Lo spirito vendicativo agisce nel tentativo di realizzare la proporzionalità negli effetti ("occhio per occhio"), mentre a livello di proporzionalità nelle cause, dove cioè si valuta solo l'incidenza diretta della responsabilità del reo e non si considerano gli effetti legati al caso, si emette un giudizio sulla personalità: la pena è proporzionale alle possibilità che il reo possa in futuro ripetere il reato, in base alla sua volontà, salute psichica, razionalità ecc. In quest'ultimo caso la giustizia trascende l'accezione vendicativa e si pone nell'ottica di un laico pragmatismo, l'obiettivo è evitare nuovi mali futuri senza aggiungere male non necessario e gratuito

baylham

Sono d'accordo che la discussione riguardi proprio il significato di giustizia. Tuttavia ritengo che in gioco ci siano due o più differenti concezioni della giustizia, non la vendetta.
L'aspetto afflittivo è comunque inerente alla pena, alla sanzione, come indica chiaramente il nome, ed ha la duplice funzione di prevenzione e di riparazione del reato.
Escludo la vendetta perché è un sentimento di giustizia espresso da una parte in causa, direttamente interessata o coinvolta nel fatto. Lo Stato o la collettività si trova in una posizione di relativa terzietà rispetto al fatto e agli interessi e sentimenti messi in gioco, può mettersi nella posizione del reo e della vittima e esprimere un equilibrio tra reato e sanzione. L"occhio per occhio", interno alla logica della sanzione proporzionata agli effetti, è comunque ispirato ad una regola di reciprocità, di simmetria.

Nel caso specifico riconosco che è più facile identificare l'autore e applicare la sanzione quando l'incidente, l'effetto, avviene rispetto al caso in cui si commetta la violazione, la causa. Tuttavia con la moderna tecnologia, le telecamere, è più facile identificare l'autore della trasgressione e sanzionarlo anche quando non ci sono conseguenze dannose.

Per una efficace analogia, perché la pena sia giusta secondo me va punito il lancio della pallina non il numero che esce al gioco della roulette.

Ho esposto questa concezione perché mi impressiona la tendenza opposta, che ovviamente non condivido, sostenuta con molto sostegno popolare e politico manifestata sia al momento dell'approvazione della legge che nel caso attuale di Vasto.

Personalmente ricordo solo due episodi di cui sono stato protagonista per distrazione del passaggio automobilistico con semaforo rosso, senza alcuna conseguenza per fortuna: in un caso proprio non mi ero accorto del segnale rosso, in un altro non mi ero nemmeno accorto del semaforo su un passaggio pedonale.

Ho provato ad immaginare di mettermi nei panni della vittima, un invalido a vita ad esempio, e capisco che la mia concezione sia dura da accettare.

Tuttavia resto convinto che l'inasprimento delle pene basate sugli effetti produrrà una riduzione del numero di morti e feriti, distruggendo però la vita a normali cittadini e il senso di giustizia. Una sanzione molto minore, data la natura quasi esclusivamente colposa del reato, ma uniforme e distribuita su tutti i trasgressori identificati modificherebbe profondamente i comportamenti generali dei conducenti e ridurrebbe maggiormente i danni alle persone.

paul11

#8
Citazione di: davintro il 14 Febbraio 2017, 14:43:22 PM
invece secondo me proprio il rapporto che poniamo tra il concetto di "vendetta" e di "giustizia" è il punto focale della questione, se i due concetti vadano identificati o separati. Per "vendetta" intendo l'atto mirante a realizzare una proporzionalità fra il male che una persona commette e il male che subisce, e questo è proprio il nostro caso, aggravare la pena in base a degli effetti non dipendenti dalla responsabilità del soggetto (casuali appunto), vuol dire che in nome della "proporzionalità" si infligge alla persona un male maggiore del minimo necessario strumentale ad impedire che possa ripetere il reato. ...........................
Davintro,
il tuo discorso è ancor più impegnativo è relazionare il termine giustizia ad un principio filosofico da cui discenderebbe una filosofia morale e del diritto  mentre la legge, soprattutto oggi è disciplina delle scienze 
Una legislazione per avvicinarsi ad un serio criterio di giustizia non dovrebbe mai perdere il nesso dell'equilibrio fra persona umana e comunità/società.
Si rischia di mandar in galera nelle stesse celle un reo automobilistico con un mafioso, perchè il giudice a sua volta ha difficoltà a tenere in equilibrio leggi e sanzioni nelle pratiche.
Un 'automobilista reo di omicidio colposo in stato di ebrezza o in preda a stupefacenti, ha forti aggravanti,
Un omicida  con tanto di coltello o ascia, nelle stesse condizioni ha sconti per incapacità di volere.
Ma non doveva prendere l'auto chi era in stato di ebrezza o stupefacenti; perchè invece doveva prendere il coltello o l'ascia chi colpiva carne umana nelle stesse condizioni di alterazione?

La legge è diventata un'affare pecuniario per specialisti scientifici chiamati a perizie e consultazioni dalle due parti processuali e poi l'aleatorietà è la nascita, proliferazione e profitto delle assicurazioni.
Tutto è un'affare, legge compresa, nulla scappa ad un mondo dove una persona ogni singola cosa, desiderio o sentimento ha un prezzo...compreso il danno morale.
La giustizia è un ricordo sempre più in dissolvimento,come il finale di vecchi film.

baylham

Aggiungo altri elementi di riflessione per rendere più complesso il tema.

Il mio criterio di giustizia parte dal e ritorna al problema del rapporto tra giustizia e caso: ho sostenuto che una pena giusta dovrebbe prescindere dagli effetti casuali del singolo caso e tenere conto della classe degli effetti, della loro distribuzione di probabilità, essa stessa casuale, per determinare la pena per la causa alla base della violazione.

Sebbene ritenga giusta questa proposta, la stessa presenta almeno due ordini di problemi sempre connessi col caso, accennati in precedenza:
1)   La causa della violazione della norma è normalmente casuale: ha alla base la colpa, legalmente l'errore, l'imprudenza, la negligenza, che, sebbene sia in parte correggibile, controllabile, ha degli aspetti casuali predominanti;
2)   anche la punizione dei trasgressori della norma è casuale: non tutti ma soltanto alcuni verranno sanzionati. La selezione presenta indubbiamente aspetti casuali.

Il caso insomma appare come un oppositore della giustizia, un elemento che rompe ogni possibile simmetria, uguaglianza, proporzione alla base dei criteri della giustizia. Se la giustizia è l'uguale applicazione della norma generale al caso particolare la contraddizione emerge evidente: il caso è appunto un caso, un particolare che si differenzia dal generale per elementi casuali. D'altra parte può esistere la giustizia per il caso singolo?

Jacopus

#10
CitazioneDavintro,
il tuo discorso è ancor più impegnativo è relazionare il termine giustizia ad un principio filosofico da cui discenderebbe una filosofia morale e del diritto  mentre la legge, soprattutto oggi è disciplina delle scienze
Una legislazione per avvicinarsi ad un serio criterio di giustizia non dovrebbe mai perdere il nesso dell'equilibrio fra persona umana e comunità/società.
Si rischia di mandar in galera nelle stesse celle un reo automobilistico con un mafioso, perchè il giudice a sua volta ha difficoltà a tenere in equilibrio leggi e sanzioni nelle pratiche.
Un 'automobilista reo di omicidio colposo in stato di ebrezza o in preda a stupefacenti, ha forti aggravanti,
Un omicida  con tanto di coltello o ascia, nelle stesse condizioni ha sconti per incapacità di volere.
Ma non doveva prendere l'auto chi era in stato di ebrezza o stupefacenti; perchè invece doveva prendere il coltello o l'ascia chi colpiva carne umana nelle stesse condizioni di alterazione?

La legge è diventata un'affare pecuniario per specialisti scientifici chiamati a perizie e consultazioni dalle due parti processuali e poi l'aleatorietà è la nascita, proliferazione e profitto delle assicurazioni.
Tutto è un'affare, legge compresa, nulla scappa ad un mondo dove una persona ogni singola cosa, desiderio o sentimento ha un prezzo...compreso il danno morale.
La giustizia è un ricordo sempre più in dissolvimento,come il finale di vecchi film.
Riprendo il discorso da questo ramo iniziato da Davintro sul rapporto fra giustizia e vendetta. Sono sostanzialmente d'accordo con quanto scrive Paul, tranne sul fatto che chi è in stato di ebrezza con ascia e coltello  abbia sconti di pena, a meno che non dimostri di essere stato inebriato a sua insaputa, ma se si ubriaca consapevolmente accetta i rischi della sua condotta. Ad ogni modo questa precisazione non cambia la conclusione del discorso. La giustizia, insieme alla religione è uno dei più forti collanti della società. Il denaro sta distruggendo l'una e l'altra, così come il senso di Comunità sociale, il collante più forte, perchè non basato su istituzioni umane come la religione e la giustizia, ma su una dimensione antropologica.
Di fronte all'annullamento del rito quasi religioso dell'espiazione, che ritorna in termini laici fino ad Hegel (che recita in lineamenti della filosofia del diritto, a proposito del "diritto" del reo ad avere la sua pena) e tutto viene calcolato, compresi i giorni di pena e la cifra per i giorni ingiustamente sofferti, che significato dare alla reclusione e alle altre scene del processo penale se non quelle di una transazione fra attori, ognuno animato da un proprio interesse e senza alcuna sensibilità per il rimettere insieme i fili della relazione fra reo, vittima e società?
Paradossalmente la traslazione economica del processo giudiziario fa riemergere altre più antiche concezioni, quasi che fossero il bisogno di trovare un senso più profondo, un senso di unità e di restituzione alla società della pena. Però queste concezioni sono il più delle volte regressive, come quella della "vendetta", proclamata come nuovo (nuovo?) paradigma che serve in sostanza a riappropriarsi della giustizia come fatto sociale dotato di senso, che in qualche modo non metta in discussione i principi economici e culturali della società attuale. La vendetta in fondo è un fatto privato fra un offensore e un offeso che diventa a sua volta offensore, in un loop senza fine.
Ben diverso e molto più preoccupante per il sistema simbolico culturale imperante sarebbero altri approcci come quello, ad esempio, che scaturì alla fine dell'appartheid in Sudafrica (Commissione per la verità e la riconciliazione) e dal quale hanno preso vita delle pratiche di gestione dell'esecuzione penale alquanto innovative, come le Family group Conference. Si tratta però di flebili voci in un oceano dove vige nuovamente l'urlo di "occhio per occhio" e della necessità di vittime sacrificali che servano a nascondere il commercio quotidiano della giustizia penale.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

paul11

baylham,
io penso che nessuno meglio delle assicurazioni abbia i dati di correlazione scientifica dei potenziali reati del codice della strada, suddividi per luoghi, età ,probabilità sul totale dei veicoli circolanti.
Perchè il premio assicurativo è l'applicazione della  matematica attuataria  finanziaria derivata a sua volta di algoritmi  statistici di probabilità  all'oggi per un eventuale rischio di incorrere in reati,tamponamenti ,ecc. In più è personale il premio assicurativo legato anche a furto, incendio, atti vandalici, ecc- Le assicurazioni devono per forza avere i dati statistici territoriali dei luoghi di residenza dell'assicurato.

Seguendo il tuo ragionamento si arriverebbero a paradossali e reali situazioni di disomogeneità.
Ad esempio, Tizio è da quarant'anni che guida un'automobile e non ha mai provocato incidenti ,nemmeno tamponamenti.
Caio invece ha mediamente superato l'indice di probabilità del rischio di evento.

L'assicurazione sta guadagnando sicuramente  da Tizio, difficilmente da Caio( manca nel mio esempio la quantità  finanziaria di danno provocato), per quanto il premio assicurativo possa essere più alto, e quello di Tizio al livello più basso.

Voglio arrivare a dire che l'onestà non è premiata nel nostro sistema così come la "vendetta" nella legge non è giustizia.


Jacopus,
sono d'accordo che la vendetta, che era l'antica (mah, mi sa che c'è ancora...) faida è un fatto personale e la legge non può entrare  nei fatti personali  perchè il criterio fondamentale è che vale per tutti allo stesso modo per tutta la popolazione all'interno di una giurisdizione  territoriale. E' il giudice che deve interpretare  la legge, persone ,evento e scenario con e senza i soggetti implicati. e quindi sanzionare se ne vede il reato.
ma sono i mass media che disinformano quando dicono che il giudice ha lasciato libero Tizio che ha compiuto il reato ,alimentando   il"giustizionalismo". Bisognerebbe invece leggere la motivazione di una sentenza e informare le persone.
La realtà è che vogliono tenere nell'ignoranza la  popolazione per  manipolarla.

maral

#12
Citazione di: davintro il 13 Febbraio 2017, 23:09:55 PM
non direi che la pena "sostituisce" la vendetta, perché sono due atti rivolti a fini tra loro nettamente diversi. La vendetta desidera mantenere un equilibrio tra il male che si fa e il male che si subisce, in una sorta di visione "religiosa" delle cose, per cui bisogna preservare una sorta di armonia universale che sarebbe turbata dai reati. La pena, in senso razionale e liberale, è un "male necessario", uno strumento finalizzato a infliggere un male minimo necessario ad impedire ragionevolmente a qualcuno che si è manifestato come socialmente pericoloso, di riprodurlo nuovamente.

Non credo, o almeno non è così che la pena funziona, come bene dice Nietzsche in "Genealogia della morale" (si veda il thread di Garbino in proposito), la pena funziona ben poco come deterrente, per lo più funziona per acquisire esperienza e farsi più furbi onde evitarla la volta successiva.
La pena sostituisce la vendetta in quanto sia la pena che la vendetta (che in sé non ha nulla di "religioso" né rappresenta una primitiva "estetica della simmetria") rappresentano la compensazione per un danno subito, solo che mentre nel primo caso chi ha subito il danno si aspetta che la compensazione sia pagata (dal reo o da altri per il reo, come nelle ordalie tra clan) direttamente a lui o al suo clan, nel caso della pena si intromette il corpo sociale che decreta che a fronte di una certa pena comminata al reo, chi ha subito il danno debba rinunciare alla vendetta e questo, sul piano sociale, evita che la violenza si propaghi all'infinito andando a disintegrare la società stessa. Quindi la pena ha, secondo giustizia e convenienza sociale, reso evitabile la vendetta diretta con tutta la sua carica sociale distruttiva.
Se tu mi dici: la pena deve riguardare solo l'intenzionalità e non gli effetti casuali che questa intenzionalità produce, fai un discorso morale (molto intriso di una visione etica cristiana) che ha ben poco a che vedere con il ruolo sociale che hanno sempre la legge e il diritto. E' per questo che solo un folle potrebbe pensare che uno che è passato con il semaforo rosso debba, anche se non ci sono state conseguenze, scontare anni di carcere come chi, con il medesimo atto, ha provocato una strage, o al contrario che a chi ha provocato una strage passando con il semaforo rosso sia solo inflitta una contravvenzione di qualche centinaio di euro. E' chiaro che, nella seconda evenienza, chi è rimasto vittima, sia pure per caso di tale atto, se non è deceduto, appena si rimette si sentirà in dovere di andare a cercare con una mazza chi lo ha investito. Non avverti l'assurdità della pretesa di punire solo l'intenzionalità e non la conseguenza? Certo,  nelle conseguenze c'è di mezzo il caso, ma il caso si paga, si paga eccome e sempre per giustizia! Non l'ha forse pagato chi è rimasto vittima dell'incidente, mentre per caso attraversava proprio in quell'istante?

Garbino

La giustizia e il caso.

Sinceramente avevo l' intenzione di aggiungere un mio intervento, ed ho anche provato, ma poi vi ho rinunciato per varie ragioni. Ma a questo punto prendo lo spunto della menzione di Maral, che ringrazio, sulla mia riflessione intorno a Genealogia della morale per consigliarvi la lettura in seconda pagina di Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro, degli interventi n. 8 ( verso la fine ), 10 e 12. Ritengo infatti che il modo in cui Nietzsche parla della Giustizia possa essere di molto aiuto per chiunque, come lo è stato per me. Il fatto è che sull' argomento si danno tante cose per scontate mentre invece non lo sono affatto. Ed inoltre che vi regna una grande confusione.
Per non dilungarmi, effettuerò questo mio intervento partendo dal presupposto che chi è interessato li abbia almeno letti.

Fondamentalmente nella Giustizia si devono scindere l' atto, il rituale, che varia ma non di molto da situazione a situazione e da un momento storico ad un altro, e il significato della pena che è talmente vario e fluido che difficilmente si può stabilire quale sia il vero motivo per cui si applica.
Come dice giustamente Maral, non è nei penitenziari dove ci si può imbattere nel pentimento, mentre è molto più accreditato comunque che la pena valga come deterrente per gli altri, per impedire un propagarsi dei reati.

La Giustizia comunque ha avuto in origine proprio lo scopo di annullare la vendetta. E' in origine un accordo tra i potenti di uno stato per risolvere diversamente le crisi determinate proprio dal sentimento di vendetta da parte di chi subiva un danno. Crisi che potevano destabilizzare le già precarie condizioni di convivenza in quei periodi della storia che a noi risultano totalmente oscuri per ignoranza e incapacità di effettuarne un' attenta valutazione psicologica. Nel momento in cui è sorta la legge, la Giustizia è diventata impersonale. Si punisce chi effettua il danno e per la pena si stabilisce un metro in rapporto all' entità del danno. Metro che diventa sempre meno punitivo in rapporto alla crescita di potenza di una società, ma che può anche subire una contromarcia nel caso che la potenza diminuisca. Come avviene ad esempio nei periodi di dittatura.

Perciò la valutazione della pena è sempre ancorata, e deve esserlo, all' entità del danno. Cioè, nel caso specifico, c' è una determinata pena per colui che comunque passa con il rosso ad un semaforo, e varie aggravanti in rapporto al danno che questa  violazione del codice abbia comportato.

Ringrazio per la cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta.

paul11

E' la creazione dello Stato che toglie l'antica vendetta.
Lo Stato è detentore del monopolio della violenza, arma se stesso e disarma i cittadini.
Altro aspetto importante: esiste in italia nel suo ordinamento la denuncia e la querela.
Negli USA non esiste la denuncia ( ameno che abbiano cambiato ordinamento).
La querela è un atto privato, ad esempio in danni automobilistici e l'atto amichevole di constatazione con alcune premesse, non vi devono essere coinvolti più di due mezzi, non vi devono essere danni fisici.
Nel momento in cui si chiede alla polizia municipale di stendere un verbale, atto da privato passa a pubblico.
Insomma, la denuncia in Italia è d'uffico qualora intervengono ufficiali pubblici,Negli USA questo non avviene è gli ufficiali pubblici chiedono prima al danneggiato se vuole procedere con la denuncia. Questa differenza è importante perchè giuridicamente negli USA è sempre il voler del singolo cittadino che chiede l'intervento dello Stato, In italia invece come interviene l'uffiiciale pubblico il privato danneggiato è bypassato, semmai può procedere tramite avvocato ad un eventuale suo percorso privato tramite querela.

La premessa precedente è importante per capire la pena .Ci sono due ambiti: il danno al privato, il danno sociale allo Stato, e non è detto che corrispondano.Il danno privato è gestito amministrativamente, il danno penale passa allo Stato.
Quindi quella vendetta antica si è biforcata in danno verso una persona e allo Stato.
Lo Stato interviene come sovranità di un ordine pubblico e con un ordinamento tramite codici, leggi.
La pena in giudizio dovrebbe prevedere a sua volta un doppio binario contraddittorio in un certo senso.
Da una parte la salvaguardia dell'ordine pubblico, vale a dire che colui che ha compiuto un crimine è pericoloso per l'ordine pubblico, ma dall'altra deve anche rispettare la personalità del reo deve ripristinare la sua normalità come cittadino. Quindi la cosiddetta "condizionale" è la premessa che colui che compie per la prima volta un crimine, dipende dall'entità ovviamente del crimine, non dovrebbe pagare il fio in galera.
La valutazione quindi è in mano ai giudici dal punto di vita penale e amministrativamente dal punto di visto del danno da compensare in denaro.
Negli ultimi anni si è proceduto alla depenalizzazione di molti reati minori , passandoli al sistema amministrativo, così come si tende alla pena ai domiciliari e non in galera.
Ma non è che lo Stato si sia intenerito con un ragionamento etico : le galere sono piene  e costa mantenere i galeotti, lo Stato ha bisogno di denaro e commina multe salate e salatissime così ci guadagna.

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