La filosofia secondo Leopardi

Aperto da 0xdeadbeef, 08 Luglio 2018, 13:10:06 PM

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0xdeadbeef

"Quelle verità che sono la sostanza di tutta la filosofia, si debbono occultare alla maggior parte degli uomini; e credo che
facilmente consentireste che debbano essere ignorate o dimenticate da tutti: perchè sapute, e ritenute nell'animo, non
possono altro che nuocere. Il che è quanto dire che la filosofia si debba estirpare dal mondo.
Io non ignoro che l'ultima conclusione che si ricava dalla filosofia vera e perfetta, si è, che non bisogna filosofare.
Dal che si inferisce che la filosofia primieramente è inutile, perchè a questo effetto di non filosofare non fa di
bisogno essere filosofo; secondariamente è dannosissima..."
Giacono Leopardi - Operette morali

Sono, personalmente, d'accordissimo con Leopardi.
Non certo perchè io sia diventato, all'improvviso, un denigratore del pensiero filosofico. Ma, anzi, proprio perchè un, diciamo,
"certo punto di vista filosofico" (che sento a me vicino) non può che portare a questa, coerentissima, conclusione.
Certo, perchè Leopardi è in ciò filosofo a tutti gli effetti, e solo una mente non abituata alla filosofia potrebbe credere che
questa sia una invettiva CONTRO la filosofia.
Del resto, già nella Bibbia si avverte che il sapere è dolore...
 

Jacopus

La vita e' dolore. La conoscenza puo' arrecare piu'dolore di quanto ve ne sarebbe senza conoscenza? Credo di no. Con tutto il rispetto per Leopardi il " venite parvulos" e' solo un tentativo di lasciare l'uomo nel suo stato di minorita' imputabile a se' stesso.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Carlo Pierini

Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Luglio 2018, 13:10:06 PM
"Quelle verità che sono la sostanza di tutta la filosofia, si debbono occultare alla maggior parte degli uomini; e credo che
facilmente consentireste che debbano essere ignorate o dimenticate da tutti: perchè sapute, e ritenute nell'animo, non
possono altro che nuocere. Il che è quanto dire che la filosofia si debba estirpare dal mondo.
Io non ignoro che l'ultima conclusione che si ricava dalla filosofia vera e perfetta, si è, che non bisogna filosofare.
Dal che si inferisce che la filosofia primieramente è inutile, perchè a questo effetto di non filosofare non fa di
bisogno essere filosofo; secondariamente è dannosissima..."
Giacono Leopardi - Operette morali

Sono, personalmente, d'accordissimo con Leopardi.
Non certo perchè io sia diventato, all'improvviso, un denigratore del pensiero filosofico. Ma, anzi, proprio perchè un, diciamo,
"certo punto di vista filosofico" (che sento a me vicino) non può che portare a questa, coerentissima, conclusione.
Certo, perchè Leopardi è in ciò filosofo a tutti gli effetti, e solo una mente non abituata alla filosofia potrebbe credere che
questa sia una invettiva CONTRO la filosofia.
Del resto, già nella Bibbia si avverte che il sapere è dolore...


Quale "filosofia"?
Si può intendere la filosofia in due modi:
1) come un gran calderone di idee dissonanti che dicono tutto e il contrario di tutto;
2) come una UNICA visione del mondo costruita su una grande molteplicità di idee complementari tra loro che si confermano reciprocamente. 

Ovviamente, la filosofia reale, dalle sue origini fino ad oggi, corrisponde con la 1). Ma è evidente che, se la metà delle filosofie che la costituiscono afferma ciò che l'altra metà nega, almeno una delle due metà afferma il falso, e quindi un giorno le false filosofie dovranno essere sfanculate e mandate al museo delle idee sballate.

Ma prima che ciò accada, chi si accinge allo studio della filosofia non fa altro che entrare in una Torre di Babele, in un labirinto infernale sul cui ingresso è scritto: <<lasciate ogni speranza o voi che entrate>>, dal quale uscirà (se uscirà sano di mente) molto più confuso di quanto lo era prima di entrare.

Ecco: questa è la filosofia "dannosissima" a cui si riferisce Leopardi. <<Language is a virus>>
https://youtu.be/KvOoR8m0oms

Io invece vedo la filosofia come un processo che inizia con la "torre di Babele" attuale, ma che culminerà in una unica visione del mondo retta da un unico Principio di verità. Una grande orchestra di idee che esegue UNA UNICA grande sinfonia ...perenne!
Ci sarà bisogno di una "Santa Inquisizione" per mandare al rogo le filosofie false ed ammettere quelle vere?
Non più di quanto un maestro d'orchestra mandi a casa dei musicisti incapaci per accogliere i più valenti.

0xdeadbeef

Citazione di: Jacopus il 08 Luglio 2018, 13:36:44 PM
La vita e' dolore. La conoscenza puo' arrecare piu'dolore di quanto ve ne sarebbe senza conoscenza? Credo di no. Con tutto il rispetto per Leopardi il " venite parvulos" e' solo un tentativo di lasciare l'uomo nel suo stato di minorita' imputabile a se' stesso.




Mah guarda, personalmente sono d'accordo con Severino, quando afferma la statura filosofica di Leopardi ed il
fatto che egli sia, a tutti gli effetti, uno dei pochi abitatori del "sottosuolo filosofico degli ultimi 200
anni" (con Nietzsche, Gentile e pochi altri, dice Severino).
Inoltre, vedo molte analogie fra il "filosofo" Ivan Karamazov (nell'omonima opera di Dostoevskij) e, appunto,
Leopardi.
In questi filosofi il nichilismo è radicale. E deriva dalla consapevolezza che, nella "morte di Dio", cioè
nell'estinguersi del sentimento religioso, è racchiusa anche la morte di qualsiasi "valore" moralmente e/o
eticamente inteso.
Le "verità che sono la sostanza di tutta la filosofia", come si esprime Leopardi, sarebbero dunque la totale
nullità di ogni cosa che "è" (per Severino l'essenza del nichilismo è appunto il credere che l'essente,
proveniendo dal nulla ed al nulla essendo destinato a tornare, sia intrinsecamente nulla), quindi l'assoluta
irrilevanza di un "valore" morale che solo gli ingenui o i "semplici" possono pensare di fondare sull'uomo
(Ne: "I fratelli Karamazov" il positivista Rakitin, che appunto pensa di fondare il valore morale su una
non ben definita "umanità", viene squalificato come addirittura più "sporco" del nichilista Ivan Karamazov).
Ora: "la conoscenza può arrecare più dolore di quanto ve ne sarebbe senza?"
Non lo so, non mi sento, come dire, completamente adagiato sul pensiero di Leopardi. Credo però che la
conoscenza non offra, davvero, nessun rimedio al dolore esistenziale (e la radice di ogni tentativo di
conoscenza, compresa quella scientifica, è appunto il cercare di rimediarvi...).
Quel che io penso è che in definitiva tutti, colti ed incolti, siamo alle prese con un dolore che viene dal
nostro stesso "essere"; con il dolore che proviene, per usare un'espressione di Camus, dal tendere all'infinito
da parte di esseri finiti.
saluti

Sariputra

Ragazzi, guardate che , quelle di Nietzsche e di Leopardi ( e di molti altri...), sono "filosofie dell'insoddisfazione" ( non è un caso forse che ambedue abbiano avuto così scarso successo con le donne... ;D).
Siccome nulla appaga il proprio desiderio,  si ritiene che nulla abbia valore. Il metro usato per dare 'valore' alla vita è la sua capacità di dare soddisfazione al desiderio umano. Il nichilismo nasce dal fatto di non riuscire a soddisfarsi 'pienamente' e si imputa questa mancanza ad un Dio che non c'è...Ma perché la vita dovrebbe 'soddisfare' i desideri ? Che necessità c'è di soddisfare tutto il desiderare? Questo desiderio che nasce nella mente che s'attacca alle sensazioni piacevoli così intensamente da arrivare a bearsi della sensazione stessa di desiderare, non importa nemmeno se poi viene appagato. Alla fine tutta la mente non diventa che desiderio, l'abito mentale è il desiderio stesso...e siccome poi questo desiderare viene continuamente frustrato dalla realtà...ecco che la vita è vana, nulla, solo dolore, ecc...
La vita è anche sofferenza, ma è pure altro dalla sofferenza. Nel momento in cui la mente 'molla la presa' dal continuo desiderare c'è spazio per qualcosa non toccato dal desiderio... :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

0xdeadbeef

Ah però, un punto di vista curioso, poco considerato ma direi molto interessante...
Si, forse ci sta anche quello ma credo proprio non esaurisca certo il discorso (Camus, ad esempio, sembra fosse
un donnaiolo; ha ricevuto un Nobel, eppure...).
No, credo sia una questione di sensibilità (oltre che di intelligenza). Lo stesso Camus che citavo ci parla di
un "Sisifo contento nel momento in cui discende la china per andare a recuperare il masso che risospingerà con
grande fatica su per la salita" (ecco il donnaiolo contento, dirai...).
Dunque, beh, non è che questi "pensatori tristi" siano stati sempre e solo tristi (Sartre che ne: "La nausea"
trova conforto in un motivetto musicale; certi momenti ironici dello stesso Leopardi; Tolstoy che trova gioia
nella fede religiosa - così come pure, seppur in maniera più problematica, Dostoevskij).
No, credo davvero vi sia qualcosa di più profondo; qualcosa che riguarda l'uomo occidentale in particolare.
Severino afferma, e io sono "quasi" d'accordo, che il "destino" dell'occidente è il nichilismo. Ma cos'è,
davvero, il nichilismo?
Io, in parziale disaccordo con Severino (e forse proprio per il fatto di essere solo "quasi" d'accordo sul
nichilismo come "destino"), credo che il nichilismo sia la consapevolezza della nullità sostanziale di
qualsiasi "eterno", ed in particolare mi riferisco a quegli "eterni" che chiamiamo "Dio" e "valore morale".
La sostanziale nullità degli "eterni" è ciò che, ad esempio, porta Lev Tolstoj a decretare la speculare
e sostanziale nullità di ogni essente (e Severino è su questa linea per quanto riguarda il meccanismo
mentale che porta al nichilismo).
Egli, con un'orrida immagine, vede i propri figli "nella tomba, coperti di vermi", e vede nel suicidio
la sola via d'uscita da tanto orrore (recupererà la propria vita nella Fede, come ho già accennato -
nota che Toltoj era ricchissimo, un gran donnaiolo etc.).
Dunque sì, ci sta quel che dici, ma c'è anche un qualcosa di più profondo...
saluti (e grazie per il "ragazzo")

Kobayashi

La filosofia secondo me ripropone nel tempo attraverso la voce di pensatori anche molti diversi tra di loro il suo ragionamento di base: conoscere è innanzitutto smascheramento delle illusioni (metafisiche, etiche, sociali etc.).
Da questo punto di vista la verità è essenzialmente l'immagine che si ottiene attraverso uno sguardo duro, disilluso sulla realtà. È costringersi a non scappare di fronte allo spettacolo desolante della vita.
È chiaro che le illusioni (dalle idee metafisiche più complesse ai piccoli piaceri) rendono la vita maggiormente accettabile.
Però il problema è che a questo processo di smascheramento nessuno sceglie consapevolmente di essere iniziato. Ci si finisce dentro per la propria natura filosofica, diciamo così.
Dunque il discorso di Leopardi è corretto, ma coloro che non si fidano dell'immaginario collettivo del proprio tempo faranno sempre quel percorso di distruzione e solitudine.
Quindi la vera domanda è un'altra: compiuta quest'opera di smantellamento, rimane veramente solo il nulla?

La filosofia si è concentrata per più di un secolo sul nichilismo. Mi chiedo se non sia arrivato il tempo di abbandonare le tematiche della morte di Dio e iniziare invece la costruzione di una fenomenologia della disperazione, per capire una volta per tutte se l'assenza di ogni speranza e la propria morte psicologica non sia il punto (paradossalmente positivo) su cui edificare una nuova umanità (ma senza le illusioni religiose o dottrinarie di Oriente e Occidente, al di fuori di ogni discorso edificante sulla virtù etc.).
Forse Michelstaedter ha detto qualcosa di originale sulla questione. Ma non ne sono sicuro...

Kobayashi

In riferimento all'ultimo intervento di Oxd.: io credo che la questione del nichilismo in relazione alla fine di ogni eternità sia decisamente sopravvalutata. Veramente gli uomini sono ossessionati dall'eternità? Veramente desiderano una vita eterna?
L'Occidente deve fare i conti con il tempo finito della vita che per il 99% viene perso per trovare il proprio piccolo posto nel mondo senza riuscirci. Vita sprecata, buttata, nell'ingiustizia dei sistemi politici e sociali.
Detto in poche parole: non sento la mancanza di Dio se riesco a lavorare la mia parte di mondo in modo che sia più armoniosa. Quando però ogni movimento è destinato all'impotenza, ecco che sì, non mi rimane che cercare qualcosa di cui il mondo non può derubarmi (non sto dicendo naturalmente che non abbia senso un percorso tradizionale di tipo religioso...).
Cioè, il nichilismo così com tradizionalmente viene affrontato è ancora la battaglia dell'uomo del nostro tempo?

0xdeadbeef

Citazione di: Kobayashi il 08 Luglio 2018, 17:26:04 PMQuindi la vera domanda è un'altra: compiuta quest'opera di smantellamento, rimane veramente solo il nulla?




Beh, diciamo che compiuta questa opera di smantellamento potrebbe rimanere solo la piena coscienza di una
volontà di potenza come termine originario ed ultimo; come al tempo stesso mezzo e scopo di ogni umana
"attività", non credi?
In questo senso il nichilismo è ancora, eccome, la "battaglia dell'uomo del nostro tempo".
Se, come ben dice Severino, il "sottosuolo filosofico degli ultimi 200 anni" ha mostrato, e lo ha mostrato
in maniera definitiva (io non sarei troppo d'accordo, ma questo è il pensiero, comunque profondo, di
Severino), che ogni "limite" morale ed etico è abolito (e questo è il senso proprio della "morte di Dio"),
allora la volontà di potenza ha davvero il DIRITTO di esplicarsi senza remora alcuna.
Questo perchè, come dice Nietzsche (e prima di lui Dostoevskij, e prima ancora Leopardi), la "morte di Dio"
è innanzitutto la morte del valore morale (solo gli ingenui possono credere che la "morte di Dio" rappresenti
soltanto l'eclissarsi del valore religioso).
Quindi costruiamola, sì, questa "fenomenologia della disperazione", ma prendiamo atto che, forse, essa è già
stata costruita da colui che disse : "il filosofo è colui che dice: così dev'essere" (naturalmente sto
parlando di Nietzsche).
Credo allora che la domanda che dovremmo porci sia piuttosto la seguente: può l'"oltreuomo" nietzschiano
essere considerato il termine definitivo della filosofia? Possiamo davvero, con esso, chiudere definitivamente
un libro aperto da millenni?
saluti

sgiombo

#9
Citazione di: Jacopus il 08 Luglio 2018, 13:36:44 PM
La vita e' dolore. La conoscenza puo' arrecare piu'dolore di quanto ve ne sarebbe senza conoscenza? Credo di no. Con tutto il rispetto per Leopardi il " venite parvulos" e' solo un tentativo di lasciare l'uomo nel suo stato di minorita' imputabile a se' stesso.


Per me, contrariamente al grandissimo filosofo (oltre che poeta: concordo con Oxdeadbeef) Leopardi, la vita non é necessariamente solo dolore (credo che mi sarei già suicidato se lo pensassi ...sperando che siano false le teorie della metempsicosi).
Anche perché, contrariamente a quanto afferma Camus più sotto citato da Oxdeadbeef non tendo affatto all' infinito , ma con gli antichi Stoici ed Epicurei (e probabilmente con Buddisti e quant' altri a me sconosciuti) cerco di autolimitarmi, nelle mie aspirazioni.

Ma Leopardi per "filosofia" e "conoscenza" intendeva l' autocoscienza, la consapevolezza del nostro proprio stato di insignificanti, meschinissimi accidenti nell' ambito della natura, non affatto "centrali" in essa in alcun senso, né oggetto di alcun disegno finalistico o "provvidenziale": la Natura é del tutto indifferente all' Islandese!

sgiombo

#10
X Mauro (Oxdeadbeef)

Ma la consapevolezza dell' inesistenza di Dio, Provvidenza, giusti premi e castighi per l' operato di ognuno (che peraltro si ritrova ad essere come é e conseguentemente ad agire come agisce non per propria libera scelta!) non impediscono la ricerca (sia pur certamente non facile quanto il coltivare, con Tolstoj, l' illusione della provvidenza) di scopi e finalità del tutto appaganti nella vita (questa mi sembra la convinzione anche di Sartre, di cui anch' io ho letto La nausea e altro in gioventù: letture che credo molto mi abbiano giovato).

Nè impediscono il riconoscimento di valori morali e di giustizia che, pur non essendo dettati da alcun Dio su alcuna pietra, né essendo dimostrabili razionalmente (Hume), pur non essendo "universalmente veri di diritto" tuttavia sono di fatto (e secondo me per ben comprensibili ragioni naturali, ben chiarite dalla moderna biologia "di origine darwiniana"; se correttamente intesa, e non "a là Dawkuins, "darwinismo soicale, "sociobiologia" e così via farneticando antiscientificamente) per lo meno in parte universalmente avvertiti (e in parte socialmente condizionati, come dimostrato da Engels e da Marx).

Kobayashi

Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Luglio 2018, 20:41:15 PMSe, come ben dice Severino, il "sottosuolo filosofico degli ultimi 200 anni" ha mostrato, e lo ha mostrato in maniera definitiva (io non sarei troppo d'accordo, ma questo è il pensiero, comunque profondo, di Severino), che ogni "limite" morale ed etico è abolito (e questo è il senso proprio della "morte di Dio"), allora la volontà di potenza ha davvero il DIRITTO di esplicarsi senza remora alcuna.  

Faccio una considerazione antropologica: una persona che passa realmente attraverso la devastazione del pessimismo cosmico di Leopardi o del nichilismo della morte di ogni valore morale ha ancora una potenza e una volontà? Passarci attraverso non significa leggere dei libri nel tempo libero continuando poi a fare la vita di sempre, significa fare per esempio come Raskolnikov o Ivan Karamazov.
Il fatto che uno ne sia uscito attraverso una specie di rinascita interiore all'insegna della beatitudine della semplicità (il Vangelo dei disperati), mentre l'altro è sprofondato nella pazzia, dice ancora qualcos'altro, e cioè che la personalità intellettuale ossessiva di Ivan essendo troppo lontana dalla realtà rimane ingabbiata nella propria mente e così la sua caduta non trova una superficie stabile da cui ripartire, continuerà a perdersi nei fantasmi della sua immaginazione filosofica.

In un romanzo cinese scritto negli anni 80 c'è un personaggio, un giovane uomo, che finisce per uccidere in un eccesso di gelosia la persona che amava profondamente, di cui era ossessionato. Quindi distrutto da questo fatto, più morto che vivo, parte da Taiwan e va a vivere a New York. Qui passa dieci anni nell'oscurità. Vive di notte, gira per la città in metropolitana volendosi perdere ulteriormente. L'autore dice che ha persino smarrito il senso del gusto, quando mangia non sente il sapore di ciò che sta masticando.
Insomma una specie di zombie.
Alla fine incontra un ragazzo che gli chiede aiuto. Un piccolo vagabondo.
Lui decide di aiutarlo e di portarselo a casa.
Ma il punto è questo: non lo aiuta per empatia (spinta biologica), non lo aiuta per dovere (spinta etica o religiosa), non lo aiuta per sentirsi meglio (amor proprio).
Il gesto è come se emergesse da qualche oscura profondità. Come se la devastazione cui è stato soggetto per così tanto tempo avesse cancellato a tal punto le illusioni cui siamo continuamente affetti da mostrargli una realtà pura, appunto il bisogno del ragazzo, e nient'altro (chi si porterebbe a casa un vagabondo? Chi accetterebbe di assumersi il rischio di un gesto del genere non potendo in alcun modo sapere se si tratta di un pazzo, di un violento etc., se non chi è già praticamente morto?).

Mi ricorda il gesto di San Francesco con i lebbrosi senza però il suo fanatismo cristiano. Anche Francesco avrebbe forse fatto la stessa cosa anche se non avesse mai conosciuto la figura di Cristo, chissà.

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 22:46:09 PM
Nè impediscono il riconoscimento di valori morali e di giustizia che, pur non essendo dettati da alcun Dio su alcuna pietra, né essendo dimostrabili razionalmente (Hume), pur non essendo "universalmente veri di diritto" tuttavia sono di fatto (e secondo me per ben comprensibili ragioni naturali, ben chiarite dalla moderna biologia "di origine darwiniana"; se correttamente intesa, e non "a là Dawkuins, "darwinismo soicale, "sociobiologia" e così via farneticando antiscientificamente) per lo meno in parte universalmente avvertiti (e in parte socialmente condizionati, come dimostrato da Engels e da Marx).



"Morte di Dio" come metafora, perchè l'autentico significato di tale espressione è "morte del valore", così
come assunto, e cioè "assolutamente".
Del resto, la cosiddetta "Nietzsche reinassance" francese parla, e a mio parere giustamente, della filosofia
di Nietzsche come "genealogia del valore".
"Se Dio non esiste bisognerebbe inventarlo", fa dire Dostoevskij al piccolo Kolja (mi pare lui, se ben ricordo).
Ora, inventato o esistente realmente (non è qui che ci interessa), Dio come metafora dell'assoluto, quindi di
un valore morale assunto assolutamente (non in maniera relativa, cioè).
Può forse essere diversamente? Tu se ben più di me avvezzo alle cose della scienza, quindi saprai meglio di
me quanto la scienza sostiene a proposito del valore morale e di giustizia. Però ti chiedo: può la scienza
imporci come assoluto un qualcosa che è senz'altro relativo?
La "Legge" (che per sua stessa definizione è assoluta in quanto "uguale per tutti") ci impone delle cose, ad
esempio di non uccidere o di non rubare, e ce le impone assolutamente, cioè in una maniera che è la perfetta
e speculare immagine di Dio (non a caso è Dio che dà le Tavole a Mosè). Beh, con quale diritto potrà
continuare ad imporre nel momento in cui non, semplicemente, "Dio", ma lo stesso concetto di valore come "assoluto"
viene demolito dal "sottosuolo filosofico degli ultimi 200 anni"?
Certo, le imporrà, magari, sulla base di un "consenso democraticamente stabilito", ma dove risiede l'"autorità" di
quella base? Insomma, quale fondamento di sabbia, per usare ancora una metafora religiosa...
saluti Giulio.

baylham

Al centro della poetica e della riflessione filosofica di Leopardi c'è il tema della felicità dell'uomo, non della morale. Infatti la relazione drammatica, tragica è tra l'uomo e la natura.

baylham

Aggiungo che attribuire a Leopardi la concezione della vita come uno stato di dolore non è corretto. Il punto centrale è l'illusione, l'inganno della felicità. In questo senso sono molto significative le poesie Il sabato del villaggio e A Silvia.

Inoltre ammiro Leopardi proprio perché nelle sue opere non si perde dietro l'esistenza o la morte di Dio, in questo senso sono certamente atee.

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