La filosofia di Kant conduce allo scetticismo?

Aperto da Socrate78, 29 Agosto 2018, 15:48:10 PM

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0xdeadbeef

A Davintro
Il "segno" è senz'altro un prodotto umano; ma non lo è l'oggetto che quel segno indica (in riferimento al tuo: "le
essenze che specificano i vari vissuti della coscienza non sono un prodotto umano, ma un dato che l'uomo intuisce
come necessario").
Anche qui, ritengo, è plausibile dire che l'oggetto non ancora indicato dal segno è un: "residuo della spoliazione
(riduzione fenomenologica) di tutti gli aspetti contingenti e dubitabili del fenomeno".
Perchè non dovrebbe esserlo (plausibile)? Nel mio ragionamento (mio per modo di dire, visto che è il medesimo di
Kant) l'oggetto non è una "convenzione arbitraria dell'uomo", ma un essente reale e necessario (necessario e
indubitabile, slegato dalla contingenza e dalla dubitabilità del segno che lo indica).
Ma dicevo del "giudizio estetico" kantiano come pretesa di oggettività e di universalità.
Come non vedervi importanti anticipazioni del concetto fenomenologico di "mappa" (o almeno così a me pare)?
Certo, parliamo di un prodotto umano (il segno; il fenomeno), ma un prodotto umano che "pretende" appunto di
avere oggettività, di "svelare" l'oggetto, il noumeno.
Non di "svelarlo", ed è questo il punto dirimente, restando all'interno di una mera "comunicabilità" (che
sarebbe restare sempre all'interno di un segno, visto che è della comunicabilità di un segno che staremmo
parlando); ma svelarlo nella sua vera e propria "ex-sistenza", cioè nel suo "stare saldamente fuori" dal segno.
E allora: come svelarlo in tal senso (un senso nel quale, sicuramente, la Semiotica va ben "oltre" Kant)?
Personalmente ho trovato estremamente interessante un documento di U.Eco (Il "Realismo negativo"), di cui
ti riporto un passo che trovo significativo:
"Tornando al cacciavite di Rorty si noti che la mia obiezione non escludeva che un cacciavite possa permettermi
infinite altre operazioni: per esempio potrei utilmente usarlo per uccidere o sfregiare qualcuno, per forzare una
serratura o per fare un buco in piú in una fetta di groviera. Quello che è sconsigliabile farne è usarlo per grattarmi
l'orecchio. Per non dire (il che sembra ovvio ma non è) che non posso usarlo come bicchiere perché non contiene cavità
che possano ospitare del liquido. Il cacciavite risponde di sí a molte delle mie interpretazioni ma a molte, e almeno
a una risponde di no".
Quindi, ecco, l'oggettività come uno "zoccolo duro dell'essere" che si pone al di là di ogni segno, fenomeno o
interpretazione: non mi sembrerebbe davvero un discorso riducibile a "segni e definizioni linguistiche".
Un saluto ed un ringraziamento per la risposta.

viator

#16
Salve. Sono molto perplesso circa l'uso del termine "cosa" che trovo privo di significato filosofico.

Dal momento che secondo me nulla può esistere in modo inerte, statico, visto che si troverà sempre in relazione con altro (unica eccezione : l'Assoluto), ciascuna "cosa" risulterà essere effetto di una causa e causa di ulteriori effetti.

Come potremmo chiamare ciò che è sempre frutto di un cambiamento (cioè di una causa) e produce invariabilmente dei cambiamenti (effetti) ? ENTE.

Per quanto poi riguarda "la cosa in sé", dovrebbe appunto divenire "l'ente in sé", riconducendo correttamente ogni discorso su di essa al significato del verbo essere.

Che io appunto definisco come "la condizione per la quale le cause producono degli effetti". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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