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La felicità

Aperto da viator, 18 Ottobre 2017, 12:49:43 PM

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Phil

Citazione di: baylham il 30 Settembre 2019, 15:05:36 PM
La felicità non è la soddisfazione dei bisogni, che è appunto soddisfazione. La mancanza è un correlato del bisogno.
La felicità è un sentimento straordinario, che richiede la sorpresa, l'imprevedibilità, la mancanza di controllo, di pianificazione.
Se non sbaglio, una distinzione "manualistica" fra gioia e felicità è che la prima è un'emozione (primaria) che può essere legata ad eventi imprevisti, mentre la seconda è meno intensa, inserita in un desiderio d'attesa e potenzialmente più duratura della gioia. Se sorvoliamo su queste definizioni, sicuramente è il caso di distinguere comunque la felicità improvvisa e inattesa da quella cercata e attesa (la felicità di essere in una condizione che si desiderava, di raggiungere un certo traguardo, di avere ciò che si voleva, etc.).

P.s.
Al di là delle definizioni, concordo che quel che si attacca al cucchiaio di legno sia il meglio delle patate al rosmarino.

Lou

Inserirei tra gioia e felicità la parola "ben-essere" (con trattino necessario). Forse la gioia e la felicità hanno legami con il ben-essere, che è in qualche modo un ingrediente che li accomuna. Però più che uno stato duraturo o meno, improvviso o altro, ritengo che il discrimine tra le due sia una certa autonomia dello stato di felicità da condizioni esterne, rispetto alla gioia.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Sariputra

#17
In un mondo totalmente impermanente qualunque tipo di felicità non può essere che passeggera, fugace. Illusorio pensare che la felicità data dal possedere , persone , cose o stati mentali, sia duratura. Eppure a questa si anela costantemente, senza posa. Infelice è l'uomo che cerca di essere felice..
C'è però un tipo di felicità che è data dal non pensare più di trovare felicità nel mondo.. E' quando sai rinunciare all'affannosa ricerca. Quando la mente è esausta nel cercare senza trovare. Allora, inspiegabilmente...sei felice!
Questa è una felicità meno effimera, più costante e profonda. Perché è così? Perché la 'mente' gioisce allora nel dominare le cose, invece che nel venirne dominata...
Un'altra  forma di felicità pofonda è quella data dalla condivisione. Condividere insieme l'esistenza, sotto ogni forma, fosse anche condividere solamente la propria povertà e farsi carico della sofferenza altrui, è una forma nobile di felicità. Si respira il sacro in questa condivisione...La premessa però per questa felicità dimora sempre nella capacità di rinuncia. E' perché rinuncio a qualcosa di mio che posso far "spazio per te"...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Ipazia

Citazione di: Phil il 30 Settembre 2019, 12:33:16 PM
Forse, in fondo, la felicità è come la carota legata al bastone: se sotto sotto vogliamo continuare a correre, dobbiamo guardarci dal raggiungerla (per quanto suoni apparentemente paradossale, parlando di felicità); se possiamo (e vogliamo) godercela senza correre, ci conviene mangiarla a piccoli morsi, per farla durare, poiché non è detto che, una volta terminata (Penia) saremo in grado (Poros) di trovarne altre (per quanto sia proprio la mancanza a dare il sapore alla soddisfazione in quanto non-più-mancanza).

Non ridurrei tutto a questa rappresentazione kinica (Peter Sloterdijk) ansimante. Benchè la felicità sia generata da un processo dinamico, non ogni vagabondare sortisce l'effetto, ma solo se saggiamente condotto, eudemonisticamente. Il sapore della felicità si gusta nel momento di stasi, appagamento, illuminazione (individuale o conviviale), che nella sua bellezza arrestata assume una prospettiva infinita che dà anche al più kinico degli umani la pienezza di senso della sua propria realizzazione. La fine del film è scontata, ciò non impedisce di gustarselo finchè lo si vive dissolvendosi in esso.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 01 Ottobre 2019, 11:30:58 AM
Non ridurrei tutto a questa rappresentazione kinica (Peter Sloterdijk) ansimante. Benchè la felicità sia generata da un processo dinamico, non ogni vagabondare sortisce l'effetto, ma solo se saggiamente condotto, eudemonisticamente. Il sapore della felicità si gusta nel momento di stasi, appagamento, illuminazione (individuale o conviviale), che nella sua bellezza arrestata assume una prospettiva infinita che dà anche al più kinico degli umani la pienezza di senso della sua propria realizzazione. La fine del film è scontata, ciò non impedisce di gustarselo finchè lo si vive dissolvendosi in esso.
Personalmente, per quel che vale, tendo al «godersela senza correre»(autocit.), ma devo riconoscere che non tutti hanno l'indole soggettiva e le possibilità oggettive per farlo, per cui quello che fa felice me magari provoca frustrazione e (in)sofferenza in altri; il buon Protagora può essere letto anche in chiave eudemonologica: c'è la felicità  del uomo cinetico (o cinestetico), quella del cinico, quella del "cinefilo" (anche se come dici il finale è scontato), etc.

Hlodowig

#20
Buongiorno amici,
Come di buon grado, giornalmente vi seguo e leggo.
Questo discorso, questa discussione, oggi ha catturato la mia attenzione.
In passato e in vari studi sulla faccenda, ho letto, guardato e ascoltato da altri.
Ho sempre posto molte domande, anche se queste parevano molto scomode al mio interlocutore, ma in effetti esse erano semplicemente senza alcun scopo, se non quel di sapere, di capire.
Penso che sull' argomento se ne possano dare moltissime di interpretazioni, quasi 7 miliardi (qualche numero in più, qualche numero in meno), ciò in virtù del fatto, che ogni-uno sia diverso dagli altri uno (o quantomeno, spero sia così) e che ogni esperienza, sia diversa dalle altre.
Il luogo in cui si nasce e si cresce, la mentalità della famiglia in cui ci si inizia a formare, la cultura del popolo o della società che plasma la nostra mente (una famiglia allargata, potrei pensare personalmente), il paradigma del verbale, dello scritturale, delle idee, delle opinioni, dei fatti con i quali e con le quali, ogni giorno ci interfacciamo, nei quali e nelle quali ci identifichiamo, ci relazioniamo.
Si ha bisogno dell' ascolto degli altri, per poter parlare con noi stessi (per chi abbia la possibilità di farlo) e per poter ascoltare noi stessi in un momento della nostra esistenza, in cui ci è concesso di farlo.
E qui scorgano a fiumi, le mille, centomila, il milione di domande a cui ci aggrappiamo per tentare di dare un senso al nostro essere, al nostro vivere.
Guardiamo in noi stessi come il riflesso di altri, guardiamo agli altri come il riflesso di noi stessi, guardiamo ai tanti io, me, noi, voi, essi, loro, come un mosaico, oppure un puzzle i cui pezzi son li, sparsi un po' dappertutto e in attesa che venga ricomposto-scomposto-ricomposto (o che qualcuno al posto nostro, faccia la stessa cosa).
A volte, cerchiamo negli altri questa felicità, questa serenità e la utilizziamo come fosse un cerotto capace di guarire quelle ferite, quei dolori, quel Dolore che ci portiamo dentro.
Un dolore, che può variare da persona a persona, da individuo ad individuo ma che e a ben guardare e saper ascoltare, può bene essere riscontrato non solo nella specie homo, esso ci può apparire tavolta come un misto di pensieri, emozioni e sentimenti che cavalcano il tempo presente, talora come qualcosa di più antico, atavico, ancestrale.
Cosa ne penso personalmente, o meglio, cosa ne penso in questo momento:
Signori, Amici, non sono mai stato molto bravo nell' esplecare ciò che veramente sento, è qualcosa di molto difficile, molto intimo, cercare di esternare ciò di cui non si riesce a udire, ciò di cui non si riesce a pensare, ciò di cui non si riesce a parlare, qualcosa di molto profondo, che si percepisce, ma non ci si sa spiegare così, con due o tre frasi dette e lette.
Posso solo dire a me stesso, in questo preciso istante, che esistono tre cuori, l' uno è situato nella mente (la logica, le emozioni, le esperienze, il vissuto, i ricordi), l' uno è situato nel muscolo (i sentimenti, i ricordi), l' uno è situato tra le gambe (il sesso, la procreazione, la bellezza della nascita).
Credo che in fin dei conti, il nostro malessere biologico, fisico, psichico, animico, sia da imputare a questi che io definisco stati, stati che si prendono continuamente a cazzotti tra loro, anziché essere in armonia tra loro, di rimando, la storia dell' uomo continua a insegnarmi molto sul suo essere razionale e irrazionale allo stesso tempo, sul suo continuo e perpetuo essere contraddittorio.
Molti si sono avvicendati nel chiedersi queste cose, molti lo fanno adesso e molti continueranno a farlo, anche ogni-uno di noi, in questo preciso istante.
Per quel che mi è concesso, vorrei, sempre che gli amministratori e moderatori, ma anche gli altri amici tutti me lo possano permettere, descrivere un momento, un mio personalissimo momento di quiete interiore e vorrei farlo attraverso l' immaginale di un paio di foto e di un video di breve durata, che feci questa estate, quando tutto ad un tratto, volli fare quello che ho fatto, ma senza pensarci, senza una meta ben definita, senza un programma creato, ma semplicemente perché così decisi in quel preciso momento.



https://streamable.com/yfsbi

Quel giorno il cielo era coperto di nuvole bianche e grigio chiaro, le gocce che ne scendevano quasi accarezzavano le mie mani e la mia pelle, l' aria era fresca, l' odore della terra e dell' erba, dei tronchi e delle piante e il sole che faceva capolino tra una nuovola e l' altra, me stesso fermo sotto di uno di quegli alberi, le cui fronde di rami e foglie mi accoglievano e riparavano.

Io, me stesso, la perla, l' universo, l' olografico, il sogno, il tutto.



Spero sia cosa gradita il mio aver messo piede in questa discussione e spero anche di non aver tediato troppo con le mie monellerie.

Grazie ✋

Jacopus

#21
CitazioneLa Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti considera la ricerca della felicità un diritto inalienabile di tutti gli uomini. La sua utopica universalità è inconciliabile con i campi di concentramento e di sterminio.
Ma é proprio l'universalità a renderla conciliabile. È ovvio che il discorso può diventare scivoloso, ma possiamo provare a non cadere.
In realtà é proprio il pensiero universalistico nelle sue molteplici declinazioni ad essere (forse?) imparentato con Auschwitz. É l'esclusione dell'infelicità, come linea del pensiero moderno a creare l'esclusione dell'infelice. O meglio di colui che deve essere considerato l'obiettivo della ricerca dell'infelicità, affinché vi sia una futura felicità. Infelice intercambiabile, secondo mode e richieste socio-politiche ma sempre necessario alla visione del benessere, della felicità come diritto.
Ecco la "felicità come diritto" mi risuona come un oltraggio alla intelligenza, un connubbio indecente, pornografico.
Perché allora non stabilire per legge quanti amplessi al giorno, quanto cibo gourmet, quanto consumo di beni voluttuari servono per essere felici? In questa intromissione non c'è già forse la radice delle norme burocratiche che stabilivano quanto paia di ciabatte distribuire ai Kapò, quante selezioni al mese, quanti grammi di pane distribuire, che forma doveva avere il cubo del letto?
Se la felicità si può normare, perché non farlo per l'infelicità, se quella felicità può essere raggiunta, in un mondo manicheo come quello totalitario, solo attraverso l'infelicità del nemico.
Quello che in fondo voglio dire é un discorso ricorrente nella filosofia contemporanea: ovvero la technè come misura di tutto il mondo e della quale l'homo sapiens é diventato il servitore.
Casualmente ora mi sono imbattuto in questo pensiero di H. Arendt che può aiutare a chiarire meglio quello che voglio dire.
CitazioneQuando l'impossibile é stato reso possibile (dalla tecnica) é diventato il male assoluto, impensabile, imperdonabile, che non poteva più essere compreso e spiegato con i malvagi motivi dell'interesse egoistico...della smania di potere e che quindi non poteva più essere combattuto con la collera, con la carità, con l'amicizia. (Le origini del totalitarismo, p. 628).
Questo processo vale per tutte le sfere che vivevano fuori dalla sfera della tecnica e che la tecnica tende a colonizzare, sia che si tratti di felicità oppure di purezza del sangue.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

viator

Salve Jacopus. In effetti il "diritto alla felicità" rappresenta espressione assurda ed addirittura irrisoria della condizione umana.

I diritti riconoscibili a dei cittadini o a delle persone sono solamente quelli  CHIARAMENTE DEFINIBILI PER TUTTI, SICURAMENTE RAGGIUNGIBILI PER TUTTI, SICURAMENTE MANTENIBILI PER TUTTI.

Tutto il resto rappresenta solo, a seconda dei casi e dell'animo di chi lo proclama, DEMAGOGIE, UTOPIE, ILLUSIONI, VANEGGIAMENTI, SPERANZE, AUGURI. Cioè, nel più benefico dei casi, un grazioso ornamento del portale del nostro futuro. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

niko

La cosa che trovo interessante di questa discussione è che se la morte è la porta della felicità, accettata questa premessa,  ne consegue che la vita ha sempre un lieto fine. Di tutti i viventi del mondo si potrà dire prima o poi "e morirono per sempre felici e contenti", parafrasando il noto finale delle favole, "e vissero per sempre felici e contenti".  Molto Disneyano. 

Da un punto d vista religioso (ne parlo tanto per parlare, perché io personalmente sono ateo), se l'annullamento dell'anima non è una punizione, ma uno stato di felicità, un Dio che manda i peccatori all'inferno, cioè alla tortura eterna senza annullarne l'anima, è effettivamente un Dio crudele e vendicativo, perché non concede ai suoi nemici quella morte eterna che sarebbe per loro lo stato di felicità, e invece li tortura. 

Al contrario un Dio che semplicemente davanti alla disobbedienza degli uomini ai suoi comandi (il famoso albero...)  introduce la morte come salario del peccato, che quindi a un livello spirituale si limita a "uccidere" chi non gli obbedisce senza "torturarlo", è e resta un Dio buono e misericordioso, perché in fondo concede la felicità a tutti, anche a chi lo sfida. Distruggendo l'anima di chi lo sfida preserva la sua creazione senza fare realmente del male a nessuno: il giusto avrà una felicità positiva, nel paradiso, e l'ingiusto una felicità negativa, nell'annientamento, ma sempre entrambi saranno felici alla fine, sempre se accettiamo l'equivalenza tra felicità e morte che si propone in questa discussione. Il lieto fine del "tutti morirono felici è contenti" di cui sopra si può applicare anche alla favola della religione cristiana, purché si sia annichilazionisti, cioè si immagini l'inferno come luogo di annientamento e non di sofferenza. L'inferno è il nulla, che davanti al non-senso della vita è comunque desiderabile. Quello che cambia, tra l'essere giusti o peccatori, è solo la differenza ineffabile tra l'annientamento di tutti i desideri e la loro soddisfazione, l'indicibile differenza tra l'essere felici perché completamente soddisfatti e l'essere felici perché morti, differenza che ha senso finché si è in vita e non ha più senso per i morti.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

viator

Salve Niko e benvenuto. Molto, molto ben detto. Ragionare come te significa saper discernere (indipendentemente dal potere di convinzione dei risultati !) il razionale dall'irrazionale, la logica dal velleitarismo soggettivo, il possibile dal desiderabile. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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