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La domanda ontologica

Aperto da Ingordigia, 12 Giugno 2017, 14:44:04 PM

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Ingordigia

Per Heidegger la domanda "Perchè vi è ,in generale ,l'essente e non il nulla" non è un semplice accadimento , ma è un evento .
Quale è la vostra interpretazione riguardo tale affermazione?

sgiombo

Bisognerebbe che qualcuno che lo consce ci (o almeno mi) spieghi la differenza per Heidegger fra "accadimento" ed "evento" (sia pur "semplice"), che nel linguaggio comune sono sinonimi pressocché perfetti.

Ingordigia

Per ora so che vi è questa relazione . La domanda che sopra ho scritto (che quindi è riferita al concetto di evento) , è una domanda particolare , perchè l'oggetto di tale domanda influenza la domanda stessa , in un circolo in apparenza insolubile . Questo circolo può essere sciolto ? se sì in che modo ?

lorenzo

Boh, scrivi come un heideggeriano, cioè non si capisce (o, almeno, io non capisco) 'na mazza.
La domanda sarebbe riferita al concetto di evento che, si badi, non è un accadimento.
Già, da Sgiombo, te ne è stata chiesta la differenza ma tu rilanci col circolo in apparenza insolubile.
Hai provato con l'acido muriatico?
Ciao.
Gli USA importano merci ed esportano dollàri.

Ingordigia

Ho chiesto semplicemente la differenza tra evento e accadimento , perchè io non l'ho compresa

lorenzo

Da una veloce ricerca:
Essere: 'Perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla?'. E' questa, spiega Heidegger in Saggi e discorsi, la domanda metafisica fondamentale. E la domanda sul perché diventa la domanda sul 'perché il perché': è la questione che fa fare il salto (Sprung) 'mediante il quale l'uomo abbandona ogni anteriore sicurezza, vera o presunta, nei riguardi del proprio essere'. Ciò che viene domandato 'si ripercuote sul domandare stesso'. Questo domandare, argomenta Heidegger, non è un 'fatto qualunque', ma 'un accadimento peculiare, ciò che noi chiamiamo 'evento' (Geschehnis: poi la parola tedesca diventerà Ereignis). Non va inteso come qualcosa di mistico, settario o epifanico, come una rivelazione, ma proprio come un fatto storico, quello che caratterizza la storia e il corso del pensiero occidentale.
http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2015/02/08/capire-heidegger-glossario-essenziale_6c849275-08a9-4cdd-9791-15b25b430ee1.html

Die Grundfrage der Metaphysik (La domanda metafisica fondamentale). Nelle lezioni riportate in questo capitolo [di Introduzione alla Metafisica] Heidegger intende rispondere alla domanda perché vi è l'"ente" piuttosto che il "nulla" (Warum ist überhaupt Seiendes und nicht vielmehr Nichts?), intendendo come "ente" (Seiendes, anche tradotto come "essente") ciò che nella cultura greca veniva indicato come φύσις (phýsis). Tale domandare non è un fatto qualunque ma un accadimento particolare, accadimento che Heidegger indica come "evento" ("Geschehnis": Dieses Fragen ist deshalb in sich kein beliebiger Vorgang, sondern ein ausgezeichnetes Vorkommnis, das wir ein Geschehnis nennen). Tale domanda sul "perché", come le altre in essa radicate e in cui essa stessa si svolge, non è paragonabile a nessun'altra domanda (Diese Frage und alle in ihr unmittelbar verwurzelten Fragen, in denen diese eine sich entfaltet, diese Warumfrage ist gegenüber jeder anderen unvergleichlich.).
https://it.wikipedia.org/wiki/Introduzione_alla_metafisica

Poi su https://independent.academia.edu/AndreaBrocchieri
c'è un articolo di Andrea Brocchieri "Evento: Heidegger, Heisemberg e Parmenide" che non ho letto.
Ciao.
Gli USA importano merci ed esportano dollàri.

sgiombo

Quindi, se ben capisco (ma Lorenzo stesso ha scritto poco sopra: "Boh, scrivi come un heideggeriano, cioè non si capisce (o, almeno, io non capisco) 'na mazza'", e personalmente per lo meno non mi sento molto distante da un tale apprezzamento), il porsi questa domanda é per Heidegger l' evento che fa da inizio alla cultura occidentale (per questo peculiare fra qualsiasi altro accadimento o evento che dir si voglia).

Strano, dal momento che non mi risulta vi sia documentazione del fatto che qualcuno (chi?) per primo in occidente se la sia posta, di questo "fatto storico, quello che caratterizza la storia e il corso del pensiero occidentale" (come credo sarebbe inevitabile se effettivamente si trattasse di un evento letteralmente "epocale", quello da cui avrebbe appunto preso il via l' epoca della cultura occidentale, quello che segnerebbe il passaggio dalla barbarie alla civiltà in occidente).

A me personalmente (ma potrei certamente sbagliarmi) risulterebbe che il primo di cui sia documentato che se la sia posta (ma certamente non il primo che se la sia posta!) esplicitamente, anche se in termini più comprensibili o "meno heideggeriani", per esempio senza ricorrere al concetto di "essente" ma solo a quello semplice e chiaro di "qualcosa (di reale)", sia stato Leibniz.

A me personalmente sembra che questa domanda sia in generale e a tutte le latitudini (o meglio, più letteralmente, a tutte le longitudini) molto più modestamente il punto di partenza del senso critico, quella che ogni uomo che ne sia dotato si pone allorché comincia a ragionare su se stesso, la sua vita, ciò che é il caso di farne o meno (a me é successo durante la scuola elementare; penso di essere stato piuttosto precoce in proposito).

paul11

Heidegger personalmente è interessante come ruolo centrale della cultura filosofica da un secolo a questa parte.
E' fondamentale la problematizzazione che passando da Nietzsche arriva ad Heidegger e anche in Severino, con letture di ognuna originali e diverse, a volte simili a volte contrapposte.
Il Nulla, è il Nichilismo dell'Occidente culturale che viene imputato alla divisione di Platone che sposta, la verità, l'episteme e quindi l'Essere nel mondo delle idee, separandolo dall'esistenza.
L'Essere è quindi statico e "soggettità"(termine tradotto hiedeggeriano) sprofondato nel Nulla, per cui la storia dell'uomo occidentale percorre l il Nichilismo in cui dalla contraddizione emerge il dispositivo della tecnica(Gestell).
Purtoppo taglio corto, ma è centrale per capire come la metafisica antica vine interpretata dai moderni e contemporanei ed è lungo e interessantissimo........

Quindi, vi è l'essente, l'ente che si manifesta ,si svela e non quel Nulla che porta la Nichilismo, ed è un evento (Ereignis) in quanto L'Essere(come ente privilegiato in quanto autoconsapevole) entra nell'Esistenza dinamicamente, nell'orizzonte della storia.

maral

Severino è abbastanza chiaro in materia. E' solo il pensiero greco che giunge a concepire il nulla 'assolutamente nulla) come esistente e lo fa attraverso la concezione dell'Essere parmenideo, posto in evidenza totalmente astratta. Da qui nasce il modo di pensare dell'Occidente, in ragione del quale l'Essere e dunque gli Enti (e non il Nulla) risultano problematici ed è appunto da questa problematicità che scaturisce la domanda sul perché degli Enti. La domanda in questione è dunque l'evento fondamentale che determina la differenza che rende unico il pensiero dell'Occidente per il quale gli Enti   sorgono e tramontano nel Nulla assoluto che ne costituisce la matrice originaria e terminale con tutte le conseguenze che da questo derivano. In tal senso la questione posta è pertanto un evento storico della massima portata che segna l'inizio del pensiero filosofico come tentativo di dare ragione dell'esistenza degli enti.

sgiombo

Citazione di: maral il 22 Giugno 2017, 19:51:26 PM
Severino è abbastanza chiaro in materia. E' solo il pensiero greco che giunge a concepire il nulla 'assolutamente nulla) come esistente e lo fa attraverso la concezione dell'Essere parmenideo, posto in evidenza totalmente astratta. Da qui nasce il modo di pensare dell'Occidente, in ragione del quale l'Essere e dunque gli Enti (e non il Nulla) risultano problematici ed è appunto da questa problematicità che scaturisce la domanda sul perché degli Enti. La domanda in questione è dunque l'evento fondamentale che determina la differenza che rende unico il pensiero dell'Occidente per il quale gli Enti   sorgono e tramontano nel Nulla assoluto che ne costituisce la matrice originaria e terminale con tutte le conseguenze che da questo derivano. In tal senso la questione posta è pertanto un evento storico della massima portata che segna l'inizio del pensiero filosofico come tentativo di dare ragione dell'esistenza degli enti.
CitazioneMa in che senso si può parlare indiscriminatamente di "pensiero occidentale"?

La cultura occidentale (come credo ogni altra) contiene "di tutto e di più": per restare solo ai "primordi" Parmenide ed Eraclito, Platone e Democrito, per arrivare a tempi più recenti Marx e Nietzche, Darwin e Freud.

Fra l' altro ne é una componente assai "corposa" (non da tutti giustamente apprezzata e razionalmente criticata, spesso irrazionalisticamente liquidata o altrettanto irrazionalisticamente sopravvalutata) la scienza moderna, per la quale nulla si crea dal nulla, nulla svanisce nel nulla, ma tutto si trasforma in "qualcosaltro" secondo proporzioni universali e costanti.

maral

Credo si possa parlare di pensiero occidentale come di quel pensiero che abbandona le immagini originarie del mito tentando di trovare nel proprio formalismo logico la propria consistenza di fondo e questo formalismo non può fare appello che al principio di non contraddizione (laddove il pensiero mitico non se ne cura minimamente). Il pensiero occidentale, attraverso le sue categorizzazioni, realizza quindi al massimo grado la potenza dell'astratto e al contempo la sua stessa contraddizione, giacché la potenza dell'astrazione si trova continuamente a dover affrontare quel concreto che nell'istante continuamente ci accade in termini non razionalmente riducibili, non semplicemente calcolabili.

sgiombo

Ho due motivi di dissenso (che espongo senza la pretesa di convincere nessuno ma per indurre chi la pensa diversamente da me a rifletterci su, come reciprocamente cerco di fare da parte mia; anche perché non si tratta di un problema matematico risolvibile con operazioni algebriche dal risultato certo e inequivoco, ma di cercare di interpretare e comprendere al meglio questioni non quantificabili).

Il primo é che secondo me la tendenza all' acquisizione e alla pratica della razionalità e al superamento di credenze "istintive", immediatamente e semplicisticamente e poco criticamente suggerite dalle esperienze vissute e sancite e in varia misura "sacralizzate" dalla tradizione é una tendenza umana universale, ovviamente non incontrastata da altre tendenze, che a seconda delle diverse circostanze ambientali opera più o meno efficacemente e precocemente nel tempo storico presso tutti i gruppi umani, le aggregazioni sociali, le civiltà o culture.
Sono convinto che per quanto non sia rimasto storicamente documentato anche altrove prima che in Grecia (in Egitto, Mesopotamia, Fenicia e in tanti altri luoghi di diverse longitudini), per una caratteristica comportamentale universalmente umana, raggiunto un determinato limite di sviluppo civile ed economico, domande filosofiche siano state poste e si sia cercato di rispondervi; che le credenze acriticamente ereditate dalle rispettive tradizioni abbiano cominciato ad essere sottoposte al vaglio critico della ragione e della razionalità.
E pur non conoscendo purtroppo minimamente le culture orientali, tuttavia da quanto ne sento dire nel forum da persone competenti in materia (segnatamente Sariputra) mi sembra che la ricerca razionale della verità e del giusto agire pratico nella vita abbia caratterizzato e caratterizzi non secondariamente anche tali esperienze di sviluppo civile.

Il secondo é che ritengo astratto e concreto nella conoscenza umana (così come razionalità e sentimenti nel nostro comportamento) non elementi contraddittori e reciprocamente incompatibili, escludentisi l' un l' altro, bensì complementari e reciprocamente integrabili (e "integrandi"; anche se spesso non senza difficoltà).
E lo stesso credo circa i rapporti fra ciò che é razionale e ciò che é sentimentale, e fra ciò che é misurabile - calcolabile ("la materia") e ciò che non é misurabile ma al massimo vagamente "ponderabile" (lo "spirito", o meglio, a mio parere, il pensiero e l' "interiorità", anche non razionale).

paul11

#12
Non so se la razionalità sia in antitesi con il linguaggio del mito  e quindi che la razionalità sia una progressione naturale nell'argomentazione. Duemila anni dopo avviene un terremoto culturale sulle forme razionali iniziate dalla filosofia greca.

la cultura occidentale nasce dal passaggio della tradizione orale nella scrittura e in Grecia avviine sul finire del quinto secolo e inizio quarto secolo avanti Cristo.
Il passaggio della triade maestro discepolo ,vale adire Socrate- Platone- Aristotele è esemplare.
Socrate rifiuta la scrittura è per l'oralità dialettica. Platone si trova ne tempi dei sofisti e il modo di scrivere di questi ultimi non è nella forma del dialogo,cosa che invece Platone accetta ancora come emulo nella scrittura della dialogia socratica. Aristotele è addirittura quasi in antitesi con Socrate, è ormai dentro nel tempo della scrittura.

I diversi atteggiamenti e gli scritti pervenuteci grazie ad appunti dei discepoli è proprio che nella scrittura finisce il tempo del  MAESTRO.
La scrittuua separa il testo dall'autore rispetto achi legge magari in perfetta solitudine.Se la scrittura è una comodità, è una memoria fondamentale su cui si basa la scienza storica è altrettanto vero che si perde il contatto fisco del dialogo e quindi mutano le forme della conoscenza.
Un testo in fondo è un monologo ininterrotto dalla domande di discepoli e qiusto diventerà, l'esercizio retorico quindi della persuasione in quanto l'autore non c'è fisicamente.

Tant'è che i primi testi scritti nelle diverse tradizioni, un esempio lampante è il Vangelo che Gesù non scrive, ma lascia a quattro evangelisti, come Socrate per Platone, la narrazione con dialoghi utilizzando la parabole che n fondo è un linguaggio nella metafora.

Quindi i primi testi scritti sono ancora nel dialogo fra maestro e discepolo e d è tipico nelle diverse tradizioni condensare le scienze antiche trasmesse oralmente in un qualcosa, il libro, che rimane che è memoria "fisica", ma si perde il contatto fisco fra maestri e discepoli e mutano quind le forme linguistiche.
Non a caso Platone è lo spartiacque fra il linguaggio del mito e quello filosofico

Se Platone diventa il capro espiatorio come iniziatore della cultura dell'occidente per Nietzsche ed Heidegger, dove il primo lo interpreta come figura morale, il secondo come astrazione del'Essere, Severino è di tutt'altro avviso, la filosofia greca  si fonderà sulla manifestazione degli enti e sulla nuova "sacralità" del divenire che è in antitesi sulle regole logiche:un ente non può manifestarsi dal nulla e sparire nel nulla dentro un divenire.
Quindi Severino critica anche Nietzsche ed Heidegger.

E' tutto dire quindi che la cultura occidentale sia più razionale se si sposano le tesi severiniane

sgiombo

Citazione di: paul11 il 25 Giugno 2017, 12:20:55 PM
Non so se la razionalità sia in antitesi con il linguaggio del mito  e quindi che la razionalità sia una progressione naturale nell'argomentazione. Duemila anni dopo avviene un terremoto culturale sulle forme razionali iniziate dalla filosofia greca.

la cultura occidentale nasce dal passaggio della tradizione orale nella scrittura e in Grecia avviine sul finire del quinto secolo e inizio quarto secolo avanti Cristo.
Il passaggio della triade maestro discepolo ,vale adire Socrate- Platone- Aristotele è esemplare.
Socrate rifiuta la scrittura è per l'oralità dialettica. Platone si trova ne tempi dei sofisti e il modo di scrivere di questi ultimi non è nella forma del dialogo,cosa che invece Platone accetta ancora come emulo nella scrittura della dialogia socratica. Aristotele è addirittura quasi in antitesi con Socrate, è ormai dentro nel tempo della scrittura.

I diversi atteggiamenti e gli scritti pervenuteci grazie ad appunti dei discepoli è proprio che nella scrittura finisce il tempo del  MAESTRO.
La scrittuua separa il testo dall'autore rispetto achi legge magari in perfetta solitudine.Se la scrittura è una comodità, è una memoria fondamentale su cui si basa la scienza storica è altrettanto vero che si perde il contatto fisco del dialogo e quindi mutano le forme della conoscenza.
Un testo in fondo è un monologo ininterrotto dalla domande di discepoli e qiusto diventerà, l'esercizio retorico quindi della persuasione in quanto l'autore non c'è fisicamente.

Tant'è che i primi testi scritti nelle diverse tradizioni, un esempio lampante è il Vangelo che Gesù non scrive, ma lascia a quattro evangelisti, come Socrate per Platone, la narrazione con dialoghi utilizzando la parabole che n fondo è un linguaggio nella metafora.

Quindi i primi testi scritti sono ancora nel dialogo fra maestro e discepolo e d è tipico nelle diverse tradizioni condensare le scienze antiche trasmesse oralmente in un qualcosa, il libro, che rimane che è memoria "fisica", ma si perde il contatto fisco fra maestri e discepoli e mutano quind le forme linguistiche.
Non a caso Platone è lo spartiacque fra il linguaggio del mito e quello filosofico

Se Platone diventa il capro espiatorio come iniziatore della cultura dell'occidente per Nietzsche ed Heidegger, dove il primo lo interpreta come figura morale, il secondo come astrazione del'Essere, Severino è di tutt'altro avviso, la filosofia greca  si fonderà sulla manifestazione degli enti e sulla nuova "sacralità" del divenire che è in antitesi sulle regole logiche:un ente non può manifestarsi dal nulla e sparire nel nulla dentro un divenire.
Quindi Severino critica anche Nietzsche ed Heidegger.

E' tutto dire quindi che la cultura occidentale sia più razionale se si sposano le tesi severiniane
CitazioneComincio col dire che non ho nessuna intenzione di sposare le tesi severiniane.
Piuttosto preferirei restare scapolo (condizione che, come credo sappia ogni uomo e forse anche donna sposato/a da qualche anno e a volte da qualche mese, ha -anche, non solo- i suoi vantaggi inestimabili e spesso difficilmente recuperabli).

Inoltre non credo che la scrittura impedisca il dialogo orale; almeno non necessariamente, mentre di certo comporta il vantaggio di allargare moltissimo nello spazio e nel tempo la possibilità di un confronto di idee, di un loro perfezionamento, di una diffusione delle migliori (anche delle peggiori, certo; ma se uno é ottimista crede che alla fine le idee migliori "giochino in vantaggio" contro quelle peggiori).
I maestri che scrivono libri spesso hanno anche rapporti diretti di conversazione e dialogo con loro discepoli e con qualcuno dei loro lettori e partecipano a congressi e a discussioni pubbliche e private.
Moltissimi libri di scienza e di filosofia hanno una pagina di "ringraziamenti" in cui si segnalano non solo le letture, ma anche le discussioni orali e irapporti personali che hanno contribuito allo sviluppo delle tesi esposte.

maral

Citazione
Citazione di: sgiombo il 25 Giugno 2017, 11:14:38 AM
Ho due motivi di dissenso (che espongo senza la pretesa di convincere nessuno ma per indurre chi la pensa diversamente da me a rifletterci su, come reciprocamente cerco di fare da parte mia; anche perché non si tratta di un problema matematico risolvibile con operazioni algebriche dal risultato certo e inequivoco, ma di cercare di interpretare e comprendere al meglio questioni non quantificabili).

Il primo é che secondo me la tendenza all' acquisizione e alla pratica della razionalità e al superamento di credenze "istintive", immediatamente e semplicisticamente e poco criticamente suggerite dalle esperienze vissute e sancite e in varia misura "sacralizzate" dalla tradizione é una tendenza umana universale, ovviamente non incontrastata da altre tendenze, che a seconda delle diverse circostanze ambientali opera più o meno efficacemente e precocemente nel tempo storico presso tutti i gruppi umani, le aggregazioni sociali, le civiltà o culture.

Non so se si tratta di una tendenza umana universale o non piuttosto di una possibilità con i suoi pregi e difetti che può o meno realizzarsi nelle culture umane e che si è realizzata per la prima (e forse unica) volta in Grecia. Questo non significa che il pensiero mitico non possa essere rielaborato razionalmente e assumere forme particolarmente elevate di significato, ma che il punto (l'irrazionale) da cui si parte è diverso. Il pensiero occidentale (ossia quello che nasce in Grecia, ancor prima di Platone, già con Parmenide, Eraclito, se non addirittura con Anassimandro e Talete), ha come scopo la verità epistemica a partire dalla sua autofondatezza che si palesa nel discorso liberamente praticabile da chiunque nella comunità e non dalla rivelazione esoterica del Dio che ripone la sua validità nel tramandarsi della tradizione. Ovviamente le due cose, soprattutto all'inizio possono sicuramente coesistere, lo stesso Platone riconosce il ruolo fondamentale della evocazione della presenza divina per la fondazione e il mantenimento della comunità secondo giustezza, ma via via il discorso si rende sempre più libero dalle sue ascendenze mitiche per farsi pubblico e sempre più essoterico, quindi chiaramente condivisibile. Con il cristianesimo e la crisi del mondo classico si assiste a un ritorno della dimensione mitica dall'Oriente, sia pure in forma diversa da quella originale, ossia in una forma fondamentalmente teleologica che non apparteneva al pensiero greco e che costituisce la base su cui si impernierà la visione escatologica del destino dell'uomo (visione presente solo nel pensiero occidentale, laddove per il greco non vi era alcuna idea di progresso) e sulla quale si impernia la stessa concezione scientifica del mondo e la convinzione di un progresso dei saperi e dell'umanità. Tutto questo appartiene alla storia dell'Occidente, al modo di pensare dell'Occidente che è oggi di nuovo entrato in crisi e Nietzsche ed Heidegger, richiamati da Paul, sono elementi di questa crisi del pensiero occidentale. Il prodotto finale del pensiero dell'Occidente, il culmine della sua metafisica, resta il pensiero tecnico scientifico, di fatto dominante nel mondo intero, ma che non consente più di pensare la verità come episteme se pure consente di pensare.

CitazioneIl secondo é che ritengo astratto e concreto nella conoscenza umana (così come razionalità e sentimenti nel nostro comportamento) non elementi contraddittori e reciprocamente incompatibili, escludentisi l' un l' altro, bensì complementari e reciprocamente integrabili (e "integrandi"; anche se spesso non senza difficoltà).
E lo stesso credo circa i rapporti fra ciò che é razionale e ciò che é sentimentale, e fra ciò che é misurabile - calcolabile ("la materia") e ciò che non é misurabile ma al massimo vagamente "ponderabile" (lo "spirito", o meglio, a mio parere, il pensiero e l' "interiorità", anche non razionale).
Direi che come tutti gli elementi che si presentano in contraddizione, proprio nella loro contraddizione possono trovare una complementarietà che permette di superare la contraddizione. Il punto è vedere e soprattutto praticare questa complementarietà.

Per quanto riguarda il discorso sulla scrittura è molto interessante, perché proprio in Occidente e di nuovo in Grecia, la scrittura diventò il mezzo per riprodurre il racconto orale, ossia diventò fondamentalmente scrittura del fonema ove il grafema si riduce a segno grafico del fonema, perdendo tutta la propria potenza di evocazione simbolica grafica (ancora presente ad esempio nel geroglifico e nell'ideogramma) e quindi ogni aspetto sacrale.

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