La critica e le spiritualità

Aperto da Angelo Cannata, 24 Gennaio 2017, 13:05:07 PM

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anthonyi

Citazione di: Angelo Cannata il 29 Gennaio 2017, 11:52:03 AM
Citazione di: Apeiron il 29 Gennaio 2017, 11:09:07 AM
La tua critica ti vuole portare alla verità.
In effetti ogni tanto mi è capitato di pensare che prendere atto del relativismo possa essere considerato nient'altro che ricerca di una verità, che sia aderente a come stanno le cose più di quanto lo è la metafisica. La metafisica trascura il coinvolgimento del soggetto nel processo della conoscenza, mentre invece il relativismo ne tiene conto.

Una volta che però il relativismo approda ad una presa d'atto dell'impossibilità di ogni verità, il relativista si trova a doversi chiedere che senso possa avere il suo sforzo di tener conto della soggettività, visto che esso non può essere motivato dalla ricerca di una verità più completa di quella metafisica.

A questo punto, per me, lo sforzo di tener conto della soggettività, non potendo essere considerato uno sforzo di verità, si può definire come sforzo di realizzare al meglio il nostro essere umani. Non sappiamo esattamente cos'abbia di esclusivo il nostro essere umani; oggi mi sembra che si possa tener conto di una nostra sensazione di poter partecipare attivamente all'evolversi del nostro essere. Si potrebbe chiamare anche sensazione di libertà. L'esistenza della libertà non è dimostrabile, ma mi sembra che la sensazione che ne abbiamo, vera o falsa che sia, valga la pena di essere sfruttata.

Dunque, rispetto alla metafisica, preferisco tener conto della soggettività non per raggiungere una verità più completa, ma perché ciò mi dà la sensazione di realizzare in maniera più completa e arricchente il mio essere umano.

Questa motivazione vale anche per altri atteggiamenti che preferisco ad altri, tra cui la critica e il dubbio ad oltranza: scelgo critica e dubbio perché ogni affermazione di verità mi appare limitante, in quanto, occultamente, nega il suo opposto. Se decido, per esempio di accettare come verità indiscutibile che il sangue umano è rosso, sto automaticamente scoraggiando o perfino vietando alla mia mente di ipotizzare qualcosa di diverso, provare ad effettuare ricerche in proposito, esplorare modi diversi di pensare. Questo scoraggiamento per certi versi è utile, poiché permette di evitare di sprecare tempo in ricerche inutili o già compiute da altri, ma è anche micidiale perché è disonesto quanto alla motivazione. Infatti la metafisica non dice che non serve sprecare tempo in ricerche inutili o già fatte, ma che è meglio non farle, anzi, non si devono proprio fare, perché la verità è quella e tutto ciò che le si oppone è falsità da mettere al bando. Questa è quella che trovo una grave disonestà della metafisica: secondo essa bisogna seguire la verità prestabilita non per economia di risorse, ma perché quella è la verità. Ciò per me è falso, allo stesso modo in cui è falso dire che il sangue è rosso: la verità non è che il sangue è rosso, ma che i risultati di tutte le ricerche compiute finora consigliano di trattare il sangue come oggetto rosso. C'è differenza.

Ho chiamato quest'ultima affermazione "verità" per semplicità di linguaggio, ma, in base a ciò che ho detto prima, preferisco quest'ultima affermazione non perché sia più vera, o più completa, ma solo perché mi dà la sensazione di farmi realizzare meglio, con più completezza e ricchezza, le mie facoltà di cui ho sensazione come essere umano, tra cui la mia facoltà di collaborare liberamente alla mia evoluzione di essere umano.

Mi sembra tu abbia una visione della metafisica come equivalente alla dottrina religiosa. La metafisica è parte della filosofia per cui indica che c'è qualcuno che si pone delle domande di argomenti che certamente sono oggetto di dottrina, ma che non vengono posti come verità a priori.

Angelo Cannata

Citazione di: Apeiron il 29 Gennaio 2017, 13:51:53 PM
@Angelo Cannata

E su affermazioni indimostrabili/infalsificabili ci possono essere errori?
Non ci possono essere errori. Infalsificabile significa proprio questo: significa che riguardo ad una certa affermazione non esiste alcuna possibilità di individuare eventuali errori, eventuali falsità.

Angelo Cannata

Citazione di: anthonyi il 29 Gennaio 2017, 13:57:02 PM
Mi sembra tu abbia una visione della metafisica come equivalente alla dottrina religiosa. La metafisica è parte della filosofia per cui indica che c'è qualcuno che si pone delle domande di argomenti che certamente sono oggetto di dottrina, ma che non vengono posti come verità a priori.
Sì, in effetti per me la metafisica ha le stesse caratteristiche di una religione.
Tu dici che la metafisica non pone le sue affermazioni come apriori. Si tratta di vedere apriori rispetto a che cosa. Senza dubbio la metafisica non fa affermazioni previe al ragionare. In questo senso, rispetto al ragionare, la metafisica non è aprioristica. Però non tiene conto del soggetto. La metafisica ragiona, ritiene di aver individuato delle verità, decide di considerarle oggettive, ma in tutto questo processo tralascia il fatto che esso è stato portato avanti da una mente umana che non può effettuare controlli immuni dall'intromissione di se stessa. Perciò, rispetto al prendere in considerazione il soggetto, trovo che la metafisica faccia affermazioni apriori, poiché trascura completamente questo passaggio.
C'è una passo significativo, davvero molto metafisico nel vangelo, non per nulla si trova nel vangelo più filosofico: Gv 19,21-22: " I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto»."

Apeiron

Caro @Angelo Cannata la proposizione "i 31 piani di esistenza del samsara sono impermanenti" stando a quanto abbiamo detto non è "errata" né "corretta". Motivo per cui a questa "verità" (o sospetta tale) non possiamo far altro che porla al di là della critica, ossia rifiutarla o accettarla per fede magari dopo che abbiamo "provato a sentire" se ci fa star meglio o no.

Si potrebbe dire che la critica può rifinire la spiritualità fin dove essa può asserire qualcosa. Ma la critica non può "falsificare" le affermazioni delle varie spiritualità che sono oltre l'indagine critica stessa.

Lo scetticismo è non inconfutabile, ma apertamente insensato, se vuol mettere in dubbio ove non si può domandare.(Wittgenstein)


Se cerco di confutare una persona che crede alla seconda venuta di Gesù o all'esistenza dei regni dei devas indu-buddisti non ci riuscirò mai con la critica perchè sono affermazione non-testabili. Ma la non-testabilità a mio giudizio non implica l'insensatezza (come affermavano i positivisti logici) o la falsità. Questo è il mistero. Di certo se vuoi trovare certezza critica non riuscirai mai a trovare ciò in nessuna spiritualità e nessuna religione. A mio giudizo se vuoi incamminarti in un sentiero spirituale devi accettare anche che la critica ad un certo punto si fermi ed è proprio questa la difficoltà.


Ciao  :D

P.S. Nel passo evangelico che hai citato non vedo la "metafisica" di cui parli. Potresti in due righe scrivere come lo interpreti (se ti va)? :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Riguardo alla critica della spiritualità, trovo ovvio che la spiritualità (intendo una spiritualità seria, non superstiziosa o magica, come quelli che pretendono di compiere viaggi astrali o fruire spiritualmente di energie quantiche) non possa essere criticata da una critica scientifica.

Essa però può essere criticata da una critica umanistica, o proprio spirituale. Per esempio, ci sono spiritualità che possono essere accusate di prendere in considerazione solo la vita intima dell'individuo, trascurando troppo l'esperienza spirituale della socialità; oppure spiritualità che si allontanano troppo dalla concretezza, disinteressandosi di politica, problemi sociali; o altre spiritualità che creano sensi di colpa. Tutte queste non sono certo critiche scientifiche alla spiritualità e una spiritualità seria non avrà alcuna paura di misurarsi con esse: da un misurarsi tra la spiritualità e critiche di questo genere può venire solo del bene, solo un entusiasmo di crescere. È questo che mi rende stranito di fronte alla paura che tanti mostrano nei confronti della critica applicata alla spiritualità, come se da un tale criticare potesse seguire nient'altro che rovina, egoismo, presunzione, bombe atomiche e dinamite.

Riguardo a Gv 19,19-22
Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto».

Pilato pose un titolo sulla croce. I sommi sacerdoti cercano si sminuire al massimo la portata quel titolo, inteso ad informare i passanti sul motivo per cui quell'uomo era stato crocifisso. Storicamente questa preoccupazione dei sommi sacerdoti è poco fondata: non avevano motivo di temere che i passanti ritenessero Gesù davvero re dei Giudei. È più facile pensare che l'evangelista voglia presentare l'intenzione dei Giudei di relegare il titolo a un'opinione di Gesù. Pilato, per pigrizia o per ribadire chi è che comanda, si rifiuta di correggere il titolo. In questa inesorabilità dell'affermazione che rimane espressa come verità oggettiva, quindi metafisica, e non viene ricondotta ad affermazione soggettiva di Gesù, come i sacerdoti avrebbero voluto, è possibile vedere un'interpretazione dei fatti, da parte dell'evangelista, come di un destino che non è possibile modificare; c'è un destino, che poi sarebbe il piano di Dio, inteso a stampare la verità sulla faccia della terra in maniera inesorabile, facendosi beffe degli uomini in maniera da far loro dire (e in questo caso scrivere) involontariamente tale verità. Si può vedere ciò anche quando Pilato, in Gv 18,37 chiede a Gesù "Dunque tu sei re?" ed egli risponde "Tu lo dici; io sono re", come a dire "il destino inesorabile ha condotto la tua bocca a proclamare la verità, facendosi beffe di te, che credi di avere in mano il destino mio".

Apeiron

Citazione di: Angelo Cannata il 29 Gennaio 2017, 22:28:01 PMRiguardo alla critica della spiritualità, trovo ovvio che la spiritualità (intendo una spiritualità seria, non superstiziosa o magica, come quelli che pretendono di compiere viaggi astrali o fruire spiritualmente di energie quantiche) non possa essere criticata da una critica scientifica. Essa però può essere criticata da una critica umanistica, o proprio spirituale. Per esempio, ci sono spiritualità che possono essere accusate di prendere in considerazione solo la vita intima dell'individuo, trascurando troppo l'esperienza spirituale della socialità; oppure spiritualità che si allontanano troppo dalla concretezza, disinteressandosi di politica, problemi sociali; o altre spiritualità che creano sensi di colpa. Tutte queste non sono certo critiche scientifiche alla spiritualità e una spiritualità seria non avrà alcuna paura di misurarsi con esse: da un misurarsi tra la spiritualità e critiche di questo genere può venire solo del bene, solo un entusiasmo di crescere. È questo che mi rende stranito di fronte alla paura che tanti mostrano nei confronti della critica applicata alla spiritualità, come se da un tale criticare potesse seguire nient'altro che rovina, egoismo, presunzione, bombe atomiche e dinamite. Riguardo a Gv 19,19-22 Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto». Pilato pose un titolo sulla croce. I sommi sacerdoti cercano si sminuire al massimo la portata quel titolo, inteso ad informare i passanti sul motivo per cui quell'uomo era stato crocifisso. Storicamente questa preoccupazione dei sommi sacerdoti è poco fondata: non avevano motivo di temere che i passanti ritenessero Gesù davvero re dei Giudei. È più facile pensare che l'evangelista voglia presentare l'intenzione dei Giudei di relegare il titolo a un'opinione di Gesù. Pilato, per pigrizia o per ribadire chi è che comanda, si rifiuta di correggere il titolo. In questa inesorabilità dell'affermazione che rimane espressa come verità oggettiva, quindi metafisica, e non viene ricondotta ad affermazione soggettiva di Gesù, come i sacerdoti avrebbero voluto, è possibile vedere un'interpretazione dei fatti, da parte dell'evangelista, come di un destino che non è possibile modificare; c'è un destino, che poi sarebbe il piano di Dio, inteso a stampare la verità sulla faccia della terra in maniera inesorabile, facendosi beffe degli uomini in maniera da far loro dire (e in questo caso scrivere) involontariamente tale verità. Si può vedere ciò anche quando Pilato, in Gv 18,37 chiede a Gesù "Dunque tu sei re?" ed egli risponde "Tu lo dici; io sono re", come a dire "il destino inesorabile ha condotto la tua bocca a proclamare la verità, facendosi beffe di te, che credi di avere in mano il destino mio".

Ti ringrazio della spiegazione Angelo.

Eh le critiche di cui parli sono più o meno le critiche che ho in mente io. Sono però "interne" alla spiritualità e non esterne. Ossia posso cambiare l'atteggiamento con la dottrina senza cambiare la dottrina stessa, posso correggere dettagli della dottrina senza che il "nucleo" sia stravolto... Anzi proprio questo serve il dialogo.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Non credo che si possa identificare con precisione il nucleo di una dottrina, una religione o una spiritualità: per identificarlo bisognerebbe esprimerlo a parole e per identificare il significato di una parola non si può fare altro che dirlo con altre parole, e così all'infinito, con parole sempre diverse, che proprio per questo mettono seriamente in questione l'idea che ci sia un nucleo rimasto intatto.
In ambito cattolico si era occupato di questa questione il cardinale Newman, ma mi sembra che alla fine egli non abbia fatto altro che presentare un superficiale ottimismo sulla conservazione di un nucleo che rimane intatto; ottimismo proprio perché superficiale.
Inoltre, l'idea di un nucleo che rimanga intatto contrasta con l'idea che tutto diviene.

maral

Però dire che tutto diviene ha già la pretesa di essere un nucleo che non muta, ha cioè la pretesa che sia vero che tutto diviene. Il problema è che un nucleo che si sottragga alla critica proprio non può apparire, nel momento stesso in cui appare si espone alla sua contraddizione proprio per il fatto che appare. A questo punto o il nucleo di tutto è niente, oppure lasciamo stare il tutto e il niente, troppo oltre le nostre portate, accontentiamoci di oscillarci in mezzo.

Angelo Cannata

Ciò corrisponde alla solita obiezione che si fa al relativismo: se dici che tutto è relativo, con ciò stesso stai già pretendendo di affermare una verità.

Di fronte a questa critica, il relativista precisa che egli non sostiene che "tutto è relativo", ma che "forse tutto è relativo". Allo stesso modo, l'affermazione esatta non è "tutto diviene", ma "sembra che tutto divenga". Questa relativizzazione delle affermazioni del relativista, tuttavia, non apre spazio a certezze, poiché a me personalmente viene a risultare che nessuno fino ad oggi ha mai saputo presentare certezze capaci di resistere a qualsiasi critica. Questo era lo scopo che, per esempio, si era proposto Cartesio.

Va aggiunto inoltre che il relativista sottopone a critica il significato stesso delle parole e la struttura delle frasi. In questo senso, il significato stesso di una parola come "divenire" non viene considerato dal relativista come qualcosa di chiaro e certo.

Si può anche tener presente che, come ho detto altre volte, il relativista è in realtà un ex metafisico. È nei suoi panni di metafisico che egli osserva che tutto scorre, così come osserva che nel compiere affermazioni sarebbe bene tener conto del soggetto. È nella fase successiva che poi tutto salta in aria: sia il divenire che il soggetto, una volta introdotti nel pensare, mettono in crisi tutto e non c'è bisogno di dichiarare tale crisi con affermazioni dogmatiche; la sensazione che si ha è la percezione umana di un castello crollato. Può darsi che tale percezione sia illusoria, ma al presente non mi risulta che qualcuno sia riuscito a mostrare qualcosa che si regga in piedi.

Duc in altum!

**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneDi fronte a questa critica, il relativista precisa che egli non sostiene che "tutto è relativo", ma che "forse tutto è relativo". Allo stesso modo, l'affermazione esatta non è "tutto diviene", ma "sembra che tutto divenga". Questa relativizzazione delle affermazioni del relativista, tuttavia, non apre spazio a certezze, poiché a me personalmente viene a risultare che nessuno fino ad oggi ha mai saputo presentare certezze capaci di resistere a qualsiasi critica.
Pura utopia estrosa, giacché la certezza esiste nell'atto pratico della scelta eletta, lì non c'è più critica che possa fare da resistenza alla decisione perpetrata, ma solo azione decisiva.
Quando hai deciso, nei fatti e non in velleità, di essere ex, il forse tutto è relativo è svanito, sei divenuto ex, è una certezza che sei ex; certo forse sarà una scelta buona e giusta o l'inverso, ma questa è un'altra scommessa, quella precedente è già fatta, è già notizia assoluta sicura. La critica ormai, a quel punto completo, può essere solo sul suo futuro, poiché la tua decisione è già un presente certo che ha resistito (giacché la vivi, la sperimenti) a qualsiasi critica, ossia, le critiche sono scivolate addosso alla tua scelta, dunque in quel momento (poi domani decidi nuovamente di non essere più ex) non c'è più il relativismo, ma solo l'assoluto: sei un ex. 
I forse, i se e i sembra se li porta via il vento, ciò che conta è l'esclusività della decisione assoluta, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, fino a definire chi abbiamo desiderato essere.

P.S. = l'ex significa per tutti i tuoi ex decisi (ed esposti), nessuno in particolare.

Pace&Bene
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

donquixote

Sembra che ci fosse un tempo, ma tanto tempo fa, in cui certe presupposte persone nel presumibile momento in cui sembrava che facessero certe immaginarie ipotesi  forse arrivava un ipotetico "pellicano" a sirene spiegate e due supposti infermieri con l'apparente fisico di culturisti fantasticavano di legarle con apparenti camicie di forza e congetturavano di trasportarle in un presunto luogo con dubbie pareti imbottite in cui non potessero immaginare di danneggiare se stessi e gli altri. Ma sembra, eh...
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Angelo Cannata

@Duc in altum!
Sarà così per te e ho totale rispetto del tuo modo di vedere, così come ho totale rispetto di chi è metafisico e ritiene di avere certezze. Il fatto che le certezze del metafisico non convincano me non significa certo che a causa di ciò siano illegittime: può sempre darsi che sia io a non riuscire a vedere bene, a capire le certezze del metafisico. Se io critico in continuazione le certezze del metafisico non è per mancargli di rispetto, ma solo per il piacere di discutere. Mi pare che i forum esistano proprio per questo.

Non capisco perché non si debba avere allo stesso modo rispetto di come io vedo le cose, di come sembra a me. Per te ciò che hai detto sarà certezza, per me non lo è. Io non sono per niente certo neanche di esistere, figurati se sono certo di essere un ex sacerdote; d'altra parte, sfido chiunque a spiegarmi cosa significa il verbo esistere.

È il solito discorso di certi cristiani che si ostinano a considerare gli atei dei credenti, poiché anche gli atei credono pur sempre in qualcosa. Chi parla in questi termini non fa altro che mostrare la propria incapacità non solo ad uscire dai propri schemi, ma soprattutto a rispettare quelli altrui. Io posso capire che per un cane io non sono altro che uno strano cane che sta in piedi, per un pesce non sono altro che uno strano pesce che vive fuori dall'acqua. Però dal cane mi sento più rispettato di quanto mi senta rispettato da chi cerca a tutti i costi di farmi rientrare nei suoi schemi.

Duc in altum!, non mi ci vorrebbe niente a capovolgere il discorso e dirti che in realtà non sei certo di niente, credi di avere certezze, ma i tuoi sono solo dubbi mascherati. Ma parlando così non avrei risolto niente, non mostrerei altro che incapacità di uscire fuori dai miei schemi di dubbio, così come tu, in base a questa critica che sto proponendo, mostri incapacità di uscire dai tuoi schemi di certezze: che facciamo allora, ci chiudiamo ognuno nei propri schemi e facciamo vedere come siamo bravi ad inglobare l'altro nel nostro schema? Ma questo sanno farlo tutti.

Vogliamo provare a vedere se per caso riusciamo a fare qualcosa di diverso, forse migliore? Oppure ci fa felici il piacere banale di essere riusciti ad inglobare l'altro nel nostro schema?

Angelo Cannata

Citazione di: donquixote il 23 Febbraio 2017, 20:44:23 PM
Sembra che ci fosse un tempo, ma tanto tempo fa, in cui certe presupposte persone nel presumibile momento in cui sembrava che facessero certe immaginarie ipotesi  forse arrivava un ipotetico "pellicano" a sirene spiegate e due supposti infermieri con l'apparente fisico di culturisti fantasticavano di legarle con apparenti camicie di forza e congetturavano di trasportarle in un presunto luogo con dubbie pareti imbottite in cui non potessero immaginare di danneggiare se stessi e gli altri. Ma sembra, eh...
sgiombo ce l'ha con me perché l'ho accusato di essere pronto a mandare gente al manicomio. Dopo le sue proteste alla mia affermazione, mi augurò di guarire, confermando ciò che avevo detto. Non è una novità che metafisici e tradizionalisti mostrino particolare simpatia per la prospettiva di mandare gente al manicomio.

donquixote

Citazione di: Angelo Cannata il 23 Febbraio 2017, 21:06:05 PM
Citazione di: donquixote il 23 Febbraio 2017, 20:44:23 PMSembra che ci fosse un tempo, ma tanto tempo fa, in cui certe presupposte persone nel presumibile momento in cui sembrava che facessero certe immaginarie ipotesi forse arrivava un ipotetico "pellicano" a sirene spiegate e due supposti infermieri con l'apparente fisico di culturisti fantasticavano di legarle con apparenti camicie di forza e congetturavano di trasportarle in un presunto luogo con dubbie pareti imbottite in cui non potessero immaginare di danneggiare se stessi e gli altri. Ma sembra, eh...
sgiombo ce l'ha con me perché l'ho accusato di essere pronto a mandare gente al manicomio. Dopo le sue proteste alla mia affermazione, mi augurò di guarire, confermando ciò che avevo detto. Non è una novità che metafisici e tradizionalisti mostrino particolare simpatia per la prospettiva di mandare gente al manicomio.

Non si può sapere se un ipotetico sgiombo abbia una supposta opinione su qualcuno, perchè forse non esiste sgiombo, e probabilmente non esiste nemmeno qualcuno. Chissà... E pare che nessuno faccia congetture intorno al manicomio, perchè non si sa bene cosa questo possa essere, non v'è certezza alcuna, e nemmeno è sicuro che esista la congettura, dunque apparentemente non è possibile. È inoltre una mera ipotesi che vi siano novità, poichè il nuovo presuppone un divenire, ma sembra che questo non sia certo (o forse lo è... mah; o magari lo è a giorni alterni, forse). E potrebbe anche essere che metafisici provano simpatia, ma l'altra metà magari no, non si può sapere per certo, o forse i tradizionalisti potrebbero credere di essere in manicomio (se sapessero cos'è) in mezzo alla gente a giocare al gioco della prospettiva, che sembra che sia una specie di girotondo che forse si fa tenendosi per mano con un ipotetico scolapasta in testa (o forse era la testa sopra il colapasta? boh... è uguale, tanto tutto è relativo).
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Angelo Cannata

Ottimo! Questo a mio parere è l'atteggiamento corretto.

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