La critica e le spiritualità

Aperto da Angelo Cannata, 24 Gennaio 2017, 13:05:07 PM

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Angelo Cannata

Ogni spiritualità richiede un minimo di senso critico, altrimenti ogni impostore potrebbe fregiarsi del titolo di maestro.

Senza dubbio anche la critica ha i suoi punti deboli: infatti, per criticare una cosa qualsiasi devo servirmi di criteri, i quali risulteranno inevitabilmente criticabili.

Sarà bene osservare che limitatezza non significa nullità: che la critica sia criticabile non significa che essa sia nient'altro che spazzatura, ma solo che ha i suoi limiti.

A questo punto però mi sembra di notare una differenza: se penso alle spiritualità più diffuse, come per esempio le religioni, o ad altre vie più o meno definibili come religioni, trovo che esse non praticano la stessa umiltà praticata dalla critica. La critica infatti, riconoscendo di essere essa stessa criticabile, fa atto di umiltà, riconosce i propri limiti e si offre come modesto strumento al servizio di chi voglia avere la pazienza di utilizzarla.

Le spiritualità no: trovo che esse invece si offrono come pacchetti del tipo "prendere o lasciare", "tutto o niente"; è ammesso al loro interno uno spazio di critica e ricerca, ma, appunto, al loro interno, cioè a patto che ci si mantenga al di qua dei paletti da esse prestabiliti. La critica no: essa non pone alcun paletto, si offre nuda e inerme, pronta ad essere sottoposta a qualsiasi trattamento.

Senza dubbio ha valore il fatto che, se le spiritualità sono seguite da un così gran numero di persone, vuol dire che tali persone sperimentano tra di loro un capirsi, un intendersi, un trovarsi bene. D'altra parte, la critica mi ricorda che non ci sarebbe da meravigliarsi se anche l'intero nostro pianeta si lasciasse ingannare da un'impostura qualsiasi: il fatto che le spiritualità siano seguite da un gran numero di persone che dicono di trovarcisi bene non dice nulla sul loro valore come mezzo effettivo, ottimale, di crescita e di realizzazione umana.

Ora, se la critica è umilissima, ma non sa costruire nulla di positivo, e le spiritualità, al contrario, offrono vita, ma sembrano sopravvivere solo nella misura in cui si sottraggono al sospetto, non ne consegue la necessità attuale di un dialogo più serrato tra critica e spiritualità?

Ho trovato significativo il tentativo di Sariputra di una specie di dialogo tra spiritualità e filosofia (quest'ultima si potrebbe considerare equivalente a critica) nel thread Cos'è un ente? Perchè è diverso da un niente?
A questo proposito credo che un dialogo di questo tipo meriterebbe di essere portato avanti con maggiore consapevolezza della sua importanza e quindi con più metodo, maggiore sistematicità.

Fharenight

Citazione di: Fharenight il 24 Gennaio 2017, 14:07:46 PM
Trovo giusto quello che scrivi. Il fatto è che la spiritualità forse nasce da un un profondo anelito, da un forte desiderio dell uomo di superare i propri limiti, le ingiustizie, il dolore, e dunque, di conseguenza, non è molto incline a lasciarsi "violentare"dalla critica, anche perché, un eccesso di critica sciuperebbe o ucciderebbe la speranza. Ecco perché si rifugia piú volentieri nei pacchetti precostituiti delle religioni.
Angelo Cannata, di te mi ha collpito il fatto che nel tuo profilo hai voluto specificare e mettere in bella mostra che sei un ex prete, ateo, relativista, antimetafisico; mi  incuriosisce sapere il perché.
Inoltre vorrei tanto che ci parlassi di come hai fatto a passare dall'essere un prete all'ateismo, all'antimetafisico.e al relativismo; qual è stato il percorso che ti ha portato al cambiamento, percorso sia personale  tuo, intimo, con la tua coacienza,  spirituale, e sia dal punto di vista puramente razionale, intellettuale e di studi che hai affrontato per consolidare la tua ultima scelta che è praticamente agli antipodi di un religiso. Se vuoi parlarne puoi aprire un topic apposito.



I

Angelo Cannata

Ho messo in mostra alcune mie caratteristiche nel mio profilo perché in realtà mi piacerebbe che lo facessero anche altri. Voglio dire, a volte mi capita di navigare qua e là tra tutti i post di Logos, vedo il ritornare di certi nick e sento il bisogno di ricordarmi come la pensa colui che sta dietro quel nick, qual è la sua mentalità; questo mi faciliterebbe moltissimo la lettura dei post. Ovviamente, mi rendo conto che mettere ad altri delle etichette è sempre riduttivo, mettersele da se stessi può esserlo ancora di più, se non perfino difficilissimo o impossibile.
E allora ho pensato di farlo intanto io su di me: cioè, penso che sia utile per chiunque, nel leggere i miei post, avere già in breve un rapido quadro di chi sono io, per, appunto, inquadrare già in anticipo i miei messaggi prima di leggerli.

Per quanto riguarda la descrizione del mio percorso, mi fa piacere, proverò ad aprire un topic apposito, fermo restando che sarò pronto e disponibile alla sua eliminazione se dovesse risultare come un farmi pubblicità.

donquixote

La critica, lungi dall'essere umile (nel senso di humus, terreno fertile da cui possa sbocciare una qualche certezza), è invece la più becera forma di arroganza: è l'arroganza tipica degli ignoranti, che invidiosi della sapienza altrui non sanno fare altro che metterla in discussione nei modi più risibili e vergognosi; è una forma di parassitismo fra le più diffuse nel mondo moderno, tipica della vigliaccheria intellettuale di coloro che non sanno e sono infastiditi da coloro che invece, magari a volte non sapendo, hanno comunque il coraggio di esporsi e di rischiare con l'onesto intento di sapere di più  o di meglio. Esistono critici di ogni materia: dall'arte alla religione, dalla gastronomia allo sport, dalla politica al diritto, e tutti sono accomunati dall'arroganza di chi, dal basso della propria insipienza, giudica senza correre il rischio di poter essere a sua volta giudicato. Vi sono critici d'arte che assegnano a chiunque patenti di artista  senza aver a loro volta mai prodotto un'opera d'arte; vi sono critici gastronomici che assegano o tolgono "stellette" ma non sono in grado di cuocere un uovo senza bruciarlo; vi sono critici di calcio che redigono "pagelle" senza aver mai tirato un calcio ad un pallone; vi sono centinaia di critici della politica che a sentirli parlare i problemi sarebbero tutti risolti in un attimo, poi non si sa come mai nessuno di loro è disponibile a dimostrarlo sul campo; vi sono critici delle religioni che si costruiscono una religione come pare a loro e completamente differente da quel che è per poi poterla confutare con successo. La maggior parte dei giornalisti è passata dal ruolo di cronista a quello di critico, e costruisce la propria carriera su parole perlopiù campate in aria, senza mai avere la necessità di dimostrare di essere in grado di fare meglio di coloro che critica, o di avere un pensiero più vero di quello che mette in discussione. Tutti che si vantano di fare i critici "di mestiere" e nascono tali dal nulla, ma non sanno che il critico è colui che ha una grande sapienza ed esperienza in un mestiere e sono proprio queste che lo promuovono al ruolo di critico. Se uno non ha mai fatto politica come può criticare la politica? Se uno non ha mai studiato e capito la metafisica, la religione, la teologia ma ha fatto tutt'altro nella vita su quali basi può criticarle? E poi la critica moderna, a differenza di quella antica che era almeno più onesta, è anche intellettualmente truffaldina, perchè non offre alternative al pensiero che si permette di criticare: se si pensa che una affermazione è falsa è perchè, ovviamente, si dovrebbe conoscere quella vera, ma invece la critica moderna anzichè sostituire affermazione vere a quelle false si limita a contestare qualunque affermazione, sic et simpliciter, limitandosi a formulare fantasiose ipotesi alternative o domande del tipo  "ma non potrebbe essere invece...?".  Anche l'ultimo degli ignoranti è in grado di contestare qualunque affermazione basandosi sulla propria immaginazione e dunque è l'ignoranza, sotto le spoglie "colte" della critica, a dominare l'intellettualità moderna. E poi, quando anche l'immaginazione fa difetto e non hanno più argomenti, i critici ignoranti (o gli ignoranti critici, che è lo stesso) spostano la loro critica dal merito alla persona, contestando il solo fatto che qualcuno si possa dichiarare sicuro di ciò che afferma, tacciandolo per ciò stesso di superbia e arroganza, quindi di fatto dimostrando viceversa la loro superbia e la loro arroganza. Questi soldati del dubbio che fanno professione di umiltà sempre dichiarata e mai esibita dovrebbero innanzitutto porsi il dubbio se sia sensato criticare un pensiero, un'opera, un comportamento, un'idea senza avere un'alternativa migliore da proporre (come facevano del resto i critici "seri" e onesti, anche se molti di questi hanno proposto alternative false e peggiori), e magari andarsi prima a studiare il concetto stesso di critica che presuppone una profonda conoscenza della materia che ci si propone di criticare.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

doxa

Angelo, scusami, perché usi il sostantivo spiritualità come sinonimo di religione ? In un topic nel forum dedicato alla spiritualità si è giunti a "concordare" che anche gli atei possono aspirare alla spiritualità, capace di permeare l'esistenza personale. Allora è meglio definire cosa s'intende per spiritualità e se è necessaria una religione per aspirare alla spiritualità. In merito parli di criteri, quali ?

Angelo Cannata

Citazione di: Fharenight il 24 Gennaio 2017, 14:22:33 PM
Citazione di: Fharenight il 24 Gennaio 2017, 14:07:46 PMAngelo Cannata, di te mi ha collpito il fatto che nel tuo profilo hai voluto specificare e mettere in bella mostra che sei un ex prete, ateo, relativista, antimetafisico; mi  incuriosisce sapere il perché.
Inoltre vorrei tanto che ci parlassi di come hai fatto a passare dall'essere un prete all'ateismo, all'antimetafisico.e al relativismo; qual è stato il percorso che ti ha portato al cambiamento, percorso sia personale  tuo, intimo, con la tua coacienza,  spirituale, e sia dal punto di vista puramente razionale, intellettuale e di studi che hai affrontato per consolidare la tua ultima scelta che è praticamente agli antipodi di un religiso. Se vuoi parlarne puoi aprire un topic apposito.
Fatto: ho aperto un nuovo topic qui.

Angelo Cannata

Citazione di: altamarea il 24 Gennaio 2017, 15:11:01 PM
Angelo, scusami, perché usi il sostantivo spiritualità come sinonimo di religione ? In un topic nel forum dedicato alla spiritualità si è giunti a "concordare" che anche gli atei possono aspirare alla spiritualità, capace di permeare l'esistenza personale. Allora è meglio definire cosa s'intende per spiritualità e se è necessaria una religione per aspirare alla spiritualità. In merito parli di criteri, quali ?
Non l'ho usato come sinonimo di religione, ma come ambito più vasto in cui possono rientrare anche le religioni. Infatti ho scritto "... se penso alle spiritualità più diffuse, come per esempio le religioni, o ad altre vie più o meno definibili come religioni...".

Purtroppo, a tutt'oggi, non esiste una definizione di spiritualità chiara, definita, precisa e universalmente condivisa. Troverai definizioni in dizionari, enciclopedie e fonti di ogni genere, ma peccano tutte inevitabilmente di approssimazione e lasciano campo aperto a discussioni infinite.

Ai fini del topic che ho aperto, intendo come spiritualità tutto ciò che si possa pensare come esperienza interiore.

Ho parlato di criteri riguardo alla critica. Un esempio semplicissimo di criterio per la critica è il principio di non contraddizione: l'essere è e non può non essere; il non essere non è e non può essere. Questo principio consente di esprimere delle critiche: per esempio, se uno mi dice che "un sasso è un oggetto fisico, ma non è un oggetto fisico", il principio di non contradddizione mi porta a sollevare una critica. In base a ciò che ho detto, tuttavia, anche il principio di non contraddizione è soggetto a sua volta a poter essere criticato.

Duc in altum!

** scritto da altamarea:
CitazioneAngelo, scusami, perché usi il sostantivo spiritualità come sinonimo di religione ? In un topic nel forum dedicato alla spiritualità si è giunti a "concordare" che anche gli atei possono aspirare alla spiritualità, capace di permeare l'esistenza personale. Allora è meglio definire cosa s'intende per spiritualità e se è necessaria una religione per aspirare alla spiritualità.
Secondo me non è che per aspirare (o sperimentare) alla spiritualità è necessaria una religione, ma che è inevitabile non entrare in una disciplina ("anche personalizzata") di stile religioso a chi segue un percorso o una esperienza spirituale, mettendo al centro la sua essenza volta alla ricerca del suo Sé, non connessa con la materia e al tempo stesso con tutto, accettando aspetti "sovrannaturali" come la propria anima riguardo a tutto ciò che ci circonda. (da "Differenze tra religione e spiritualità)
La spiritualità pensa di "violare", in qualche modo, i dogmi religiosi, ossia, di non farne parte, senza riflettere sull'eventualità che forse ne ha già generati altri: giacché il semplice rapportarsi con il proprio spirito o andare col pensiero oltre la fisicità è già un'azione di fiducia, quindi speranza, quindi dogma nel momento che diviene un rito quotidiano, o un ordine di prassi abitudinario.

Inoltre, siccome nulla accade per caso, mentre scrivevo ho "incontrato" questo pensiero di John Stuart Miller (sicuramente voi sapete chi sia, io no) che penso faccia a proposito, chiarisca meglio il punto:
"La riflessione filosofica, che alle persone superficiali sembra essere estranea agli affari mondani e agli intessi materiali dell'uomo, è invece la cosa al mondo che più incide su di loro, e che sul lungo periodo sopravanza ogni tipo di influenza".

Se incide la riflessione filosofica, quanto più la spiritualità.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

maral

Citazione di: Angelo Cannata il 24 Gennaio 2017, 13:05:07 PM
Ogni spiritualità richiede un minimo di senso critico, altrimenti ogni impostore potrebbe fregiarsi del titolo di maestro...

E' un discorso senz'altro interessante, ma secondo me occorrerebbe distinguere due aspetti della critica. Se il problema è quello di garantire un'ortodossia del discorso secondo un principio di correttezza, il problema si risolve piuttosto facilmente con un metodo o una regola, un po' come quando si correggono in uno scritto gli errori di ortografia o di grammatica (e naturalmente ci vorranno dei "grammatici" che ben conoscono le regole stabilite e quindi abbiano la competenza necessaria per applicarle correttamente per esprimere giudizi conformi a regola). Diverso è invece se la critica si applica al valore del contenuto semantico rappresentativo del discorso o alle ragioni "meta- metodologiche" per cui si stabilisce quel metodo di giudizio. In questo senso nessun discorso impostato su una trascendenza della verità (trascendenza che può essere non solo di tipo religioso, ma anche ateo, comunque metafisico) non può tollerare alcuna critica, ma non per ragioni di superbia, semplicemente perché nessuna idea di trascendenza può coesistere con il dubbio, che è come il tarlo che divora il legno.
Ogni sistema trascendente in realtà ha già in sé il proprio dubbio (quindi il proprio tarlo), ma resiste fintantoché riesce a reprimerlo o rimuoverlo, se cede allora il crollo (che può cominciare da una lieve incrinatura) finirà con l'essere inevitabile e non si può reprimere e rimuovere all'infinito.
Per questo non credo possa esservi alcuna forma religiosa, basata su una concezione trascendente della Verità, che possa tollerare la critica ai suoi principi, se mostra di farlo (magari anche per rendersi più accettabile) è perché ha già ha ceduto, già non è più religione.
Da un punto di vista filosofico, quando Parmenide all'inizio del suo poema sull'Essere, fa pronunciare alla Dea la raccomandazione di giudicare le sue parole secondo il logos e non perché è lei, la Dea, a dirgliele, lui, Parmenide ha già ucciso la Dea in nome del Logos, della coerenza logica del discorso e ha avviato una serie di catastrofi divine e filosofiche senza fine, ha avviato la storia della filosofia dell'Occidente (Terra del Tramonto).
Questo, appunto perché la critica, si può certo rivolgere alla critica stessa (come inizierà a fare formalmente Cartesio), tentando così ogni volta di stabilire la giusta ragione di quel criticare, ma ripetendo così all'infinito la domanda sulla domanda, sulla domanda ...
E' il punto in cui è arrivata la filosofia oggi, perfettamente spiegato all'inizio di questa lunga lezione da Ronchi https://www.youtube.com/watch?v=r1ZyZBT9mfM: uno sprofondare infinito alla ricerca del significato che sempre si nega, perché sempre si interroga criticamente sulla sua ragione. Ronchi suggerisce una soluzione a questo increscioso problema (istituire una differenza qualitativa nel pensiero che peraltro lui trova già istituita nella filosofia di Bergson), che però a mio avviso non fa che spostare il problema, ripetendolo identico in altro luogo filosofico. A mio avviso si tratta invece di accettare l'assoluta inconoscibilità dell'assoluto totale che si rivela conoscibile solo parzialmente, nel relativo. Come dice Sini si tratta di rendersi conto che la totalizzazione (che l'assoluto sempre pretende per essere tale), è sempre un percorso di parzialità in atto. Dunque che non c' la Verità (l'episteme), ma solo le verità (le opinioni, la doxa) che via via la percorrono senza mai poterla esprimere come Verità, se non proprio nel loro percorrerla, sorgendo e tramontando.

Duc in altum!

**  scritto da maral:
CitazioneA mio avviso si tratta invece di accettare l'assoluta inconoscibilità dell'assoluto totale che si rivela conoscibile solo parzialmente, nel relativo. Come dice Sini si tratta di rendersi conto che la totalizzazione (che l'assoluto sempre pretende per essere tale), è sempre un percorso di parzialità in atto. Dunque che non c'è la Verità (l'episteme), ma solo le verità (le opinioni, la doxa) che via via la percorrono senza mai poterla esprimere come Verità, se non proprio nel loro percorrerla, sorgendo e tramontando.

Forse, se mi è consentito, sarebbe più opportuno sostituire il "che non c'è" con il "che non conosciamo" o "che non ci è concesso conoscere".

Francamente, per me che sperimento quotidianamente la conoscenza attraverso la fede, e meno per mezzo della scienza (anche se coadiuva tanto la mia esperienza di comprensione intuitiva e corporea), trovo incantevole questo assioma: "... accettare l'assoluta inconoscibilità dell'assoluto totale che si rivela conoscibile solo parzialmente, nel relativo..." - anche perché mi sembra quello appropriato per definire filosoficamente l'atto reale dell'abbandonarsi per conoscersi, del lasciar accadere gli eventi per sostenere la speranza, del fare nel non fare (cit. C. Jung) per divenire un fatto, e non un qualcosa, eterno.
Pace & Bene
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Angelo Cannata

Citazione di: maral il 25 Gennaio 2017, 17:14:49 PM
Se il problema è quello di garantire un'ortodossia del discorso secondo un principio di correttezza, il problema si risolve piuttosto facilmente con un metodo o una regola...
Diverso è invece se la critica si applica al valore del contenuto semantico
Mi sembra che una qualsiasi spiritualità seria possa perfino rivendicare un suo diritto di oltrepassare qualsiasi norma discorsiva, sia da un punto di vista strutturale che da un punto di vista semantico.

Per renderci conto di ciò basta prendere in considerazione arti quali la letteratura, la musica, la pittura: in esse i linguaggi vengono spesso stravolti, violentati, senza che per questo risulti sminuito il loro valore artistico.

Penso che la questione consista non tanto nel rispettare ortodossie o riuscire a resistere alla critica, quanto nel mostrarsi disponibili ed aperti ad essa. Per esempio, un quadro di un pittore stravagante, o una poesia fatta di parole sconclusionate potrebbero non resistere ad una critica; ma qualche anno dopo potrebbe venir fuori che era stata la critica ad essere cieca e non aver saputo vedere il valore artistico di quelle opere. In tutto ciò il problema non sta né nell'artista stravagante, né nel critico: entrambi fanno ciascuno il proprio mestiere, ovviamente con la maggiore onestà possibile.

Il problema serio si verrebbe invece a creare quando l'artista pretendesse di rifiutare qualsiasi confronto con la critica, per esempio affermando che la sua opera ha valore assoluto e che qualsiasi critica non vale niente. Questo è ciò che mi sembra porre seriamente in questione una spiritualità qualsiasi: quando essa pretendesse di oltrepassare ogni possibilità critica, presente e futura, rifiutando nei fatti il confronto, il dialogo. A questo scopo, in ambito di spiritualità, si usa spesso una rivendicazione di ascoltare o parlare col cuore, si fa riferimento a cose che la mente non può capire, cose che possono essere comprese solo con lo spirito e mai col senso critico o con la mente. Un discorso del genere ignora che la critica non è solo critica razionale: la critica è spesso critica umana, cioè esercitata da umani i quali si servono anche della propria sensibilità, ovviamente soggettiva e quindi umile, ma non per questo ignara del proprio valore. Per esempio, per criticare il quadro di un pittore, il critico d'arte sa di dover e poter fare appello alla propria sensibilità personale, educata dallo studio delle altre opere d'arte, una sensibilità soggettiva e umile, ma seria. Non mi sembra che siano mai esistiti pittori, poeti o musicisti i quali abbiano rivendicato che la loro opera oltrepassi qualsiasi possibilità di critica umana. In spiritualità questo invece avviene e proprio questi casi mi fanno nascere il sospetto di impostura, la quale pretende di difendersi da una critica di cui in realtà ignora le potenzialità.

In altre parole, a volte sembra che certi "spirituali" dicano: "Se mi disapprovi, vuol dire che stai giudicando con la mente; se mi approvi, stai giudicando col cuore", trascurando che un critico è in grado di servirsi anche del proprio cuore e che un cuore sincero, serio e aperto è in grado anche di disapprovare certe spiritualità.

Apeiron

I miei "two cents": tutto dipende dalle definizione che si danno alle parole. Allora se per spiritualità si intendo lo studio della nostra mente allora sinceramente non vedo conflitto tra ricerca e spiritualità. Ben diverso è se questo studio è in realtà rivolto ad esempio alla "salvezza", alla "liberazione" o all'etica. In tal caso la spiritualità per forza ha dei paletti che sono appunto i suoi obiettivi.
La critica di cui parli è antitetica a mio giudizio ad ogni spiritualità di questo secondo tipo perchè la critica essenzialmente ha come metodologia il dubitare di tutto e se portata allo stremo diventa una ricerca completamente cieca perchè mette in discussioni oltre che il trovato anche il ricercato.

Motivo per cui a mio giudizio prima bisogna scegliere che obbiettivo dare alla propria spiritualità e poi applicare una metodologia rigorosa e scettica al processo di ricerca. Ad esempio metti che vuoi "cercare la perfetta felicità". Compreso il concetto, se lo vuoi cercare fino in fondodevi prima di tutto togliere tutto ciò che non è la perfetta felicità. Quindi prima di trovare il ricercato devi averlo realizzato veramente e per fare ciò devi soprattutto capire cosa non è il tuo obiettivo. Tutte le "vie negative" mi piacciono proprio per questo motivo: hanno un obiettivo e lo ricercano in modo rigoroso, ossia "purificando" la propria comprensione dell'obiettivo stesso. Tuttavia a differenza della pura ricerca senza paletti, questa ricerca è direzionata. Detto ciò piuttosto di una ricerca senza paletti si dovrebbe scegliere il Silenzio.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

maral

#12
Citazione di: Duc in altum! il 25 Gennaio 2017, 20:14:17 PM
Forse, se mi è consentito, sarebbe più opportuno sostituire il "che non c'è" con il "che non conosciamo" o "che non ci è concesso conoscere".
Forse si potrebbe dire che non ci è concesso conoscere nella sua totalità, ma non perché questa conoscenza è negata a priori, ma proprio perché solo nella immanenza di parzialità che si danno in atto la si conosce. Ossia non conosciamo la Verità in essenza, ma conosciamo, perché lo percorriamo vivendolo, il percorso in cui tale Verità si manifesta sempre parzialmente e dunque in modo dubitabile, ossia in forma di domanda continua in cui i nostri tentativi di risposta tracciano quel percorso in cui sentiamo esserci comunque la Verità che nessuna risposta può definire. Una Verità la cui essenza totale è proprio il dipanarsi della nostra stessa esistenza proprio per come essa in ogni momento accade.

Citazione di: Angelo Cannata il 25 Gennaio 2017, 23:08:21 PM
In altre parole, a volte sembra che certi "spirituali" dicano: "Se mi disapprovi, vuol dire che stai giudicando con la mente; se mi approvi, stai giudicando col cuore", trascurando che un critico è in grado di servirsi anche del proprio cuore e che un cuore sincero, serio e aperto è in grado anche di disapprovare certe spiritualità.
Appunto per questo Parmenide (paradossalmente proprio il filosofo dell'Essere assoluto) fa dire alla dea "giudica con il logos quanto ti vengo dicendo", ossia con la tua mente raziocinante che deve dubitare di quello che ti dico, non prenderlo come rivelazione (ed è chiaro che la rivelazione non può fare appello che al cuore al "è così perché sento che è così"). In fondo la Dea è quello stesso cuore che chiede di essere giudicato dalla mente esponendosi così alle ragioni del dubbio. E' da questo atto nasce la filosofia e dalla filosofia la scienza occidentale. Ma per completare il discorso, la ragione della mente deve a sua volta accettare di sottomettersi al cuore, che non esprime verità in termini di risposte logiche, ma che vive nel darsi quotidiano dell'esistenza stessa, senza che il ciclo che così viene a istaurarsi abbia mai termine in nome di una trascendenza (esistenziale, razionale o religiosa) che si eleva al di sopra di esso per intenderlo come una sorta di circolo vizioso a cui occorre porre termine. Così "il cuore" e "la ragione" non sono che le polarità di un'unità circolare sempre in atto che si divide affinché tra esse possa davvero nascere un circolo virtuoso che non necessita di un assoluto, giacché semplicemente sa di viverlo proprio mentre lo mette in dubbio relativizzandolo.

bluemax

Citazione di: Angelo Cannata il 24 Gennaio 2017, 13:05:07 PMOgni spiritualità richiede un minimo di senso critico, altrimenti ogni impostore potrebbe fregiarsi del titolo di maestro.
ti rispondo per come la spiritalità buddista vede il suo maestro:
Innanzi tutto OGNI spiritualità richiede un MASSIMO di senso critico. Stiamo parlando di una ricerca, di una crescita, di un raggiungere un livello di comprensione delle cose che va "oltre" il senso comune. Per far questo è OBBLIGATORIO (almeno nel buddismo) il senso critico. Questo avviene anche e sopratutto nella ricerca del PROPRIO maestro visto che nessuno si fregia del titolo di "maestro" ma sono gli altri a riconoscerlo tale per le sue caratteristiche.

Citazione di: Angelo Cannata il 24 Gennaio 2017, 13:05:07 PM
Senza dubbio anche la critica ha i suoi punti deboli: infatti, per criticare una cosa qualsiasi devo servirmi di criteri, i quali risulteranno inevitabilmente criticabili.

Sarà bene osservare che limitatezza non significa nullità: che la critica sia criticabile non significa che essa sia nient'altro che spazzatura, ma solo che ha i suoi limiti.

A questo punto però mi sembra di notare una differenza: se penso alle spiritualità più diffuse, come per esempio le religioni, o ad altre vie più o meno definibili come religioni, trovo che esse non praticano la stessa umiltà praticata dalla critica. La critica infatti, riconoscendo di essere essa stessa criticabile, fa atto di umiltà, riconosce i propri limiti e si offre come modesto strumento al servizio di chi voglia avere la pazienza di utilizzarla.
Se tra le spiritualità più diffuse includi anche il buddismo posso dirti che, almeno per quello che ci hanno insegnato in istituto, ci ricordano spesso questa frase:
Non credere a nulla, semplicemente per sentito dire, non importa dove l'hai letta o chi l'ha detto, neppure se l'ho detto io, a meno che non sia affine alla tua ragione e al tuo buon senso.
Non credere nelle tradizioni, perché sono state tramandate per molte generazioni.
Non credere in niente, solo perché se ne parla tanto, o è sostenuto dalla stragrande maggioranza degli uomini.
Non credere semplicemente perché è scritto nei tuoi libri religiosi.
Non credere solo per l'autorità dei tuoi insegnanti e degli anziani.
Ma se dopo l'osservazione e l'analisi personale, scopri che è d'accordo con la ragione, ed è favorevole al bene e beneficio di tutti, allora accettala e vivi per essa. (BUDDHA)

il Dalai Lama ultimamente ha aggiunto che in caso disputa tra la scienza (nuove scoperte scientifiche) ed il Dharma, la prima provasse di aver rangione, beh... allora essa ha ragione. (naturalmente analizzando i "fatti" )

Citazione di: Angelo Cannata il 24 Gennaio 2017, 13:05:07 PM
Senza dubbio ha valore il fatto che, se le spiritualità sono seguite da un così gran numero di persone, vuol dire che tali persone sperimentano tra di loro un capirsi, un intendersi, un trovarsi bene. D'altra parte, la critica mi ricorda che non ci sarebbe da meravigliarsi se anche l'intero nostro pianeta si lasciasse ingannare da un'impostura qualsiasi: il fatto che le spiritualità siano seguite da un gran numero di persone che dicono di trovarcisi bene non dice nulla sul loro valore come mezzo effettivo, ottimale, di crescita e di realizzazione umana.

Ora, se la critica è umilissima, ma non sa costruire nulla di positivo, e le spiritualità, al contrario, offrono vita, ma sembrano sopravvivere solo nella misura in cui si sottraggono al sospetto, non ne consegue la necessità attuale di un dialogo più serrato tra critica e spiritualità?

beh... posso dirti cio' di cui abbiamo parlato nell'ultimo incontro dove vi era una bella moltitudine di persone molto differenti: Dai laureandi in fisica, a psicologi, ad ebrei, a mussulmani a cattolici a buddisti naturalmente.

Beh... ti ripeto quel che ho appreso.
Ogni persona percorre la sua strada con il mezzo che piu' gli è congeniale in quel momento. La strada è la stessa. La direzione è sempre la risposta alle "Domande". Chi siamo, dove andiamo, da dove veniamo ecc... ecc...
Ecco quindi che c'è chi usa Il fuoristrada, chi invece la macchina sportiva, chi l'utilitaria ecc... ecc... ma tutti vanno nella stessa direzione.  E' insensato dire all'altro che macchina deve usare.
Ecco quindi che, secondo me, si deve fare enorme distinzione tra SPIRITUALITA', RELIGIONE, ISTITUZIONE. Spesso le cose non vanno d'accordo :)

ciao :) 

Angelo Cannata

Citazione di: Apeiron il 26 Gennaio 2017, 11:29:32 AM
I miei "two cents": tutto dipende dalle definizione che si danno alle parole. Allora se per spiritualità si intendo lo studio della nostra mente allora sinceramente non vedo conflitto tra ricerca e spiritualità. Ben diverso è se questo studio è in realtà rivolto ad esempio alla "salvezza", alla "liberazione" o all'etica. In tal caso la spiritualità per forza ha dei paletti che sono appunto i suoi obiettivi.
La critica di cui parli è antitetica a mio giudizio ad ogni spiritualità di questo secondo tipo perchè la critica essenzialmente ha come metodologia il dubitare di tutto e se portata allo stremo diventa una ricerca completamente cieca perchè mette in discussioni oltre che il trovato anche il ricercato.

Motivo per cui a mio giudizio prima bisogna scegliere che obbiettivo dare alla propria spiritualità e poi applicare una metodologia rigorosa e scettica al processo di ricerca. Ad esempio metti che vuoi "cercare la perfetta felicità". Compreso il concetto, se lo vuoi cercare fino in fondodevi prima di tutto togliere tutto ciò che non è la perfetta felicità. Quindi prima di trovare il ricercato devi averlo realizzato veramente e per fare ciò devi soprattutto capire cosa non è il tuo obiettivo. Tutte le "vie negative" mi piacciono proprio per questo motivo: hanno un obiettivo e lo ricercano in modo rigoroso, ossia "purificando" la propria comprensione dell'obiettivo stesso. Tuttavia a differenza della pura ricerca senza paletti, questa ricerca è direzionata. Detto ciò piuttosto di una ricerca senza paletti si dovrebbe scegliere il Silenzio.
Effettivamente, in ogni discussione riguardante la spiritualità è comprensibile che prima o poi venga fuori sempre il problema della sua definizione. È per questo che nel post di partenza ho cercato di usare soprattutto il plurale: le spiritualità, più che la spiritualità: mi sembra che sia più facile individuare singole spiritualità che trovare un significato chiaro e definito per la spiritualità in sé stessa.

Se parliamo di spiritualità al plurale mi sembra possibile individuarle tenendo conto degli obiettivi che si propongono; al contrario, credo che individuare obiettivi per la spiritualità al singolare servirebbe solo ad avviare dibattiti infiniti, poiché la spiritualità in sé non può essere ingabbiata in un obiettivo predefinito; come minimo sarebbe un obiettivo non unanimemente condiviso.

Una ricerca senza paletti rischierebbe di intorbidare l'essere stesso della spiritualità, se ancora ce ne fosse bisogno oltre il torbido che già c'è, così come avviene nelle arti: per esempio, leggendo certe poesie può nascere il dubbio se quella possa ancora chiamarsi poesia. Fermo restando che sono le pratiche, nel loro divenire storico, a definire, nel suo divenire, cos'è la spiritualità.

Per una definizione di spiritualità che sia più utile e fruttuosa di quelle che circolano oggi, mi sembra ovvio che si dovrebbe mettere in conto anzitutto un sforzo di rispetto per come questa parola è intesa oggi, aggiungendo un lavoro di orientamento a rendere questa parola capace di sostenere il confronto con le pratiche culturali di oggi più serie e aperte.

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