La critica della Scienza è fondata?

Aperto da Carlo Pierini, 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM

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iano

#60
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?

Perché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?

In altre parole, se "la qualità di un albero si giudica dai suoi frutti", perché l'albero della scienza è immensamente più fecondo dell'albero della conoscenza pre-scientifica, cioè, della filosofia? Quali sono state le innovazioni che hanno reso i criteri di verità della Scienza tanto fecondi ed efficaci da permetterle di scoprire leggi e principi della realtà fisica? E perché la filosofia - che pretende di giudicare infondati i metodi della Scienza - non ha idea di quali siano le leggi e i principi che riguardano il proprio dominio di competenza, cioè, il pensiero?

Insomma, questo "spread" tra la critica filosofica della Scienza  e la Scienza reale, non dipenderà forse dal fatto che sono proprio i SUOI (della critica) criteri di verità ad essere <<infondati, indimostrabili e non-provabili>>? Non dovremo forse RIFONDARE la critica sul modello scientifico il quale non attribuisce alcun valore epistemico a giudizi che non trovino conferma nella realtà dei fatti?
Ma prima della scienza come faceva l'uomo ad interagire utilmente con la realtà?
Il fatto che con la cosiddetta rivoluzione scientifica ci sia stato un salto notevole non comporta necessariamente una discontinuità nella qualità di questa interazione.
La contrapposizione se c'e,non è fra filosofia e scienza.
La scienza non è figlia della filosofia . ma una evoluzione in continuità dell'arte di arrangiarsi a questo mondo, arte che la filosofia ha assistito e continua ad assistere.
L'impressione che vi sia una discontinuità  nasce da un salto quantitativo notevole mei modi in cui interagiamo col mondo.Questa interazione era già efficace prima e continua ad esserlo e continua a dare i suoi frutti.
Sulla bontà dei nuovi frutti non sono così certo.Vedremo come va' a finire.
Diciamo che fino a un certo punto è andata bene.
Il problema è, come dici in altro post, è che questa apparente discontinuità ha creato specializzazioni necessarie, fonti di fazioni contrapposte inevitabilmente.
La scienza non serve l'uomo , me l'uomo serve la scienza.La scienza è l'uomo.
Rimane da spiegare il motivo del salto quantitativo,non qualitativo,che la rivoluzione scientifica ha comportato , nelle "tecniche " di interazione con la realtà.
Clredo il motivo sia la presa di coscienza di queste tecniche.La loro esplicitazione.Questa è la strada che ha preso l'evoluzione umana, e ripeto vedremo come va' a finire.Io credo bene.
La critica della scienza si può vedere come la storia di questa presa di coscienza, quindi in se' non è da criticare.
La scienza non è figlia della filosofia ,ma entrambe fanno parte dell'arte di arrangiarsi a questo mondo in piena continuità,anche quando non sembra.
Infine chiedo scusa se mi esprimo con termini semplici a fronte dei tuoi post ben argomentati è che apprezzo molto.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Carlo Pierini

Citazione di: iano il 25 Agosto 2018, 04:30:28 AM
La critica della scienza si può vedere come la storia di questa presa di coscienza, quindi in se' non è da criticare.
La scienza non è figlia della filosofia ,ma entrambe fanno parte dell'arte di arrangiarsi a questo mondo in piena continuità,anche quando non sembra.
CARLO
Sotto certi aspetti la scienza, più che figlia della filosofia, è la filosofia stessa, è filosofia applicata alla comprensione/conoscenza del mondo fisico. Infatti, i filosofi del passato - fino a Newton - chiamavano la Fisica anche "Filosofia della della Natura".
In altre parole, filosofia e scienza costituiscono i fondamenti di quella che tu chiami "l'arte di arrangiarsi".

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 01 Agosto 2018, 23:38:09 PM
Rispondo a @sgiombo,

CitazioneLa conoscenza, sia di senso comune che scientifica (fra le quali ritengo esista una differenza meramente "quantitativa" o "di grado") é sempre e comunque inevitabilmente conoscenza di fenomeni, mai di cose in sé. Questa conoscenza (fondata anche su presupposti arbitrari, degni di dubbio in linea teorica o di principio che ne sono conditiones sine qua  non; per lo meno di quella scientifica) tende di fatto (salvo controtendenze) a progredire, a farsi più completa, più esatta, meno "inquinata da credenze false", avvicinandosi per così dire "asintoticamente" a un ideale di conoscenza completa, assolutamente precisa, del tutto "monda da convinzioni errate e false" del mondo fenomenico (anzi, a rigore, solo della sua componente o "parte" materiale per quanto riguarda la conoscenza scientifica) per come é e diviene.
Ma non invece ad alcuna pur limitata conoscenza della realtà in sé o noumeno, che é diversa cosa dalla realtà fenomenica (materiale; intesa) nella sua completezza (conoscibile): passando da Newton ad Einstein e alla M Q ci siamo progressivamente avvicinati a una (ideale) conoscenza completa, esatta, scevra da errori e falsità del mondo fenomenico materiale (cui abbiamo accesso cosciente); la quale però é tutt' altro che una conoscenza delle cose in sé (se ci sono) reali indipendentemente dalla realtà delle sensazioni fenomeniche (delle quali l' "esse est percipi"): ma nella conoscenza delle cose in sé non siamo avanzati di un millimetro, a loro sua ipotetica conoscenza "perfetta" non si siamo per niente avvicinati.

Il punto è che il "noumeno" non è né uguale né diverso dal fenomeno. Perchè? Il fenomeno è "la realtà vista da noi", il noumeno è "la-realtà-così-come-è". Nota che il noumeno non è un'altra realtà rispetto i fenomeni. Per certi versi, il noumeno è il fenomeno ben compreso. Il problema di non ammettere la parziale conoscibilità del fenomeno è che non si spiega perchè (1) i fenomeni presentano regolarità (2) vi è una presenza di fenomeni e menti.

Come dicevo in risposta a @sgiombo, nemmeno io le considero separate ed indipendenti. In realtà, il fenomeno è il noumeno. Se così non fosse, cadremmo nel paradosso del "realismo indiretto" sostenuto da Cartesio, Spinoza, Locke ecc, ovvero che noi non abbiamo conoscenza delle cose esterne ma di "idee" presenti nella nostra mente nate dal contatto con "qualcosa di esterno". No, quello che sto dicendo io è che, in realtà, noi effettivamente vediamo le "cose esterne" ma è il modo in cui le vediamo che dipende dalla struttura della nostra mente. Se non si tiene conto di ciò, si sbaglia secondo me.

CitazionePer definizione, e secondo logica (onde evitare di cadere in una patente contraddizione), "realtà vista da noi (= i fenomeni, le apparenze sensibili nell' ambito della "nostra coscienza)" =/= "realtà-in-sè (= il "noumeno" = la realtà quale é realmente anche allorché -se e quando- non appare alla nostra coscienza = allorché non é vista da noi").
Ovvero il noumeno un' altra, diversa realtà rispetto ai fenomeni (anche rispetto ai "fenomeni più o meno ben compresi"; rispetto ai fenomeni comunque siano compresi, più o meno bene).

Che i fenomeni (ma solo quelli materiali, non quelli materiali, altrettanto reali anche se non postulabili - indimostrabilmente- essere intersoggettivi!) presentano regolarità non é spiegabile in alcun modo (razionalmente, cioé senza ricorrere a Dio o altri indimostrabili enti "soprannaturali"), anche se se ne ammette la (ovviamente) parziale conoscibilità; e nemmeno é dimostrabile, come ci ha insegnato David Hume, pur essendo una conditio sine qua non della conoscibilità scientifica (per l' appunto dei soli materiali fra i fenomeni).

Idem per l' esistenza reale della totalità di ciò che (materiale e mentale, comunque fenomenico; ed eventualmente anche in sé) realmente esiste (che peraltro non ha senso pretendere di "spiegane" in quanto si spiegano -eventualmente- attraverso -eventuali- regolarità della realtà in toto "casi particolari" di essa, e non certamente la realtà in toto, oltre la quale, per definizione, null' altro esiste, nell' ambito delle regolarità del quale possa essere spiegata.

**************************

Non vedo nessun "paradosso del realismo indiretto":

Fino a prova contraria di ciò che vediamo (e sentiamo in generale; ivi comprese le sensazioni mentali o di pensiero, la cartesiana res cogitans), l' "esse est percipi": ciò che vediamo (e in generale sentiamo) é costituito solo ed unicamente, nella sua totale, completa "integralità", da sensazioni o apparenze (coscienti: fenomeni") "interne alla (facenti parte della) nostra coscienza e da nient' altro.

Se qualcosa di esterno alla nostra coscienza esiste (come credo, indimostrabilmente) per definizione é altra diversa cosa dalle sensazioni fenomeniche (materiali e mentali) che la nostra coscienza costituiscono, che della nostra coscienza fanno parte; é qualcosa che é reale anche indipendentemente dalla (eventuale) realtà dei fenomeni, anche allorché i fenomeni non sono reali; e dunque, onde non cadere un una plateale contraddizione, qualcosa di altro, di diverso da essi, ché altrimenti sarebbe qualcosa di reale anche se e quando non é reale!
Qualcosa di non sensibile (non apparente: dal greco e a là Kant "fenomeno") ma solo congetturabile: 
dal greco e a là Kant "noumeno".

La nostra mente (fenomeni "cogitantes") pensa e ragiona (e conosce) sui fenomeni esterni (materiali, "extensi"); ma i modi in cui  vediamo le cose esterne (i fenomeni materiali) non  dipendono affatto dalla nostra mente (dai nostri fenomeni "cogitantes"), la quale é costituita pure, allo stesso modo, da fenomeni coscienti.
Casomai dalla (struttura -fenomenica- della) nostra mente dipende (dipendono i fenomeni interni o di pensiero costituenti) la conoscenza dei fenomeni esterni.









Apeiron

#63
Ciao @sgiombo,

CitazioneCasomai dalla (struttura -fenomenica- della) nostra mente dipende (dipendono i fenomeni interni o di pensiero costituenti) la conoscenza dei fenomeni esterni.

Il punto centrale è proprio questo. C'è un'aporia, in un certo senso. Da questo link in inglese: http://www.friesian.com/undecd-1.htm ti lascio questa discussione sull'aporia(traduco io) dal filosofo Kelley L. Ross che pone il problema in modo estremamente chiaro:
Citazione"Thesis: That the real objects of experience are separate from us.
Reductio ad absurdum: But, if they are separate from us, we can only be immediately acquainted with our own minds, not with external objects. Thus, we can only know about external objects inferentially, and these inferences, from effect to cause, are not logically compelling. Therefore, we cannot know, nor have sufficient reason to believe, that the real objects of experience are separate from us.
Corollary: But, if what we know is not separate from us (as concluded), and we have real perceptual knowledge (non-scepticism), then we are directly acquainted with the real objects of experience (the antithesis)."

Traduzione mia: "Tesi: gli oggetti reali dell'esperienza sono separati [ovvero: completamente slegati] da noi.
Reductio ad absurdum: Ma, se sono separati da noi, abbiamo conoscenza  della nostra stessa mente, non degli oggetti esterni. Quindi, possiamo solo conoscere gli oggetti deduttivamente, e queste deduzioni (inferences), dall'effetto alla causa, non sono logicamente inoppugnabili. Quindi, non possiamo conoscere, né avere ragione sufficiente per credere, che gli oggetti dell'esperienza sono separati da noi.
Corollario: Ma, se gli oggetti che conosciamo non sono separati da noi (come concluso), e noi abbiamo una reale conoscenza percettiva (non-scetticismo), allora conosciamo direttamente gli oggetti reali dell'esperienza (l'antitesi)."


"Antithesis: That we are directly acquainted with the real objects of experience.
Reductio ad absurdum: But, our perceptions are actually only contents of our own minds, dependent on our own existence, not on the existence of anything external to us. Thus, if we rule out solipsism, we must make inferences from our mental contents to real external objects. Therefore, we are not directly acquainted with the real objects of experience.
Corollary: But, if we are not directly acquainted with the real objects of experience (as concluded), and they exist (non-solipsism), then the real objects of experience are separate from us (the thesis)."


Traduzione mia: "Tesi: abbiamo conoscenza diretta degli oggetti dell'esperienza.
Reductio ad absurdum: Ma, le nostre percezioni sono in realtà solo contenuti della nostra mente, dipendenti dalla nostra stessa esisstenza, non dall'esistenza di altro di esterno da noi. Dunque, se noi escludiamo lo solpsismo, dobbiamo fare inferenze [deduzioni] dai nostri contenuti mentali agli oggetti reali [ed] esterni. Quindi, noi non abbiamo conoscenza diretta degli oggetti dell'esperienza.
Corollario: Ma, se non abbiamo conoscenza diretta degli oggetti reali dell'esperienza (come concluso), ed esistono (non-solipsismo), allora gli oggetti reali dell'esperienza sono separati da noi (la tesi)"

Per farla breve... se ammettiamo che gli oggetti dell'esperienza sono separati da noi dobbiamo ammettere inferenze logiche non "inoppugnabili" (compelling), anche perchè non abbiamo alcuna ragione (strettamente parlando!!! ovviamente lo facciamo per ragionevolezza) di affermare che ciò vale nelle nostre esperienze fenomeniche private (come le nostre categorie dell'intelletto, ad esempio il rapporto causa-effetto)* vale anche con supposti oggetti esterni. Quindi, gli oggetti dell'esperienza sono solo privati e quindi se escludiamo uno scetticismo assurdo, ovvero che noi non possiamo in alcun modo conoscere direttamente i nostri contenuti mentali, allora dobbiamo dedurre che abbiamo conoscenza degli oggetti dell'esperienza (mere percezioni). Ma le percezioni sono dipendenti dalla nostra esistenza e se escludiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che tali percezioni derivano da altro, qualcosa di esterno da noi. Quindi gli oggetti dell'esperienza derivano da oggetti separati da noi. Ergo, come si vede, abbiamo un'aporia.

E questa è una cosa. La seconda è che, a rigore, concetti come quello di causa-effetto vengono formati nel "mondo fenomenico", ovvero quello dell'esperienza. Quindi, quando tu scrivi:

Citazionema i modi in cui  vediamo le cose esterne (i fenomeni materiali) non  dipendono affatto dalla nostra mente

non sono d'accordo perchè, in fin dei conti, l'esperienza fenomenica è sicuramente condizionata dalla nostra mente. Colori, suoni ecc sono certamente cose che esistono solo in quanto apparenze. Inoltre, come dicevo, la concettualizzazione si riferisce sempre ai fenomeni. Se vogliamo usare, ad esempio, la causalità per spiegare l'insorgenza dei fenomeni cadiamo nell'aporia che descrive Kelley L. Ross, visto che, in fin dei conti, andiamo fuori dall'"isola fenomenica" (come la chiamava Kant). Nel lavoro scientifico si assume spesso e in modo ragionevole** che si possa andare oltre le apparenze. Assunzione che è ragionevole e che considero vera ma che è indimostrabile. Strettamente parlando, però, dobbiamo ammettere l'aporia.

Infine, sulla distinzione tra fenomeno e noumeno, vorrei far notare che, secondo me, da un certo punto di vista abbiamo ragione entrambi. Quando, ad esempio, considero l'apparenza di una mela la associo ad un oggetto esterno che causi tale apparenza, un oggetto noumenico congetturabile. Tuttavia, se evitiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che l'apparenza sia la rappresentazione del noumeno. Il problema è che questa apparenza non è, in realtà, una creazione della nostra mente slegata all'oggetto noumenico. Ma, in realtà, è l'oggetto noumenico che viene conosciuto dalla nostra mente, ovvero come si presenta a noi (visto-da-noi). Il fatto che tu vedi una "rappresentazione" è dovuto al fatto che non hai una conoscenza diretta e inerrante dell'oggetto noumenico (o almeno non credo che abbiamo tale conoscenza), ovvero non è vero il realismo "naive". Se la conoscenza fosse "non distorta" noi non avremmo nella nostra esperienza delle "rappresentazioni", bensì avremmo, per così dire, gli oggetti-così-come-sono. Se fosse vero il "realismo naive", il mondo fenomenico coinciderebbe con il mondo reale. Per i realisti naive, infatti, noi conosciamo direttamente la realtà-così-come-è. [Probabilmente, non mi sono fatto capire...chiedo scusa di ciò  :-[ ]
Ricapitolando: per i realisti naive il mondo fenomenico, la realtà-come-la-vediamo-noi, coinicide con la realtà-così-come-è;
Per i realisti indiretti il mondo fenomenico è una costruzione della nostra coscienza;
Nel mio "modello", idealmente mondo fenomenico e realtà-così-come-è potrebbero coincidere ma la fallibilità, la limitatezza ecc della nostra mente fa in modo che abbiamo una "rappresentazione" distorta. Ma possiamo comunque parlare tranquillamente di verità inter-soggettive perchè la distorciamo in modo simile (o almeno così credo in base ad argomenti ragionevoli)  ;D se non ci fossero distorsioni avremmo una conoscenza diretta ed esatta e potremmo fare sempre inferenze inoppugnabili;
Per gli scettici il mondo fenomenico è slegato completamente alla realtà esterna oppure non è possibile sapere se c'è una realtà esterna (che è vero, vista l'aporia  ;) );
Per i solipsisti esiste solo il mondo fenomenico;
Per i relativisti oguno ha il suo mondo fenomenico ma, non essendoci alcuna "realtà-così-come-è" e non essendoci una "gerarchia", ogni mondo fenomenico è esatto;
Per alcuni scienziati, la scienza ci permette di vedere la realtà-così-come-è squarciando la limitazione data dal nostro mondo fenomenico.

Altra cosa... il fatto che i nostri concetti si formano nella nostra esperienza, lo si nota ovunque. Siamo costretti a ricorrere a concetti famialiari basati sulla nostra esperienza e cerchiamo di ricondurre tutto in termini di tali concetti senza pensare che, probabilmente, hanno un ambito di validità  :)

*un punto importante della filosofia Kantiana è proprio che le categorie valgono nel mondo fenomenico. Lo scetticismo di Hume, per Kant, è superato perchè, ad esempio, la causalità vale nei fenomeni.
** in realtà, come sosteneva Wittgenstein da giovane (ci dice Russell), si potrebbe ancora parlare di verità scientifiche perfino con solipsismo. In realtà, l'attività scientifica non dipende in alcun modo dalla metafisica (non a caso, il positivismo logico e il fenomenalismo sono nati proprio nel tentativo di separare scienza e metafisica)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

iano

#64
Apeiron: Per alcuni scienziati , la scienza ci permette di vedere la realtà-così- come è squarciando la limitazione data dal nostro mondo fenomenico.

Questo realismo ingenuo non è  necessariamente un ostacolo al loro lavoro.
Si può ugualmente immaginare che questa posizione possa funzionare sia da incentivo che da ostacolo al loro lavoro.
Mi sembra che vi siano due categorie di scienziati:quelli che abbracciano o semplicemente ereditano questa posizione,con dose variabile di impiego di coscienza,e chi la rifiuta , rifiuto che comporta una dose alta di coscienza.
In un certo senso non c'è bisogno di sapere cosa stai facendo.Basta sapere come farlo.
Questo mi pare crei un parallelo fra il mondo della scienza e quello della percezione.
La vera posizione naive è quella di credere che si tratti di due mondi separati,cosicché il mondo della percezione è prettamente umano, perciò fallace,come la scienza stessa può provare,mentre quello scientifico e' per contrapposizione perfetto.Quindi non umano,quindi non si sa' bene cosa sia.
Uno strumento esterno all'uomo capace di proiettare l'uomo oltre i propri limiti ?
Ciò che ad alcuni sembra una bella favola e ad altri un racconto dell'orrore, ma purtroppo comunque qualcosa che ci deresponsabilizza,cosicché possiamo criticare variamente la scienza senza che ciò valga come un autocritica.
Una critica seria della scienza non può che essere fondata sull'uomo.
Una critica utile della scienza deve dirci in che modo possa dimostrarsi che la scienza sia fallace , allo stesso modo che la scienza ci dice come la percezione sia fallace.
Fatto ciò al posto del termine fallace,che è il prodotto della suddetta posizione naive,occorrerà sceglierne un altro più adatto,o semplicemente eliderlo.
Sia una percezione che una teoria scientifica non è né giusta ne sbagliata,ma solo più o meno utile.
Ma ora mettiamoci nei panni di un promettente studente in fisica.
Come facciamo ad incentivarlo?
Gli diremo che le teorie fisiche sono utili favolette o gli diremo che ci dicono la verità e che sempre nuove verità sono da scoprire?
O cosa diremo invece all'uomo comune?
Sara' di qualche utilità per lui sapere che vive dentro una favola ben congegnata?
Quindi forse la posizione naive ha comunque un suo perché che spiega la sua diffusione maggioritaria.
Se però sia ha l'ambizione di navigare agevolmente fra le nuove teorie fisiche essa sembra solo un ostacolo,ma quest'ambizione non sembra essere maggioritaria,appunto.
Il pericolo è che un agevole navigazione si contrapponga ai motivi per cui ci siamo imbarcati.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#65
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?

Perché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
Superare in breve tempo distanze enormi,anche in senso metaforico, è quantitativamente , ma non qualitativamente diverso dal superare distanze piccole,posto che qualificare una distanza è puramente soggettivo.La velocità, per sua natura , ammette accelerazioni, come norma , e non come eccezioni.
Cioè, senza la scienza , e con la scienza , l'uomo fa' sostanzialmente quello che ha sempre fatto.
Non possiamo assumere il senso di meraviglia,seppur diffuso , come discrimine,ricadendo nella saga dei miracoli , specie se si pretende che a questa saga la scienza abbia messo un punto di fine.
La critica della scienza dovrebbe scongiurare ciò, appunto, e mi sembra perciò ben fondata.
È sufficiente che essa ci dica che la scienza non è niente di nuovo,nonostante le apparenze,gettando al contempo luce su ciò che era prima della scienza.
L'apparemte discontinuità' si spiega , in breve, con una presa di coscienza sul modo in cui interagiamo con la realtà.
Questa presa di coscienza è la forza che ha prodotto l'accelerazione che tanta meraviglia desta.
Ma non c'e' nessuna discontinuità in ciò,in quanto la coscienza si è sempre usata in varia misura e in base all'occorremza, non essendo un bene in se' , ma uno strumento.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

Citazione di: iano il 03 Settembre 2018, 01:14:36 AM
Apeiron: Per alcuni scienziati , la scienza ci permette di vedere la realtà-così- come è squarciando la limitazione data dal nostro mondo fenomenico.

Questo realismo ingenuo non è  necessariamente un ostacolo al loro lavoro.
Si può ugualmente immaginare che questa posizione possa funzionare sia da incentivo che da ostacolo al loro lavoro.
Mi sembra che vi siano due categorie di scienziati:quelli che abbracciano o semplicemente ereditano questa posizione,con dose variabile di impiego di coscienza,e chi la rifiuta , rifiuto che comporta una dose alta di coscienza.
In un certo senso non c'è bisogno di sapere cosa stai facendo.Basta sapere come farlo.
Questo mi pare crei un parallelo fra il mondo della scienza e quello della percezione.
La vera posizione naive è quella di credere che si tratti di due mondi separati,cosicché il mondo della percezione è prettamente umano, perciò fallace,come la scienza stessa può provare,mentre quello scientifico e' per contrapposizione perfetto.Quindi non umano,quindi non si sa' bene cosa sia.
Uno strumento esterno all'uomo capace di proiettare l'uomo oltre i propri limiti ?
Ciò che ad alcuni sembra una bella favola e ad altri un racconto dell'orrore, ma purtroppo comunque qualcosa che ci deresponsabilizza,cosicché possiamo criticare variamente la scienza senza che ciò valga come un autocritica.
Una critica seria della scienza non può che essere fondata sull'uomo.
Una critica utile della scienza deve dirci in che modo possa dimostrarsi che la scienza sia fallace , allo stesso modo che la scienza ci dice come la percezione sia fallace.
Fatto ciò al posto del termine fallace,che è il prodotto della suddetta posizione naive,occorrerà sceglierne un altro più adatto,o semplicemente eliderlo.
Sia una percezione che una teoria scientifica non è né giusta ne sbagliata,ma solo più o meno utile.
Ma ora mettiamoci nei panni di un promettente studente in fisica.
Come facciamo ad incentivarlo?
Gli diremo che le teorie fisiche sono utili favolette o gli diremo che ci dicono la verità e che sempre nuove verità sono da scoprire?
O cosa diremo invece all'uomo comune?
Sara' di qualche utilità per lui sapere che vive dentro una favola ben congegnata?
Quindi forse la posizione naive ha comunque un suo perché che spiega la sua diffusione maggioritaria.
Se però sia ha l'ambizione di navigare agevolmente fra le nuove teorie fisiche essa sembra solo un ostacolo,ma quest'ambizione non sembra essere maggioritaria,appunto.
Il pericolo è che un agevole navigazione si contrapponga ai motivi per cui ci siamo imbarcati.

Ciao @iano,
come dicevo, il lavoro scientifico è indipendente dalle convinzioni filosofiche che lo scienziato ha. Perfino il solipsista potrebbe ugualmente essere scienziato.
Ad ogni modo, il "mondo scientifico" strettamente parlando è il "mondo della percezione". Pensa all'illusione ottica: ci sembra di vedere, ad esempio, che un'immagine statica si muove. Come diciamo che ciò è una illusione? Studiando la nostra stessa esperienza e applicando le categorie intellettuali ad essa. Mi dirai, ma allora come fa un solipsista a riconoscere l'illusione dalla "realtà" se entrambe sono meri contenuti mentali? Lo fa, applicando il ragionamento alle sue percezioni.
La scienza ci dice verità sul mondo fenomenico. Possiamo verificare "per esperienza diretta" le sue predizioni. Però, dallo studio della nostra esperienza non possiamo risolvere l'aporia citata in precedenza. Strano, no? Con la conoscenza scientifica diciamo, ad esempio, che le impressioni sensoriali derivano dal contatto tra i nostri organi di senso e le influenze del mondo esterno e ciò crea segnali che verranno interpretati dal cervello. Però... però, se facciamo attenzione questo semplicemente ci dice che studiando la nostra esperienza possiamo prevederne altre, non abbiamo dimostrato la cosa. Inoltre, se le categorie intellettuali si applicano al mondo fenomenico possiamo usare la causalità per parlare di una causa del mondo fenomenico (e non solo usare la causalità per spiegare le relazioni tra i fenomeni)?
Questa è l'aporia. Non c'è nessun problema ad affermare che la scienza ci permette di conoscere (almeno parzialmente) i fenomeni, ma se la causalità è una categoria dell'intelletto perchè mai una "realtà esterna" slegata dalla mente dovrebbe seguire le leggi della mente? La scienza non riesce a spiegarlo. Inoltre la scienza, di per sé, non riesce a dimostrare che il solipsismo è falso o se la materia esiste (ad esempio, non riesce a dirci se l'idealismo di Berkeley è vero o no),
Ti sembra sensato quello che sto dicendo?

Ne aprofitto per chiarire un paio di cose del mio intervento precedente:
Citazionequindi se escludiamo uno scetticismo assurdo, ovvero che noi non possiamo in alcun modo conoscere direttamente i nostri contenuti mentali,
frase da sostituire con
Citazionequindi se escludiamo uno scetticismo assurdo, ovvero che noi non possiamo in alcun modo, almeno parzialmente, conoscere direttamente i nostri contenuti mentali,

Sul realismo indiretto, inoltre, la differenza è che mentre il realismo indiretto ci dice che il nostro mondo percettivo è una costruzione mentale senza spiegare in alcun modo la relazione con quello "esterno", secondo me invece se c'è una "realtà esterna" il nostro mondo percettivo ne è una approssimazione. Una conoscenza perfetta dei fenomeni equivarrebbe a conoscere tutte le loro caratteristiche e quindi anche se si riferiscono ad una realtà esterna e come. Anche perchè, una conoscenza perfetta "vedrebbe" direttamente la realtà-così-come-è (e quindi avrebbe una conoscenza diretta della realtà esterna, se c'è, o avrebbe la certezza che non c'è se non c'è) così come noi  "vediamo" direttamente la realtà-vista-da-noi :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Carlo Pierini

Citazione di: iano il 03 Settembre 2018, 02:11:27 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?

Perché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?


IANO
Superare in breve tempo distanze enormi,anche in senso metaforico, è quantitativamente , ma non qualitativamente diverso dal superare distanze piccole,posto che qualificare una distanza è puramente soggettivo. La velocità, per sua natura , ammette accelerazioni, come norma , e non come eccezioni.
Cioè, senza la scienza, e con la scienza , l'uomo fa' sostanzialmente quello che ha sempre fatto. (...) La scienza non è niente di nuovo, nonostante le apparenze.


CARLO
Le tue sono mistificazioni verbali allo stato puro. L'uomo non ha sempre inviato sonde su pianeti e comete, non è sempre sbarcato sulla Luna, non ha sempre guarito colera, peste, lebbra, vaiolo, malaria, tifo, tubercolosi, ecc., non ha sempre ricevuto notizie dal mondo schiacciando semplicemente un pulsante, ecc., ecc.. 
Tutte queste conquiste sono delle novità assolute; non apparenze, ma realtà concrete.

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 02 Settembre 2018, 23:53:55 PM

CitazioneMI SCUSO PER LA PIGNOLERIA (probabilmente fastidiosa, ma a mio parere necessaria ai fini della chiarezza dei ragionamenti).


Ciao @sgiombo,

CitazioneCasomai dalla (struttura -fenomenica- della) nostra mente dipende (dipendono i fenomeni interni o di pensiero costituenti) la conoscenza dei fenomeni esterni.

Per farla breve... se ammettiamo che gli oggetti dell'esperienza sono separati da noi dobbiamo ammettere inferenze logiche non "inoppugnabili" (compelling), anche perchè non abbiamo alcuna ragione (strettamente parlando!!! ovviamente lo facciamo per ragionevolezza) di affermare che ciò vale nelle nostre esperienze fenomeniche private (come le nostre categorie dell'intelletto, ad esempio il rapporto causa-effetto)* vale anche con supposti oggetti esterni. Quindi, gli oggetti dell'esperienza sono solo privati e quindi se escludiamo uno scetticismo assurdo, ovvero che noi non possiamo in alcun modo conoscere direttamente i nostri contenuti mentali, allora dobbiamo dedurre che abbiamo conoscenza degli oggetti dell'esperienza (mere percezioni). Ma le percezioni sono dipendenti dalla nostra esistenza e se escludiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che tali percezioni derivano da altro, qualcosa di esterno da noi. Quindi gli oggetti dell'esperienza derivano da oggetti separati da noi. Ergo, come si vede, abbiamo un'aporia.
Citazione
Il ragionamento mi sembra un po' contorto, ma se ben capisco ammette che ciò di cui abbiamo esperienza sono mere (inisemi - successioni di) sensazioni ovvero "apparenze (fenomeni) sensibili" (costituenti appunto la nostra coscienza).
Dunque non si tratta di cose in sé reali indipendentemente dalla nostra (eventuale) coscienza.
Ed invece eventuali (indimostrabili) oggetti delle sensazioni della nostra coscienza (in particolare delle nostre sensazioni materiali) non possono che essere altra cosa, ovvero cose reali in sé indipendentemente dalla nostra (eventuale: anche se e quando essa non é realmente in atto) coscienza, così come non possiamo non esserlo noi stessi, soggetti della nostra coscienza (ed eventualmente soggetti-oggetti riflessivamente nel caso delle esperienze fenomeniche coscienti mentali).

Secondo me il rapporto causa - effetto può essere postulato (ma non dimostrato: Hume) in termini rigorosi solo a proposito dei fenomeni materiali, in quanto misurabili quantitativamente e dunque passibili di astrazioni di caratteri generali del loro divenire esprimibili con certe determinate e precise equazioni matematiche.
Non può essere applicato in questi termini rigorosi, di calcolabilità matematica degli effetti dalle cause o viceversa, ai fenomeni mentali in quanto non misurabili quantitativamente, né tantomeno alla realtà in sé o noumeno, in quanto nemmeno percepibile con i sensi (e dunque a maggior ragione non misurabile).

Non vedo aporie nel fatto che abbiamo conoscenza [o meglio, secondo me, coscienza, sensazione empirica] degli oggetti dell'esperienza (mere percezioni).
Le percezioni sono dipendenti dalla nostra esistenza
, ma secondo me nulla impone (non é una deduzione cogente) che se escludiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che tali percezioni derivano da altro, qualcosa di esterno da noi.
Questo lo possiamo solo credere (e personalmente lo credo) fideisticamente, indimostrabilmente.

Che significa che "gli oggetti dell'esperienza derivano da oggetti separati da noi"?
In realtà sono i "contenuti fenomenici" dell' esperienza (le sensazioni coscienti) che possono essere creduti (ma non dimostrati) "derivare" da, o meglio essere in corrispondenza biunivoca con (e non propriamente trovarsi in un rapporto di causazione rigorosamente inteso come espressione di una legge del divenire esprimibile mediante equazioni matematiche) oggetti in sé separati da noi e non costituiti dalle nostre sensazioni fenomeniche (noumeno).


****************************************************************************************

E questa è una cosa. La seconda è che, a rigore, concetti come quello di causa-effetto vengono formati nel "mondo fenomenico", ovvero quello dell'esperienza. Quindi, quando tu scrivi:

Citazionema i modi in cui  vediamo le cose esterne (i fenomeni materiali) non  dipendono affatto dalla nostra mente

non sono d'accordo perchè, in fin dei conti, l'esperienza fenomenica è sicuramente condizionata dalla nostra mente. Colori, suoni ecc sono certamente cose che esistono solo in quanto apparenze. Inoltre, come dicevo, la concettualizzazione si riferisce sempre ai fenomeni. Se vogliamo usare, ad esempio, la causalità per spiegare l'insorgenza dei fenomeni cadiamo nell'aporia che descrive Kelley L. Ross, visto che, in fin dei conti, andiamo fuori dall'"isola fenomenica" (come la chiamava Kant). Nel lavoro scientifico si assume spesso e in modo ragionevole** che si possa andare oltre le apparenze. Assunzione che è ragionevole e che considero vera ma che è indimostrabile. Strettamente parlando, però, dobbiamo ammettere l'aporia.
Citazione
Qui mi sembra che tu confonda i concetti di "mente" e di "esperienza fenomenica cosciente" o più brevemente "coscienza".

La nostra mente é la parte "di pensiero" (res cogitans: ragionamenti, calcoli, deduzioni, ricordi, immaginazioni, sentimenti, "stati d' animo", ecc. "interiormente avvertiti") nell' ambito dell' esperienza fenomenica cosciente; la quale, oltre ad essa comprende anche una parte materiale (res extensa: quanto percepito "esteriormente" con i cinque o sei sensi corporei).
Dunque colori, suoni, ecc. sono certamente cose che esistono solo in quanto apparenze; ma in quanto apparenze materiali (e non mentali) nell' ambito della nostra coscienza e non de- (quella parte della nostra coscienza che è) -la nostra mente.

La concettualizzazione si riferisce ai fenomeni (materiali o mentali), ma é diversa cosa dai fenomeni concettualizzati stessi: é costituita da altri, diversi fenomeni (esclusivamente mentali), cioé dai pensieri di fenomeni che ne sono oggetto (o "materia", "contenuto": "oggetto in un senso ben diverso da quello per cui le cose in sé sono "oggetto" -e/o soggetto- delle sensazioni fenomeniche).

Certo, se vogliamo usare la causalità per spiegare l'insorgenza dei fenomeni (ma ripeto che ritengo più corretto parlare di "relazione di coesistenza biunivocamente corrispondente", una causazione in senso rigoroso, nomologico essendo possibile postulare solo nell' ambito de i fenomeni materiali per via della loro misurabilità quantitativa), in fin dei conti, andiamo fuori dall'"isola fenomenica" (come la chiamava Kant); ma in questo non vedo alcuna aporia: le cose in sé, ben diverse, distinte dai fenomeni in un certo senso (lato, non rigoroso) "causano" i fenomeni (nel senso che necessariamente coesistono-codivengono in corrispondenza biunivoca con essi: dove starebbe mai il paradosso o al contraddizione?

Le scienze non vanno mai (non possono andare) alla inattingibile empiricamente cosa in sé, ma si limitano alla conoscenza dei fenomeni.


Infine, sulla distinzione tra fenomeno e noumeno, vorrei far notare che, secondo me, da un certo punto di vista abbiamo ragione entrambi. Quando, ad esempio, considero l'apparenza di una mela la associo ad un oggetto esterno che causi tale apparenza, un oggetto noumenico congetturabile. Tuttavia, se evitiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che l'apparenza sia la rappresentazione del noumeno. Il problema è che questa apparenza non è, in realtà, una creazione della nostra mente slegata all'oggetto noumenico. Ma, in realtà, è l'oggetto noumenico che viene conosciuto dalla nostra mente, ovvero come si presenta a noi (visto-da-noi). Il fatto che tu vedi una "rappresentazione" è dovuto al fatto che non hai una conoscenza diretta e inerrante dell'oggetto noumenico (o almeno non credo che abbiamo tale conoscenza), ovvero non è vero il realismo "naive".

Se la conoscenza fosse "non distorta" noi non avremmo nella nostra esperienza delle "rappresentazioni", bensì avremmo, per così dire, gli oggetti-così-come-sono. Se fosse vero il "realismo naive", il mondo fenomenico coinciderebbe con il mondo reale. Per i realisti naive, infatti, noi conosciamo direttamente la realtà-così-come-è. [Probabilmente, non mi sono fatto capire...chiedo scusa di ciò  :-[ ]
Citazione
Qui credo di averti ben capito.

Concordo sulla falsità del realismo "naive" che identifica i fenomeni coscienti (il cui "esse est percipi") con le cose in sé reali indipendentemente dalle esperienze coscienti (il cui "esse non est percipi", per così dire).

Ma:

- Ripeto che in termini rigorosi non si può parlare di autentica causazione fra noumeno e fenomeni (lo si può fare ma sol in senso decisamente lato e a rigore improprio).

-Se fosse vero il "realismo naive", il mondo fenomenico (comunque reale anch' esso, non meno del noumeno) coinciderebbe con il mondo in sé o noumeno. Per i realisti naive, infatti, noi conosciamo direttamente la realtà-così-come-è-in sé (che sarebbe autocontraddittoriamente costituita da sensazioni fenomeniche reali anche se, "dove" e quando non esistono-accadono realmente).

- Il solipsismo si potrebbe forse evitare (indimostrabilmente, per fede) anche senza noumeno (per esempio ammettendo una sorta di "leibniziana armonia prestabilita" fra la "propria" ed altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti.

- (Soprattutto) quanto scrivi qui é una sorta di descrizione con altre parole del fatto che i fenomeni sono una cosa, il noumeno o cose in sé sono altra cosa; ben diverse "cose" che (però) divengono in reciproca corrispondenza biunivoca: ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre. Anch' io in altri interventi nel forum ho scritto che in un certo senso un determinato cervello in un determinato stato funzionale é la stessa cosa in sé che si manifesta come tale (determinati fenomeni materiali cerebrali) "in qualità di oggetto di sensazioni fenomeniche*" ad altre cose in sé "soggetti di sensazioni fenomeniche*" e che si manifesta come un certo stato mentale** (come determinati fenomeni cogitativi**: pensieri, ragionamenti, sentimenti, ecc.) a se stessa riflessivamente "oggetto, oltre che soggetto", di sensazioni fenomeniche**".

Ricapitolando: per i realisti naive il mondo fenomenico, la realtà-come-la-vediamo-noi, coinicide con la realtà-così-come-è;
Per i realisti indiretti il mondo fenomenico è una costruzione della nostra coscienza;
CitazionePer me il mondo fenomenico non é propriamente una "costruzione" (arbitraria) della nostra coscienza, ma é ciò che accade nella nostra mente in relazione di ineludibile, necessaria, non arbitrariamente modificabile a piacere corrispondenza biunivoca con le cose in sé.

Nel mio "modello", idealmente mondo fenomenico e realtà-così-come-è potrebbero coincidere ma la fallibilità, la limitatezza ecc della nostra mente fa in modo che abbiamo una "rappresentazione" distorta. Ma possiamo comunque parlare tranquillamente di verità inter-soggettive perchè la distorciamo in modo simile (o almeno così credo in base ad argomenti ragionevoli)  ;D se non ci fossero distorsioni avremmo una conoscenza diretta ed esatta e potremmo fare sempre inferenze inoppugnabili;
CitazioneMondo fenomenico e realtà-così-come-è non possono coincidere in alcun modo e in alcun senso; non potrebbero nemmeno se conoscessimo illimitatamente, perfettamente i fenomeni, dal momento che il noumeno é altra cosa dai fenomeni, reale anche allorché, se e quando i fenomeni (anche se fossero perfettamente conosciuti senza limite alcuno) non sono reali (e dunque identificarlo con essi sarebbe una plateale contraddizione).

Per gli scettici il mondo fenomenico è slegato completamente alla realtà esterna oppure non è possibile sapere se c'è una realtà esterna (che è vero, vista l'aporia  ;) );
CitazioneNon é dimostrabile (e nemmeno é dimostrabile che non ci sia (sospensione del giudizio!).
Ma non ci vedo nessuna aporia).

Per i solipsisti esiste solo il mondo fenomenico;
CitazionePer i solipsisti esiste solo il mondo fenomenico suo proprio di ciascuno di essi (ma potrebbe esistere anche se stesso come soggetto in sé del suo proprio mondo fenomenico).

Per alcuni scienziati, la scienza ci permette di vedere la realtà-così-come-è squarciando la limitazione data dal nostro mondo fenomenico.
CitazioneSe la realtà-così-come-é é il noumeno o realtà in sé, allora questa é una palese , assurda autocontraddizione.
Altra cosa é l' intersoggettività (peraltro indimostrabile) dei fenomeni materiali scientificamente conoscibili.


*un punto importante della filosofia Kantiana è proprio che le categorie valgono nel mondo fenomenico. Lo scetticismo di Hume, per Kant, è superato perchè, ad esempio, la causalità vale nei fenomeni.
CitazioneNon é superato, malgrado le illusioni di Kant, perché la causalità vale unicamente nei fenomeni e non é dimostrabile né provabile empiricamente.


** in realtà, come sosteneva Wittgenstein da giovane (ci dice Russell), si potrebbe ancora parlare di verità scientifiche perfino con solipsismo. In realtà, l'attività scientifica non dipende in alcun modo dalla metafisica (non a caso, il positivismo logico e il fenomenalismo sono nati proprio nel tentativo di separare scienza e metafisica)
CitazioneNon capisco: le conoscenze scientifiche non sono certo metafisica (e con la metafisica non vanno confuse, non solo per i positivisti logici, che piuttosto, almeno i "classici", la metafisica negavano).
Ma hanno ("dipendono da") necessari fondamenti epistemologici fra i quali l' intersoggettività, che é inconciliabile (contraddittoria) con il solipsismo.

iano

#69
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Settembre 2018, 12:54:27 PM
Citazione di: iano il 03 Settembre 2018, 02:11:27 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?

Perché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?


IANO
Superare in breve tempo distanze enormi,anche in senso metaforico, è quantitativamente , ma non qualitativamente diverso dal superare distanze piccole,posto che qualificare una distanza è puramente soggettivo. La velocità, per sua natura , ammette accelerazioni, come norma , e non come eccezioni.
Cioè, senza la scienza, e con la scienza , l'uomo fa' sostanzialmente quello che ha sempre fatto. (...) La scienza non è niente di nuovo, nonostante le apparenze.


CARLO
Le tue sono mistificazioni verbali allo stato puro. L'uomo non ha sempre inviato sonde su pianeti e comete, non è sempre sbarcato sulla Luna, non ha sempre guarito colera, peste, lebbra, vaiolo, malaria, tifo, tubercolosi, ecc., non ha sempre ricevuto notizie dal mondo schiacciando semplicemente un pulsante, ecc., ecc..
Tutte queste conquiste sono delle novità assolute; non apparenze, ma realtà concrete.
La storia dell'uomo è piena di novità assolute.
Cosa hanno di particolare le novità che elenchi?
Nessuna mistificazione,ma un invito a riflettere..Cio' che a te  sembra un punto di discontinuità tale non è .
Se andare in America non è più fonte di meravlglia,anche andare sulla Luna non dovrebbe più esserlo.
In attesa di altri fantastici viaggi possiamo mettere a riposo il nostro senso di meraviglia.
Non c'è nessuna magia,nessun mistero alchemico.Normale routine,anche quando non sembra.Basta uscire dal senso di meraviglia e tornare coi piedi per terra o sulla Luna se preferisci, perché è la stessa cosa.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Carlo Pierini

Citazione di: iano il 04 Settembre 2018, 09:39:22 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Settembre 2018, 12:54:27 PM
Citazione di: iano il 03 Settembre 2018, 02:11:27 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?

Perché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?


IANO
Superare in breve tempo distanze enormi,anche in senso metaforico, è quantitativamente , ma non qualitativamente diverso dal superare distanze piccole,posto che qualificare una distanza è puramente soggettivo. La velocità, per sua natura , ammette accelerazioni, come norma , e non come eccezioni.
Cioè, senza la scienza, e con la scienza , l'uomo fa' sostanzialmente quello che ha sempre fatto. (...) La scienza non è niente di nuovo, nonostante le apparenze.


CARLO
Le tue sono mistificazioni verbali allo stato puro. L'uomo non ha sempre inviato sonde su pianeti e comete, non è sempre sbarcato sulla Luna, non ha sempre guarito colera, peste, lebbra, vaiolo, malaria, tifo, tubercolosi, ecc., non ha sempre ricevuto notizie dal mondo schiacciando semplicemente un pulsante, ecc., ecc..
Tutte queste conquiste sono delle novità assolute; non apparenze, ma realtà concrete.

IANO
La storia dell'uomo è piena di novità assolute.

CARLO
Bravo. E questa è la felice conseguenza della sua capacità di interpretare la realtà e di distinguere il vero dal falso; cioè di conoscere se stesso e il mondo.

IANO
Cosa hanno di particolare le novità che elenchi?

CARLO
Me la devi dare tu una risposta: se tu fossi vittima di un'infezione grave, cos'ha di particolare l'esistenza di un antibiotico che ti salva la vita?

IANO
Cio' che a te  sembra un punto di discontinuità tale non è .

CARLO
Se non vedi discontinuità tra il morire di colera e il guarire dal colera, ...che altro puoi essere in grado di vedere?

iano

#71
@Carlo.
Adesso dovresti trarre le conseguenze ultime delle tue convinzioni e dire che la medicina contro il colera c'è l'hanno portata gli alieni o che in generale la scienza ci è stata calata dall'alto.Si tratta solo del nome alla moda che connota l'attivita' umana , la quale non ha salti miracolosi anche quando sembra.
Il vaccino per il colera non è sempre esistito , ma la medicina si, anche quando non si chiamava medicina.
E allora? Perfino i gatti sanno come curarsi il mal di pancia.
E se domani i gatti evolvendosi scoprissero il vaccino della peste felina ( esiste ? ) cosa starebbero facendo di tanto diverso del mangiare erba gatta?
A proposito.Il vaccino per la peste umana non esiste ancora.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

Ciao @sgiombo,


CitazioneIl ragionamento mi sembra un po' contorto, ma se ben capisco ammette che ciò di cui abbiamo esperienza sono mere (inisemi - successioni di) sensazioni ovvero "apparenze (fenomeni) sensibili" (costituenti appunto la nostra coscienza).
Dunque non si tratta di cose in sé reali indipendentemente dalla nostra (eventuale) coscienza.
Ed invece eventuali (indimostrabili) oggetti delle sensazioni della nostra coscienza (in particolare delle nostre sensazioni materiali) non possono che essere altra cosa, ovvero cose reali in sé indipendentemente dalla nostra (eventuale: anche se e quando essa non é realmente in atto) coscienza, così come non possiamo non esserlo noi stessi, soggetti della nostra coscienza (ed eventualmente soggetti-oggetti riflessivamente nel caso delle esperienze fenomeniche coscienti mentali).

Da quanto ho capito io, il discorso è meno complesso. In pratica, per fare un esempio pensa ai colori. Il "colore" è una proprietà di oggetti esterni alla coscienza o, invece, sono contenuti mentali che caratterizzano l'esperienza cosciente? Se rispondi che i colori sono proprietà di oggetti esterni, non puoi giustificare il "salto" logico dovuto all'applicazione del principio di causa (o di altra spiegazione) per oggetti fuori dalla nostra esperienza - ovvero, a rigore, non puoi sapere che la tua percezione di colore è dovuto a "qualcosa di esterno". Se rispondi che i colori sono solamente contenuti mentali, invece, cadi in una sorta di "solipsismo" (anche perché, l'esempio dei colori si può estendere a tutta l'esperienza!).


CitazioneSecondo me il rapporto causa - effetto può essere postulato (ma non dimostrato: Hume) in termini rigorosi solo a proposito dei fenomeni materiali, in quanto misurabili quantitativamente e dunque passibili di astrazioni di caratteri generali del loro divenire esprimibili con certe determinate e precise equazioni matematiche.
Non può essere applicato in questi termini rigorosi, di calcolabilità matematica degli effetti dalle cause o viceversa, ai fenomeni mentali in quanto non misurabili quantitativamente, né tantomeno alla realtà in sé o noumeno, in quanto nemmeno percepibile con i sensi (e dunque a maggior ragione non misurabile).

Stranamente (dico "stranamente" perché ad entrambi piacciono filosofi come Kant, Berkeley, Hume  :) ), ritengo invece che noi possiamo in realtà utilizzare il rapporto di causa-effetto e anche le osservazioni quantitive alle sensazioni. In verità, se ci pensi, è quello che in pratica si fa. Esempio banale: prendi un righello e misuri la lunghezza di una linea. Quello che fai è prendere un righello che vedi, spostarlo e eseguire la misurazione della lunghezza. Come dicevo, anche un (idealista e) solipsista può eseguire le misure scientifiche. In tale scenario, tutti i risultati scientifici che si ottengono sono riferiti a sensazioni, a contenuti mentali. Non sono nemmeno pubbliche (un esempio meno "irreale" è una misurazione eseguita durante un sogno). Inoltre, rigorosamente, il rapporto causa-effetto è applicabile alle sensazioni. Perché? perché se diciamo che la materia è "esterna" a noi, cadiamo nel "paradosso" di prima. Infatti non possiamo giustificare l'uso del principio di causa-effetto su qualcosa che noi non conosciamo direttamente. Ad ogni modo, secondo me ci sono regolarità nella nostra esperienza cosciente sia di veglia che nel sogno. Per esempio, anche nel sogno si "vedono" linee di varie dimensioni, le quali si possono, in linea di principio "misurare". 
Con la ragionevole assunzione della materia, diventa ragionevole assumere che anche la materia abbia proprietà quantitative  :) ma non sono necessariamente d'accordo che i fenomeni mentali non possano essere sottoposti ad analisi quantitativa. Ovviamente non tutti. Ma in fin dei conti cos'è la lunghezza se non una quantità confrontando due fenomeni (righello e linea), che in linea di principio potrebbero essere immateriali, come nel sogno. In realtà, la "prova" Kantiana dell'esistenza della materia mi sembra uno dei punti deboli della sua filosofia. Infatti, in Kant c'è un ottimo equilibrio tra soggetto ed oggetto anche senza l'assunzione della materia. Perché? Il soggetto è la coscienza e l'oggetto è il contenuto fenomenico (ciò di cui la coscienza ha, appunto, "coscienza"...scusa il giro di parole ma penso che hai capito ;D ). Parlare della materia (intesa come qualcosa che "sta dietro" ai fenomeni dell'esperienza), secondo me, significa andar fuori dal mondo fenomenico. 


Spero di non averti frainteso  :-[ 


CitazioneNon vedo aporie nel fatto che abbiamo conoscenza [o meglio, secondo me, coscienza, sensazione empirica] degli oggetti dell'esperienza (mere percezioni).
Le percezioni sono dipendenti dalla nostra esistenza
, ma secondo me nulla impone (non é una deduzione cogente) che se escludiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che tali percezioni derivano da altro, qualcosa di esterno da noi
Questo lo possiamo solo credere (e personalmente lo credo) fideisticamente, indimostrabilmente.

Che significa che "gli oggetti dell'esperienza derivano da oggetti separati da noi"?
In realtà sono i "contenuti fenomenici" dell' esperienza (le sensazioni coscienti) che possono essere creduti (ma non dimostrati) "derivare" da, o meglio essere in corrispondenza biunivoca con (e non propriamente trovarsi in un rapporto di causazione rigorosamente inteso come espressione di una legge del divenire esprimibile mediante equazioni matematiche) oggetti in sé separati da noi e non costituiti dalle nostre sensazioni fenomeniche (noumeno)


Sul primo paragrafo posso essere anche d'accordo. Però si avrebbe la situazione assurda di soggetti completamente isolati l'uno dall'altro che hanno esperienze completamente private. In sostanza, ognuno vivrebbe per sé stesso. Tolto questo scenario, però, devi ammettere che non riesci a giustificare l'insorgere delle apparenze (se non derivano unicamente dalla nostra coscienza, cosa che però è stata esclusa).  Sul discorso della corrispondenza biunivoca, vedi dopo.

Sul secondo non vedo differenza tra ciò che dici tu e la frase che hai citato  ;)


CitazioneQui mi sembra che tu confonda i concetti di "mente" e di "esperienza fenomenica cosciente" o più brevemente "coscienza".

La nostra mente é la parte "di pensiero" (res cogitans: ragionamenti, calcoli, deduzioni, ricordi, immaginazioni, sentimenti, "stati d' animo", ecc. "interiormente avvertiti") nell' ambito dell' esperienza fenomenica cosciente; la quale, oltre ad essa comprende anche una parte materiale (res extensa: quanto percepito "esteriormente" con i cinque o sei sensi corporei).
Dunque colori, suoni, ecc. sono certamente cose che esistono solo in quanto apparenze; ma in quanto apparenze materiali (e non mentali) nell' ambito della nostra coscienza e non de- (quella parte della nostra coscienza che è) -la nostra mente.


Ok... quindi per te "coscienza" significa "mente" + "contenuti mentali"? Per me "coscienza" e "mente" (in questo caso)* sono sinonimi. Secondo me, la coscienza/mente ha consapevolezza delle sensazioni. 


* dico "in questo caso" perché a volte ho chiamato "mente" qualsiasi "cosa" che processa l'informazione. Ancora sto decidendo se tale utilizzo della parola "mente" è improprio. Ma tutto dipende dallo status ontologico dell'informazione, temo. 



CitazioneLa concettualizzazione si riferisce ai fenomeni (materiali o mentali), ma é diversa cosa dai fenomeni concettualizzati stessi: é costituita da altri, diversi fenomeni (esclusivamente mentali), cioé dai pensieri di fenomeni che ne sono oggetto (o "materia", "contenuto": "oggetto in un senso ben diverso da quello per cui le cose in sé sono "oggetto" -e/o soggetto- delle sensazioni fenomeniche).

Certo, se vogliamo usare la causalità per spiegare l'insorgenza dei fenomeni (ma ripeto che ritengo più corretto parlare di "relazione di coesistenza biunivocamente corrispondente", una causazione in senso rigoroso, nomologico essendo possibile postulare solo nell' ambito de i fenomeni materiali per via della loro misurabilità quantitativa), in fin dei conti, andiamo fuori dall'"isola fenomenica" (come la chiamava Kant); ma in questo non vedo alcuna aporia: le cose in sé, ben diverse, distinte dai fenomeni in un certo senso (lato, non rigoroso) "causano" i fenomeni (nel senso che necessariamente coesistono-codivengono in corrispondenza biunivoca con essi: dove starebbe mai il paradosso o al contraddizione?

Le scienze non vanno mai (non possono andare) alla inattingibile empiricamente cosa in sé, ma si limitano alla conoscenza dei fenomeni.


Allora... sì, faccio una precisazione. Il "noumeno" è un concetto-limite che introduciamo quando riconosciamo che i fenomeni della nostra esperienza cosciente sono, appunto, mere sensazioni. Siccome abbiamo esperienza delle nostre sensazioni, concetti come "causa-effetto" possono essere applicati, a rigore, solo lì perché "qualcosa di esterno" per noi è inconoscibile (a priori, ovviamente). Il "noumeno" entra, dunque, se rifiutiamo l'ipotesi idealistica (=la realtà è semplicemente, usando il tuo cerco, mente e sensazioni mentali) e del realismo naive (=le nostre sensazioni coincidono con oggetti esterni - oppure, ci è possibile conoscere gli oggetti esterni tramite le sensazioni). Se diciamo che oggetti esterni causano l'insorgere delle sensazioni fenomeniche cadiamo nel realismo naive, visto che le "cose esterne" pur non apparendo nella nostra esperienza vengono conosciute come causa di essa da noi (ovviamente, parlo sempre a livello quanto più "razionale" possibile e non "ragionevole"  ;) ). 
Se, invece, utilizziamo la corrispondenza biunivoca, la cosa è diversa perché, in questo caso, non abbiamo più la pretesa di conoscere il noumeno. Infatti, se non ci fosse nulla dietro l'esperienza fenomenica allora fenomeno e noumeno coincidono. 

Tuttavia, se "pretendiamo" di conoscere proprietà del noumeno utilizzando la nostra esperienza fenomenica + categorie mentali, finiamo nell'aporia. Come dicevo, secondo me questo è l'errore di Kant (e di Schopenhauer) nell'assunzione dell'esistenza della materia. Infatti, la materia non appare nella nostra esperienza (in fin dei conti, anche nel sogno tocchiamo muri, ma questi muri non sono materiali  :) ). Ammettere l'esistenza di oggetti della cognizione non richiede necessariamente l'esistenza della materia.


CitazioneQui credo di averti ben capito.

Concordo sulla falsità del realismo "naive" che identifica i fenomeni coscienti (il cui "esse est percipi") con le cose in sé reali indipendentemente dalle esperienze coscienti (il cui "esse non est percipi", per così dire).


Ottimo! Qui secondo me sta anche la grandezza di Berkeley  :) 



Citazione- Ripeto che in termini rigorosi non si può parlare di autentica causazione fra noumeno e fenomeni (lo si può fare ma sol in senso decisamente lato e a rigore improprio).


Ok, ma in senso lato sì  :)



Citazione-Se fosse vero il "realismo naive", il mondo fenomenico (comunque reale anch' esso, non meno del noumeno) coinciderebbe con il mondo in sé o noumeno. Per i realisti naive, infatti, noi conosciamo direttamente la realtà-così-come-è-in sé (che sarebbe autocontraddittoriamente costituita da sensazioni fenomeniche reali anche se, "dove" e quando non esistono-accadono realmente).

- Il solipsismo si potrebbe forse evitare (indimostrabilmente, per fede) anche senza noumeno (per esempio ammettendo una sorta di "leibniziana armonia prestabilita" fra la "propria" ed altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti.


Qui concordo  ;)


Citazione- (Soprattutto) quanto scrivi qui é una sorta di descrizione con altre parole del fatto che i fenomeni sono una cosa, il noumeno o cose in sé sono altra cosa; ben diverse "cose" che (però) divengono in reciproca corrispondenza biunivoca: ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre. Anch' io in altri interventi nel forum ho scritto che in un certo senso un determinato cervello in un determinato stato funzionale é la stessa cosa in sé che si manifesta come tale (determinati fenomeni materiali cerebrali) "in qualità di oggetto di sensazioni fenomeniche*" ad altre cose in sé "soggetti di sensazioni fenomeniche*" e che si manifesta come un certo stato mentale** (come determinati fenomeni cogitativi**: pensieri, ragionamenti, sentimenti, ecc.) a se stessa riflessivamente "oggetto, oltre che soggetto", di sensazioni fenomeniche**".


Personalmente, concepisco la "corrispondenza biunivoca" in modo differente. Secondo me, invece, la corrispondenza biunivoca semplicemente è da concepirsi a livello soggettivo, ovvero ammettendo la possibilità che un soggetto riesca a capire pienamente la relazione fenomeno-noumeno. Cosa intendo con ciò? Il noumeno è un concetto-limite che introduciamo quando capiamo la natura della realtà fenomenica. Tuttavia non sappiamo se noumeno e realtà fenomenica coincidono (ovvero non sappiamo se è vero il realismo naive, l'idealismo, il solipsismo o quant'altro). Quello che sappiamo, però, è che vi è una relazione tra i due. Quale? il fenomeno è in pratica il noumeno-visto-da-noi. Quindi vi è una corrispondenza tra noumeno e fenomeno. Ed è "biunivoca" nel senso che a causa della nostra struttura mentale noi percepiamo il fenomeno e dobbiamo introdurre il noumeno mentre la mente "infallibile", di cui parlavo, "vede" il noumeno (e sa che nella nostra limitata condizione dobbiamo distinguerli). Però, questo è il massimo che possiamo dire, in realtà. Ergo, tra fenomeno e noumeno in realtà, per così dire, non c'è vera distinzione "ontologica". In realtà è una distinzione creata a causa della limitatezza delle nostre menti. Quindi, in ultima analisi, la distinzione tra fenomeno e noumeno si riconduce alla distinzione tra le nostre menti e quelle eventuali che conoscono la relazione tra fenomeno e noumeno.
Dire "ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre" è secondo me dire troppo, nel senso che assumi che il noumeno abbia determinate caratteristiche basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse.

CitazionePer me il mondo fenomenico non é propriamente una "costruzione" (arbitraria) della nostra coscienza, ma é ciò che accade nella nostra mente in relazione di ineludibile, necessaria, non arbitrariamente modificabile a piacere corrispondenza biunivoca con le cose in sé.

Mmm...forse "costruzione" non era la parola esatta. Ma non intendevo la costruzione come qualcosa di arbitrario, ma di condizionato dalle "proprietà" dalla nostra mente. 

FINE PARTE 1
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

INIZIO PARTE 2

CitazioneMondo fenomenico e realtà-così-come-è non possono coincidere in alcun modo e in alcun senso; non potrebbero nemmeno se conoscessimo illimitatamente, perfettamente i fenomeni, dal momento che il noumeno é altra cosa dai fenomeni, reale anche allorché, se e quando i fenomeni (anche se fossero perfettamente conosciuti senza limite alcuno) non sono reali (e dunque identificarlo con essi sarebbe una plateale contraddizione).

Come dicevo, la distinzione tra fenomeno e noumeno per me è di natura epistemologica e non ontologica. Ovvero, noi nella nostra limitatezza siamo costretti ad ammettere tale distinzione. Ad ogni modo, concordo con quanto dici. Quello che intendevo io era che dobbiamo conoscere la natura "ultima", per così dire, dei fenomeni. Per farlo però è necessario anche "uscire" dalle nostre limitazioni. Per esempio, per provare la verità o la falsità dell'idealismo, dovremmo riuscire ad avere tale certezza. In tal caso, avremmo la conoscenza della relazione tra fenomeno e noumeno.

CitazioneNon é dimostrabile (e nemmeno é dimostrabile che non ci sia (sospensione del giudizio!).
Ma non ci vedo nessuna aporia).

Sì, hai ragione. Ho "mescolato" un po' le cose in questa parte  ;D


CitazionePer i solipsisti esiste solo il mondo fenomenico suo proprio di ciascuno di essi (ma potrebbe esistere anche se stesso come soggetto in sé del suo proprio mondo fenomenico).


Ok, ma questo è vero perché il solipsista nega la realtà delle altre menti. Gli idealisti soggettivi (a la Berkeley) negano che ci siano "realtà" oltre a soggetti e contenuti mentali, ma il "mondo fenomenico" di ciascuno, di fatto, è la successione di apparenze. 


CitazioneSe la realtà-così-come-é é il noumeno o realtà in sé, allora questa é una palese , assurda autocontraddizione.
Altra cosa é l' intersoggettività (peraltro indimostrabile) dei fenomeni materiali scientificamente conoscibili.

Volevo dire che per alcuni scienziati, la "realtà-così-come-è" è conoscibile dall'indagine fenomenica (una forma sottile di realismo naive...).

CitazioneNon é superato, malgrado le illusioni di Kant, perché la causalità vale unicamente nei fenomeni e non é dimostrabile né provabile empiricamente.

Hai ragione   ;)
Citazione
CitazioneNon capisco: le conoscenze scientifiche non sono certo metafisica (e con la metafisica non vanno confuse, non solo per i positivisti logici, che piuttosto, almeno i "classici", la metafisica negavano).
Ma hanno ("dipendono da") necessari fondamenti epistemologici fra i quali l' intersoggettività, che é inconciliabile (contraddittoria) con il solipsismo.



Un solipsista può utilizzare il metodo scientifico. Per esempio, può fare verifiche sperimentali. L'inter-soggettività, secondo me, necessaria quando assumi che ci siano altre menti. A questo punto, utilizzi l'assioma dell'inter-soggettività per dire che la procedura dell'esperimento deve essere indipendente dal soggetto che conduce l'esperimento. Ma, questo perché il metodo scientifico è stato stabilito senza considerare l'eventualità del solipsismo. In realtà, il solipsista può fare teorie e test sperimentali. (Così come, in linea di principio, non è impossibile sognare di testare la teoria di Newton  :) )

CitazioneMI SCUSO PER LA PIGNOLERIA (probabilmente fastidiosa, ma a mio parere necessaria ai fini della chiarezza dei ragionamenti).

Nessun problema! Ho apprezzato, in realtà, la tua pignoleria. Ha aiutato anche a me a chiarire i miei pensieri :) Quindi, ti devo anche ringraziare, in realtà  :)

Ciao!

Spero di non averti frainteso in alcuni punti. Gli argomenti sono piuttosto astrusi e quindi probabilmente in certi punti non ho capito quello che intendevi  :) in tal caso, mi spiace!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

Citazione
Citazione
CitazioneNon capisco: le conoscenze scientifiche non sono certo metafisica (e con la metafisica non vanno confuse, non solo per i positivisti logici, che piuttosto, almeno i "classici", la metafisica negavano).
Ma hanno ("dipendono da") necessari fondamenti epistemologici fra i quali l' intersoggettività, che é inconciliabile (contraddittoria) con il solipsismo.

Su questo punto, inoltre, se prendiamo alla lettera la necessità della presenza di altri soggetti, non sarebbe nemmeno possibile fare scienza se, per esempio, rimane un unico soggetto. Si può pensare che, per esempio, ciò avvenga a causa di un cataclisma. In tal caso, come nel caso del solipsista avremmo un solo soggetto (anche se in questo caso, tale situazione è contingente) e inoltre potremmo anche avere la materia. Ciononostante, anche senza altri soggetti, il nostro ultimo essere umano sarebbe in linea di principio in grado di teorizzare e fare test sperimentali per le sue teorie
:)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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