La critica della Scienza è fondata?

Aperto da Carlo Pierini, 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM

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sgiombo

Citazione di: Apeiron il 28 Luglio 2018, 11:32:24 AM

Come ho detto (1) come Kant accetto le verità universali del mondo fenomenico (ad esempio che la Terra non è piatta oppure che la relatività di Einstein spiega meglio le cose della teoria Newtoniana) (2) tali verità, però, si basano sullo studio dell'oggetto così come è per il soggetto (ovvero per la mente che conosce) e dunque bisogna tener conto anche del soggetto (ripeto, la differenza tra questa congettura e il relativismo è che, per il relativismo, dovremmo rinunciare a parlare di verità condivise cosa che, personalmente, ritengo molto erronea) (3) visto che c'è per così dire il contributo del soggetto, non vediamo la "realtà-così-come-è", ovvero in modo indipendente da come noi stessi rappresentiamo il mondo fenomenico
Citazione
Fin qui (per quel che potesse interessare la mia opinione) concordo in pieno.


(4) a differenza di Kant, però, non ritengo che la "realtà-così-come-è" sia completamente inaccessibile a noi e anzi ritengo che lo studio dei fenomeni ci fornisce una sorta di "approssimazione" della "realtà-così-come-è" (conoscibile da una mente inerrante, ovvero, che "vede le cose per quelle che sono". Ovviamente, l'esistenza di tale mente è una congettura). Il fondamento della vertità è proprio dato dalla "realtà-così-come-è" (cosa che è visibile da quella ipotetica mente). Se, ad esempio, notiamo che la relatività funziona meglio della meccanica newtoniana è ragionevole concludere che la relatività ci riesce a dare qualche informazione anche sulla "realtà-così-come-è" (e quindi sulla verità ultima, la conoscenza della mente inerrante).  
Citazione
A questo proposito concordo invece con Kant.

Secondo me se c' é una realtà in sé o noumeno (come credo arbitrariamente essendo indimostrabile logicamente a priori e non provabile empiricamente a posteriori), reale anche allorché, se e quando non accadono realmente fenomeni coscienti, allora tutta la conoscenza che possiamo avere di questa é limitata alla sua (eventuale) esistenza ed alla sua (eventuale) corrispondenza biunivoca con la realtà fenomenica (e il divenire di essa): altro non possiamo (eventualmente) saperne, al contrario della realtà fenomenica che ci appare alla coscienza, e di cui dunque possiamo dare descrizioni più o meno accurate e vere.

La conoscenza, sia di senso comune che scientifica (fra le quali ritengo esista una differenza meramente "quantitativa" o "di grado") é sempre e comunque inevitabilmente conoscenza di fenomeni, mai di cose in sé. Questa conoscenza (fondata anche su presupposti arbitrari, degni di dubbio in linea teorica o di principio che ne sono conditiones sine qua  non; per lo meno di quella scientifica) tende di fatto (salvo controtendenze) a progredire, a farsi più completa, più esatta, meno "inquinata da credenze false", avvicinandosi per così dire "asintoticamente" a un ideale di conoscenza completa, assolutamente precisa, del tutto "monda da convinzioni errate e false" del mondo fenomenico (anzi, a rigore, solo della sua componente o "parte" materiale per quanto riguarda la conoscenza scientifica) per come é e diviene.
Ma non invece ad alcuna pur limitata conoscenza della realtà in sé o noumeno, che é diversa cosa dalla realtà fenomenica (materiale; intesa) nella sua completezza (conoscibile): passando da Newton ad Einstein e alla M Q ci siamo progressivamente avvicinati a una (ideale) conoscenza completa, esatta, scevra da errori e falsità del mondo fenomenico materiale (cui abbiamo accesso cosciente); la quale però é tutt' altro che una conoscenza delle cose in sé (se ci sono) reali indipendentemente dalla realtà delle sensazioni fenomeniche (delle quali l' "esse est percipi"): ma nella conoscenza delle cose in sé non siamo avanzati di un millimetro, a loro sua ipotetica conoscenza "perfetta" non si siamo per niente avvicinati.



P.S.: Sto per partire per le vacanze, allorché, come al solito, sarò scollegato da Internet.
Spero di riuscire a proseguire questa interessante discussione, eventualmente in Settembre (e mi scuso anticipatamente per l' eventuale ritardo delle mie risposte).


Carlo Pierini

#46
APEIRON
Rigurado alla mia congettura ( e sono felice di chiamarla tale, dopo spiego il motivo).
1- non ho mai detto una cosa del genere. Come ho detto (1) come Kant accetto le vertità universali del mondo fenomenico (ad esempio che la Terra non è piatta oppure che la relatività di Einstein spiega meglio le cose della teoria Newtoniana) (2) tali verità, però, si basano sullo studio dell'oggetto così come è per il soggetto (ovvero per la mente che conosce) e dunque bisogna tener conto anche del soggetto (ripeto, la differenza tra questa congettura e il relativismo è che, per il relativismo, dovremmo rinunciare a parlare di verità condivise cosa che, personalmente, ritengo molto erronea) (3) visto che c'è per così dire il contributo del soggetto, non vediamo la "realtà-così-come-è", ovvero in modo indipendente da come noi stessi rappresentiamo il mondo fenomenico (4) a differenza di Kant, però, non ritengo che la "realtà-così-come-è" sia completamente inaccessibile a noi e anzi ritengo che lo studio dei fenomeni ci fornisce una sorta di "approssimazione" della "realtà-così-come-è" (conoscibile da una mente inerrante, ovvero, che "vede le cose per quelle che sono". Ovviamente, l'esistenza di tale mente è una congettura). Il fondamento della vertità è proprio dato dalla "realtà-così-come-è" (cosa che è visibile da quella ipotetica mente).

CARLO
E' proprio questo l'errore fondamentale della concezione kantiana-humiana e, quindi, dell'epistemologia che ad essa si ispira. E' profondamente ambiguo sostenere che <<il fondamento della verità è dato dalla "realtà-così-come-è>>, perché, di fatto, nessuna delle verità con cui la Scienza ha rivoluzionato il pensiero e la vita materiale dell'uomo coincide rigorosamente con la "realtà-così-com'è", ma esse fanno parte di un processo progressivo che TENDE A descrivere la "realtà-così-com'è" attraverso l'acquisizione di un numero via via  crescente di tante piccole verità indubitabili riguardanti sia i fenomeni (la Terra è rotonda, i pianeti girano intorno al Sole, ecc.), sia le leggi che governano le relazioni tra i fenomeni (legge di gravità, leggi della dinamica, dell'elettricità, della termodinamica, ecc.).
Infatti, la verità non si definisce come "la realtà così com'è" (verità = oggetto assoluto) ma come la concordanza rigorosa tra i fenomeni oggettivi osservati e la descrizione soggettiva di essi, cioè, come sosteneva Spinoza: <<ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>. Ed è con QUESTO concetto di verità che si è costruita la forma di conoscenza più feconda e rivoluzionaria che l'uomo abbia mai concepito (è per questo che nessuno risponde alle domande che ho formulato nel post di apertura).
Pertanto, è assolutamente infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile. Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"?

paul11

#47
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Luglio 2018, 13:42:07 PM
Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"?  infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile.

ciao Carlo,
dire fallibilismo e dire conoscenza fallibile in pratica sono la stessa cosa, in quanto l'agente conoscitivo, il soggetto è limitato.

Ho estrapolato citando una parte del tuo scritto.
Se tu ,Carlo Pierini, fossi una cosa-in sè, io, paul11 posso conoscerti solo dal fenomeno, dall'effetto, vale a dire per quello che scrivi nei post.
Quindi io non posso conoscerti come cosa-in-sè, ma come fenomeno reiterato nei tuoi post, e farmi un'idea di quello che sei, ma sarà sempre limitata per quanto possa essere approfondita la ricerca su di te.quindi è la relazione fra paul11 e Carlo Pierini,  è gnoseologica.
E per quantio possa conoscerti anche di persona e avere un'idea sempre più approfondita ,non è detto che corrisponda ad una verità che è inesplicabile.
La scienza ha problemi ontologici(la cosa in sè) e cerca di risolverli descrivendo un oggetto.

Perchè funziona la scienza? Perchè non è necessario conoscere la cosa in sè e per sè, ma le sue descrizioni e proprietà ,le sue condizioni.
Ma da'latra parte Carlo Pierini, saresti davvero capace di descriverti come verità assoluta ,come una cosa in sè?
Dovresti sapere la tua vera natura, conoscere perfettamente il tuo corpo, le tue emozioni i tuoi sentimenti.
ora se l'uomo è impossibile da descrivere ontologicamente ed è lui il principio gnoseologico, come agente conoscitivo, noi che non conosciamo davvero noi stessi, come possiamo dire davvero il vero sempre di ogni cosa che è nel mondo?
Se noi non fossimo fallibili, non avremmo avuto necessità di una logica, non avremmo avuto bisogno di validare argomentazioni, perchè avremmo sempre e comunque dichiarato verità , mai falsità la nostra conoscenza sarebbe sempre stata certa e mai probabilmente vera. .Così pure nei processi di determinazione di una verità scientifica, dove la cautela è appunto la modalità per muoversi verso una conoscenza il più possibile veritiera, ma mai definitivamente certamente vera.

Carlo Pierini

#48
Citazione di: paul11 il 28 Luglio 2018, 18:42:38 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Luglio 2018, 13:42:07 PM
Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"?  infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile.


PAUL
ciao Carlo,
dire fallibilismo e dire conoscenza fallibile in pratica sono la stessa cosa, in quanto l'agente conoscitivo, il soggetto è limitato.



CARLO
Non è così.
1 - La conoscenza è fallibile perché procede anche per prove ed errori; ma la storia ci mostra che gli errori possono essere corretti e che è possibile giungere a verità indubitabili.
2 - "Fallibilismo", invece, significa che TUTTE le conoscenze possibili sono fallibili e che dunque non esistono verità indubitabili. Il che è palesemente falso, perché la scienza è pervenuta a decine di migliaia di verità ormai pienamente accertate.

PAUL11
Perchè funziona la scienza? Perchè non è necessario conoscere la cosa in sè e per sè, ma le sue descrizioni e proprietà, le sue condizioni.
.
CARLO
...Ma la "cosa in sé" non è altro che la somma di TUTTE le proprietà-qualità e di TUTTE le verità che riguardano la cosa. Quindi sarebbe inconoscibile SOLO SE tale somma fosse infinita.  Ma non ci sono motivi per pensare che una cosa finita abbia un numero infinito di proprietà/verità.  Quindi è del tutto arbitrario postularne l'inconoscibilità.
E comunque, se con le limitate conoscenze che la scienza ha accumulato in soli tre secoli, essa ha rivoluzionato il pensiero e ha trasformato radicalmente l'attività dell'uomo, evidentemente il problema della "cosa in sé" è una questione talmente marginale da non rappresentare alcun ostacolo per il progresso del sapere.

PAUL11
Carlo Pierini, saresti davvero capace di descriverti come verità assoluta, come una cosa in sé?

CARLO
Oggi no, ma non si può escludere che tra diecimila (o centomila) anni di progresso delle scienze (fisica, biologia, psicologia, ecc.) sia possibile farlo.  COSA lo impedisce?
Per cui, sarebbe ora di finirla di considerare Kant e Hume dei geni dell'epistemologia e di cominciare a comprendere meglio le ragioni del successo strepitoso della scienza e di trasferire (mutatis mutandis) i suoi criteri anche alle scienze cosiddette dello spirito (filosofia, psicologia, teologia, ecc.) che sono assolutamente prive di criteri di verità e per le quali vige ancora la logica ancestrale e rudimentale dell'"ipse dixit".
.

Carlo Pierini

#49
Citazione di: Apeiron il 28 Luglio 2018, 11:32:24 AM
comunque se per te l'inglese non è un problema, ti segnalo un link dove Jung viene letto in chiave Kantiana http://www.friesian.com/jung.htm inoltre nello stesso sito l'autore espone il suo pensiero, parlando della sua affinità a diversi pensatori, tra cui Platone e Kant (e tra questi due trova diverse somiglianze e Kant viene interpretato anche come una sorta di platonico) http://www.friesian.com/ross/platonis.htm


CARLO
Purtroppo l'inglese non è il mio forte. Tuttavia, la concordanza tra il pensiero di Jung e quello di Kant è solo apparente. Per esempio, mentre Kant sostiene l'inconoscibilità di Dio, scrive Jung:

"L'ipotesi dell'esistenza di un Dio al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di lui, né lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare".    [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]

"Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla". [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]

Si può rilevare una certa somiglianza tra i due punti di vista in scritti come questi:


"So ben poco che cosa sia lo spirito in sé e per sé, ma so altrettanto poco che cosa siano gli istinti in sé e per sé. L'uno mi riesce altrettanto misterioso quanto gli altri, ma non posso neanche spiegare l'una cosa come un malinteso dell'altra.  [...] Lo spirito è l'altro polo del mondo". [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg. 215]

"L'Io, che in apparenza è ciò che immaginiamo di conoscere meglio di ogni altra cosa, è in realtà un fatto assai complesso che racchiude in sé oscurità insondabili".  [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.105]

"L'esistenza psichica dell'inconscio collettivo si riconosce soltanto dalla presenza di contenuti capaci di divenire coscienti; possiamo perciò parlare di un inconscio solo in quanto siamo in grado di indicarne i contenuti quando questi si manifestano alla coscienza (sogni, visioni, intuizioni, ispirazioni, ecc.) sotto forma di immagini tipiche universalmente diffuse nella storia della cultura: gli archetipi".   [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg. 3]

...Ma queste non sono affermazioni sull'inconoscibilità dell'Io o dell'inconscio, bensì un riferimento alle nostre conoscenze attuali.


Infine, sembrano coincidere delle idee come queste:

"Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me".  [KANT: Critica della ragion pratica]

"Paracelso considera la psiche oscura [l'inconscio] come un cielo notturno disseminato di stelle, un cielo in cui i pianeti e le costellazioni sono rappresentati dagli archetipi in tutta la loro luminosità e numinosità. Il cielo stellato è infatti il libro aperto della proiezione cosmica, il riflesso dei mitologemi, degli archetipi appunto".   [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.213]

"La morale è una funzione dell'anima umana, ed è vecchia quanto l'umanità. Essa non è imposta dal di fuori, ma vive a priori in noi stessi: non la legge ma l'essenza morale, senza la quale la vita comune della società umana sarebbe impossibile".   [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.65]

...Ma dalle parole che ho evidenziato in grassetto si può cogliere la differenza sostanziale.

paul11

Citazione di: Carlo Pierini il 28 Luglio 2018, 22:36:36 PM
Citazione di: paul11 il 28 Luglio 2018, 18:42:38 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Luglio 2018, 13:42:07 PM
Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"?  infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile.


PAUL
ciao Carlo,
dire fallibilismo e dire conoscenza fallibile in pratica sono la stessa cosa, in quanto l'agente conoscitivo, il soggetto è limitato.



CARLO
Non è così.
1 - La conoscenza è fallibile perché procede anche per prove ed errori; ma la storia ci mostra che gli errori possono essere corretti e che è possibile giungere a verità indubitabili.
2 - "Fallibilismo", invece, significa che TUTTE le conoscenze possibili sono fallibili e che dunque non esistono verità indubitabili. Il che è palesemente falso, perché la scienza è pervenuta a decine di migliaia di verità ormai pienamente accertate.

PAUL11
Perchè funziona la scienza? Perchè non è necessario conoscere la cosa in sè e per sè, ma le sue descrizioni e proprietà, le sue condizioni.
.
CARLO
...Ma la "cosa in sé" non è altro che la somma di TUTTE le proprietà-qualità e di TUTTE le verità che riguardano la cosa. Quindi sarebbe inconoscibile SOLO SE tale somma fosse infinita.  Ma non ci sono motivi per pensare che una cosa finita abbia un numero infinito di proprietà/verità.  Quindi è del tutto arbitrario postularne l'inconoscibilità.
E comunque, se con le limitate conoscenze che la scienza ha accumulato in soli tre secoli, essa ha rivoluzionato il pensiero e ha trasformato radicalmente l'attività dell'uomo, evidentemente il problema della "cosa in sé" è una questione talmente marginale da non rappresentare alcun ostacolo per il progresso del sapere.

PAUL11
Carlo Pierini, saresti davvero capace di descriverti come verità assoluta, come una cosa in sé?

CARLO
Oggi no, ma non si può escludere che tra diecimila (o centomila) anni di progresso delle scienze (fisica, biologia, psicologia, ecc.) sia possibile farlo.  COSA lo impedisce?
Per cui, sarebbe ora di finirla di considerare Kant e Hume dei geni dell'epistemologia e di cominciare a comprendere meglio le ragioni del successo strepitoso della scienza e di trasferire (mutatis mutandis) i suoi criteri anche alle scienze cosiddette dello spirito (filosofia, psicologia, teologia, ecc.) che sono assolutamente prive di criteri di verità e per le quali vige ancora la logica ancestrale e rudimentale dell'"ipse dixit".
.
ciao Carlo ,
è abbastanza chiaro che il fallibilismo è una definizione sul limite dell'agente conoscitivo.
questa corrente epistemologica è funzionale alla scienza moderna.

Sono abbastanza d'accordo sul tuo pensiero in generale, ma  sbagli sulla capacità di trovare la verità nella scienza moderna che infatti riconosce la sua fallibilità.

Altro esempio: l'alchimia.
Il passaggio alla chimica-fisica moderna fu da una parte il metodo sperimentale galileano e dall'altra la natura non fu più ritenuta un tabù,si agisce sui diagrammi di causa effetto, poi più tardi arriverà la concezione organicistica e non più meccanicistica, anche se continuano a convivere per convenzione,
Questo passaggio dall'alchimia alla sistematizzazione moderna guadagna nella manipolabilità sulla materia ,ma perde l'essenza che era insita nell'alchimia della materia.La materia non è un semplice conglomerato di atomi e molecole con livelli energetici .

C'è qualche altra energia che a tutt'oggi non è spiegabile ad esempio nelle teorie dell'abiogenesi, su come è nata la vita.
Ma il medico riesce comunque a dare sollievo al paziente, anche se non conosce il principio della vita,perchè agisce sulla materialità, ma non sa se a sua volta esiste un meccanismo ancora più profondo, originario.
Il fatto che le discipline fisiche agiscano per tentativi sperimentali e spesso le scoperte sono del tutto casuali(si stava indagano su qualcosa e invece si è trovato dell'altro) la dice lunga sulla teoria della scienza, ma ciò non inficia la cpacità di manipolazione della materia.
il problema filosofico è che la scienza è dentro lo schema della Tecnica, in cui l'uomo cerca utilità e funzionalità per sè. egoisticamente
Avendo perso i principi ontologici che riconducevano alle essenze, e l'alchimia era ancora in quella cultura antica, l'uomo guadagna in potenza materialistica, ma perde nell'essenza esistenziale e dell'essere.Oggi si fida della tecnica e spinge la scienza a
trovare i rimedi

La cosa in sè non è la somma delle proprietà e parti. Jung non avrebbe trovato l'archetipo nei suoi pazienti  se avesse seguito questa strada semplicistica.

Il concetto di inconoscibilità è dentro una cultura, quella scientifica moderna, a cui personalmente credo fino ad un certo punto.
Questa cultura nega del tutto gli oggetti ontologici a cui tu credi, come Dio, spirito, ecc, in quanto nello schema sperimentale scientifico moderno sono indimostrabili "fisicamente e materialmente".
Per questo io non ritengo la scienza cultura, perchè ha autolimitato il suo ambito e sbaglia quando si ritene cultura e fa autolimitare altre culture come la filosofia.

Carlo Pierini

#51
PAUL11
Sono abbastanza d'accordo sul tuo pensiero in generale, ma sbagli sulla capacità di trovare la verità nella scienza moderna


CARLO
Già ho risposto ieri alla medesima obiezione di Davintro
<<Secondo te, non è vero al 100% che i pianeti del Sistema Solare girano intorno al Sole e non intorno alla Terra?
Non è vero al 100% che la Terra non è piatta, ma è uno sferoide?
Non è vero al 100% che il nostro sangue non è immobile (come si credeva fino al XVII° secolo) ma che circola nelle vene pompato dal cuore?
Non è vero al 100% che il fuoco non è una sostanza (chiamata flogisto, come si credeva fino al sec. XVIII), ma si tratta di una reazione chimica?
....
Vuoi che ti compili una lista di altre 2 o 3 mila verità inconfutabili, oppure ti bastano queste?>>


PAUL11
...la scienza moderna infatti riconosce la sua fallibilità.

CARLO
Come ho già detto, "fallibilità" non significa che ogni verità scientifica sia fallibile (fallibilismo).

PAUL11
Altro esempio: l'alchimia.
Il passaggio alla chimica-fisica moderna fu da una parte il metodo sperimentale galileano e dall'altra la natura non fu più ritenuta un tabù, si agisce sui diagrammi di causa effetto, poi più tardi arriverà la concezione organicistica e non più meccanicistica, anche se continuano a convivere per convenzione,
Questo passaggio dall'alchimia alla sistematizzazione moderna guadagna nella manipolabilità sulla materia, ma perde l'essenza che era insita nell'alchimia della materia. La materia non è un semplice conglomerato di atomi e molecole con livelli energetici. C'è qualche altra energia che a tutt'oggi non è spiegabile ad esempio nelle teorie dell'abiogenesi, su come è nata la vita. Ma il medico riesce comunque a dare sollievo al paziente, anche se non conosce il principio della vita, perchè agisce sulla materialità, ma non sa se a sua volta esiste un meccanismo ancora più profondo, originario. (...)
Avendo perso i principi ontologici che riconducevano alle essenze, e l'alchimia era ancora in quella cultura antica, l'uomo guadagna in potenza materialistica, ma perde nell'essenza esistenziale e dell'essere.


CARLO
Sono totalmente d'accordo. L'alchimia vedeva la materia come una manifestazione dello spirito, come una realtà affine alla realtà spirituale e nella quale lo spirito stesso poteva rispecchiarsi analogicamente, nello stesso modo in cui, in Oriente, il taoismo considera lo Yin-Materia e lo Yang-Spirito come le due polarità fenomeniche del Principio-Tao trascendente. Infatti, per descrivere la mèta della loro ricerca (la Pietra Filosofale) gli alchimisti adottavano delle metafore che abbracciavano entrambe le realtà ultime, come, appunto, la pietra filosofale, lo hieròs gámos (matrimonio sacro), il salvator spiritus et naturae, l'homunculus, lo spiritus mercurialis, ecc..
Ma tutto ciò non vuol dire che la materia non sia ANCHE quel conglomerato di atomi e molecole descritto dalla scienza. E io sono sicuro che un giorno la visione alchemica e quella scientifica si fonderanno in una forma superiore di conoscenza.

E' interessante quanto scrive Jung a questo proposito:

<<La mancanza di risultati positivi ha gettato sull'alchimia un discredito che si è fatto sempre più ampio. Ma rimane ancora una serie di testimonianze che fanno chiaramente vedere come questi brancolamenti senza speranza dal punto di vista chimico assumano tutt'altro aspetto, se considerati sotto il profilo psichico. Come ho mostrato in "Psicologia e Alchimia (1944), durante il procedimento chimico si manifestavano quelle proiezioni psichiche che portavano alla luce i contenuti inconsci, spesso perfino in forma visionaria. Come ha riconosciuto la moderna psicologia clinica, in certi casi tali proiezioni possono rivelarsi della massima efficacia terapeutica. Non per nulla gli antichi "Artisti" identificavano la loro "nigredo" con la melanconia e celebravano l'Opus come un rimedio sovrano per tutte le "afflizioni dell'animo": l'esperienza aveva loro mostrato - e non v'era altro da aspettarsi - che se la borsa, invece di colmarsi d'oro, si svuotava ancora di più, la loro anima traeva profitto da quell'occupazione, supponendo, beninteso, che essi fossero riusciti a non soccombere di fronte a certi non trascurabili pericoli psichici.
Le proiezioni degli alchimisti non sono altro che contenuti inconsci che appaiono nella materia, quei medesimi contenuti che la psicoterapia moderna rende consci con il metodo dell'immaginazione attiva prima che essi si tramutino in proiezioni>>. [JUNG: Mysterium coniunctionis - pp.329-330]

<<Se il "Lapis philosophorum" fosse stato solo oro, gli alchimisti sarebbero stati dei ricconi; se fosse stato la panacea, avrebbero avuto un rimedio contro ogni malattia; se fosse stato l'elisir di lunga vita, sarebbero vissuti mille anni e forse più. Ma tutto questo non avrebbe reso necessario parlare del Lapis in termini religiosi. Se infatti quest'ultimo viene celebrato come il secondo avvento del Messia, allora bisogna supporre che gli alchimisti intendessero proprio qualcosa di questo genere. Essi concepivano l'Arte come un carisma, come un dono dello Spirito Santo o della Sapientia Dei; si trattava, comunque, pur sempre di opera umana, e il misterioso figlio di Dio veniva prodotto artificialmente nella storta, sebbene il fattore decisivo fosse proprio un miracolo divino>>.  [JUNG: Mysterium coniunctionis - pp.327-8]

PAUL11
La cosa in sè non è la somma delle proprietà e parti. Jung non avrebbe trovato l'archetipo nei suoi pazienti  se avesse seguito questa strada semplicistica.

CARLO
Io, invece, direi il contrario: che se Jung avesse dato retta all'idea kantiana di inconoscibilità del Trascendente, non avrebbe mai aperto la strada che ha portato alla conoscenza di quelle "cose in sé" che sono gli archetipi.

PAUL11

Questa cultura nega del tutto gli oggetti ontologici a cui tu credi, come Dio, spirito, ecc, in quanto nello schema sperimentale scientifico moderno sono indimostrabili "fisicamente e materialmente".

CARLO
Certo, la scienza si occupa SOLO di entità materiali-misurabili, quindi non può dire assolutamente nulla sulle entità metafisiche. Ma ciò non significa che esse siano inaccessibili alla conoscenza.

PAUL11
Per questo io non ritengo la scienza cultura, perché ha autolimitato il suo ambito e sbaglia quando si ritiene cultura e fa autolimitare altre culture come la filosofia.

CARLO
Infatti, le scienze della natura costituiscono SOLO UNA delle due polarità della cultura; l'ALTRA polarità è quella delle scienze dello spirito, sebbene quest'ultime non siano ancora pervenute alla determinazione di criteri di verità oggettivi comparabili a quelli che hanno trasformato l'antica Filosofia della Natura in una scienza affidabile ed estremamente feconda.
Insomma, le scienze della Natura non hanno alcuna colpa se le discipline dello spirito (tra cui la filosofia) sono ferme ad uno stadio ancora primitivo e non si sono mai evolute, come invece si è evoluta la scienza (nel dominio che le è proprio).

Lou

Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 19:15:03 PM
Citazione di: Lou il 27 Luglio 2018, 18:30:39 PM
LOU
Che il ruolo della filosofia sia quello di scienza delle scienze ponendosi come la scienza atta a dare unità alla frammentazione delle scienze empiriche è una grande sfida di questi tempi, direi che l'ultimo tentativo che mi viene in mente sia stato quello sviluppato da Husserl, ma a mio modesto parere, direi che viviamo un'epoca in cui sono le tecnoscienze i principali soggetti a cui avrebbe da rivolgersi la critica filosofica, soprattutto nel loro afflato e nelle derive tecnocratiche a cui si assiste, con le sfide, per certi versi inedite che pongono, sia da un punto di vista etico che teoretico. Derive di cui la crisi della filosofia trovo sia uno tra gli ingredienti che ha contribuito a crearle. Il postmodernismo, fortissimo nella sua pars destruens non ha avuto lo stesso slancio nella pars construens, ma,  forse, le sue corde suonano l'atto decostruente come un momento di melodie creative.
Detto ciò e nonostante la narrazione scientifica in senso moderno risulti essere la narrazione più (con)vincente, ciò non la esime da critica e, soprattutto, figlia, abbastanza edipica a dire il vero,  o sorella che sia, non esaurisce le interrogazioni che, volenti o nolenti, l'umano continua a porsi.


CARLO
Sono pienamente d'accordo.
A questo proposito ti propongo un brano di Cassirer molto significativo:

<<Che si fosse potuti arrivare a questa catastrofe, a questa disintegrazione dei nostri ideali di cultura etico-spirituali, non era, secondo Schweitzer, imputabile alla filosofia. Si trattava di un fatto emerso da altre condizioni nello sviluppo del pensiero. «Ma - spiega Schweitzer - la filosofia era colpevole perché non ammetteva il fatto... La vocazione ultima della filosofia è quella d'essere la guida e il guardiano della ragione in generale; sarebbe stato suo dovere, date le circostanze, confessare al mondo che gli ideali etici non erano più sorretti da alcuna concezione del mondo ma, sino a nuovo avviso, erano abbandonati a se stessi e dovevano farsi strada nel mondo con la loro sola forza intrinseca. Essa avrebbe dovuto esortarci a lottare a sostegno degli ideali su cui poggia la nostra civiltà... Non avrebbe dovuto risparmiare sforzo alcuno per rivolgere l'attenzione dei dotti e degli indotti al problema degli ideali della civiltà... Nell'ora del pericolo il guardiano che avrebbe dovuto tenerci svegli dormiva, cosicché noi non opponemmo resistenza alcuna». Io credo che tutti noi, che negli ultimi decenni abbiamo lavorato nel campo della filosofia teoretica, meritiamo in certo senso questa censura di Schweitzer. Non mi escludo dal numero, né assolvo me stesso. Mentre conformavamo i nostri sforzi al concetto scolastico della filosofia, immersi nelle sue difficoltà fino a restar imprigionati nelle sue sottigliezze, troppo spesso abbiamo perso di vista l'autentico concetto della fìlosofìa nel suo nesso con il mondo.
Ma oggi non possiamo più tener chiusi gli occhi dinanzi al pericolo che ci minaccia. Oggi l'urgenza dei tempi ci ammonisce più vigorosamente e imperativamente che mai che sono di nuovo in giuoco per la filosofia le sue scelte ultime e supreme. Esiste davvero un qualcosa che chiamiamo verità teoretica oggettiva? Esiste davvero ciò che le generazioni precedenti hanno inteso come l'ideale della moralità, dell'umanità? Ed esistono proposizioni etiche universalmente vincolanti, che trascendano l'individuo, lo Stato, la nazione? In un'epoca in cui diviene possibile porre queste domande, la filosofia non può starsene in disparte, muta e inerte. Oggi come mai in passato è giunto per essa il momento di riflettere nuovamente su se stessa, su ciò che è e su ciò che è stata, sulla sua finalità fondamentale, sistematica, e sul suo passato storico-spirituale. [...] Senza la rivendicazione di una verità autonoma, oggettiva, indipendente, non soltanto la filosofia, ma tutte quante le scienze particolari, così della natura come dello spirito, perderebbero la loro stabilità e il loro senso.  Nel nostro tempo non è dunque soltanto un'esigenza di metodo, ma un comune destino spirituale, che congiunge la filosofia alle scienze particolari, e lega strettamente l'una alle altre. Al pessimismo persuaso che l'ora della nostra cultura è suonata, che il «tramonto dell'Occidente» è ineluttabile, che null'altro possiamo fare se non contemplare questo tramonto in quieto raccoglimento; a questo pessimismo e fatalismo noi non intendiamo rassegnarci>>. [ERNST CASSIRER: Simbolo, mito e cultura - pp.68/70]

<<Nel momento stesso in cui non ha più fiducia nel proprio potere, in cui cede il passo ad un atteggiamento meramente passivo, la fìlosofìa non è più in grado di assolvere il suo più importante compito educativo. Non può più insegnare all'uomo come sviluppare le sue facoltà attive al fìne di formare la sua vita individuale e sociale. Una filosofia la quale indulga a fosche predizioni circa il declino e l'inevitabile distruzione della cultura umana, una filosofia la cui attenzione sia totalmente concentrata sull'esser gettato dell'uomo, non può più fare il suo dovere. [...]
«Nel diciottesimo secolo e nei primi decenni del diciannovesimo - scrive Schweitzer - la filosofia s'era posta a guida del pensiero in generale. Allora la filosofia portava in idee elementari circa l'uomo, la società, la razza, l'umanità e la civiltà, alimentando così, in modo perfettamente naturale, una vivente filosofia popolare che a sua volta agiva sul pensiero in generale e teneva desto l'entusiasmo per la civiltà». Tutto ciò andò perduto durante la seconda metà dell'Ottocento. E la filosofia non si rese neppur conto della perdita. Non si accorse che la forza delle idee concernenti la civiltà ad essa affidate si affievoliva fino a svanire. Malgrado tutta la sua dottrina, la filosofia era divenuta straniera al mondo ed ai problemi di vita che concretamente occupavano l'uomo; e l'intero pensiero contemporaneo non prendeva parte alcuna nelle attività della sua epoca. [...] «La filosofia filosofò così poco sulla civiltà che non s'accorse che lei stessa e con essa l'epoca sua si svuotavano sempre più di civiltà. Nell'ora del pericolo il guardiano che avrebbe dovuto tenerci svegli dormiva, cosicché noi non opponemmo resistenza alcuna»>>. [ERNST CASSIRER: Simbolo, mito e cultura - pp.233/36]
Cassirer mi manca, leggo-grazie-quello che mi proponi e mi prendo tempo.
Però, e leggendoti, stai sicuro che "la" verità sia mera questione di terra piatta o tonda? La butto lì sta domanda, ma su la posta in gioco, in merito a verità, non ti pare differente?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Carlo Pierini

Citazione di: Lou il 30 Luglio 2018, 01:39:43 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 19:15:03 PM
Citazione di: Lou il 27 Luglio 2018, 18:30:39 PM
LOU
Che il ruolo della filosofia sia quello di scienza delle scienze ponendosi come la scienza atta a dare unità alla frammentazione delle scienze empiriche è una grande sfida di questi tempi, direi che l'ultimo tentativo che mi viene in mente sia stato quello sviluppato da Husserl, ma a mio modesto parere, direi che viviamo un'epoca in cui sono le tecnoscienze i principali soggetti a cui avrebbe da rivolgersi la critica filosofica, soprattutto nel loro afflato e nelle derive tecnocratiche a cui si assiste, con le sfide, per certi versi inedite che pongono, sia da un punto di vista etico che teoretico. [...]

CARLO
Sono pienamente d'accordo.
A questo proposito ti propongo un brano di Cassirer molto significativo:
[...]
LOU
Cassirer mi manca, leggo-grazie-quello che mi proponi e mi prendo tempo.
Però, e leggendoti, stai sicuro che "la" verità sia mera questione di terra piatta o tonda? La butto lì sta domanda, ma su la posta in gioco, in merito a verità, non ti pare differente?

CARLO
Trovi la mia risposta nel nuovo thread: "Perché un Principio universale?"

davintro

Per Oxdeadbeef

 
evitare di "segare" il ramo in cui si è" cioè evitare di delimitare l'ambito della conoscenza scientifica tagliando fuori la conoscenza chiamata alla riflessione critica sulla scienza stessa (riflessione che in questo modo dovrebbe autonegarsi come scientifica), è possibile nel momento in cui si riconosce, accanto al materiale fenomenico sensibile, che riportiamo alle categorie estetiche di spazio e tempo, un materiale fenomenico intelligibile, consistente nel complesso delle strutture trascendentali della mente, che in quanto "trascendentali", cioè operanti e presenti al di là delle contingenze empiriche spaziotemporali, non possono essere assimilati al materiale della sensibilità. La loro visione è a tutti gli effetti una visione metafisica, dato che il contenuto in questione non è di natura fisica, e se questa visione è ciò cui si fonda la critica della conoscenza, allora la scientificità di tale critica dovrebbe richiedere anche la validità scientifica della visione, cioè di una metafisica. Forse Kant non ha saputo trarre fino in fondo le conseguenze di questo discorso perché ha sovrapposto l'idea di "metafisica" quella di "ontologia", cioè ha associato l'idea di metafisica alla pretesa di far corrispondere un contenuto concettuale (in cui rientrerebbero le strutture trascendentali della conoscenza) ad un complesso di sostanze, esistenti reali ed autonome adeguato ad esso. Forse Kant è stato condizionato dalla necessità, storica, di doversi contrapporre alla metafisica cartesiana nella quale veniva operato un passaggio diretto dall'Io ancora formale e trascendentale (il cogito) a una sostanza autonoma (la res cogitans, l'anima) facendo coincidere metafisica e ontologia. Pur avendo parte di ragione nel contestare tale passaggio, Kant sarebbe caduto nell'errore di squalificare tout court la metafisica come scienza per evitare sovrapposizioni con l'ontologia, cioè per evitare la sostanzializzazione delle categorie a priori, non tenendo conto che è possibile riconoscere la validità della visione metafisica tesa a oggettivare un contenuto intelligibile, le condizioni a priori della conoscenza, cioè il contenuto della critica, senza per forza identificare tale contenuto con una sostanza reale come l' "anima" o "Dio".

 


Per Carlo Pierini

 
Se un giorno venissimo a scoprire che gli scopritori delle verità delle scienze sperimentali che oggi accettiamo come assodate erano in realtà vittime di disturbi dell'apparato percettivo, dovremmo rimettere in discussione le loro scoperte, che proprio dai loro strumenti percettivi soggettivi traggono la loro fonte. Possiamo considerare questa ipotesi come fantascientifica, improbabile, ma non escluderla al 100%. In questo caso la lingua italiana ci viene in aiuto per chiarire questa cosa attraverso l'espressione "PRATICAMENTE IMPOSSIBILE". Ciò che è "praticamente impossibile" si distingue a rigor di termini da ciò che è "ASSOLUTAMENTE IMPOSSIBILE". Quel "praticamente" sta ad attestare che il tipo di impossibilità che specifica non è in assoluto non-smentibile, ma consiste in un'improbabilità sufficiente a orientare una linea d'azione, appunto pratica, una linea d'azione che può consentirsi di trascurare l'ipotesi che l'evento a cui ci si sta riferendo possa davvero realizzarsi. Posso ritenere "praticamente impossibile" che nella mente di mio familiare, con cui ho vissuto per tanti anni possa sorgere l'idea di uccidermi o farmi intenzionalmente, e da ciò deriverà una linea d'azione che trascura quest'ipotesi e si incentrerà su una piena fiducia nei suoi confronti, anche se l'ipotesi che in un certo momento, in un attimo di follia imprevedibile dall'esterno, la sua personalità possa mutare non può essere esclusa al 100%. Diverso è il caso dei giudizi deducibili dagli assiomi della logica formale: Il principio di non contraddizione per cui, una volta data l'uguaglianza di A e B, e di B e C, si determina che A è uguale a C, fa sì che, stante le premesse, che A sia diversa da C, non sia "praticamente impossibile", ma "assolutamente impossibile". Cioè, non si tratta solo di un'improbabilità di cui un certo comportamento pratico può permettersi di non far caso, ma di un'impossibilità certa, che lascerebbe nella totale assurdità qualunque tentativo di negarla come tale. Ed è proprio verso questo ambito, questo modello di certezze assolute, che sfugge alle scienze sperimentali, perché non ricavabili empiricamente, che la filosofia si orienta, al di là delle sue difettose applicazioni storiche

Carlo Pierini

#55
Citazione di: davintro il 31 Luglio 2018, 00:59:19 AM
Per Carlo Pierini

Se un giorno venissimo a scoprire che gli scopritori delle verità delle scienze sperimentali che oggi accettiamo come assodate erano in realtà vittime di disturbi dell'apparato percettivo, dovremmo rimettere in discussione le loro scoperte, che proprio dai loro strumenti percettivi soggettivi traggono la loro fonte.
(...)
Diverso è il caso dei giudizi deducibili dagli assiomi della logica formale: Il principio di non contraddizione per cui, una volta data l'uguaglianza di A e B, e di B e C, si determina che A è uguale a C, fa sì che, stante le premesse, che A sia diversa da C, non sia "praticamente impossibile", ma "assolutamente impossibile".


CARLO
Hai un'idea di scienza molto approssimativa.
Che i pianeti girano intorno al Sole (e non intorno alla Terra come risultava dai nostri "strumenti percettivi") lo abbiamo scoperto grazie alla Logica (matematica e geometria), a quella stessa Logica che impone A=C. ...Ergo, così com'è impossibile che A sia diverso da C, è altrettanto impossibile che i pianeti non girino attorno al Sole.
Infatti, la Fisica (intesa come scienza) non è la trascrizione passiva dei dati forniti dai nostri "apparati percettivi", ma è una interpretazione su base logica di quei dati. La Fisica, cioè, non è altro che la Logica applicata ai fenomeni fisici.

Apeiron

Rispondo a @sgiombo,

CitazioneLa conoscenza, sia di senso comune che scientifica (fra le quali ritengo esista una differenza meramente "quantitativa" o "di grado") é sempre e comunque inevitabilmente conoscenza di fenomeni, mai di cose in sé. Questa conoscenza (fondata anche su presupposti arbitrari, degni di dubbio in linea teorica o di principio che ne sono conditiones sine qua  non; per lo meno di quella scientifica) tende di fatto (salvo controtendenze) a progredire, a farsi più completa, più esatta, meno "inquinata da credenze false", avvicinandosi per così dire "asintoticamente" a un ideale di conoscenza completa, assolutamente precisa, del tutto "monda da convinzioni errate e false" del mondo fenomenico (anzi, a rigore, solo della sua componente o "parte" materiale per quanto riguarda la conoscenza scientifica) per come é e diviene.
Ma non invece ad alcuna pur limitata conoscenza della realtà in sé o noumeno, che é diversa cosa dalla realtà fenomenica (materiale; intesa) nella sua completezza (conoscibile): passando da Newton ad Einstein e alla M Q ci siamo progressivamente avvicinati a una (ideale) conoscenza completa, esatta, scevra da errori e falsità del mondo fenomenico materiale (cui abbiamo accesso cosciente); la quale però é tutt' altro che una conoscenza delle cose in sé (se ci sono) reali indipendentemente dalla realtà delle sensazioni fenomeniche (delle quali l' "esse est percipi"): ma nella conoscenza delle cose in sé non siamo avanzati di un millimetro, a loro sua ipotetica conoscenza "perfetta" non si siamo per niente avvicinati.

Il punto è che il "noumeno" non è né uguale né diverso dal fenomeno. Perchè? Il fenomeno è "la realtà vista da noi", il noumeno è "la-realtà-così-come-è". Nota che il noumeno non è un'altra realtà rispetto i fenomeni. Per certi versi, il noumeno è il fenomeno ben compreso. Il problema di non ammettere la parziale conoscibilità del fenomeno è che non si spiega perchè (1) i fenomeni presentano regolarità (2) vi è una presenza di fenomeni e menti.

Buone vacanze!

Rispondo a @Carlo:


CitazioneE' proprio questo l'errore fondamentale della concezione kantiana-humiana e, quindi, dell'epistemologia che ad essa si ispira. E' profondamente ambiguo sostenere che <<il fondamento della verità è dato dalla "realtà-così-come-è>>, perché, di fatto, nessuna delle verità con cui la Scienza ha rivoluzionato il pensiero e la vita materiale dell'uomo coincide rigorosamente con la "realtà-così-com'è", ma esse fanno parte di un processo progressivo che TENDE A descrivere la "realtà-così-com'è" attraverso l'acquisizione di un numero via via  crescente di tante piccole verità indubitabili riguardanti sia i fenomeni (la Terra è rotonda, i pianeti girano intorno al Sole, ecc.), sia le leggi che governano le relazioni tra i fenomeni (legge di gravità, leggi della dinamica, dell'elettricità, della termodinamica, ecc.).
Infatti, la verità non si definisce come "la realtà così com'è" (verità = oggetto assoluto) ma come la concordanza rigorosa tra i fenomeni oggettivi osservati e la descrizione soggettiva di essi, cioè, come sosteneva Spinoza: <<ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>. Ed è con QUESTO concetto di verità che si è costruita la forma di conoscenza più feconda e rivoluzionaria che l'uomo abbia mai concepito (è per questo che nessuno risponde alle domande che ho formulato nel post di apertura).
Pertanto, è assolutamente infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile. Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"


Concordo che le "verità scientifiche" date dallo studio dei fenomeni sono verità nel senso vero della parola.  Non ho mai sostenuto che servono una somma infinità di verità indubitabili. Quello che sostengo io è che per comprendere la "realtà-così-come-è" è necessario cambiare qualitativamente la mente, una sorta di "metanoia" Platonica (una "seconda" metanoia, visto che la prima nasce dalla contemplazione delle verità del mondo fenomenico). Il discorso è che, anche se avessimo una teoria scientifica perfetta essa riguarderebbe solo la realtà fenomenica e non la "realtà-così-come-è". Perchè? perchè sarebbe pur sempre una conoscenza basata su una struttura della mente che per sua natura non percepisce "le cose come sono" ma le "rappresenta", le "distorce". Un motivo per cui nasce questa rappresentazione potrebbe essere evolutivo: potrebbe non convenirci a livello evolutivo vedere le cose come sono.
Tuttavia ciò non toglie che possiamo avere una conoscenza parziale della "verità ultima". Come? Vedendo le regolarità dei fenomeni come spiegavo nel mio precedente messaggio. In fin dei conti, il solo fatto che i fenomeni non siano modificabili a nostro piacimento e che le loro regole siano indipendenti dalla nostra volontà, significa che certe caratteristiche non dipendono da noi.

Per quanto riguarda Kant e Jung, ok! vedo la differenza. Ad ogni modo, ti ripeto che apprezzo molti aspetti del tuo pensiero. Tuttavia, non cambio idea sul fatto che sono teorie indimostrabili. In fin dei conti, per dimostrarle probabilmente serve una sorta di "realizzazione"/"risveglio". Ma una realizzazione non è una argomentazione filosofica...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Carlo Pierini

#57
Citazione di: Apeiron il 01 Agosto 2018, 23:38:09 PM
CitazioneE' proprio questo l'errore fondamentale della concezione kantiana-humiana e, quindi, dell'epistemologia che ad essa si ispira. E' profondamente ambiguo sostenere che <<il fondamento della verità è dato dalla "realtà-così-come-è>>, perché, di fatto, nessuna delle verità con cui la Scienza ha rivoluzionato il pensiero e la vita materiale dell'uomo coincide rigorosamente con la "realtà-così-com'è", ma esse fanno parte di un processo progressivo che TENDE A descrivere la "realtà-così-com'è" attraverso l'acquisizione di un numero via via  crescente di tante piccole verità indubitabili riguardanti sia i fenomeni (la Terra è rotonda, i pianeti girano intorno al Sole, ecc.), sia le leggi che governano le relazioni tra i fenomeni (legge di gravità, leggi della dinamica, dell'elettricità, della termodinamica, ecc.).
Infatti, la verità non si definisce come "la realtà così com'è" (verità = oggetto assoluto) ma come la concordanza rigorosa tra i fenomeni oggettivi osservati e la descrizione soggettiva di essi, cioè, come sosteneva Spinoza: <<ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>. Ed è con QUESTO concetto di verità che si è costruita la forma di conoscenza più feconda e rivoluzionaria che l'uomo abbia mai concepito (è per questo che nessuno risponde alle domande che ho formulato nel post di apertura).
Pertanto, è assolutamente infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile. Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"

APEIRON
Concordo che le "verità scientifiche" date dallo studio dei fenomeni sono verità nel senso vero della parola.  Non ho mai sostenuto che servono una somma infinità di verità indubitabili. Quello che sostengo io è che per comprendere la "realtà-così-come-è" è necessario cambiare qualitativamente la mente, una sorta di "metanoia" Platonica (una "seconda" metanoia, visto che la prima nasce dalla contemplazione delle verità del mondo fenomenico). Il discorso è che, anche se avessimo una teoria scientifica perfetta essa riguarderebbe solo la realtà fenomenica e non la "realtà-così-come-è".
CARLO
Certo, ma non ci troviamo di fronte a due realtà separate e indipendenti. I fenomeni non sono altro che le manifestazioni della "realtà-così-com'è", le modalità attraverso le quali essa si offre alla conoscenza. Quindi non vedo alcuna ragione per sentenziarne l'inconoscibilità. Solo ciò che non si mostra all'esperienza è inconoscibile.

APEIRON
Perchè? Perchè sarebbe pur sempre una conoscenza basata su una struttura della mente che per sua natura non percepisce "le cose come sono" ma le "rappresenta", le "distorce".

CARLO
E chi l'ha detto che non ci sia una analogia/corrispondenza/complementarità ontologica tra la struttura della mente e la struttura della realtà?
Se esiste un principio ultimo (come ormai è certo) il soggetto e gli oggetti del sapere discendono tutti da esso, quindi, in quanto ontologicamente simili/affini/analoghi, possono rispecchiarsi l'uno nell'altro. Infatti, la concezione di "conoscenza" assolutamente prevalente nella storia del pensiero si configura come un confronto analogico di principio tra due realtà simili: il soggetto e l'oggetto. "Il simile conosce il simile" scriveva Empedocle in ossequio al principio di analogia; "l'anima conosce il contrario" gli faceva eco Anassagora in ossequio al principio di opposizione; "...l'anima si unisce all'oggetto", rispondeva Plotino in ossequio al principio di unità degli opposti (analogia/similitudine, opposizione e unità dei termini dialettici sono i tre caratteri fondamentali del "trinitario" Principio di Complementarità).
E poi:

"Per Schelling, una pura attività soggettiva non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale, e un principio puramente oggettivo non potrebbe spiegare l'origine dell'intelligenza, della ragione e dell'io. Il principio supremo dev'essere quindi un Assoluto o Dio che sia insieme principio del soggetto e principio dell'oggetto, della ragione e della natura. Cioè che sia l'unità di entrambi. (...) La natura deve avere in sé un principio autonomo che la spieghi in tutti i suoi aspetti. E questo principio dev'essere identico con quello che spiega il mondo della ragione, dell'io, quindi la storia".   [N. ABBAGNANO - Storia della Filosofia, vol. V - pp. 77-78]

"Per M. Ficino, il principio dell'affinità si fa valere dapprima nella dottrina ontologica del pensiero, come abbiamo visto sopra. Poiché il soggetto del pensiero appartiene anch'esso all'ordine oggettivo dell'essere, anche l'atto del pensiero dovrà presentarsi come un rapporto reale del pensante e del pensato. Perciò ogni possibilità del conoscere si fonda su un'affinità originaria della mente con i suoi oggetti. E viceversa l'intelletto e il suo oggetto, appunto mediante la conoscenza, sono congiunti in un'unità concreta da cui risulta immediatamente la verità del pensiero".   [P.O. KRISTELLER: Il pensiero filosofico di M. Ficino - pg.105]

"La visione ermetica si fonda sull'analogia fra l'universo (macrocosmo) e l'uomo (microcosmo). [...] L'universo e l'uomo si rispecchiano l'uno nell'altro: tutto ciò che si trova nel primo deve trovarsi, in un modo o nell'altro, anche nel secondo. Tale corrispondenza potrà essere meglio intuita riconducendola alla relazione soggetto-oggetto, conoscente-conosciuto: il mondo, in quanto oggetto, si riflette a tal punto nello specchio del soggetto umano che non ci sarebbe possibile percepirlo al di fuori di quest'ultimo. [...] Queste due polarità possono anche essere distinte, ma in nessun caso separate. [...]
Se il soggetto, in quanto polarità interiore della conoscenza, non fosse che un puro  centro di sensibilità individuale legato alle vicende del corpo e sottomesso alle sue leggi, non sarebbe evidentemente «all'altezza» del suo oggetto; la conoscenza oggettiva del mondo sarebbe impossibile, non esisterebbe anzi nessun livello oggettivo di conoscenza". [TITUS BURCKHARDT: Alchimia - pg.35]

"L'incontro del simile col simile, l'omogeneità, sono i concetti di cui Platone si serve per spiegare i processi conoscitivi: conoscere significa rendere simile il pensante al pensato. (...)
Secondo S. Agostino, l'uomo può conoscere Dio in quanto egli stesso è immagine di Dio" (...)
Tommaso, pur sanzionando esplicitamente il principio che ogni conoscenza avviene per assimilationem o per unionem della cosa conosciuta e del soggetto conoscente, afferma che "l'oggetto conosciuto è nel conoscente secondo la natura del conoscente stesso" (...)
Cusano dice esplicitamente che l'intelletto non intende se non si assimila all'oggetto; e Ficino dice che la conoscenza è l'unione spirituale con qualche forma spirituale". (...)
Campanella afferma: "Noi conosciamo ciò che è, perché ci rendiamo simili ad esso". (...)
Shelling affermava: "Nello stesso fatto del sapere, l'oggetto e il soggetto sono così uniti che non si può dire a quale dei due tocchi la priorità". (...)
Il concetto del conoscere come processo di unificazione di soggetto e oggetto nell'idea domina da un capo all'altro la filosofia di Hegel". (...)
Secondo Wittgenstein "ci dev'essere qualcosa di identico nell'immagine conoscitiva e nell'oggetto raffigurato, affinché quella possa essere l'immagine di questo". [N. ABBAGNANO: Dizionario di Filosofia - da p. 157 a p. 164]

APEIRON
Per quanto riguarda Kant e Jung, ok! vedo la differenza. Ad ogni modo, ti ripeto che apprezzo molti aspetti del tuo pensiero. Tuttavia, non cambio idea sul fatto che sono teorie indimostrabili.

CARLO
Non è dimostrabile che ...siano teorie indimostrabili. :)  Anzi, io ho raccolto un numero di osservazioni convergenti all'idea di universalità della Complementarità più che sufficiente a dimostrarne la fondatezza.

Apeiron

Grazie per la risposta e le citazioni.
 
Citazione
Certo, ma non ci troviamo di fronte a due realtà separate e indipendenti. I fenomeni non sono altro che le manifestazioni della "realtà-così-com'è", le modalità attraverso le quali essa si offre alla conoscenza. Quindi non vedo alcuna ragione per sentenziarne l'inconoscibilità. Solo ciò che non si mostra all'esperienza è inconoscibile.
 
Come dicevo in risposta a @sgiombo, nemmeno io le considero separate ed indipendenti. In realtà, il fenomeno è il noumeno. Se così non fosse, cadremmo nel paradosso del "realismo indiretto" sostenuto da Cartesio, Spinoza, Locke ecc, ovvero che noi non abbiamo conoscenza delle cose esterne ma di "idee" presenti nella nostra mente nate dal contatto con "qualcosa di esterno". No, quello che sto dicendo io è che, in realtà, noi effettivamente vediamo le "cose esterne" ma è il modo in cui le vediamo che dipende dalla struttura della nostra mente. Se non si tiene conto di ciò, si sbaglia secondo me.

In sostanza è come se avessi sempre agli occhi degli occhiali da sole non riesci a "dimostrarlo". Perchè? perchè guardi sempre al mondo fenomenico e non analizzi lo strumento con cui cerchi di conoscere il mondo fenomenico. Credo che tu hai familiarità col concetto di "errore sistematico". Uno strumento di misura con errore sistematico sbaglierà sempre le misure. L'unico modo che hai per dimostrare che c'è un errore di quel tipo è confrontare le misure effettuate usando quello strumento con i risultati ottenuti usando gli altri. Ma usando solo quello strumento non ti puoi accorgere che c'è l'errore sistematico (o meglio, te ne puoi accorgere utilizzando le tue facoltà mentali. Ma in tal caso stai eseguendo un confronto).


CitazioneCARLO E chi l'ha detto che non ci sia una analogia/corrispondenza/complementarità ontologica tra la struttura della mente e la struttura della realtà? Se esiste un principio ultimo (come ormai è certo) il soggetto e gli oggetti del sapere discendono tutti da esso, quindi, in quanto ontologicamente simili/affini/analoghi, possono rispecchiarsi l'uno nell'altro. Infatti, la concezione di "conoscenza" assolutamente prevalente nella storia del pensiero si configura come un confronto analogico di principio tra due realtà simili: il soggetto e l'oggetto. "Il simile conosce il simile" scriveva Empedocle in ossequio al principio di analogia; "l'anima conosce il contrario" gli faceva eco Anassagora in ossequio al principio di opposizione; "...l'anima si unisce all'oggetto", rispondeva Plotino in ossequio al principio di unità degli opposti (analogia/similitudine, opposizione e unità dei termini dialettici sono i tre caratteri fondamentali del "trinitario" Principio di Complementarità). E poi: "Per Schelling, una pura attività soggettiva non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale, e un principio puramente oggettivo non potrebbe spiegare l'origine dell'intelligenza, della ragione e dell'io. Il principio supremo dev'essere quindi un Assoluto o Dio che sia insieme principio del soggetto e principio dell'oggetto, della ragione e della natura. Cioè che sia l'unità di entrambi. (...) La natura deve avere in sé un principio autonomo che la spieghi in tutti i suoi aspetti. E questo principio dev'essere identico con quello che spiega il mondo della ragione, dell'io, quindi la storia". [N. ABBAGNANO - Storia della Filosofia, vol. V - pp. 77-78] "Per M. Ficino, il principio dell'affinità si fa valere dapprima nella dottrina ontologica del pensiero, come abbiamo visto sopra. Poiché il soggetto del pensiero appartiene anch'esso all'ordine oggettivo dell'essere, anche l'atto del pensiero dovrà presentarsi come un rapporto reale del pensante e del pensato. Perciò ogni possibilità del conoscere si fonda su un'affinità originaria della mente con i suoi oggetti. E viceversa l'intelletto e il suo oggetto, appunto mediante la conoscenza, sono congiunti in un'unità concreta da cui risulta immediatamente la verità del pensiero". [P.O. KRISTELLER: Il pensiero filosofico di M. Ficino - pg.105] "La visione ermetica si fonda sull'analogia fra l'universo (macrocosmo) e l'uomo (microcosmo). [...] L'universo e l'uomo si rispecchiano l'uno nell'altro: tutto ciò che si trova nel primo deve trovarsi, in un modo o nell'altro, anche nel secondo. Tale corrispondenza potrà essere meglio intuita riconducendola alla relazione soggetto-oggetto, conoscente-conosciuto: il mondo, in quanto oggetto, si riflette a tal punto nello specchio del soggetto umano che non ci sarebbe possibile percepirlo al di fuori di quest'ultimo. [...] Queste due polarità possono anche essere distinte, ma in nessun caso separate. [...] Se il soggetto, in quanto polarità interiore della conoscenza, non fosse che un puro centro di sensibilità individuale legato alle vicende del corpo e sottomesso alle sue leggi, non sarebbe evidentemente «all'altezza» del suo oggetto; la conoscenza oggettiva del mondo sarebbe impossibile, non esisterebbe anzi nessun livello oggettivo di conoscenza". [TITUS BURCKHARDT: Alchimia - pg.35] "L'incontro del simile col simile, l'omogeneità, sono i concetti di cui Platone si serve per spiegare i processi conoscitivi: conoscere significa rendere simile il pensante al pensato. (...) Secondo S. Agostino, l'uomo può conoscere Dio in quanto egli stesso è immagine di Dio" (...) Tommaso, pur sanzionando esplicitamente il principio che ogni conoscenza avviene per assimilationem o per unionem della cosa conosciuta e del soggetto conoscente, afferma che "l'oggetto conosciuto è nel conoscente secondo la natura del conoscente stesso" (...) Cusano dice esplicitamente che l'intelletto non intende se non si assimila all'oggetto; e Ficino dice che la conoscenza è l'unione spirituale con qualche forma spirituale". (...) Campanella afferma: "Noi conosciamo ciò che è, perché ci rendiamo simili ad esso". (...) Shelling affermava: "Nello stesso fatto del sapere, l'oggetto e il soggetto sono così uniti che non si può dire a quale dei due tocchi la priorità". (...) Il concetto del conoscere come processo di unificazione di soggetto e oggetto nell'idea domina da un capo all'altro la filosofia di Hegel". (...) Secondo Wittgenstein "ci dev'essere qualcosa di identico nell'immagine conoscitiva e nell'oggetto raffigurato, affinché quella possa essere l'immagine di questo". [N. ABBAGNANO: Dizionario di Filosofia - da p. 157 a p. 164] APEIRON
 
Beh, secondo me una prospettiva "pseudo-Kantiana" per certi versi è compatibile con la complementarità che tu cerchi. Secondo Kant (e Schopenhauer) l'oggetto è sempre un oggetto-rispetto-ad-un-soggetto. Interpreto la cosa in questo modo. Anche quando immaginiamo un paese fantastico, lo immaginiamo sempre con caratteristiche abbastanza familiari. Ciò significa che mondo fenomenico (sia "empirico" che "immaginato") e soggetto sono correlati. Possiamo conoscere il mondo fenomenico proprio in virtù di questa correlazione (che sottointende la somiglianza). E ammetto pure una cosa: la filosofia di Kant non riesce davvero a spiegare questa correlazione.

Ma la conoscibilità del "manifesto" è spiegata. Perchè? grazie alla correlazione. Che dire però della natura della mente e dei fenomeni?
 
E qui mi distanzio da Kant. Vediamo, per esempio, che non possiamo immaginarci un mondo completamente privo di leggi della fisica. Tuttavia, nel nostro mondo fenomenico vediamo che la Terra ruota attorno al Sole e non viceversa, che la Terra non è piatta ecc E non solo: queste proprietà ci sono note a posteriori, con lo studio dei fenomeni naturali. Mentre la "spazialità" è una caratteristica a priori della nostra esperienza, non così possiamo dire, invece, del fatto che la Terra non è piatta (se non vogliamo abbracciare una sorta di solipsimo). Perchè, dunque, il mondo fenomenico segue certe leggi rispetto ad altre? Qui la filosofia di Kant impone un silenzio. Secondo me, invece, le leggi sono quelle che sono perchè "approssimano" la "realtà-così-come-è". Ergo la filosofia di Kant, secondo me, non riesce a spiegare perchè le leggi della fisica sono quelle che sono e non altre.
 
Dunque l'immagine che noi abbiamo del mondo è il fenomeno. Tale immagine del mondo, secondo me, è veramente "distorta". Perchè? perchè lo "strumento" è imperfetto. Nota che questo tipo di riflessione è presente in molti scritti dell'antichità. Nei testi indiani si dice che quasi tutti gli uomini sono in uno stato di "ignoranza" (avidya) che impedisce di far "comprendere" la natura della realtà. Simili idee si trovano in Platone e nel Cristianesimo (esempio: in 1Corinzi 13:12 San Paolo: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto." Un'immagine simile la trovi nel Fedone di Platone.) 

Citazione
Per quanto riguarda Kant e Jung, ok! vedo la differenza. Ad ogni modo, ti ripeto che apprezzo molti aspetti del tuo pensiero. Tuttavia, non cambio idea sul fatto che sono teorie indimostrabili. CARLO Non è dimostrabile che ...siano teorie indimostrabili. :) Anzi, io ho raccolto un numero di osservazioni convergenti all'idea di universalità della Complementarità più che sufficiente a dimostrarne la fondatezza.
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Il fatto che ci siano opinioni di eminenti filosofi a sostegno di una tesi fornisce indizi e non prove. E temo che per dimostrare veramente la tua (interessante) teoria servirebbe una "illuminazione". Cosa che, però, è prima di tutto un'"esperienza" privata  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Carlo Pierini

#59
Citazione di: Apeiron il 05 Agosto 2018, 21:48:16 PM
Grazie per la risposta e le citazioni.

CitazioneCARLO
Certo, ma non ci troviamo di fronte a due realtà separate e indipendenti. I fenomeni non sono altro che le manifestazioni della "realtà-così-com'è", le modalità attraverso le quali essa si offre alla conoscenza. Quindi non vedo alcuna ragione per sentenziarne l'inconoscibilità. Solo ciò che non si mostra all'esperienza è inconoscibile.

APEIRON
Come dicevo in risposta a @sgiombo, nemmeno io le considero separate ed indipendenti. In realtà, il fenomeno è il noumeno.

CARLO
Come già ti dissi l'anno scorso, Kant ha manipolato, rovesciandolo (secolarizzandolo), il significato di noumeno , rispetto alla sua valenza originaria che Platone faceva coincidere essenzialmente con quella di "archetipo",  di "modello originario della cosa fisica sensibile" esistente in sé metafisicamente come "idea divina". Quindi non c'è identità tra noumeno e "cosa", ma solo una corrispondenza analogica; per intenderci, lo stesso tipo di corrispondenza che Tommaso concepiva tra Principio e mondo, tra Dio e creato (il creato inteso come imago Dèi). E quella che Kant chiama la "cosa in sé" non è altro che la cosa corredata di tutte le proprietà-qualità-verità che la riguardano e che la relazionano col resto del mondo; quindi si tratta di un'entità conoscibile dall'osservazione delle sue manifestazioni fenomeniche. Ribadisco che è lecito considerare inconoscibile SOLO ciò che non si manifesta fenomenicamente all'esperienza.

APEIRON
...quello che sto dicendo io è che, in realtà, noi effettivamente vediamo le "cose esterne" ma è il modo in cui le vediamo che dipende dalla struttura della nostra mente. Se non si tiene conto di ciò, si sbaglia secondo me.
In sostanza è come se avessi sempre agli occhi degli occhiali da sole non riesci a "dimostrarlo". Perchè? perchè guardi sempre al mondo fenomenico e non analizzi lo strumento con cui cerchi di conoscere il mondo fenomenico. Credo che tu hai familiarità col concetto di "errore sistematico". Uno strumento di misura con errore sistematico sbaglierà sempre le misure. L'unico modo che hai per dimostrare che c'è un errore di quel tipo è confrontare le misure effettuate usando quello strumento con i risultati ottenuti usando gli altri. Ma usando solo quello strumento non ti puoi accorgere che c'è l'errore sistematico (o meglio, te ne puoi accorgere utilizzando le tue facoltà mentali. Ma in tal caso stai eseguendo un confronto).


CARLO
L'idea di "errore sistematico" è totalmente immaginaria e infondata. Se la nostra conoscenza fosse falsata da uno o più "errori sistematici", le decine di migliaia di scoperte e di realizzazioni tecnologiche della scienza sarebbero state assolutamente impossibili e non si sarebbe mai realizzata quella rivoluzione del pensiero che chiamiamo rivoluzione scientifica.
Ed è proprio questo immenso successo interpretativo della scienza che inclina a pensare ci sia una analogia/corrispondenza/complementarità ontologica tra la struttura della mente e la struttura della realtà; che esista, cioè, un principio ultimo da cui discendonosia il soggetto che gli oggetti del sapere e, quindi, in quanto ontologicamente simili/affini/analoghi, possono rispecchiarsi l'uno nell'altro.  Infatti, la concezione di "conoscenza" assolutamente prevalente nella storia del pensiero si configura come un confronto analogico di principio tra due realtà simili: il soggetto e l'oggetto.

APEIRON
Dunque l'immagine che noi abbiamo del mondo è il fenomeno. Tale immagine del mondo, secondo me, è veramente "distorta". Perchè? perchè lo "strumento" è imperfetto. Nota che questo tipo di riflessione è presente in molti scritti dell'antichità. Nei testi indiani si dice che quasi tutti gli uomini sono in uno stato di "ignoranza" (avidya) che impedisce di far "comprendere" la natura della realtà. Simili idee si trovano in Platone e nel Cristianesimo (esempio: in 1Corinzi 13:12 San Paolo: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto."


CARLO
La dicitura esatta è:
<<La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto>>.

Qui Paolo dice: <<quando verrà ciò che è perfetto>> alludendo alla futura venuta del "secondo Adamo", cioè del Cristo-Logos di cui Giovanni dice:"In principio era il Logos, il Logos era presso Dio e il Logos era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste". (Giovanni, 1:1-4)
Leggi i miei due threads seguenti, nei quali ho approfondito il significato del Logos-Principio:

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-simbolo-della-conoscenza-sulla-banconota-da-1-dollaro/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-conoscenza-e-il-mito-biblico-dell'eden/

Cit. APEIRON
Ad ogni modo, ti ripeto che apprezzo molti aspetti del tuo pensiero. Tuttavia, non cambio idea sul fatto che sono teorie indimostrabili.  

Cit. CARLO
Non è dimostrabile che ...siano teorie indimostrabili.  :)   Anzi, io ho raccolto un numero di osservazioni convergenti all'idea di universalità della Complementarità più che sufficiente a dimostrarne la fondatezza.

APEIRON
Il fatto che ci siano opinioni di eminenti filosofi a sostegno di una tesi fornisce indizi e non prove.


CARLO
Lo so. Infatti non alludevo alle citazioni dei filosofi, ma alle circa duemila pagine di osservazioni oggettive che ho raccolto in questi 25 anni di ricerca, tra cui le osservazioni di Jung nel campo della psicologia, quelle di Eccles in neurobiologia, quelle di una ampia schiera di storici delle idee religiose (che mostrano l'esistenza degli archetipi), e moltissime altre in diversi campi della ricerca.
E, comunque, se non ho pubblicato quegli scritti è solo perché considererò conclusa la mia ricerca solo quando avrò dimostrato (se ci riuscirò) la validità del Principio nel campo della Fisica. Solo allora il Principio potrà considerarsi definitivamente e inoppugnabilmente dimostrato.

APEIRON
E temo che per dimostrare veramente la tua (interessante) teoria servirebbe una "illuminazione". Cosa che, però, è prima di tutto un'"esperienza" privata    :)

CARLO
Le varie "illuminazioni" di cui parlo in alcuni threads, non sono solo "esperienze private", ma contengono importanti elementi di oggettività che puoi cogliere facilmente se leggi i miei resoconti. Se non li hai letti, te li linko qui per comodità:

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un'altra-'visione'-archetipica/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un-sogno-archetipico/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/gli-archetipi-esistono-io-li-ho-'visti'!/

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