La critica della Scienza è fondata?

Aperto da Carlo Pierini, 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM

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Carlo Pierini

Citazione di: sgiombo il 27 Luglio 2018, 09:26:44 AM
Citazione di: Phil il 27 Luglio 2018, 00:35:04 AM
CitazioneSGIOMBO
Io invece ritengo quello di Kant l' approccio giusto al problema (filosofico; e dunque non credo proprio che se vivesse oggi si dedicherebbe -per lo meno principalmente- alla neurologia) in quanto non credo che mente e cervello coincidano e che il cranio contenga alcunché di "mentale".

CARLO
Certo. Ma il problema è che tu hai relegato il "mentale" nello stesso limbo di inaccessibilità, di inconoscibilità e di impotenza (oltre che di nullità ontologica) in cui Kant relegò Dio. Il tuo dualismo, cioè, è solo una presa in giro, è un monismo mascherato, non esistendo alcuna dia-lettica (dia=due) tra mente e cervello.

Carlo Pierini

Citazione di: sgiombo il 27 Luglio 2018, 09:29:56 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 01:51:36 AMCARLO
Infatti la "filo-sofia" è l'amore per il sapere. E gli aerei che volano e la cura delle malattie sono i premi concreti per le verità conquistate. Il sapere, cioè, è ridondante: gratifica i bisogni della mente e i bisogni del corpo.

SGIOMBO
IL sapere ha anche scopi (e "riceve premi") puramente teorici, non pratici (è anche un fine "autogratificante", ovviamente per chi lo avverta come tale- oltre che un mezzo.

CARLO
In ciò consiste, appunto, la superiorità del sapere scientifico: nel suo essere doppiamente gratificante.

Carlo Pierini

#32
Cit. CARLO
"Più che filiazione, io direi che la Scienza *è* Filosofia: è quella branca della Filosofia che ha affinato i propri criteri di verità per la comprensione del mondo fisico."

LOU
La scienza è filosofia nel momento in cui si interroga sulle condizioni generali della pratica scientifica e del proprio stesso atteggiamento conoscitivo:

CARLO
E la filosofia si eleverà al rango di scienza quando, seguendo l'esempio della "sorella-prodigio" (la Scienza), scoprirà la propria "matematica" e la propria "verifica sperimentale" con cui perverrà alle leggi generali del pensiero filosofico, invece di sprecare il suo tempo a fare da saccente maestrina d'asilo con chi può solo darle preziose lezioni di conoscenza.

LOU
È in campo filosofico che è possibile porre le basi epistemiche e rintracciare il criterio, meglio il Lògos, per la ricerca conoscitiva che permette di dar vita a un sapere razionale distinto da ogni altra forma di sapere.

CARLO
La filosofia non è una scienza a sé, ma, come diceva Fichte, la "scienza di tutte le scienze". Dovrebbe quindi studiare le scienze reali, interrogarsi sui principi che sono comuni a tutte le scienze e su come sia possibile unificarli in un unico principio fondamentale del pensiero. Mentre la filosofia attuale naviga nella direzione opposta: quella di "decostruire", di dimostrare che non esistono criteri di verità affidabili, che la verità è un'illusione, che, come dice Vattimo: <<oggi non siamo a disagio perché siamo nichilisti, ma piuttosto perché siamo ancora troppo poco nichilisti>>!! ...Altro che porre le basi epistemiche per un sapere razionale!

E' per questo che chi, come me, propone l'idea, per quanto fondata, di un Principio universale  è, non solo ignorato, ma addirittura oggetto di derisione e di insulti a-priori!

sgiombo

Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 10:39:37 AM
Citazione di: sgiombo il 27 Luglio 2018, 09:26:44 AM
Citazione di: Phil il 27 Luglio 2018, 00:35:04 AM
CitazioneSGIOMBO
Io invece ritengo quello di Kant l' approccio giusto al problema (filosofico; e dunque non credo proprio che se vivesse oggi si dedicherebbe -per lo meno principalmente- alla neurologia) in quanto non credo che mente e cervello coincidano e che il cranio contenga alcunché di "mentale".

CARLO
Certo. Ma il problema è che tu hai relegato il "mentale" nello stesso limbo di inaccessibilità, di inconoscibilità e di impotenza (oltre che di nullità ontologica) in cui Kant relegò Dio. Il tuo dualismo, cioè, è solo una presa in giro, è un monismo mascherato, non esistendo alcuna dia-lettica (dia=due) tra mente e cervello.
CitazioneSgiombo:

Tu continui a polemizzare con un inesistente "Sgiombo" cui attribuisci pretese affermazuoni che invece sono tutte tue.

In particolare non ho mai considerato il mentale come noumeno o cosa in sè inaccessibile alla coscienza, ma invece sempre, immancabilmente e del tutto chiaramente e inequivocabilmente come qualcosa di fenomenico, apparente, accessibilissimo alla coscienza, di cui é parte (altrettanto che il materiale).


E come al solito pretendi indebitamente, pregiudizialmente, dogmaticamente che non possa darsi altro dualismo che interazionista.

(ma dove trovo mai l' enorme pazienza necessaria per continuare a rettificare le tue continue, reiteratissime deformazioni e travisamenti delle mie convinzioni?).



Apeiron

CARLO

CitazioneSe è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?


APEIRON
Non conosco Korzybski e Bateson e conosco poco gli altri filosofi qui citati ma credo che ti sbagli.
1)Berkeley era un empirista piuttosto radicale. Siccome noi, in realtà, non "abbiamo esperienza diretta" della materia ma solo delle sensazioni per Berkeley (che riteneva come uniche fonti conoscitive l'esperienza e la ragione applicata ad essa) dedusse che, in realtà, l'esistenza della materia, intesa come "sostanza delle cose" indipendente dall'esistenza dei soggetti, è indimostrabile e, inoltre, è un concetto ridondante. Dunque Berkeley eliminò la materia dalla sua ontologia, sostenendo che esistono solo le anime (le creature) e Dio. Le "cose materiali" sono semplici contenuti mentali. Tuttavia Berkeley ritieneva che la scienza potesse darci informazioni su come questi contenuti mentali si evolvevano. Dunque, il sapere scientifico era una sorta di "fenomenologia", ovvero uno studio dell'esperienza. Come giustifica il vescovo irlandese la persistenza delle cose anche quando non sono percepite? Semplicemente, dicendo, che Dio pensa sempre e quindi le mantiene in essere. (Faccio notare che San Tommaso d'Aquino riteneva che Dio mantenesse in essere le cose).
2)Hume, invece, era un empirista ancora più radicale di Berkeley. Secondo Hume la ragione non può essere a rigore applicata all'esperienza, perché il sapere che possiamo avere dall'esperienza è solo deduttivo. Quindi, ad esempio, anche ripetendo un numero enorme di volte l'esperimento del piano inclinato non possiamo essere sicuri che il movimento non sia dovuto a mere coincidenze casuali. Quindi Hume effettivamente disse che il pensiero scientifico è infondato se cerchiamo una "certezza" esatta, come in matematica. Ma, in realtà, possiamo comunque avere certezze provvisorie, pronte ad essere modificate.
3)Kant, ironicamente ha tentato di fondare la scienza contro le obiezioni di Hume. Come? Secondo Kant la scienza studia il mondo fenomenico dell'esperienza. Come può essere un sapere valido? Il motivo è che secondo Kant noi rappresentiamo i fenomeni secondo determinate categorie, dovute alla struttura della nostra mente. Kant ritiene che queste categorie sono a-priori nella nostra esperienza. Per esempio, i fenomeni sono sempre nello spazio e nel tempo e, inoltre, sono soggetti alla causalità. La scienza quindi è giustificata come fenomenologia: studia seguendo le categorie della nostra mente la nostra esperienza. Secondo Kant, però, la scienza si giustifica solo nello studio dei fenomeni, nello studio dell'oggetto relativo ad un soggetto conoscente (perché tale è la forma della "conoscenza", la quale è una conoscenza di un soggetto riguardante un oggetto). Non possiamo però fare, a rigore, affermazioni su come è il "mondo indipendente da noi" perché non è "visto" dalla nostra mente. Ovviamente Kant ritiene che ci siano verità universali, inter-soggettive, che possono essere verificate da tutti (non è quindi un "relativista"). Una persona che soffre di allucinazioni ha una mente con una struttura leggermente diversa che le fa vedere le allucinazioni.  
Dunque una "critica" alla scienza è presente SOLO in Hume. Ma Hume stesso era ben consapevole della "ragionevolezza" del sapere scientifico.

CARLO

CitazionePerché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
In altre parole, se "la qualità di un albero si giudica dai suoi frutti", perché l'albero della scienza è immensamente più fecondo dell'albero della conoscenza pre-scientifica, cioè, della filosofia? Quali sono state le innovazioni che hanno reso i criteri di verità della Scienza tanto fecondi ed efficaci da permetterle di scoprire leggi e principi della realtà fisica? E perché la filosofia - che pretende di giudicare infondati i metodi della Scienza - non ha idea di quali siano le leggi e i principi che riguardano il proprio dominio di competenza, cioè, il pensiero?


APEIRON
Se avessimo una risposta a come fondare il sapere scientifico, saremmo veramente messi bene. Purtroppo non è così. La tua soluzione "platonico-junghiana" è una congettura, non hai dimostrato che la scienza si fonda come pensi tu. Dici solamente (similmente a Platone) che le proprietà matematiche sono intrinseche alla realtà. Cosa che è plausibile. Ma non dimostrabile.
Per quanto mi riguarda, divido la "realtà" in due (qui sono influenzato da quanto ho capito (poco!) del pensiero buddhista): realtà inter-soggettiva (o "relativa" o "convenzionale") e realtà ultima. La realtà inter-soggettiva è simile a quella di Kant. Noi possiamo fare scienza perché le nostre rappresentazioni sono simili grazie al fatto che le menti hanno una simile struttura. D'altro canto questo non è relativismo perché le rappresentazioni posseggono caratteristiche simili, come, ad esempio, il fatto di essere "regolari" (e quindi studiabili utilizzando le categorie dell'intelletto). D'altro canto, la rappresentazione è rappresentazione che dipende dal "contatto" tra un soggetto ed un oggetto. La "realtà ultima" è, invece, la realtà-così-come-è conosciuta da una conoscenza inerrante. Secondo Kant, il noumeno non può essere conosciuto perché le categorie dell'intelletto sono applicabili solo al fenomeno (che è l'oggetto conosciuto dal soggetto). Ma questo, secondo me, è troppo restrittivo perché non riesce a spiegare (1) perché le rappresentazioni si "formano" (2) perché le rappresentazioni hanno quella determinata "regolarità" (perché, ad esempio, la relatività funziona meglio della meccanica classica). Se infatti rispondiamo come le rappresentazioni si formano finiamo per darne una spiegazione, secondo Kant, fenomenica andando a finire nella circolarità. Quindi, secondo me, è giusto supporre che possiamo avere, studiando i fenomeni, una conoscenza approssimata o imperfetta della "realtà ultima", della realtà-così-come-è. Dunque, le "verità" che estraiamo dallo studio dei fenomeni (quindi anche quelle scientifiche) sono anche approssimazioni della "realtà ultima" della "realtà-così-come-è".    
Per evitare i due problemi sopracitati, secondo me, dobbiamo reintrodurre, in parte, la "metafisica classica". È vero infatti che noi abbiamo conoscenza diretta dei fenomeni. Tuttavia, ciò non significa che per forza non possiamo andare oltre.  Tuttavia non pretendo di "dimostrare" con certezza "esatta" (equivalente a quella logica e matematica) il mio "modello". Invece, riconosco, che è un modello che posso variare se ne trovo di migliori  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Carlo Pierini

Citazione di: Apeiron il 27 Luglio 2018, 12:57:46 PM
CARLO

CitazioneSe è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?


APEIRON
Non conosco Korzybski e Bateson e conosco poco gli altri filosofi qui citati ma credo che ti sbagli.
1)Berkeley era un empirista piuttosto radicale. Siccome noi, in realtà, non "abbiamo esperienza diretta" della materia ma solo delle sensazioni per Berkeley (che riteneva come uniche fonti conoscitive l'esperienza e la ragione applicata ad essa) dedusse che, in realtà, l'esistenza della materia, intesa come "sostanza delle cose" indipendente dall'esistenza dei soggetti, è indimostrabile e, inoltre, è un concetto ridondante. Dunque Berkeley eliminò la materia dalla sua ontologia, sostenendo che esistono solo le anime (le creature) e Dio. Le "cose materiali" sono semplici contenuti mentali. Tuttavia Berkeley ritieneva che la scienza potesse darci informazioni su come questi contenuti mentali si evolvevano. Dunque, il sapere scientifico era una sorta di "fenomenologia", ovvero uno studio dell'esperienza. Come giustifica il vescovo irlandese la persistenza delle cose anche quando non sono percepite? Semplicemente, dicendo, che Dio pensa sempre e quindi le mantiene in essere. (Faccio notare che San Tommaso d'Aquino riteneva che Dio mantenesse in essere le cose).
2)Hume, invece, era un empirista ancora più radicale di Berkeley. Secondo Hume la ragione non può essere a rigore applicata all'esperienza, perché il sapere che possiamo avere dall'esperienza è solo deduttivo. Quindi, ad esempio, anche ripetendo un numero enorme di volte l'esperimento del piano inclinato non possiamo essere sicuri che il movimento non sia dovuto a mere coincidenze casuali. Quindi Hume effettivamente disse che il pensiero scientifico è infondato se cerchiamo una "certezza" esatta, come in matematica. Ma, in realtà, possiamo comunque avere certezze provvisorie, pronte ad essere modificate.
3)Kant, ironicamente ha tentato di fondare la scienza contro le obiezioni di Hume. Come? Secondo Kant la scienza studia il mondo fenomenico dell'esperienza. Come può essere un sapere valido? Il motivo è che secondo Kant noi rappresentiamo i fenomeni secondo determinate categorie, dovute alla struttura della nostra mente. Kant ritiene che queste categorie sono a-priori nella nostra esperienza. Per esempio, i fenomeni sono sempre nello spazio e nel tempo e, inoltre, sono soggetti alla causalità. La scienza quindi è giustificata come fenomenologia: studia seguendo le categorie della nostra mente la nostra esperienza. Secondo Kant, però, la scienza si giustifica solo nello studio dei fenomeni, nello studio dell'oggetto relativo ad un soggetto conoscente (perché tale è la forma della "conoscenza", la quale è una conoscenza di un soggetto riguardante un oggetto). Non possiamo però fare, a rigore, affermazioni su come è il "mondo indipendente da noi" perché non è "visto" dalla nostra mente. Ovviamente Kant ritiene che ci siano verità universali, inter-soggettive, che possono essere verificate da tutti (non è quindi un "relativista"). Una persona che soffre di allucinazioni ha una mente con una struttura leggermente diversa che le fa vedere le allucinazioni.  
Dunque una "critica" alla scienza è presente SOLO in Hume. Ma Hume stesso era ben consapevole della "ragionevolezza" del sapere scientifico.

CARLO

CitazionePerché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
In altre parole, se "la qualità di un albero si giudica dai suoi frutti", perché l'albero della scienza è immensamente più fecondo dell'albero della conoscenza pre-scientifica, cioè, della filosofia? Quali sono state le innovazioni che hanno reso i criteri di verità della Scienza tanto fecondi ed efficaci da permetterle di scoprire leggi e principi della realtà fisica? E perché la filosofia - che pretende di giudicare infondati i metodi della Scienza - non ha idea di quali siano le leggi e i principi che riguardano il proprio dominio di competenza, cioè, il pensiero?


APEIRON
Se avessimo una risposta a come fondare il sapere scientifico, saremmo veramente messi bene. Purtroppo non è così. La tua soluzione "platonico-junghiana" è una congettura, non hai dimostrato che la scienza si fonda come pensi tu. Dici solamente (similmente a Platone) che le proprietà matematiche sono intrinseche alla realtà. Cosa che è plausibile. Ma non dimostrabile.
Per quanto mi riguarda, divido la "realtà" in due (qui sono influenzato da quanto ho capito (poco!) del pensiero buddhista): realtà inter-soggettiva (o "relativa" o "convenzionale") e realtà ultima. La realtà inter-soggettiva è simile a quella di Kant. Noi possiamo fare scienza perché le nostre rappresentazioni sono simili grazie al fatto che le menti hanno una simile struttura. D'altro canto questo non è relativismo perché le rappresentazioni posseggono caratteristiche simili, come, ad esempio, il fatto di essere "regolari" (e quindi studiabili utilizzando le categorie dell'intelletto). D'altro canto, la rappresentazione è rappresentazione che dipende dal "contatto" tra un soggetto ed un oggetto. La "realtà ultima" è, invece, la realtà-così-come-è conosciuta da una conoscenza inerrante. Secondo Kant, il noumeno non può essere conosciuto perché le categorie dell'intelletto sono applicabili solo al fenomeno (che è l'oggetto conosciuto dal soggetto). Ma questo, secondo me, è troppo restrittivo perché non riesce a spiegare (1) perché le rappresentazioni si "formano" (2) perché le rappresentazioni hanno quella determinata "regolarità" (perché, ad esempio, la relatività funziona meglio della meccanica classica). Se infatti rispondiamo come le rappresentazioni si formano finiamo per darne una spiegazione, secondo Kant, fenomenica andando a finire nella circolarità. Quindi, secondo me, è giusto supporre che possiamo avere, studiando i fenomeni, una conoscenza approssimata o imperfetta della "realtà ultima", della realtà-così-come-è. Dunque, le "verità" che estraiamo dallo studio dei fenomeni (quindi anche quelle scientifiche) sono anche approssimazioni della "realtà ultima" della "realtà-così-come-è".    
Per evitare i due problemi sopracitati, secondo me, dobbiamo reintrodurre, in parte, la "metafisica classica". È vero infatti che noi abbiamo conoscenza diretta dei fenomeni. Tuttavia, ciò non significa che per forza non possiamo andare oltre.  Tuttavia non pretendo di "dimostrare" con certezza "esatta" (equivalente a quella logica e matematica) il mio "modello". Invece, riconosco, che è un modello che posso variare se ne trovo di migliori  :)

CARLO
Commenterò nel dettaglio questa tua "prolusione" dopo che avrai risposto alle domande che ho formulato nel post iniziale e che avrai commentato punto per punto quanto ho già scritto lì è in altri post che sono seguiti. Altrimenti dovrei perdere un sacco di tempo a ripetere il già detto o a chiarire fino allo sfinimento che i giudizi che vengono espressi sulle mie idee sono generici, distorti e che non corrispondono con quanto realmente io sostengo nei miei scritto.
Pertanto, per il momento rispondo solo ad un tuo breve passo:

APEIRON
Se avessimo una risposta a come fondare il sapere scientifico, saremmo veramente messi bene. Purtroppo non è così. La tua soluzione "platonico-junghiana" è una congettura, non hai dimostrato che la scienza si fonda come pensi tu. Dici solamente (similmente a Platone) che le proprietà matematiche sono intrinseche alla realtà. Cosa che è plausibile. Ma non dimostrabile.

CARLO
Vorrei chiarire che la mia non è solo una congettura, ma una tesi che si basa su osservazioni oggettive, e che quindi non è liquidabile a-priori senza entrare nel merito - punto per punto - di ciò che affermo (infatti non ho mai detto che <<le proprietà della matematica sono intrinseche alla realtà>>)
Al contrario, la tua una è vera e propria congettura , visto che
1 - l'idea sull'impossibilità di fondare qualsiasi verità è assolutamente arbitraria e priva di supporti;
2 - questa stessa idea è autocontraddittoria, perché non si può pretendere di dire il vero se si nega fondatezza a ogni possibile verità.
Pertanto, se ti interessa discutere l'argomento, comincia col rispondere alle mie domande iniziali, e poi vedrai che ...l'appetito vien mangiando!  :)

Lou

Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 11:50:50 AM
Cit. CARLO
"Più che filiazione, io direi che la Scienza *è* Filosofia: è quella branca della Filosofia che ha affinato i propri criteri di verità per la comprensione del mondo fisico."

LOU
La scienza è filosofia nel momento in cui si interroga sulle condizioni generali della pratica scientifica e del proprio stesso atteggiamento conoscitivo:

CARLO
E la filosofia si eleverà al rango di scienza quando, seguendo l'esempio della "sorella-prodigio" (la Scienza), scoprirà la propria "matematica" e la propria "verifica sperimentale" con cui perverrà alle leggi generali del pensiero filosofico, invece di sprecare il suo tempo a fare da saccente maestrina d'asilo con chi può solo darle preziose lezioni di conoscenza.

LOU
È in campo filosofico che è possibile porre le basi epistemiche e rintracciare il criterio, meglio il Lògos, per la ricerca conoscitiva che permette di dar vita a un sapere razionale distinto da ogni altra forma di sapere.

CARLO
La filosofia non è una scienza a sé, ma, come diceva Fichte, la "scienza di tutte le scienze". Dovrebbe quindi studiare le scienze reali, interrogarsi sui principi che sono comuni a tutte le scienze e su come sia possibile unificarli in un unico principio fondamentale del pensiero. Mentre la filosofia attuale naviga nella direzione opposta: quella di "decostruire", di dimostrare che non esistono criteri di verità affidabili, che la verità è un'illusione, che, come dice Vattimo: <<oggi non siamo a disagio perché siamo nichilisti, ma piuttosto perché siamo ancora troppo poco nichilisti>>!! ...Altro che porre le basi epistemiche per un sapere razionale!

E' per questo che chi, come me, propone l'idea, per quanto fondata, di un Principio universale  è, non solo ignorato, ma addirittura oggetto di derisione e di insulti a-priori!
Che il ruolo della filosofia sia quello di scienza delle scienze ponendosi come la scienza atta a dare unità alla frammentazione delle scienze empiriche è una grande sfida di questi tempi, direi che l'ultimo tentativo che mi viene in mente sia stato quello sviluppato da Husserl, ma a mio modesto parere, direi che viviamo un'epoca in cui sono le tecnoscienze i principali soggetti a cui avrebbe da rivolgersi la critica filosofica, soprattutto nel loro afflato e nelle derive tecnocratiche a cui si assiste, con le sfide, per certi versi inedite che pongono, sia da un punto di vista etico che teoretico. Derive di cui la crisi della filosofia trovo sia uno tra gli ingredienti che ha contribuito a crearle. Il postmodernismo, fortissimo nella sua pars destruens non ha avuto lo stesso slancio nella pars construens, ma,  forse, le sue corde suonano l'atto decostruente come un momento di melodie creative.
Detto ciò e nonostante la narrazione scientifica in senso moderno risulti essere la narrazione più (con)vincente, ciò non la esime da critica e, soprattutto, figlia, abbastanza edipica a dire il vero,  o sorella che sia, non esaurisce le interrogazioni che, volenti o nolenti, l'umano continua a porsi.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Carlo Pierini

#37
DAVINTRO
Filosofia e scienza sperimentali non sono come due corridori che competono per la stessa gara e di cui si possono rilevare i fallimenti perché uno dei due non arriva al risultato che invece ottiene l'altro, ma "corrono" in campi separati, l'uno (quello della filosofia) quello dell'individuazione di princìpi assoluti, evidenti, indubitabili, che restano tali indipendentemente dalle contingenze spazio-temporali, princìpi che possono sia essere riferiti alla sfera dell'esistenza (ontologia) o della fondazione razionale della conoscenza (gnoseologia e epistemologia),

CARLO
...E dopo due millenni e mezzo di ricerca, quanti di questi <<princìpi assoluti, evidenti, indubitabili>> ha scoperto la filosofia? Vuoi che te la dia io una risposta, oppure la conosci anche tu?

DAVINTRO
...l'altro (le scienze sperimentali) devono limitarsi a un sapere costantemente provvisorio e incerto, perché fondato sull'esperienza, cioè su una dimensione per la quale ogni verifica successiva può in ogni momento smentire la pretesa di ricavare leggi universali sulla base dei dati precedentemente raccolti,

CARLO
Hai una concezione della storia del sapere totalmente immaginaria e fuori della realtà. Le scienze sperimentali solo le sole ad aver svelato una tale quantità di verità indubitabili e di leggi della natura da aver dato luogo alla più grande rivoluzione di tutti i tempi, sia sul piano dell'affidabilità delle sue conoscenza sia sul piano dell'utilizzo di queste conoscenze nella trasformazione della materia sia a proprio immenso vantaggio che, purtroppo, per fini distruttivi.

Carlo Pierini

Citazione di: Lou il 27 Luglio 2018, 18:30:39 PM
LOU
Che il ruolo della filosofia sia quello di scienza delle scienze ponendosi come la scienza atta a dare unità alla frammentazione delle scienze empiriche è una grande sfida di questi tempi, direi che l'ultimo tentativo che mi viene in mente sia stato quello sviluppato da Husserl, ma a mio modesto parere, direi che viviamo un'epoca in cui sono le tecnoscienze i principali soggetti a cui avrebbe da rivolgersi la critica filosofica, soprattutto nel loro afflato e nelle derive tecnocratiche a cui si assiste, con le sfide, per certi versi inedite che pongono, sia da un punto di vista etico che teoretico. Derive di cui la crisi della filosofia trovo sia uno tra gli ingredienti che ha contribuito a crearle. Il postmodernismo, fortissimo nella sua pars destruens non ha avuto lo stesso slancio nella pars construens, ma,  forse, le sue corde suonano l'atto decostruente come un momento di melodie creative.
Detto ciò e nonostante la narrazione scientifica in senso moderno risulti essere la narrazione più (con)vincente, ciò non la esime da critica e, soprattutto, figlia, abbastanza edipica a dire il vero,  o sorella che sia, non esaurisce le interrogazioni che, volenti o nolenti, l'umano continua a porsi.


CARLO
Sono pienamente d'accordo. 
A questo proposito ti propongo un brano di Cassirer molto significativo:

<<Che si fosse potuti arrivare a questa catastrofe, a questa disintegrazione dei nostri ideali di cultura etico-spirituali, non era, secondo Schweitzer, imputabile alla filosofia. Si trattava di un fatto emerso da altre condizioni nello sviluppo del pensiero. «Ma - spiega Schweitzer - la filosofia era colpevole perché non ammetteva il fatto... La vocazione ultima della filosofia è quella d'essere la guida e il guardiano della ragione in generale; sarebbe stato suo dovere, date le circostanze, confessare al mondo che gli ideali etici non erano più sorretti da alcuna concezione del mondo ma, sino a nuovo avviso, erano abbandonati a se stessi e dovevano farsi strada nel mondo con la loro sola forza intrinseca. Essa avrebbe dovuto esortarci a lottare a sostegno degli ideali su cui poggia la nostra civiltà... Non avrebbe dovuto risparmiare sforzo alcuno per rivolgere l'attenzione dei dotti e degli indotti al problema degli ideali della civiltà... Nell'ora del pericolo il guardiano che avrebbe dovuto tenerci svegli dormiva, cosicché noi non opponemmo resistenza alcuna». Io credo che tutti noi, che negli ultimi decenni abbiamo lavorato nel campo della filosofia teoretica, meritiamo in certo senso questa censura di Schweitzer. Non mi escludo dal numero, né assolvo me stesso. Mentre conformavamo i nostri sforzi al concetto scolastico della filosofia, immersi nelle sue difficoltà fino a restar imprigionati nelle sue sottigliezze, troppo spesso abbiamo perso di vista l'autentico concetto della fìlosofìa nel suo nesso con il mondo.
Ma oggi non possiamo più tener chiusi gli occhi dinanzi al pericolo che ci minaccia. Oggi l'urgenza dei tempi ci ammonisce più vigorosamente e imperativamente che mai che sono di nuovo in giuoco per la filosofia le sue scelte ultime e supreme. Esiste davvero un qualcosa che chiamiamo verità teoretica oggettiva? Esiste davvero ciò che le generazioni precedenti hanno inteso come l'ideale della moralità, dell'umanità? Ed esistono proposizioni etiche universalmente vincolanti, che trascendano l'individuo, lo Stato, la nazione? In un'epoca in cui diviene possibile porre queste domande, la filosofia non può starsene in disparte, muta e inerte. Oggi come mai in passato è giunto per essa il momento di riflettere nuovamente su se stessa, su ciò che è e su ciò che è stata, sulla sua finalità fondamentale, sistematica, e sul suo passato storico-spirituale. [...] Senza la rivendicazione di una verità autonoma, oggettiva, indipendente, non soltanto la filosofia, ma tutte quante le scienze particolari, così della natura come dello spirito, perderebbero la loro stabilità e il loro senso.  Nel nostro tempo non è dunque soltanto un'esigenza di metodo, ma un comune destino spirituale, che congiunge la filosofia alle scienze particolari, e lega strettamente l'una alle altre. Al pessimismo persuaso che l'ora della nostra cultura è suonata, che il «tramonto dell'Occidente» è ineluttabile, che null'altro possiamo fare se non contemplare questo tramonto in quieto raccoglimento; a questo pessimismo e fatalismo noi non intendiamo rassegnarci>>.  [ERNST CASSIRER: Simbolo, mito e cultura - pp.68/70]

<<Nel momento stesso in cui non ha più fiducia nel proprio potere, in cui cede il passo ad un atteggiamento meramente passivo, la fìlosofìa non è più in grado di assolvere il suo più importante compito educativo. Non può più insegnare all'uomo come sviluppare le sue facoltà attive al fìne di formare la sua vita individuale e sociale. Una filosofia la quale indulga a fosche predizioni circa il declino e l'inevitabile distruzione della cultura umana, una filosofia la cui attenzione sia totalmente concentrata sull'esser gettato dell'uomo, non può più fare il suo dovere. [...]
«Nel diciottesimo secolo e nei primi decenni del diciannovesimo - scrive Schweitzer - la filosofia s'era posta a guida del pensiero in generale. Allora la filosofia portava in idee elementari circa l'uomo, la società, la razza, l'umanità e la civiltà, alimentando così, in modo perfettamente naturale, una vivente filosofia popolare che a sua volta agiva sul pensiero in generale e teneva desto l'entusiasmo per la civiltà». Tutto ciò andò perduto durante la seconda metà dell'Ottocento. E la filosofia non si rese neppur conto della perdita. Non si accorse che la forza delle idee concernenti la civiltà ad essa affidate si affievoliva fino a svanire. Malgrado tutta la sua dottrina, la filosofia era divenuta straniera al mondo ed ai problemi di vita che concretamente occupavano l'uomo; e l'intero pensiero contemporaneo non prendeva parte alcuna nelle attività della sua epoca. [...] «La filosofia filosofò così poco sulla civiltà che non s'accorse che lei stessa e con essa l'epoca sua si svuotavano sempre più di civiltà. Nell'ora del pericolo il guardiano che avrebbe dovuto tenerci svegli dormiva, cosicché noi non opponemmo resistenza alcuna»>>.  [ERNST CASSIRER: Simbolo, mito e cultura - pp.233/36]

davintro

Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 18:40:08 PMDAVINTRO Filosofia e scienza sperimentali non sono come due corridori che competono per la stessa gara e di cui si possono rilevare i fallimenti perché uno dei due non arriva al risultato che invece ottiene l'altro, ma "corrono" in campi separati, l'uno (quello della filosofia) quello dell'individuazione di princìpi assoluti, evidenti, indubitabili, che restano tali indipendentemente dalle contingenze spazio-temporali, princìpi che possono sia essere riferiti alla sfera dell'esistenza (ontologia) o della fondazione razionale della conoscenza (gnoseologia e epistemologia), CARLO ...E dopo due millenni e mezzo di ricerca, quanti di questi <<princìpi assoluti, evidenti, indubitabili>> ha scoperto la filosofia? Vuoi che te la dia io una risposta, oppure la conosci anche tu? DAVINTRO ...l'altro (le scienze sperimentali) devono limitarsi a un sapere costantemente provvisorio e incerto, perché fondato sull'esperienza, cioè su una dimensione per la quale ogni verifica successiva può in ogni momento smentire la pretesa di ricavare leggi universali sulla base dei dati precedentemente raccolti, CARLO Hai una concezione della storia del sapere totalmente immaginaria e fuori della realtà. Le scienze sperimentali solo le sole ad aver svelato una tale quantità di verità indubitabili e di leggi della natura da aver dato luogo alla più grande rivoluzione di tutti i tempi, sia sul piano dell'affidabilità delle sue conoscenza sia sul piano dell'utilizzo di queste conoscenze nella trasformazione della materia sia a proprio immenso vantaggio che, purtroppo, per fini distruttivi.


Non va confusa la filosofia con la storia della filosofia: le diatribe tra le differenti scuole (che comunque, anche se in misura forse minore sono presenti anche nelle scienze sperimentali, vedi i dibattiti circa l'evoluzionismo darwiniano o le varie interpretazioni delle teorie dei quanti) riguardo i risultati della filosofia derivano, non da un'intrinseca ed essenziale imperfezione del metodo, ma dal fatto che questi risultati hanno delle implicazioni che toccano la sfera dei valori e dei sentimenti morali, che varia da persona a persona, ed impedisce che sulle questioni fondamentali della filosofia le persone abbiano quel totale distacco e freddezza necessari per pervenire a delle conclusioni il più possibile oggettive. Il metodo filosofico, proprio perché non basato sull'esperienza, ma sulla logica dialettica, è di per sé pienamente razionale, ma storicamente non riesce mai a essere applicato con il dovuto rigore richiesto, perché condizionato dai pregiudizi, dalla sensibilità valoriale, soggettiva, dei filosofi, intesi non in quanto tali, ma in quanto esseri umani. Non a caso la morale è considerata una ramificazione della filosofia, non delle altre scienze. Cioè il limite circa la possibilità per la filosofia di raggiungere conclusioni certe e inoppugnabili non è un limite che squalifica il metodo nella sua essenzialità, ma qualcosa che proviene da qualcosa di esterno ad esso, cioè la "debolezza" della natura umana, i cui sentimenti di valori sono maggiormente coinvolti nelle questioni filosofiche in un modo più intenso che in ogni altro genere di questione. L'individuazione del ruolo e il metodo della filosofia attengono alla sua essenza, non alle sue applicazioni storiche. Confondere le due cose misurando la prima sulla base delle seconde è un comune errore storicista ed empirista

Per quanto riguarda la presunta indubitabilità delle scienze sperimentali, non si tratta del tipo di concezione della storia del sapere che si ha, ma dell'analisi delle conseguenze a partire dall'individuazione del loro metodo. Un sapere fondato sull'esperienza non può mai raggiungere verità indubitabili al 100%, perché dovrebbe dare per scontata l'infallibilità dei strumenti percettivi, sia naturali (i 5 sensi corporei) che artificiali (microscopi, telescopi ecc.) nella loro funzione di far coincidere il complesso dei fenomeni che si manifestano alla nostra coscienza soggettiva e la cose stesse oggettive. L'incapacità di argomentare circa tale infallibilità (data dal fatto che, fermandoci all'ambito dell'esperienza, anche l'esperienza, un certo esperimento, in base a cui si cercherebbe di garantire l'infallibilità degli strumenti percettivi usati, dovrebbe a sua volta giustificare se stessa, cioè l'adeguatezza dei suoi strumenti, e così via, in un regresso aporetico all'infinito) preserva un margine quantomeno minimo di incertezza, di cui, come scritto nel precedente messaggio, potremmo anche non curarci a livello pragmatico, limitandoci a tenere per buoni i risultati che appaiono più probabili sotto il profilo quantitativo, per utilizzarli nelle produzioni di oggetti tecnologici, ma se l'obiettivo è invece puramente teoretico (cioè puramente contemplativo, senza voler strumentalizzare il sapere raggiunto per fini pratici), cioè quello di fissare una conoscenza del tutto certa e indubitabile, allora il margine va riconosciuto come impedente alla scienza empirica di poter assurgere a conoscenza di questo tipo, e quindi di essere un sapere davvero fondativo, che dovrebbe comprendere le premesse evidenti, a partire da cui dedurre un sistema razionale di conoscenze. Il realismo ingenuo del senso comune che ritiene di poter legittimare la credenza in determinato modo d'essere delle cose sulla base di una costanza abitudinaria delle nostre percezioni su di esse, va superato in favore di un realismo critico, che sa giustificare l'uscita dal solipsismo e il riconoscimento di una realtà oggettiva, nella misura in cui questa diviene necessaria per giustificare l'esistenza della nostra coscienza e delle esperienze fenomeniche soggettive, cioè ciò che, cartesianamente, è al riparo dalla possibilità di cancellazione sulla base dell'esercizio del dubbio riguardo la corrispondenza fra esse e la realtà. In sintesi, recuperare l'Oggetto partendo però metodologicamente dal Soggetto.

Carlo Pierini

DAVINTRO
Un sapere fondato sull'esperienza non può mai raggiungere verità indubitabili al 100%, perché dovrebbe dare per scontata l'infallibilità dei strumenti percettivi, sia naturali (i 5 sensi corporei)

CARLO
Secondo te, non è vero al 100% che i pianeti del Sistema Solare girano intorno al Sole e non intorno alla Terra?
Non è vero al 100% che la Terra non è piatta, ma è uno sferoide?
Non è vero al 100% che il nostro sangue non è immobile (come si credeva fino al XVII° secolo) ma che circola nelle vene pompato dal cuore?
Non è vero al 100% che il fuoco non è una sostanza (chiamata flogisto, come si credeva fino al sec. XVIII), ma si tratta di una reazione chimica?
....
Vuoi che ti compili una lista di altre 2 o 3 mila verità inconfutabili, oppure ti bastano queste?

paul11

Ciao Carlo,
sicuramente c'è una realtà "minima" che prescinde dalla soggettività umana che è un limite.
Diversamente non si capirebbe come mai se sbatto contro un muro mi faccio male e domani è ancora là e poi ancora.
Potrei rispondere che tutto nasce dall'aporia del fondamento in filosofia.
Tagliando corto, ad un certo punto la filosofia ha compiuto delle scelte verso la pratica,
Significò abbandonare l'ontologia (l'essere), accettare il divenire(l'esperienza) e inserirvi i criteri di verità logica.
Il salto, come si sa è venuto da Galileo e direi Cartesio inizialmente.
I filosofi in realtà sono schierati su due fronti, banalizzo, dalla modernità ad oggi.
Kant è un precursore in quanto credette di scientificizzare la filosofia,come ben detto da davintro e aperion.
In realtà la scienza è figlia indiretta della filosofia, e diretta della Tecnica.
Proprio perché come hai descritto i processi induttivi e deduttivi nascono dalla logica predicativa(Aristotele) e proposizionale(stoici).
Kant, come antesignano prende da Hume l'indimostrabilità della realtà, descrivendo il procedimento cognitvo umano come proprio limite gnoseologico.Hume è a suo modo un precursore della filosofia della mente e quindi anche dell'epistemologia, perché già qui è intrinseca la fallibilità.
La tecnica, intesa come forma filosofica che sposa un modo esperienziale di approcciare nelle prassi, dà gli streumneti gnoseologici alla scienza, quest'ultima esplode come rivoluzione come capacità di poter categorizzare e sistematizzare i procedimenti esperienziali in teorie costruite proprio come le antiche geometrie e matematiche, in postulati, enunciati.
Un altro passaggio intanto era avvenuto, il soggetto è più importante dell'oggetto e muta il sistema relazionale epistemico.
Significa che l'uomo, nella filosofia antica era assoggettato all'ontologia di eterni, il procedimento gnoseologico era di tipo deduttivo e il pensiero si orientava su problematiche di armonizzazione fra natura, uomo, divino.
La tecnica sposando la prassi esperienziale, pone l'uomo al posto del divino e ritiene di modellare la natura.quindi il soggetto con la gnoseologia diventa propenderante fino ad annichilire l'ontologia..
Eì chiaro ,come ha ben detto davintro, che la morale antica poggiava sulle armonizzazioni fra divino, natura e uomo, il bene e il male, per così dire, era essere dentro o fuori le armonizzazioni dei tre soggetti ontologici.

Oggi assistiamo ad una crisi "scientifca" epistemologica, non solo filosofica.
L'abnorme soggettivismo e costruttivismo, ha debordato nel processo delle assiomatizzazioni.
Il passaggio del processo del elettromagnetismo di Maxwell, ha consentito la teoria delal relatività in quanto la velocità della luce venne ritenuta costante.Hilbert nel 1900 riformula lamatematica con 12 assiomi(se non ricordo male), la geometria euclidea viene riformulata mutando il postulato sulle parallele e si costruisce la geomtria delle ellisse e iprbolica.
Lì, nella grande fase di scoperte e invenzioni che hanno mutato lambiente umano, si è capito che bastava riformulare qualche assioma per mutare il modello di rappresentazione scientifico, ma poneva limiti ontologici e gnoseologici, L'epistemologo Feyarabend che prefersico a Poppper, disse una cosa reale: le teorie in realtà non vengono superate da nuove, ma semplicemnte si utilizzano quelle che meglio si confanno ad un ambiente ed ad uno scopo.
Significa che convivono le meccaniche di Galielo, Newton, Einstein e la quantistica, Dipende solo cosa vogliamo studiare. Einstein va bene fuori dall'atmosfera terrestre, ci bastano le convenzioni di Galileo e Newton dentro l'atmosfera terrestre.
Le teorie del multiverso, sono formulazioni matematiche
Le strumentazioni scientifiche sono solo amplificazione die sensi umani, intese come estensione delle frequenze elettromagnetiche, che noi umani abbiamo limitate dentro un range.
Ma tutto è sempre funzionale al limite gnoseologico di Hume

Quindi dire, che la tecnolgia non è nata con la scienza moderna, quando studiamo i lpassaggio dall'età del ferro a quella del bronzo, la scoperta ad esempio della polvere da sparo dei cinesi, le architetture con volte a tutto sesto che tengono in piedi ancora oggi colossali costruzioni senza bisogo dell 0ingegnere contemporaneo che fa i collaudi, sono segni che la scienza in fondo c'è sempre stata.
Fu l'esaltazione del soggetto umano nelle prassi sposando la Tecnica e divenendo consapevole del potere di modificare con l'artificio la natura spostando gli scopi del senso esistenziale nell'utile e funzionale al proprio ego che si sviluppò la scienza. La scienza in sé e per sé non fa cultura, semmai ci dà potere.questo potere fiducioso alla tecnica, questa sì che è cultura è la forma divinatoria decadente di affidamento ad un nuovo soggetto del nostro destino.
Inevitabilmente, per quanto ho scritto, sono mutate le etiche e le morali,così come i pensieri "deboli" e relativi sono in accordo al processo del modellare e mutare gli assiomi che tengono in piedi i fondamenti contemporanei del pensiero.

E' interessante quando dici che in fondo si tratterebbe di fare lo stesso salto alla filosofia per riguadagnare la differenza di "potenza" con la scienza.
Quì vi sono diverse modalità di approccio.
C'è chi ritenendo che il problema del potere della tecnica, nacque dall'aporia del fondamento, rimane di fatto in pratica in attesa che si compia il tragitto storico.
Altri ,che sto leggendo, cercando di disattivare i dispositivi culturali che reggono la decadenza, come il termine potenza, si tratterebbe di depotenziare la scienza, di depotenziare l'economia e di non ragionare più per scopi, ma di vivere "alla giornata".
Nel mondo attuale noi siamo trascinati via dal sistema tecnico , in cui le scienze e le pratiche politiche ed economiche, ormai corrono per conto loro , perché hanno acquisito un' ontologia di fatto data dalle prassi e noi ansiosamente dobbiamo reggere i tempi continui dei mutamenti .Questo è folle nichilismo e annichilimento umano. Ed è qui quindi il problema filosofico.

Eutidemo

Sull'argomento, vi suggerisco di ascoltare questa breve trasmissione radiofonica (prima che tolgano il PODCAST):
http://www.radio24.ilsole24ore.com/programma/versioneoscar/puntate

Carlo Pierini

Citazione di: paul11 il 28 Luglio 2018, 01:50:38 AM
Ciao Carlo,
sicuramente c'è una realtà "minima" che prescinde dalla soggettività umana che è un limite.
Diversamente non si capirebbe come mai se sbatto contro un muro mi faccio male e domani è ancora là e poi ancora.
Potrei rispondere che tutto nasce dall'aporia del fondamento in filosofia.
Tagliando corto, ad un certo punto la filosofia ha compiuto delle scelte verso la pratica,
Significò abbandonare l'ontologia (l'essere), accettare il divenire(l'esperienza) e inserirvi i criteri di verità logica.
Il salto, come si sa è venuto da Galileo e direi Cartesio inizialmente.
I filosofi in realtà sono schierati su due fronti, banalizzo, dalla modernità ad oggi.
Kant è un precursore in quanto credette di scientificizzare la filosofia,come ben detto da davintro e aperion.
In realtà la scienza è figlia indiretta della filosofia, e diretta della Tecnica.
Proprio perché come hai descritto i processi induttivi e deduttivi nascono dalla logica predicativa(Aristotele) e proposizionale(stoici).
Kant, come antesignano prende da Hume l'indimostrabilità della realtà, descrivendo il procedimento cognitvo umano come proprio limite gnoseologico.Hume è a suo modo un precursore della filosofia della mente e quindi anche dell'epistemologia, perché già qui è intrinseca la fallibilità.
La tecnica, intesa come forma filosofica che sposa un modo esperienziale di approcciare nelle prassi, dà gli streumneti gnoseologici alla scienza, quest'ultima esplode come rivoluzione come capacità di poter categorizzare e sistematizzare i procedimenti esperienziali in teorie costruite proprio come le antiche geometrie e matematiche, in postulati, enunciati.
Un altro passaggio intanto era avvenuto, il soggetto è più importante dell'oggetto e muta il sistema relazionale epistemico.
Significa che l'uomo, nella filosofia antica era assoggettato all'ontologia di eterni, il procedimento gnoseologico era di tipo deduttivo e il pensiero si orientava su problematiche di armonizzazione fra natura, uomo, divino.
La tecnica sposando la prassi esperienziale, pone l'uomo al posto del divino e ritiene di modellare la natura.quindi il soggetto con la gnoseologia diventa propenderante fino ad annichilire l'ontologia..
Eì chiaro ,come ha ben detto davintro, che la morale antica poggiava sulle armonizzazioni fra divino, natura e uomo, il bene e il male, per così dire, era essere dentro o fuori le armonizzazioni dei tre soggetti ontologici.

Oggi assistiamo ad una crisi "scientifca" epistemologica, non solo filosofica.
L'abnorme soggettivismo e costruttivismo, ha debordato nel processo delle assiomatizzazioni.
Il passaggio del processo del elettromagnetismo di Maxwell, ha consentito la teoria delal relatività in quanto la velocità della luce venne ritenuta costante.Hilbert nel 1900 riformula lamatematica con 12 assiomi(se non ricordo male), la geometria euclidea viene riformulata mutando il postulato sulle parallele e si costruisce la geomtria delle ellisse e iprbolica.
Lì, nella grande fase di scoperte e invenzioni che hanno mutato lambiente umano, si è capito che bastava riformulare qualche assioma per mutare il modello di rappresentazione scientifico, ma poneva limiti ontologici e gnoseologici, L'epistemologo Feyarabend che prefersico a Poppper, disse una cosa reale: le teorie in realtà non vengono superate da nuove, ma semplicemnte si utilizzano quelle che meglio si confanno ad un ambiente ed ad uno scopo.
Significa che convivono le meccaniche di Galielo, Newton, Einstein e la quantistica, Dipende solo cosa vogliamo studiare. Einstein va bene fuori dall'atmosfera terrestre, ci bastano le convenzioni di Galileo e Newton dentro l'atmosfera terrestre.
Le teorie del multiverso, sono formulazioni matematiche
Le strumentazioni scientifiche sono solo amplificazione die sensi umani, intese come estensione delle frequenze elettromagnetiche, che noi umani abbiamo limitate dentro un range.
Ma tutto è sempre funzionale al limite gnoseologico di Hume

Quindi dire, che la tecnolgia non è nata con la scienza moderna, quando studiamo i lpassaggio dall'età del ferro a quella del bronzo, la scoperta ad esempio della polvere da sparo dei cinesi, le architetture con volte a tutto sesto che tengono in piedi ancora oggi colossali costruzioni senza bisogo dell 0ingegnere contemporaneo che fa i collaudi, sono segni che la scienza in fondo c'è sempre stata.
Fu l'esaltazione del soggetto umano nelle prassi sposando la Tecnica e divenendo consapevole del potere di modificare con l'artificio la natura spostando gli scopi del senso esistenziale nell'utile e funzionale al proprio ego che si sviluppò la scienza. La scienza in sé e per sé non fa cultura, semmai ci dà potere.questo potere fiducioso alla tecnica, questa sì che è cultura è la forma divinatoria decadente di affidamento ad un nuovo soggetto del nostro destino.
Inevitabilmente, per quanto ho scritto, sono mutate le etiche e le morali,così come i pensieri "deboli" e relativi sono in accordo al processo del modellare e mutare gli assiomi che tengono in piedi i fondamenti contemporanei del pensiero.

E' interessante quando dici che in fondo si tratterebbe di fare lo stesso salto alla filosofia per riguadagnare la differenza di "potenza" con la scienza.
Quì vi sono diverse modalità di approccio.
C'è chi ritenendo che il problema del potere della tecnica, nacque dall'aporia del fondamento, rimane di fatto in pratica in attesa che si compia il tragitto storico.
Altri ,che sto leggendo, cercando di disattivare i dispositivi culturali che reggono la decadenza, come il termine potenza, si tratterebbe di depotenziare la scienza, di depotenziare l'economia e di non ragionare più per scopi, ma di vivere "alla giornata".
Nel mondo attuale noi siamo trascinati via dal sistema tecnico , in cui le scienze e le pratiche politiche ed economiche, ormai corrono per conto loro , perché hanno acquisito un' ontologia di fatto data dalle prassi e noi ansiosamente dobbiamo reggere i tempi continui dei mutamenti .Questo è folle nichilismo e annichilimento umano. Ed è qui quindi il problema filosofico.

CARLO
Hai toccato talmente tanti argomenti (senza approfondirne nessuno) che per una risposta esaustiva mi servirebbero un paio di mesi di tempo (che non ho) e qualche centinaio di pagine di precisazioni.
Pertanto, affinché sia chiaro, perlomeno, che non sto difendendo la tesi dell'infallibilità della scienza, mi limito a porti una sola domanda: che differenza c'è, secondo te, tra "fallibilità della conoscenza" e "fallibilismo"?

Apeiron

CARLO
Vorrei chiarire che la mia non è solo una congettura, ma una tesi che si basa su osservazioni oggettive, e che quindi non è liquidabile a-priori senza entrare nel merito - punto per punto - di ciò che affermo (infatti non ho mai detto che <<le proprietà della matematica sono intrinseche alla realtà>>)
Al contrario, la tua una è vera e propria congettura , visto che
1 - l'idea sull'impossibilità di fondare qualsiasi verità è assolutamente arbitraria e priva di supporti;
2 - questa stessa idea è autocontraddittoria, perché non si può pretendere di dire il vero se si nega fondatezza a ogni possibile verità.
Pertanto, se ti interessa discutere l'argomento, comincia col rispondere alle mie domande iniziali, e poi vedrai che ...l'appetito vien mangiando!  

APEIRON
Ciao Carlo,

OK cercherò di rileggere le risposte che tu stesso dai alle tue domande. Con la mia risposta ho cercato di spiegarti come sia Kant che Berkeley non hanno grossi problemi con la scienza (Kant stesso cercò di dare fondamento alla scienza). Riguardo ad Hume il suo approccio è uno scetticismo estremamente rigoroso e credo di aver spiegato al meglio delle mie possibilità che la sua critica è perchè secondo Hume ogni epistemologia basata sulla sola esperienza non può dare "certezze".

Rigurado alla mia congettura ( e sono felice di chiamarla tale, dopo spiego il motivo).
1- non ho mai detto una cosa del genere. Come ho detto (1) come Kant accetto le vertità universali del mondo fenomenico (ad esempio che la Terra non è piatta oppure che la relatività di Einstein spiega meglio le cose della teoria Newtoniana) (2) tali verità, però, si basano sullo studio dell'oggetto così come è per il soggetto (ovvero per la mente che conosce) e dunque bisogna tener conto anche del soggetto (ripeto, la differenza tra questa congettura e il relativismo è che, per il relativismo, dovremmo rinunciare a parlare di verità condivise cosa che, personalmente, ritengo molto erronea) (3) visto che c'è per così dire il contributo del soggetto, non vediamo la "realtà-così-come-è", ovvero in modo indipendente da come noi stessi rappresentiamo il mondo fenomenico (4) a differenza di Kant, però, non ritengo che la "realtà-così-come-è" sia completamente inaccessibile a noi e anzi ritengo che lo studio dei fenomeni ci fornisce una sorta di "approssimazione" della "realtà-così-come-è" (conoscibile da una mente inerrante, ovvero, che "vede le cose per quelle che sono". Ovviamente, l'esistenza di tale mente è una congettura). Il fondamento della vertit è proprio dato dalla "realtà-così-come-è" (cosa che è visibile da quella ipotetica mente). Se, ad esempio, notiamo che la relatività funziona meglio della meccanica newtoniana è ragionevole concludere che la relatività ci riesce a dare qualche informazione anche sulla "realtà-così-come-è" (e quindi sulla verità ultima, la conoscenza della mente inerrante).  
2- non ho tolto il fondamento alla verità, anzi ho esplicitamente detto che c'è e che noi studiando il mondo fenomenico ne abbiamo una visione approssimata.

Riguardo al termine "congettura", non avevo alcuna intenzione "offensiva", visto che "congettura" è più o meno equivalente a "teoria". Ho anche espresso un giudizio positivo alla tua, dicendo che è "plausibile"  :)

comunque se per te l'inglese non è un problema, ti segnalo un link dove Jung viene letto in chiave Kantiana http://www.friesian.com/jung.htm inoltre nello stesso sito l'autore espone il suo pensiero, parlando della sua affinità a diversi pensatori, tra cui Platone e Kant (e tra questi due trova diverse somiglianze e Kant viene interpretato anche come una sorta di platonico) http://www.friesian.com/ross/platonis.htm

P.S.
En passant, faccio notare che molti fisici del novecento erano stati influenzati (direttamente o indirettamente) da Kant e Hume. Tra questi anche Einstein :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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