La conoscenza è una complementarità di opposti. E i numeri sono archetipi

Aperto da Carlo Pierini, 08 Luglio 2018, 10:50:28 AM

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Carlo Pierini

Visto che stiamo discutendo sul tema della conoscenza, mi sia concesso di ripubblicare questo post che scrissi un anno fa nella sezione "Tematiche spirituali".

Cos'è la conoscenza? E' una costruzione soggettiva (conoscenza = soggetto), oppure essa coincide con "l'oggetto in sé" (conoscenza = oggetto)? Un dilemma, questo, che già un millennio fa opponeva i filosofi sostenitori della conoscenza (verità) intesa come "adaequatio intellectus ad rem" e quelli che la intendevano come "adaequatio rei ad intellectus".
Ebbene, anche in questo caso, per risolvere il dilemma si deve introdurre una terza opzione, cioè, l'idea di complementarità *ontologica* tra "intellectus" (il soggetto) e "res" (l'oggetto); un'idea che Tommaso sintetizzava come "adaequatio rei ET intellectus" e che Spinoza perfezionava nella formula "ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum".

[Questa terza opzione non è un puro artificio speculativo, ma deriva dalla constatazione che nella conoscenza reale non avviene una fusione in cui il soggetto viene assorbito passivamente dall'oggetto (adaequatio intellectus ad rem) o nella quale è l'oggetto che scompare passivamente tra le pieghe interpretative del soggetto (adaequatio rei ad intellectus), ma è la realizzazione di una complementarità tra due enti opposti di pari dignità (soggetto e oggetto) nella quale entrambi partecipano attivamente e simmetricamente all'unità del "tertium" (la conoscenza): l'oggetto fornisce l'"ordo et connexio rerum", cioè le relazioni tra le grandezze fisiche che lo costituiscono (il fenomeno), mentre il soggetto fornisce l'"ordo et connexio idearum", cioè, l'ordine tra gli elementi metafisici (numeri, concetti, logica) che lo descrive (il paradigma interpretativo). Quindi la conoscenza non è un'unità nella quale si perde la dualità ontologica di soggetto e oggetto, ma un'unità complementare in cui, al contrario, l'ontologia dell'uno e dell'altro è massimamente esaltata e realizzata.]

E non è affatto casuale che la conoscenza umana (sia pure soltanto quella del mondo materiale) abbia compiuto (con la nascita della Scienza) un balzo evolutivo senza precedenti dal momento in cui ha scoperto che "l'ordo et connexio idearum", cioè l'ordine e la connessione dei numeri (la matematica) è DAVVERO complementare con l'"ordo et connexio rerum", cioè con le relazioni esistenti tra le entità fisiche; ...che esiste DAVVERO una sorta di "harmonia praestabilita" (Leibniz) o di complementarità originaria tra intelletto e realtà fisica, tra soggetto osservatore e oggetto osservato, tra Metafisica e Fisica.
Per intenderci ancora più chiaramente: già esisteva l'operazione matematica "3x8=24" molto prima che Newton scoprisse che "m x a = F", cioè, che è necessaria una forza di 24 Nw affinché una massa di 3 kg subisca una accelerazione di 8 m/s^2, cioè ancora, che l'operazione metafisica di moltiplicazione governa la relazione che regna tra le grandezze fisiche "massa", "accelerazione" e "forza". Ciò dimostra che la matematica non è un artificio costruito ad hoc, a-posteriori, sui fatti osservati, ma che essa precede l'osservazione.

In questa prospettiva, allora, definiremo "conoscenza" NON l'oggetto in sé, NE' una costruzione soggettiva pura, MA quel "tertium" superiore (una legge fisica) verso il quale convergono complementariamente DUE ontologie distinte ed ontologicamente sovrane>>.

In definitiva, anche la Conoscenza è una complementarità di opposti, o meglio, rappresenta la realizzazione del primo esemplare storico reale di ciò che gli alchimisti chiamavano "Opus", o "Lapis philosophorum": è la prima autentica "Pietra filosofale" realizzata dall'intelletto umano ("aurum nostrum non est aurum vulgi")
Come scrive Jung:

<<Nella speculazione alchemica, [...] gli opposti si esprimono anzitutto nella duplicità di Mercurio che è comunque armonizzata nell'unità del Lapis ("unus est lapis!" ). Il Lapis viene realizzato dall'adepto (Deo concedente) e riconosciuto come l'equivalente dell'Unus Mundus" >>.  [JUNG: Mysterium coniunctionis - pgg.78/79]

<< Il simbolismo della complexio oppositorum, indica proprio il contrario di un annientamento degli opposti, poiché attribuisce al prodotto dell'unione o durata eterna - cioè incorruttibilità e immutabilità imperturbabile - o massima e inesauribile efficacia".  [JUNG: Psicologia e religione - pg. 182]

Questa sovranità ontologica dei due principi opposti (soggetto e oggetto, metafisica e fisica) è sottolineata nel simbolo della Complementarità...

https://4.bp.blogspot.com/-eM4yoCLtG40/WZ2MqmP57vI/AAAAAAAAAKY/2nDfbzh0w9QD-CbZZFxTnhceXSUyvHFDACLcBGAs/s1600/CADUCEO%2B%2Bridotto.JPG

...dalle due corone regali che cingono le teste dei due serpenti-enti.
Ma il nostro simbolo ci suggerisce anche che il "Tertium" è suddiviso in due sezioni: una inferiore, il bastone, e una superiore, la colomba. Chi ha un po' di dimestichezza con i simboli, sa che la colomba, come creatura aerea, rappresenta lo spirito (in greco "pneuma" significa sia "aria" che "spirito"), mentre le immagini di uccelli che si posano sugli alberi rappresentano la discesa dello Spirito in Terra, oppure l'unità di Spirito e Materia, come si può vedere dai due seguenti esempi (tra le centinaia di esempi possibili):

https://2.bp.blogspot.com/-KzhODMlkJqo/WZ2Ub7H8LEI/AAAAAAAAAKo/nz7g6PF6SmcdqJZp_8Bla3YmsF0_dMzRACLcBGAs/s1600/Caduceo-albero%2B4.jpg

https://4.bp.blogspot.com/-nPYoezFpNjE/WZ2VJYUdFiI/AAAAAAAAAKw/8c40Dtp-ve4wrRBKnhZAlKVODwVDOqS9QCLcBGAs/s1600/ALBERO-DUALIT%25C3%2580%2B15.jpg

Tutto ciò esprime l'idea di una Conoscenza dalla doppia natura: terrestre-materiale (in spagnolo "legno" si dice "madera") e celeste-spirituale. Cosa può significare? La risposta la troviamo nella constatazione secondo cui la sfera della Conoscenza è virtualmente una Complementarità di opposti anche da un'altra prospettiva, più generale, rispetto alla quale essa è costituita da DUE emisferi:
1 - l'emisfero delle scienze della Natura, rivolto alla polarità fisica del reale (chimica, fisica, astronomia, biologia e derivate), la cui garanzia di validità è fornita essenzialmente dal metodo osservativo-matematico-sperimentale;
2 - l'emisfero delle scienze dello spirito, rivolto alla polarità metafisica (teologia, filosofia, psicologia, simbologia, antropologia, logica, matematica, ecc.) la cui garanzia di validità è fornita essenzialmente dal SOLO metodo osservativo-induttivo/deduttivo, poiché il metodo matematico-sperimentale è totalmente inadeguato ad essa.
http://2.bp.blogspot.com/-OfBUqhKj89M/VhABehiPo_I/AAAAAAAAAeM/uu0eZCl0NhM/s1600/YinYang.jpg
Tuttavia, quest'ordine generale di complementarità, non è stata ancora realizzato, tranne, come abbiamo visto, nella sezione matematica/fisica. Come dicevo ad Acquarius, infatti:
<<Per il momento, le Scienze delle Spirito non sono ancora pervenute ad un criterio di riferimento tanto solido e affidabile quanto lo è il criterio logico-matematico nell'ambito delle Scienze della Natura; ma non disperiamo: gli archetipi hanno tutte le carte in regola per diventare "i numeri" del sapere spirituale! >>

...Ma è proprio così? Gli archetipi possono svolgere nel campo delle scienze dello spirito una funzione analoga a quella dei numeri nelle scienze fisiche e trasformare le prime in scienze vere e proprie, in forme di sapere di dignità epistemica non inferiore alle seconde? La risposta è sì; ma vediamo perché.
Innanzitutto si è scoperto, come già chiarito sopra, che i numeri non sono dei semplici ed arbitrari artifici soggettivi costruiti ad hoc per descrivere il mondo fenomenico, ma si tratta di veri e propri archetipi, sebbene appartengano ad una categoria diversa da quella degli archetipi visti fin qui: potremmo chiamarli gli archetipi dell'ordine quantitativo, contrapposti a tutti gli altri che chiameremo archetipi dell'ordine qualitativo.
Persino la loro storia - la storia dei numeri - è simile a quella dei simboli-archetipi mitico-religiosi, se teniamo conto del fatto che la numerologia antica era appannaggio dei soli sacerdoti ed era parte integrante delle religioni più evolute; e dio solo sa quanto le primitive speculazioni numerologiche possano aver contribuito a spianare la strada prima alla matematica arabo/greca e poi alla scienza galileiana. Pitagora stesso, e poi Galilei, vedevano nei numeri NON un'invenzione umana, ma nientemeno che le lettere dell'alfabeto del Verbo Divino, cioè i modelli che il Dio-Demiurgo aveva usato per creare il mondo; proprio come Platone definiva gli archetipi (le "Idee iperuraniche") come "i pensieri dell'Intelletto divino", "i modelli delle cose create". E se guardiamo ancora (lo ribadisco) allo strabiliante salto evolutivo compiuto dalla Conoscenza dal momento in cui l'uomo ha cominciato ad interpretare il mondo fisico attraverso il paradigma matematico (nascita della "Scientia Nova"), possiamo tranquillamente concludere che Pitagora, Galilei e Platone erano molto più prossimi alla verità di quanto non lo siano molti sedicenti "epistemologi" relativisti moderni ossessionati dalla ...sega mentale secondo cui "la mappa non è il territorio"! Certo, lo sanno anche i bambini che la mappa non è il territorio, ma i bambini sanno anche che cento mappe matematiche rigorosamente corrispondenti a cento diversi aspetti del medesimo territorio, danno una definizione di quel territorio cento volte più nitida e affidabile di quella sola mappa non-matematica sgualcita e sdrucita che era la filosofia pre-scientifica basata sulle sole elucubrazioni "dialettiche" e sui dogmi dell'"ipse dixit".

Tutto ciò significa, dunque, che quel "grande balzo" (...alla Mao-Tse-Tung :) ) compiuto dalla Scienza, in definitiva, è solo il risultato di una "semplice" operazione: il ricorso metodico ai simboli/archetipi numerico-quantitativi per l'interpretazione-descrizione-rappresentazione del mondo fisico. E, se ciò che ne è seguito è stata una rivoluzione imponente come quella scientifica, è più che ragionevole pensare che, applicando l'altra polarità dei simboli/archetipi (quella dell'ordine qualitativo) all'altra polarità della Conoscenza (l'emisfero delle scienze dello spirito), ne possa conseguire una rivoluzione altrettanto imponente come quella del sapere scientifico. Una rivoluzione che risolleverebbe le scienze dello spirito (dalla Psicologia alla Teologia) dal rango, di "ancillae scientiarum", di cenerentole del sapere, proprio come nella favola omonima, nella quale è l'incontro con un Princip...e che le trasformerà da serve di sorellastre saccenti e vanitose in vere e proprie regine (si veda anche Biancaneve servetta dei sette nani).
Per le scienze dello spirito si tratta, cioè, di seguire l'esempio della Scienza, e NON, come invece hanno sempre fatto certi "esoterici" (vedi soprattutto Guénon, Evola, e molti simbolisti orientalisti innamorati della poesia taoista o della "paradossalità" inconcludente e fuorviante del buddhismo Zen) di combattere, osteggiare e sminuire i grandi meriti della Scienza stessa.
Si noti, per esempio, con quanto disprezzo Guénon parli delle scienze della Natura:

<<...Questa è una ulteriore dimostrazione di come le scienze profane, di cui il mondo moderno è così orgoglioso, altro non siano se non « residui » degenerati di antiche scienze tradizionali, così come la stessa quantità, a cui esse si sforzano di tutto ricondurre, non è, nella loro visione delle cose, se non il « residuo » di un'esistenza svuotata di tutto ciò che costituiva la sua essenza; è così che queste scienze, o pretese tali, lasciandosi sfuggire, oppure eliminando di proposito tutto ciò che veramente è essenziale, si rivelano in definitiva incapaci di fornire la spiegazione reale di qualsiasi cosa.
Allo stesso modo che Ia scienza tradizionale dei numeri è tutt'altra cosa dall'aritmetica profana dei moderni, sia pure con tutte le estensioni algebriche o d'altro genere di cui è suscettibile, così esiste anche una- « geometria sacra » non meno profondamente diversa da quella scienza « scolastica », che oggi si designa con lo stesso nome di geometria>>.   [R. GUENON: Il Regno della quantità e i segni dei tempi - pg. 14]

<< In questo studio, cercheremo di far vedere in modo ancor più completo, e da un punto di vista più generale, quale sia la vera natura delle scienze tradizionali, e per conseguenza quale abisso le separi dalle scienze profane che ne sono come una caricatura ed una parodia; ciò permetterà di valutare la decadenza subita
dalla mentalità umana nel passare dalle prime alle seconde, nonché di vedere, in rapporto alla situazione rispettiva dell'oggetto dei loro studi, come questa decadenza segua appunto strettamente la marcia discendente del ciclo percorso dalla nostra umanità>>. [R. GUENON: Il Regno della Quantità e i segni dei tempi - pg. 15]

Ma, tornando a noi, oltre a Pitagora-Platone-Galilei, c'è anche un matematico più moderno, G. Frege, che, pur non menzionando espressamente il concetto di archetipo, parla dei numeri e della matematica negli stessi loro termini:

<<La Logica matematica è una scienza delle leggi più generali dell'esser vero. (...) E' come un'isola deserta fra i ghiacciai: è là molto tempo prima di essere scoperta; così anche le leggi matematiche valgono già da prima della loro scoperta. Cosicché i pensieri veri, non solo sono indipendenti dal nostro riconoscerli tali, ma sono indipendenti anche dal nostro pensarli. Essi non appartengono a coloro che li pensano, bensì si presentano nello stesso modo e come gli stessi pensieri a tutti coloro che li concepiscono. (...)
Un terzo regno va dunque riconosciuto. Ciò che vi appartiene concorda da un lato con le rappresentazioni, perché non può venir percepito con i sensi, e d'altro lato con le cose, perché non ha bisogno di alcun portatore ai contenuti della cui coscienza appartenere. Così il pensiero che articoliamo nel teorema di Pitagora è vero atemporalmente, indipendentemente dal fatto che qualcuno lo ritenga vero. Non ha bisogno di alcun portatore. E' vero, cioè, non soltanto a partire dal momento in cui è stato scoperto, proprio come un pianeta è in un rapporto di azione reciproca con altri pianeti già prima che lo si scopra>>. [G. FREGE, tratto da: "La filosofia di Gottlob Frege", di C. BIANCHI - pg. 150]

Ecco, se sostituiamo i termini <<leggi matematiche>> e <<pensieri veri>> con il termine di <<archetipi>> questa riflessione corrisponde perfettamente con l'idea platonico-junghiano-eliadeano-pieriniana :) di "archetipo".

P.S.
Siccome sono piuttosto pippa come scrittore, se qualche passo vi rimanesse oscuro, fatemi pure delle domande di chiarimento, così aiutate anche me a tenermi in allenamento.

Il_Dubbio

Citazione di: Carlo Pierini il 08 Luglio 2018, 10:50:28 AMVisto che stiamo discutendo sul tema della conoscenza, mi sia concesso di ripubblicare questo post che scrissi un anno fa nella sezione "Tematiche spirituali". Cos'è la conoscenza? E' una costruzione soggettiva (conoscenza = soggetto), oppure essa coincide con "l'oggetto in sé" (conoscenza = oggetto)? 

Mi hai inviato qua da questo argomento: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-un-principio-universale/30/

Per quanto riguarda la conoscenza io ho gia detto la mia e per certi versi potrebbe anche coincidere con il tuo ragionamento, almeno fino a che sono riuscito a seguirlo (non capisco per esempio cosa sono gli archetipi e a cosa servono).
Come ho detto la conoscenza è  per me un atto di coscienza. Io conosco perche ho coscienza del contenuto di questa mia conoscenza. Quindi sono consapevole di sapere!

Il mio ragionamento mi ha portato a individuare un tema che se fosse adeguatamente indagato potrebbe portare alla soluzione, riporto pertanto una frase che ho gia scritto in quel argomento e cerco di spiegarlo meglio:

Secondo me il principio universale da trovare è nella teoria dell'informazione che si attua nell'interazione fra l'informatore e l'informato. Quando parlo di interazione parlo asetticamente di due enti interagenti non per forza di cose coscienti. Ma è ovvio che credo che la forma cosciente sia una forma di interazione, di stile e modi ed effetti, diversi dalle interazioni senza coscienza. Qui però sono io a non aver ancora trovato le differenze.

Perchè non ho trovato ancora differenze? Io ho parlato di interazione. Spesso, ed anche tu lo hai usato, si tende a individuare due enti, che chiamiamo uno soggetto e l'altro l'oggetto, che, interagendo, creano un terzo ente che sarà il risultato dell'interazione. Possiamo chiamarlo come vogliamo. Anche  "tertium" come hai scritto tu.

Chiarito di cosa stiamo parlando, la mia soluzione parte sostanzialmente nel ritenere l'interazione come parte fondamentale della spiegazione. Però capita di fare un ragionamento che non tiene conto di tutte le interazioni possibili alla creazione del "tertium". Quindi si arriva alla fine, ovvero all'interazione ultima tra soggetto e oggetto. Si dimentica però che il soggetto è anch'esso effetto di una interazione molto piu particolare e poco (o per nulla conosciuta) che è una interazione con se stesso. In senso stretto il soggetto informa se stesso. Altrimenti la semplice interazione fra due enti A e B diventa solo un passaggio di output. Per cui il soggetto è qualcosa di piu complesso di un oggetto. B informa A ma A deve poi anche informare A (quindi se stesso) della interazione con B. Come infatti A non conosce B come B (l'oggetto in se) ma conosce B attraverso A. Per questo facevo leva sua una futuribile teoria dell'informazione dove A è sia l'informatore che l'informato. Chiaro che una tale teoria non c'è... ma è del tutto ovvio che debba esistere.
Perchè io non riesco a trovare differenze? Ovvero posso accorgermi da qualche aspetto (da un effetto che posso provare ed osservare) che A venga ad essere informato di B in modo che sia cosciente di questa stessa informazione? Al momento mi manca una prova. Infatti A può benissimo essere informato da B e dare la risposta giusta perche l'ha imparata o una tra le risposte programmate, o riuscire a "calcolare" una nuova se è programmato ad un certo tipo di calcolo. La cosa che mi rincuora è che io sono sicuro di essere cosciente delle mie informazioni, ma non so se il fatto di essere cosciente abbia qualche influenza con le mie decisioni o con le mie stessa caratteristiche di uomo cosciente.
Comunque sia, anche se non avesse influenza, il fatto di avere certezza di essere cosciente mi induce a ritenere certa l'esistenza anche di questa interazione sottostante.

In linea generale tutte le interazioni trasferiscono una certa informazione fra un ente ed un altro. Questo in chimica, in fisica ma anche nei rapporti umani. E' ovvio però (e anche questo lo riprendo dalla risposta che ti ho dato nell'altro argomento) che le interazioni fra umani non sono interazioni semplici. Qui ti vado a ricordare la differenza che facevo fra un comportamento istintivo ed uno di tipo spirituale o culturale. Mentre le interazione fra  fotoni ed elettroni, benche sia complesso capirlo in quanto non li vediamo direttamente, si basano su leggi fisiche/matematiche note e che possono essere cosi previste ogni tipo di effetto, le interazioni fra umani sono complesse perchè sottintendono una impalcatura (fatta di usi, costumi, leggi ecc.) formata nel tempo e che può mutare con essa. Per cui l'interazione fra il mondo reale, fisico e chimico, con gli umani è una interazione compensata dalle conoscenze fisiche /matematiche. Di tutt'altro tipo sono le informazioni complesse  (ad esempio far legare l'economia al benessere) dalle cui interazioni è difficile fare previsioni.

Per finire, per me esiste solo l'interazione ma solo una di queste interazioni è attualmente non compresa o non conosciuta, ovvero l'interazione con se stesso che però crea il soggetto.  Senza questo tipo di interazione non c'è conoscenza. 
Ora io la vedo cosi  in termini un pò piu vicini a quelli scientifici che filosofici. Ovvero io non guardo al problema oggetto soggetto in termini di complementarità di opposti, ma in differenza di interazione. Il soggetto oltre che interagire con l'esterno interagisce anche con se stesso ed è solo questa caratteristica a renderlo soggetto.  Non riesco neanche a capire cosa ci guadagnamo, in termini filosofici, a vedere queste due entità in termini di complementarità. Dimmelo tu, perche io da questo punto in poi non ti seguo piu :)

iano

Quando definisco qualcosa definisco al contempo ciò che quella cosa non è,perciò la conoscenza è complementarietà di opposti.
Una definizione in se' è qualcosa di arbitrario , ma non tutte le definizioni godono dello stesso successo quando messe alla prova.
La matematica , che è il linguaggio principe di queste definizioni quindi è in se' arbitraria , come qualunque linguaggio umano.
Il linguaggio della matematica ha però un vantaggio sugli altri linguaggi umani , prestandosi in modo ottimale al meccanismo delle prove , con errori e correzioni , delle definizioni.
La conoscenza quindi sta entro il limite del linguaggio.Il nome non è la cosa , ma la indica.
Tuttavia ho piena memoria di come da giovane per me fra il nome e la cosa esistesse un legame inscindibile ed è una illusione non del tutto eliminata dalla considerazione generale,credo.
Questa illusione così pervicace penso abbia una forte motivazione e meriti approfondita riflessione.
La conoscenza del mondo non è il mondo , come il relativo non è l'assoluto.
Tuttavia se voglio che la mia operativa' nel mondo sia ottimale devo credere di non vivere dentro una ipotesi,e da qui la necessità della illusione.
Scelta una ipotesi , in modo non consapevole, quella diventa per me il mondo nel quale vivo, così che .richiamamdo alla mia mente l'illusione giovanile il tavolo si chiama tavolo e non potrebbe chiamarsi diversamente.
La scienza moderna in effetti ci propone diversi mondi (teorie) in cui vivere , e allo stesso tempo vive nell'illusione di trovare una teoria unica , dove ogni cosa trovi il suo posto è venga chiamata col suo nome.
Credo che la conoscenza scientifica solo apparentemente si contrapponga alla conoscenza sensoriale , essendo si conoscenze alternative, ma non di natura diversa.
Ciò che vediamo rimane per noi realtà,anche quando avvertiti delle illusioni sensoriali.
Siccome è la scienza che ci mette a parte di queste illusioni (che non è inutile ricordare hanno una loro funzione, e non possono ridursi a semplici errori) allora viene naturale assegnare un primato alla scienza rispetto alle sensazioni.Ma la semplice verità è che ci manca una ipesciemza che ci metta a parte delle illusioni della scienza, a meno che la filosofia non sia quella iperscienza.
Il PARADOSSO è che questa illusione è il motore e allo stesso tempo il freno della ricerca scientifica.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Carlo Pierini

Citazione di: iano il 24 Agosto 2018, 16:14:08 PM
Quando definisco qualcosa definisco al contempo ciò che quella cosa non è,perciò la conoscenza è complementarietà di opposti.
Una definizione in se' è qualcosa di arbitrario , ma non tutte le definizioni godono dello stesso successo quando messe alla prova.
La matematica , che è il linguaggio principe di queste definizioni quindi è in se' arbitraria , come qualunque linguaggio umano.
Il linguaggio della matematica ha però un vantaggio sugli altri linguaggi umani , prestandosi in modo ottimale al meccanismo delle prove , con errori e correzioni , delle definizioni.
La conoscenza quindi sta entro il limite del linguaggio.Il nome non è la cosa , ma la indica.
Tuttavia ho piena memoria di come da giovane per me fra il nome e la cosa esistesse un legame inscindibile ed è una illusione non del tutto eliminata dalla considerazione generale,credo.
Questa illusione così pervicace penso abbia una forte motivazione e meriti approfondita riflessione.
La conoscenza del mondo non è il mondo , come il relativo non è l'assoluto.
Tuttavia se voglio che la mia operativa' nel mondo sia ottimale devo credere di non vivere dentro una ipotesi,e da qui la necessità della illusione.
Scelta una ipotesi , in modo non consapevole, quella diventa per me il mondo nel quale vivo, così che .richiamamdo alla mia mente l'illusione giovanile il tavolo si chiama tavolo e non potrebbe chiamarsi diversamente.
La scienza moderna in effetti ci propone diversi mondi (teorie) in cui vivere , e allo stesso tempo vive nell'illusione di trovare una teoria unica , dove ogni cosa trovi il suo posto è venga chiamata col suo nome.
Credo che la conoscenza scientifica solo apparentemente si contrapponga alla conoscenza sensoriale , essendo si conoscenze alternative, ma non di natura diversa.
Ciò che vediamo rimane per noi realtà,anche quando avvertiti delle illusioni sensoriali.
Siccome è la scienza che ci mette a parte di queste illusioni (che non è inutile ricordare hanno una loro funzione, e non possono ridursi a semplici errori) allora viene naturale assegnare un primato alla scienza rispetto alle sensazioni.Ma la semplice verità è che ci manca una ipesciemza che ci metta a parte delle illusioni della scienza, a meno che la filosofia non sia quella iperscienza.
Il PARADOSSO è che questa illusione è il motore e allo stesso tempo il freno della ricerca scientifica.

CARLO
Ho già risposto a obiezioni come questa nel seguente thread:

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/e'-una-fortuna-(per-la-conoscenza)-che-la-mappa-non-sia-il-territorio/msg15092/#msg15092

bobmax

La complementarietà degli opposti richiederebbe questi opposti realmente esistenti.

Sono viceversa dell'idea che l'esistenza sia comunicazione.

Pura comunicazione, che prescinde dai poli che paiono comunicare.

La comunicazione, ossia l'esistenza, crea il soggetto e l'oggetto per manifestare se stessa.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Carlo Pierini

Citazione di: bobmax il 31 Agosto 2018, 08:52:03 AM
La complementarietà degli opposti richiederebbe questi opposti realmente esistenti.

Sono viceversa dell'idea che l'esistenza sia comunicazione.

Pura comunicazione, che prescinde dai poli che paiono comunicare.

La comunicazione, ossia l'esistenza, crea il soggetto e l'oggetto per manifestare se stessa.

CARLO
Non capisco. Vuoi dire che esiste solo la comunicazione? ...E che non esiste né il soggetto che la produce né i contenuti che essa veicola?

bobmax

L'esistenza si manifesta esclusivamente attraverso la comunicazione.
Al punto, che l'esistenza è comunicazione, e viceversa...

Ma non nel senso che vi sono entità che comunicano...
Queste entità sono solo generate dalla stessa comunicazione. Che ne abbisogna per potersi manifestare.

Quindi anche il termine "comunicazione" mal si presta, non consistendo nel trasferimento di informazioni (verità) ma nell'emergere dell'esistenza.

Vorremmo davvero credere che sia possibile trasferire una verità, in modo da "inculcarla" là dove prima non era?

Davvero la Verità può esservi in un posto ma non in un altro?

O non sarà invece che la Verità è già ovunque? E può emergere attraverso la comunicazione.

L'esistenza cerca la Verità, ossia la Trascendenza.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Carlo Pierini

Citazione di: bobmax il 31 Agosto 2018, 15:46:18 PM
L'esistenza si manifesta esclusivamente attraverso la comunicazione.
Al punto, che l'esistenza è comunicazione, e viceversa...

Ma non nel senso che vi sono entità che comunicano...
Queste entità sono solo generate dalla stessa comunicazione. Che ne abbisogna per potersi manifestare.

Quindi anche il termine "comunicazione" mal si presta, non consistendo nel trasferimento di informazioni (verità) ma nell'emergere dell'esistenza.

Vorremmo davvero credere che sia possibile trasferire una verità, in modo da "inculcarla" là dove prima non era?

Davvero la Verità può esservi in un posto ma non in un altro?

O non sarà invece che la Verità è già ovunque? E può emergere attraverso la comunicazione.

L'esistenza cerca la Verità, ossia la Trascendenza.

CARLO
Continuo a non capire. Come ho già detto, per "verità" io intendo una corrispondenza, una concordanza tra ...le chiacchiere e i fatti, cioè, tra ciò che un soggetto afferma su un certo oggetto e ciò che l'oggetto è. Mentre la Verità (con la "V" maiuscola") non può che identificarsi con un criterio unico e universale di verità, cioè, con un Principio ultimo che rivela (o che detta) le regole che il soggetto deve rispettare in ogni processo conoscitivo.
Pertanto non capisco cosa possa voler dire che <<...la verità è ovunque>>, o cosa tu intenda per <<...inculcare la verità là dove prima non era>>.  Insomma non mi è chiaro cosa tu intenda per "verità". Puoi darne una tua definizione?

bobmax

Per Carlo.

Provo a rispondere.
Occorre per prima cosa fare una considerazione:
Il Tutto non è un qualcosa.
Questa considerazione può sembrare stravagante, ma è invece fondamentale.
 
Ciò che esiste per noi, esiste solo in quanto è "qualcosa". Il qualcosa è tale in quanto è distinto da tutto il resto. Questa distinzione fonda la razionalità. Che è pensiero determinato, opera distinzioni.
Ed il pensiero, o è determinato o non è.
Di modo che il nostro mondo è composto esclusivamente da dei qualcosa. Ciò che non è un qualcosa per il nostro pensiero è nulla.
 
Non si tratta solo del mondo fisico, ma di ogni cosa possa essere pensata. Quindi il pensiero stesso, emozioni, sentimenti... qualsiasi cosa che appare esistente.
 
Tuttavia, occorre ammettere che il Tutto sfugge a questa condizione: esiste ma non è un qualcosa...
 
Di modo che noi intendiamo con "vero" solo ciò che, all'interno del Tutto, appare come qualcosa che non è in nessun modo negato.
 
Ossia, così come tu intendi: "per "verità" io intendo una corrispondenza, una concordanza tra ...le chiacchiere e i fatti, cioè, tra ciò che un soggetto afferma su un certo oggetto e ciò che l'oggetto è"
Perché con quei "fatti", con quel "ciò che l'oggetto è", non puoi che intendere una loro interpretazione (quindi pensieri) che non contraddicono le cosiddette "chiacchere".
In buona sostanza, per il nostro pensiero il "vero" è ciò che si oppone al "falso"
 
Nella sua più estrema sintesi, questo "esser vero" può essere riassunto dal principio di identità: A=A.
 
Che in sostanza afferma che A non è qualsiasi cosa non sia A.
 
Per cui, per il nostro pensiero, la verità necessita della falsità per poterla negare.
 
E qualsiasi "definizione" consiste proprio nel de-finire, distinguendo ciò che è da ciò che non è: nega il falso.
 
Quando però cerchiamo di parlare della Verità, allora il pensiero non è più sufficiente.

Perché da un lato non vi è più la controparte, che permetterebbe una definizione, cioè il falso.

Dall'altro, essendo noi nella Verità, essendo noi totalmente posseduti dalla Verità, come potremmo mai sperare di definirla, e quindi in qualche modo di possederla?
Come può un sistema dimostrare i propri fondamenti?
 
Quindi il Tutto, la Verità, l'Essere, l'Assoluto,... sono tutte parole che pur dobbiamo usare, ma che non esprimendo un "qualcosa" non possiamo davvero pensarle. Sono un idea aperta...
 
Un'idea, che potrebbe forse esprimersi al meglio (ma non definirsi!) così:
E' la negazione della negazione.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Carlo Pierini

Citazione di: bobmax il 01 Settembre 2018, 09:06:01 AM
Per Carlo.
Ossia, così come tu intendi: "per "verità" io intendo una corrispondenza, una concordanza tra ...le chiacchiere e i fatti, cioè, tra ciò che un soggetto afferma su un certo oggetto e ciò che l'oggetto è"
Perché con quei "fatti", con quel "ciò che l'oggetto è", non puoi che intendere una loro interpretazione (quindi pensieri) che non contraddicono le cosiddette "chiacchere".


CARLO
Certo anche la verità è fatta di "chiacchiere", cioè si tratta pur sempre di una interpretazione. Ma la storia della conoscenza ci dimostra che, grazie alla logica e all'osservazione incrociata dei fatti, è possibile distinguere un'interpretazione corretta da un'interpretazione falsa (vedi la differenza tra l'interpretazione geocentrica dei moti planetari e l'interpretazione eliocentrica). Del resto, se così non fosse, non ci sarebbe mai stata quella che chiamiamo "rivoluzione scientifica". Quindi la definizione di verità intesa come corrispondenza tra le chiacchiere e i fatti resta pienamente sensata

BOBMAX
Citazione di: bobmax il 01 Settembre 2018, 09:06:01 AMIn buona sostanza, per il nostro pensiero il "vero" è ciò che si oppone al "falso"


CARLO
Certo, ma ciò non contraddice la mia definizione di verità.

BOBMAX
Nella sua più estrema sintesi, questo "esser vero" può essere riassunto dal principio di identità: A=A.
Che in sostanza afferma che A non è qualsiasi cosa non sia A.
Per cui, per il nostro pensiero, la verità necessita della falsità per poterla negare.


CARLO
Non necessariamente. E' vero che <<io mi chiamo Carlo>> anche se non c'è chi affermi il contrario.

BOBMAX
Quindi il Tutto, la Verità, l'Essere, l'Assoluto,... sono tutte parole che pur dobbiamo usare, ma che non esprimendo un "qualcosa" non possiamo davvero pensarle. Sono un idea aperta...
Un'idea, che potrebbe forse esprimersi al meglio (ma non definirsi!) così:
E' la negazione della negazione.


CARLO
Ciò che hai appena scritto è la verità, oppure <<non esprimendo un "qualcosa">> è solo <<un'idea aperta>>? Insomma, la tua affermazione : <<La verità non può essere pensata>> è vera, oppure non esprime nulla?
L'hai capito che se neghi ogni possibilità di dire il vero, tutto ciò che dici non può essere vero?

bobmax

Probabilmente non riesco a spiegarmi...

Non sto affatto contestando la tua definizione di verità!
Sto solo dicendo che questa "verità", indispensabile per il nostro pensare, è valida comunque solo all'interno del sistema in cui noi siamo.

Con "negazione" non intendo che vi sia qualcuno che "nega"...
La negazione è implicita nell'atto stesso in cui si afferma qualcosa. Infatti, l'affermazione di una "verità" implica la negazione di ciò che potrebbe invalidarla.

Di modo che non sto affatto negando ogni possibilità di dire il vero. Sto soltanto cercando di evidenziare come questo "vero" dipenda inevitabilmente dal "falso", che deve essere tenuto distinto da questo "vero".
Questa è la condizione del nostro esserci.

Mentre la Verità assoluta non ha alcuna Falsità fuori di sé da negare.
E' l'Uno!
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Carlo Pierini

Citazione di: bobmax il 01 Settembre 2018, 18:03:31 PM
Sto soltanto cercando di evidenziare come questo "vero" dipenda inevitabilmente dal "falso", che deve essere tenuto distinto da questo "vero".
Questa è la condizione del nostro esserci.

CARLO
In che senso una verità banale come, per esempio: <<io mi chiamo Carlo>> dipende dalla falsità <<io mi chiamo Agamennone>>?
<<Dipendere da->> significa <<essere condizionato o influenzato da->>; ma se il vero nega il falso, è proprio perché non ha niente a che vedere col falso, non ne subisce alcun condizionamento, è l'assolutamente "altro" da esso; cioè, è assolutamente indipendente dal falso. Pertanto continuo a non capire quello che vuoi dire.

bobmax

<io mi chiamo Carlo> è una verità in quanto negazione di ogni possibile affermazione contraria.
È cioè una verità perché rende falso chi per esempio affermasse che ti chiami Agamennone.

Nel mondo, la verità è esclusivamente la negazione delle possibili falsità.

Di modo che la verità dipende dalla falsità in quanto la sua forza risiede tutta nel negarla.
Se così non fosse, <io mi chiamo Carlo> sarebbe un non senso.

Viceversa la Verità assoluta non ha nessuna possibilità da negare. Non vi è alcuna possibilità di falsità.

Per questo motivo si può esprimerla come "negazione della negazione"
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Carlo Pierini

Citazione di: bobmax il 02 Settembre 2018, 21:31:55 PM
<io mi chiamo Carlo> è una verità in quanto negazione di ogni possibile affermazione contraria.
È cioè una verità perché rende falso chi per esempio affermasse che ti chiami Agamennone.

CARLO
<<Io mi chiamo Carlo>> è vera poiché trova corrispondenza con con i fatti oggettivi (dati anagrafici), non "...in quanto negazione di ogni possibile affermazione contraria". E una volta stabilito che <<io mi chiamo Carlo>> è vera, è il principio di non-contraddizione che proibisce (nega) ogni possibile affermazione contraria.
Tempo fa ho aperto un thread su questo argomento: "Il primo principio della Logica: <<la verità non può essere negata>>".
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-primo-principio-della-logica-ltltla-verita-non-puo-essere-negatagtgt/

bobmax

I cosiddetti "fatti oggettivi" sono verità fintanto che restano confermati. E sono confermati ogni volta in cui si nega la loro possibile falsità.

La negazione della falsità è sempre e comunque necessaria.
Perché abbiamo a che fare con la realtà!

Anche se improbabile, tu potresti ora svegliarti rendendoti conto di chiamarti Agamennone!

Non esiste alcuna oggettività in sé.

Il principio di non contraddizione è indispensabile per il pensare determinato, ma non è la Verità.
Perché nel mondo A non è mai uguale ad A. Ossia non vi è niente che sia uguale a se stesso.

Tuttavia, a livello dell'Essere, non vi è alcuna opposizione. Gli opposti non sono complementari, gli opposti coincidono.
Guai se così non fosse...

PS
Vedo comparire i tuoi commenti con diverse ore di ritardo.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

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