La condanna di Socrate: il reato e la pena

Aperto da Eutidemo, 22 Agosto 2024, 11:13:21 AM

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Eutidemo

PREMESSA
Socrate per ben due volte aveva già rischiato la pena capitale:
- quando si era opposto alla condanna dei dieci strateghi della battaglia delle Arginuse;
- quando si era rifiutato di partecipare all'arresto di Leonte di Salamina.
Ma quelle due volte gli andò bene!
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LA DECISIONE DEI GIUDICI RIGUARDO ALLA SUSSISTENZA DEL "REATO DI EMPIETA'" COMMESSO DA SOCRATE
La terza volta, invece, gli andò male; ed infatti fu accusato sulla base di un decreto di epoca periclea, approvato su proposta di Diopite (NOTA 1); il quale,  almeno secondo Plutarco (Pericle, 32.1) sanciva quanto segue:
" Sono passibili di denuncia e vanno processati coloro che non credono negli dei e insegnano dottrine sulle entità celesti."
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Tale decreto venne a suo tempo concepito per colpire:
- direttamente il filosofo Anassagora di  Clazomene;
- indirettamente Pericle, che era suo allievo.
Però, con l'aiuto di quest'ultimo,  Anassagora "prese l'erba fumaria"; e, quindi, nessun ateniese riuscì a mettergli le mani addosso.
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Però, almeno a mio parere, anche se gli Ateniesi fossero riusciti ad "arrestarlo", con molta probabilità Anassagora sarebbe stato assolto; ed infatti, coloro che su proposta dell'indovino Diopite avevano concepito il decreto in questione, si erano però dimenticati di fissare  un "Canone di Ortodossia" (come poi, invece, fecero i Cristiani con il "Credo").
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Pertanto, in mancanza di tale canone di riferimento, qualunque "Dike Asebeias" ("Procedimento per Empietà"), almeno sotto il "profilo giuridico",  avrebbe dovuto portare quasi sempre ad una assoluzione; ed infatti sarebbe riuscito davvero molto arduo per l'accusatore, riuscire a dimostrare che la condotta dell'imputato, ancorchè comprovata, potesse "configurare la fattispecie del reato" (in quanto quest'ultimo non era definito in base a nessuno specifico canone).
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Non a caso, nel processo a Socrate, solo per poco Meleto (e con lui Anito) evitarono il rischio di dover pagare loro una multa per accusa temeraria, anziché ottenere la condanna di Socrate.
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Ed infatti, i capi d'accusa contro Socrate erano due, o, a seconda delle varie versioni, tre:
- Socrate non crede negli dei della città;
- Socrate crede in altre e nuove divinità demoniche;
- Socrate corrompe i giovani.
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Ma si trattava di accuse molto "stiracchiate", in quanto il "daimon" socratico era un elemento di autocoscienza morale e di riflessione interiore, piuttosto che come un essere divino.
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Però, come detto, non vigendo in Atene alcun "Canone di Ortodossia", ed anche grazie all'eccellente autodifesa dell'imputato, su 500  votanti, Socrate venne trovato condannato per soli "30 voti".
Ed infatti, pur essendoci stati "220 voti" a favore dell'assoluzione, e "280 voti" a favore della condanna, se soltanto "30" membri giudicanti in più fossero stati a favore dell'assoluzione, il giudizio si sarebbe risolto in un "250 a 250"; per cui, secondo la legge Ateniese di quel tempo, in caso di parità, non vi sarebbe stata nessuna condanna.
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Eutidemo

LA DECISIONE DEI GIUDICI RIGUARDO ALLA "MISURA DELLA PENA"
Però il processo, in caso di condanna, così come oggi (sia pure in modo diverso), si concludeva con due giudizi diversi:
- uno riguardante la "colpevolezza" dell'imputato;
- l'altro riguardante la "pena" da applicare all'imputato;
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Ad esempio la legge italiana prevede che per tutti i processi penali celebrati in Corte d'Assise o in Corte d'Assise d'Appello, il collegio giudicante sia formato da due giudici togati e da sei giudici popolari; questi ultimi sono cittadini italiani, non necessariamente esperti di diritto, chiamati a sorte a formare le Corti insieme ai giudici togati.
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Però, ai sensi dell'art.527 CPP, un po' come ai tempi dell'antica Grecia,  il processo, in caso di condanna, si conclude con due giudizi diversi:
- uno riguardante la "colpevolezza" dell'imputato;
- l'altro riguardante la determinazione della "pena" e/o della  "misura di sicurezza" da applicare all'imputato.
Se nella votazione sull'entità della pena o della misura di sicurezza si manifestano più di due opinioni, i voti espressi per la pena o la misura di maggiore gravità si riuniscono a quelli per la pena o la misura gradatamente inferiore, fino a che venga a risultare la maggioranza; in ogni altro caso, qualora vi sia parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all'imputato (un po' come accadeva nell'antica Grecia).
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Tuttavia, per quanto riguarda la "determinazione della pena", sussiste una notevole differenza tra quanto avviene oggi e quanto, invece, avveniva nell'antica Grecia.
Ed infatti:
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A)
Attualmente, una volta stabilita la "colpevolezza" dell'imputato, sono i giudici ad "applicare" la sanzione penale tra il minimo ed il massimo "comminato" dalla legge (anche se spesso i due verbi vengono erroneamente considerati sinonimici).
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B)
Ai tempi di Socrate, invece, una volta stabilito giudiziamente che era stato consumato il reato ascritto all'imputato,  tanto il processato quanto l'accusato:
- dovevano ciascuno proporre la pena che ritenevano più appropriata per il delitto (che ora si dava per scontato come commesso);
- tali proposte venivano sottoposte al voto del collegio giudicante, che aveva già emesso il verdetto di colpevolezza.
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Socrate, proponendo una "pena" per la sua persona, provoca il tribunale chiedendo come "pena" di essere mantenuto a spese dello stato nel pritanèo; onore concesso alle personalità più illustri di Atene.
Proposta, questa, giuridicamente inammissibile, poichè, ovviamente, la pena deve consistere:
- in una punizione;
- non certo in un premio.
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Dopo tale "boutade", Socrate  considera le altre possibili, più realistiche, opzioni:
- il carcere;
- l'esilio.
Però Socrate non considera accettabili nessuna delle due punizioni!
Suggerisce allora, sempre provocatoriamente, la sanzione di una "mina d'argento"; il che  costituiva una cifra irrisoria (almeno come sanzione penale), in quanto una "mina d'argento" valeva cento dracme, ed una medimma di grano – circa 40 chili – costava circa 3 dracme.
I suoi amici, Platone, Critobulo, Critone e Apollodoro, si rendono conto che Socrate sta rischiando la pelle, in quanto prospetta delle pene non certo adeguate al "delitto giudizialmente accertato con previa sentenza"; per cui si offrono di integrare l'ammenda a 30 mine.
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A questo punto, i giudici ateniesi si trovarono a dover scegliere se accettare:
- la pena proposta dall'accusa,  cioè condannare a morte Socrate-
- ovvero la multa non molto elevata da quest'ultimo proposta.
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Secondo Diogene Laerzio (II, 42) vi fu uno scarto di altri 80 voti rispetto a quelli con cui fu era già stata giudizialmente accertata la commissione del reato; pertanto 140 a favore della proposta di Socrate e 360 a favore della proposta dell'accusa.
Cioè, la "condanna a morte"!
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IL DUBBIO!
Fatti i conti della serva, in effetti, sembra un po' un controsenso che molti di coloro che, in precedenza, avevano votato per l'assoluzione di Socrate, successivamente abbiano poi votato per la sua condanna a morte, invece che per una semplice sanzione pecuniaria.
Ma, almeno secondo me, le cose non stanno esattamente così.
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Ed infatti l'"oggetto del giudizio sulla colpevolezza dell'imputato", è  completamente diverso dall'"oggetto del giudizio" sulla misura della pena da applicare nel caso in cui costui venga riconosciuto colpevole.
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Ad esempio, poniamo che (in un ipotetico sistema giurisdizionale in cui valga la maggioranza semplice dei voti, come in Grecia antica), venga processato un soggetto imputato di omicidio premeditato; e che, in una giuria di 10 persone 6 votino per la colpevolezza, e 4 per l'innocenza.
Una volta così stabilita la colpevolezza dell'imputato, la stessa giuria di 10 persone deve decidere se applicargli la pena di vent'anni oppure quella dell'ergastolo.
Ora, a mio avviso, sarebbe erroneo ritenere che i 4 soggetti che hanno votato per l'"innocenza", siano poi  necessariamente indotti a votare per la "pena minore" (vent'anni); ed infatti, se lo facessero, vorrebbe dire che non hanno affatto compreso che l'oggetto del giudizio che devono emettere sulla "misura della pena", non ha niente a che vedere con l'oggetto del giudizio che hanno già emesso sulla "colpevolezza dell'imputato".
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Ed infatti:
- per decidere se l'imputato sia colpevole o innocente del "reato ascrittogli", bisogna limitarsi ad esaminare le prove pro e contro di lui, e condannarlo solo se la maggior parte dei giurati ritiene che tali prove siano sufficienti a concludere che ha effettivamente commesso il fatto criminoso;
- una volta deciso collegialmente che è colpevole, invece, bisogna limitarsi a stabilire quale sia la pena più adeguata per il crimine "giudizialmente accertato", senza che abbia più alcuna rilevanza che quattro giurati lo avessero ritenuto innocente (ed infatti, il "merito" della controversia, riguardante la sua colpevolezza, deve ritenersi ormai "superato" dalla prima decisione).
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Nel caso di Socrate, è ovvio che lui si riteneva innocente anche una volta emessa la sentenza che lo aveva ritenuto colpevole; ma non poteva certo aspettarsi che i 220 giudici che avevano votato a favore dell'assoluzione, votassero allo stesso modo anche riguardo alla misura minima della pena.
Ed infatti, come sopra esemplificativamente spiegato, si trattava di due giudizi aventi "oggetto" e "natura" diversi!
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Se, poi, parte dei 220 giudici che avevano votato a favore dell'assoluzione, abbiano successivamente votato per la pena di morte non perchè la ritenessero la più adeguata al delitto deciso in sentenza, ma soltanto perchè irritati dalle provocazioni di Socrate (come è molto probabile), allora, secondo me, il loro comportamento è senz'altro reprensibile e criticabile; poichè un giudice deve sempre decidere "sine ira ac studio", sia quando deve stabilire se l'imputato sia colpevole o innocente, sia quando deve stabilire se l'imputato sia meritevole di una pena oppure di un'altra.
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Però, a parte questo, è fuori di dubbio che il "primo giudizio", riguardante la colpevolezza o meno dell'imputato, non deve minimamente influire sul "secondo giudizio", concernente la "misura della pena"; ed infatti, almeno sotto il profilo del diritto e delle deontologia giuridica, anche chi aveva votato per l'assoluzione, nel decidere la "misura della pena" non dovrebbe più lasciarsi influenzare dalla sua precedente votazione, ma dovrebbe sempre partire dal presupposto della colpevolezza dell'imputato (ormai giudizialmente accertata a maggioranza)!
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Ovviamente, è naturale che chi aveva votato per l'assoluzione sia psicologicamente indotto a votare anche per l'applicazione della pena minima; ma, sebbene tale comportamento sia psicologicamente comprensibile, tuttavia, sotto il profilo dell'"etica giuridica", deve considerarsi assolutamente "errato"!
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Ad ogni modo, nel caso in esame, Socrate, in quanto "positivista giuridico" (secondo una moderna terminologia) è caduto in contraddizione con se stesso.
Ed infatti:
a)
Una volta emessa la sentenza di condanna, la "legge" ateniese gli consentiva di proporre ai giudici la "pena" che lui riteneva più appropriata al delitto "giudizialmente deciso" (a prescindere dal fatto che lui si ritenesse innocente o meno).
Socrate, invece, per prima cosa propose che gli venisse assegnato un "premio" in luogo di una "pena"; il che, a parte la provocazione, era una proposta palesemente contraria alla "legge" ateniese.
b)
Successivamente, invece, una volta emessa la sentenza di "condanna a morte", per non violare la "legge"ateniese, si rifiutò di fuggire.
***
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Eutidemo

CONCLUSIONE
In conclusione, almeno secondo me, Socrate "voleva" essere giustiziato.
Ed infatti:
1)
Una volta riconosciuto colpevole (sebbene, a mio avviso, ingiustamente), se Socrate avesse proposto come sua pena l'"esilio", sicuramente l'avrebbe ottenuto in luogo della "pena capitale".
Però lui lo rifiuta dicendo: "Dovrei proporre l'esilio? 
Forse è questa la pena  che voi considerereste adatta a me!  
Ma, cittadini ateniesi, dovrei davvero essere posseduto da una gran voglia
di vivere, se fossi così sconsiderato da non saper vedere che voi, pur essendo miei concittadini, non
siete riusciti a sopportare il mio  modo di vivere e i miei discorsi e vi sono diventati tanto oppressivi ed odiosi che ora cercate di liberarvene: altri, forse, li sopporteranno più facilmente?"
***
In pratica rivela chiaramente che vuole morire!
Ed infatti, più avanti, lo ammette espressamente:
"Mi è chiaro
che ormai per me morire ed esser liberato dal peso dell'azione era la cosa migliore!"
***
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2)
Una volta condannato a morte, se Socrate avesse accettato di fuggire, come fece Anassagora e come gli avevano proposto i suoi amici, si sarebbe potuto salvare lo stesso.
Ma lui si rifiuta per rispettare le leggi della città!
Scusa, che, secondo me, non regge, in quanto lui, le leggi della città, le aveva già violate proponendo per sè un "premio", invece di una "pena".
(NOTA 1)
Per Davidson il decreto venne usato  solo per Anassagora, ma non per Socrate né per Protagora, come invece sostengono Morrison e Parker; per la cui tesi io propendo, considerata la somiglianza tra il decreto di Diopite e l'accusa di "empietà" ("ἀσέβεια") di Meleto.

Alberto Knox

Nell anno 399 avanti Cristo Socrate fu accusato di introdurre nuovi dei e di portare i giovani alla perdizione. Avrebbe sicuramente potuto invocare la grazia e se avesse accettato di lasciare Atena perlomeno si sarebbe salvato . Tuttavia, se lo avesse fatto, non sarebbe stato Socrate.

Socrate non fu l'unico nel corso della storia a lottare e a morire per le propie convinzioni. Possiamo infatti trovare strette analogie fra Socrate e  Yehoshua ben Yosef (detto Gesù). Vorrei evidenziarne alcune; Sia Socrate che Gesù  vennero considerati personaggi enigmatici dai loro contemporanei. Nessuno dei due mise per iscritto il propio messaggio (la conoscenza che noi abbiamo di queste due figure si basa esclusivamente sull immagine che ci è stata data dai loro seguaci o allievi) è sicuro comunque che entrambi furono maestri nell arte del parlare e che dai loro discorsi si poteva percepire una precisa consapevolezza, una lucidità che poteva affascinare, ma anche irritare.
Entrambi ritenevano di parlare in nome di qualcosa più grande di loro e sfidavano i detentori del potere , criticando ingiustizie e abusi. E infine questo modo di agire costò loro la vita. Anche i processi contro Gesù e contro Socrate hanno tratti in comune. Entrambi avrebbero potuto invocare la grazia , e quasi certamente si sarebbero salvati . Eppure sentivano di non poter venir meno alla missione che avevano intrapreso, anche a costo di pagare con la vita. Così, propio perchè affrontarono la morte a testa alta raccolsero molti seguaci anche dopo la morte.
Vorrei precisare che non ho fatto questo parallelismo per affermare che erano uguali. Ma ho voluto sottolineare il fatto che tutti e due avevano un messaggio per il mondo , e che tale messaggio non può essere separato dal loro coraggio personale.

Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Eutidemo

Citazione di: Alberto Knox il 23 Agosto 2024, 19:33:59 PMNell anno 399 avanti Cristo Socrate fu accusato di introdurre nuovi dei e di portare i giovani alla perdizione. Avrebbe sicuramente potuto invocare la grazia e se avesse accettato di lasciare Atena perlomeno si sarebbe salvato . Tuttavia, se lo avesse fatto, non sarebbe stato Socrate.
Socrate non fu l'unico nel corso della storia a lottare e a morire per le propie convinzioni. Possiamo infatti trovare strette analogie fra Socrate e  Yehoshua ben Yosef (detto Gesù). Vorrei evidenziarne alcune; Sia Socrate che Gesù  vennero considerati personaggi enigmatici dai loro contemporanei. Nessuno dei due mise per iscritto il propio messaggio (la conoscenza che noi abbiamo di queste due figure si basa esclusivamente sull immagine che ci è stata data dai loro seguaci o allievi) è sicuro comunque che entrambi furono maestri nell arte del parlare e che dai loro discorsi si poteva percepire una precisa consapevolezza, una lucidità che poteva affascinare, ma anche irritare.
Entrambi ritenevano di parlare in nome di qualcosa più grande di loro e sfidavano i detentori del potere , criticando ingiustizie e abusi. E infine questo modo di agire costò loro la vita. Anche i processi contro Gesù e contro Socrate hanno tratti in comune. Entrambi avrebbero potuto invocare la grazia , e quasi certamente si sarebbero salvati . Eppure sentivano di non poter venir meno alla missione che avevano intrapreso, anche a costo di pagare con la vita. Così, propio perchè affrontarono la morte a testa alta raccolsero molti seguaci anche dopo la morte.
Vorrei precisare che non ho fatto questo parallelismo per affermare che erano uguali. Ma ho voluto sottolineare il fatto che tutti e due avevano un messaggio per il mondo , e che tale messaggio non può essere separato dal loro coraggio personale.
Sono d'accordo su tutto, meno che sullla denominazione "Yehoshua ben Yosef"; la quale è perfettamente corretta in "ebraico", ma non in "aramaico", e, cioè, nella lingua che si parlava in Palestina all'epoca di Gesù.
In "aramaico", infatti, il nome di Gesù era ""Yeshua bar Yosef"; da non confondersi con "Yehoshua bar Yosef", uno scrittore nato il 29 maggio 1912 e morto il 7 ottobre 1992.

Alberto Knox

Citazione di: Eutidemo il 24 Agosto 2024, 06:31:02 AM
Sono d'accordo su tutto, meno che sullla denominazione "Yehoshua ben Yosef"; la quale è perfettamente corretta in "ebraico", ma non in "aramaico", e, cioè, nella lingua che si parlava in Palestina all'epoca di Gesù.
In "aramaico", infatti, il nome di Gesù era ""Yeshua bar Yosef"; da non confondersi con "Yehoshua bar Yosef", uno scrittore nato il 29 maggio 1912 e morto il 7 ottobre 1992.
Grazie ma a me interessa la traduzione in italiano del nome,   nome per intero che tradotto significa  "Gesù figlio di Giuseppe". Ho voluto appositamente riportare l'uomo e non il Cristo.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

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