La "struttura originaria"

Aperto da 0xdeadbeef, 28 Aprile 2019, 15:17:42 PM

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0xdeadbeef

"Se devo dirti l'estrema ratio a cui sono pervenuto è che la struttura originaria è la coscienza
- la filosofia e la coscienza sono intimamente connesse -" (Paul11).
Mi ha incurisito tantissimo questa affermazione dell'amico Paul11. Sulle prima sarei fortemente
tentato di dire che la condivido nella maniera più totale, ma...
Già: ma cos'è, pensandoci bene, la "stuttura originaria"? E cos'è la "coscienza"?
Sembra quasi che Paul intenda dire che ciò che contraddistingue più di ogni altra cosa l'essere
umano sia la coscienza. La coscienza, dunque, come "essenza" o "sostanza" (aristotelicamente
intese) dell'essere umano; dunque come suo "Essere" (perchè a me sembra che a questo possa essere
ricondotta la "sostanza" aristotelica).
Ora, la "struttura originaria", per Severino, non è esattamente coincidente con l'Essere (anche se
ne è, chiaramente, intimamente connessa). E quindi non lo è con la "sostanza", o "essenza".
Se, seguendo Severino, la stuttura originaria "consiste" (e certo c'è da discuterne...) nell'identità
del particolare e del totale, allora la singola coscienza esaurisce, riducendolo a sè, l'intero universo?
Mi sembra, francamente, una posizione troppo "hegeliana" per poter essere condivisa da un "kantiano"
come me...
saluti

paul11

#1
Ciao Mauro(Oxdeadbeef).
Come si dovrebbe sapere, la "struttura originaria" è un libro chiave di Severino.
Quest'ultimo non utilizza quasi mai il termine essere, a volte gli enti, spesso gli essenti.

Ritengo che l'uomo, inteso come coscienza, sia l'ente più misterioso anche della teoria astrofisica sui buchi neri ,della teoria cosmologica, del multiverso, ecc.
Già il termine coscienza è sempre stato ambiguo e quindi misterioso.
Dov'è il luogo dello spirito, dell'anima, della psiche, dell'intelletto, della ragione?
E' dalla coscienza che nasce tutta la gnoseologia e l'ontologia,
Persino i testi sacri che rivelano una cosmologia, una morale, una parusia, colpiscono nel luogo
più misterioso umano.
La modernità avendo relegato la dimostrazione nel dominio della fattualità chiacchiera di ciò che vede sensibilmente, ma nel momento in cui appura un indimostrabile , mi chiedo, qual è il luogo
umano che decide .Non decidono i recettori sensoriali dove sta la verità o dove sta il dominio giustificativo di una dimostrazione.decide la ragione che non appartiene solo al dominio naturale
Kant è il più appariscente di questa contraddizione ma per sua grande e ribadisco grande onestà
umana e intellettuale. Quando nella critica della ragion pratica postula l'imperativo categorico come principio morale, sa benissimo che non può venire dal dominio naturale, perché sarebbe soggettivo e quindi non oggettivo e quindi non universale. Un "fuorilegge" può benissimo pensare di essere in buona fede assecondando le proprie passioni, istinti, sentimenti. E' la ragione il luogo in cui nascono gli oggettivi universali.
Quando Kant dovrà dimostrare la libertà, l'immortalità dell'anima e l'esistenza di Dio, avendo scelto nella critica della ragion pura il dominio fattuale come accertativo del dimostrabile, dirà che sono indimostrabili e quindi possibili solo da postulare.

Trovo che ci sia la contraddizione fondamentale.
E' solo la coscienza che può unire i domini e infatti Kant inventa il noumeno per le tre dimostrazioni ma solo nel noumeno, vale adire fuori dalla fattualità. ma siamo daccapo, chi decide il dominio della verità se non la coscienza?
Solo la coscienza può intuire e intenzionare, prima ancora della ragione razionale(o irrazionale) verso i tre domini del naturale del fisico e del metafisico, e le culture ,di volta in volta, decidono quale sia il prioritario dimostrativo.

Severino desogggettivizza il suo pensiero ponendo le regole dell'identità e della contraddzione al posto delal coscienza .ma da dove viene la logica, da dove viene la geometria e la matematica,

Ancora Kant dice che non possono venire dalla natura, sono indimostrabili, però  l'uomo li utilizza "funzionalmente" applicandoli a praticamente tutto ciò che conosce.
Tutta la conoscenza viene da un luogo indimostrabile ma che dimostra?

Allora continuiamo a fingere come i fiscalisti più estremisti che non essendo nemmeno provato il luogo dove si trova fisicamente la coscienza, non esiste? Ma questi "scientisti" parlano  per il loro il mitocondrio, il citoplasma, una sinapsi che gira in un cranio vuoto?

Ma daccapo è lo stesso Kant che diceva che i domini naturali e fisici sono deterministici e quindi il principio di causa effetto, meccanicistico, sussistente. Per l'uomo no: si sa forse come può comportarsi deterministicamente una persona se l'offendiamo? Si aprono ventagli di possibilità e in quanto tali delle scelte.

Oggi la scienza non sa rispondere nella correlazione fisicità del cervello, e il cosiddetto "mentale", a mio parere la correlazione esiste. Noi studiamo gli effetti, poiché visibili, non conosciamo bene la natura ambigua umana(lo sosteneva anche Kant questa ambiguità).Le scienze si muovono epistemologicamente senza sapere le proprie ontologie, ma sanno gli effetti prodotti
Sappiamo che l'uomo è condizionabile, spesso utilizzano strumenti atti per condizionare,
ma non conoscono ontologicamente la coscienza .
Eppure la coscienza è il luogo fondamentale ontologico e gnoseologico.
Ontologico in quanto "è" e  non appartenente strettamente ai domini naturali e fisici, ma eppure correlati e quindi l'unico in grado di porre l'unità dei molteplici.

viator

Salve Ox. E se la coscienza non fosse null'altro che la memoria consapevole ? Cioè l'insieme delle consapevolezze accessibili alla mente, la quale sceglie, decide ed opera solo sulla base di ciò che sa ? Quindi di ciò che può trarre dalla memoria.

I malati di mente, i poveri di mente, i minorati mentali (con tutte le possibili riserve su certi "modi di dire" o classificazioni psichiatriche) non sarebbero forse coloro che conservano una memoria/coscienza ma hanno problemi nel tradurre i suoi contenuti in comportamenti "ragionevoli" ? Per costoro la coscienza/memoria funzionerebbe, mentre sarebbe la funzione mentale (evolutivamente posteriore e "superiore" ma direttamente collegata alla coscienza stessa) che non funziona.

I comatosi, i dormienti, le persone svenute vengono giustamente definite come incoscienti (seppur temporaneamente) e tale loro condizione (impossibilità di utilizzare la memoria consapevole) rende inutilizzabili le funzioni mentali, a conferma - sembra proprio - della "posteriorità" di esse.

Vista così, l'esistenza della coscienza perderebbe quasi tutta la sua misteriosità e trascendentalità.
D'altra parte si salverebbe la sua caratteristica così identitaria (non esistono individui con identico patrimonio mnemonico) e la sua natura qualitativa (la memoria ospita ogni nostra convinzione, esperienza, interpretazione).

C'è forse qualcosa che possiamo decidere o sentire (dico sentire, non percepire) senza utilizzare la coscienza pur considerata anche solo come serbatoio mnemonico ?.
Esistono comportamenti umani trascendenti che possano fare a meno di ciò in cui crediamo ? E ciò in cui crediamo, evidentemente si basa su ciò che sappiamo o siamo convinti di sapere. Ospitato nella nostra memoria.

Il problema della localizzazione della coscienza-memoria è - come per ogni altra funzione neurologica-cerebrale- mentale o spirituale - del tutto inesistente in quanto le funzioni "superiori" sono frutto di strutture per lo più diffuse e soprattutto variamente compenetrantisi all'interno dell'intero tessuto cerebrale. Sarebbe come chiedersi in qual punto del corpo sia collocata la vita. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

0xdeadbeef

#3
Ciao Paul
Mi chiedo come la verità possa essere "decisa" (dalla coscienza)...
Eppure sì, ad esempio consideriamo "vero" che non si debba uccidere: dunque la stessa verità ha, per
così dire, una natura duplice ("appurata" nel dominio fisico e "decisa" in quello della morale)?
In ogni caso sono d'accordo sulla coscienza; non nel senso severiniano di una "struttura originaria"
che identifica la parte e il tutto (perchè, come dicevo, questo avrebbe come sbocco una idealistica
"unificazione" del soggetto e dell'oggetto - che avverrebbe necessariamente nella coscienza); ma
nel senso di "luogo originario" dove avviene la "decisione".
Il problema, in sostanza, a me sembra risiedere proprio nell'antica distinzione fra "nomos" (che è
il luogo deputato alla "decisione") e "physis" (di conseguenza, se si assume il precedente punto di
vista, il luogo dell'"appurare").
Una distinzione che per me presenta ancora una sua validità (molto meno, mi sembra, per te)...
A parer mio, Kant vede chiaramente questa distinzione; e vede che la Ragion Pura non può "appurare"
proprio un bel niente di ciò che riguarda la morale. E che tutto ciò che la riguarda può essere
solo "postulato" con quella che di fatto è una "decisione".
Ora, mi chiedo quanto di "razionale" possa esserci in una "decisione" (cioè mi chiedo "quanto" i
domini del nomos e della physis possano essere uniti - ammesso che la razionalità faccia parte
del dominio della physisi)...
E qui la tua risposta mi sembra esplicita: "è solo la coscienza che può unire i domini". Ma, mi
chiedo, la tua è l'affermazione di una "necessità" (come nella "struttura originaria" di
Severino) o soltanto di una "possibilità" (in fondo ciò che dici è: "può")?
saluti

0xdeadbeef

Ciao Viator
Mah guarda, per me la "coscienza" è semplicemente la capacità che ha l'essere umano di prendere
delle "decisioni" (nel senso di cui sopra, nella risposta a Paul11).
La coscienza è, per me, il "luogo originario dove avviene la decisione" (e la decisione è per me
più da ricercarsi nel dominio del nomos che in quello della physis - le "decisioni" del mio gatto
fanno parte del dominio della physis, non le mie, o almeno spero...).
Voglio dire che in sostanza io, come ogni altro essere umano "consapevole", potrei prendere delle
decisioni che vanno nella direzione opposta a quelle che mi suggerirebbe la physis. Potrei, ad esempio,
persino lasciarmi morire di fame.
Ora, c'è chi sostiene che la "decisione" in realtà non è affatto una decisione. Cioè che non è frutto
del "nomos" ma è un frutto "necessario" della physis (cioè che in realtà ciò che credo di decidere
già era stato "deciso", per così dire).
A costoro rispondo di fermarsi un attimo, e riflettere sul grado - abnorme, imbarazzante - di
"metafisicità" che hanno raggiunto credendo di osteggiare la metafisica...
saluti

viator

Salve Ox. Ma la memoria consapevole secondo me non fa affatto parte della "phisis". Esiste una memoria inconsapevole consistente nei dati, ricordi, esperienze che la psiche (attenti a a non confondere psiche e phisis) registra e "tiene per sè" nel senso che su di essi mantiene la priorità rispetto a qualsiasi decisione possa prendere la mente se li conoscesse.

Quindi si tratta dell'inconscio, cioè delle nozioni vitali ai fini della sopravvivenza, la cui tutela ed indispensabilità - ripeto - non deve essere influenzata da ragionamenti, emozioni, apprendimenti culturali. Essa contiene tutto ciò che genera le nostre reazioni instintive, automatiche, inconsulte. Dal ritrarre la mano dal fuoco al rotolare da una scarpate per evitare un treno in arrivo, fino al piangere ed al ridere, al commuoversi................tutte le cose insomma che la mente impiegherebbe troppo tempo a decidere od a comprenderne la effettiva utilità ai fini della sopravvivenza.

Si tratta di informazioni che la psiche può anche rendere disponibili per la memoria consapevole-coscienza e quindi poi per la mente, ma sempre gestendone il controllo diretto ed immediato sulla base della loro utilità o nocività per la sopravvivenza sia della "phisis" che delle psiche stessa.

Ma entrambe le tipologie di memoria sono delle strutture, cioè delle entità immateriali (perchè formali) che svolgono una funzione. Sai che ti dico ? Neurologia e fede parlano delle stesse cose : la psiche è lo spirito, la coscienza è l'anima e la mente è lo Spirito Santo !! Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

paul11

Ciao Mauro (Oxdeadbeef)
chiariamo due punti.
Il nomos basileus di Pindaro è la regola, la struttura, desunta dai domini(metafisico,fisico e naturale) che dovevano conseguentemente portare alla sovranità, in quanto il sovrano incarnando la regola, poteva ordinare coerentemente l'organizzazione umana.
Il nomos si muoverà storicamente fra dike, la giustizia, e bia, la violenza


(Emanuele Severino, La filosofia antica, Emanuele Severino, Superbur Saggi, pag. 55-56)


Nei pensatori che precedono Parmenide, la verità è l'apparire della physis intesa come unità delle cose molteplici, fonte del loro generarsi e termine del loro corrompersi. Parmenide testimonia il significato originario della physis: la physis è l'essere che si manifesta nella sua essenziale opposizione al niente. La verità è l'apparire di questa opposizione. Ma questa opposizione esige, si è visto, la negazione dell'esistenza del divenire e del molteplice. (E il problema di determinare quale sia l'elemento unificatore del molteplice è risolto eliminando i termini stessi del problema.) Divenire e molteplice non hanno verità. Sono opinione ingannevole. Affermando l'esistenza del divenire, si afferma che l'essere non è; affermando l'esistenza del molteplice, si afferma che il non-essere è. E tuttavia il divenire e la molteplicità delle cose appaiono: l'universo molteplice e diveniente continua a manifestarsi anche quando si riconosca, come vuole Parmenide, che esso è privo di verità. Dopo Parmenide, la filosofia si rende esplicitamente conto che la manifestazione dell'universo molteplice e diveniente è anch'essa qualcosa di innegabile, non smentibile, incontrovertibile. Tale manifestazione è quindi, anch'essa, "verità".

La verità viene così a porsi in antitesi con sé medesima: da un lato, come ragione (Lògos) - ossia come negazione che l'essere sia niente -, esige l'immutabilità e la non molteplicità dell'essere, dall'altro lato, come esperienza - ossia come manifestazione del mondo -, mostra il divenire e la molteplicità dell'essere.

E dall'altra parte Parmenide stesso e i suoi discepoli negano sì che l'esistenza del divenire e del molteplice abbia verità, ma non negano che tale esistenza appaia e quindi riconoscono anch'essi, implicitamente, che il conenuto della "verità" non è soltanto l'opposizione tra essere e niente, ma anche l'apparire di tutto ciò che appare. Ma, proprio per questo, è il pensiero stesso di Parmenide a trovarsi in antitesi con sé medesimo perché, in quanto appaiono, il divenire e la molteplicità delle cose hanno verità, ma non hanno verità in quanto l'affermazione della loro esistenza è negazione della ragione.

Il problema che pertanto s'impone e che impegna tutta la filosofia greca dopo Parmenide (vedi cap. II, 1), è costituito dalla ricerca delle condizioni che impediscano l'autodistruzione della verità e cioè consentano la conciliazione della ragione con l'esperienza. In questo senso, la filosofia di Empedocle, di Anassagora e di Democrito (nel V secolo a.C.) indica già la direzione in cui si muoverà il pensiero di Platone e di Aristotele. In essa, il problema dell'antitesi tra esperienza e ragione diviene pienamente esplicito e trova i primi grandi tentativi di soluzione.

Innanizitutto, si tratta di reinterpretare la physis preparmenidea, tenendo conto che l'uscire e il ritornare delle cose nell'unità originari della physis non possono essere più pensati indipendentemente dal senso dell'essere e del non-essere.


Il nomos prende dalle regole universali, la physis è la cerchia delle apparenze


Una decisione deve seguire una regola universale, oggettiva in quanto tale se vuole essere razionale e quindi logica.

Nella coscienza, intesa come unità di funzioni, c' è oltre la materia, il cervello, la forma.
La forma è struttura ed essenza che può (il possibile non è il necessario perché ogni soggetto ha delle sue condizioni materiali e "mentali").

Ma proprio come il nomos basileus la cui dinamica è fra dike e bia, a sua volta è dinamica
all'interno del dominio naturale e fisico ,come sopravvivenza e consapevolezza di senso.
Trovare il senso della propria esistenza, e ribadisco, non possiamo venire dal nulla per sparire nel nulla, significa correlare i domini, sapendo che l'origine è verità incontrovertibile, in quanto eterna, in quanto regola logica dell'identità e della non contraddizione.
La coscienza metaforicamente incarna la forma, come nel nomos la sovranità incarna l'ordine.

green demetr

Ciao Mauro,

Essendo Hegeliano propendo per la visione di Paul.  ;) (ottimo come al solito).

La decisione, ossia la morte (caedo) la caduta da ( de) è originaria? Mi sembra questa la tua nuova domanda.

Per me sempre seguendo Hegel, ovviamente la risposta è sì.

C'è sempre qualcosa di già deciso (inconsciamente) in ogni imperativo morale. / persino in quello mortifero perchè sessuofobo di Kant.

La coscienza come ontologia dell'orginario? la domanda intrinseca di Paul.

No, dissento, perchè io non leggo co-scienza, con "ciò di cui so" ma cio' che accompagna (cum) ciò che io so (la scienza come sapienza, come gnoseologia).
Ossia il fantasma accompagna da sempre ciò che io disvelo rispetto alla physis.

E quindi è per me stra-ovvio che la coscienza faccia parte dell'originario. La coscienza è il fantasma (la narrazione del soggetto).

La differenza tra la mia posizione metafisica e la psicanalisi è che l'originario non sia solo però solo il fantasma, ma anche DIO.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Jacopus

L'Aplysia è un lumacone con circa 10.000 neuroni e che è stato studiato da È. Kandel. Noi ne abbiamo quasi 100 miliardi. Eppure Kandel ha dimostrato che Aplysia apprende dall'esperienza e questa esperienza modifica le sue sinapsi. Esattamente come noi. La differenza sta nel quantum, non nel qualia. Stiamo giungendo al rovesciamento della massima di Cartesio: "sono dunque penso." Se ci sia un disegno divino non lo so, ma la biologia e le neuroscienze ci dicono che strutturalmente siamo identici alle formiche e alla pianta di banano. Cambia solo la complessità e la quantità ma i meccanismi sono identici, così come sono identici i neurotrasmettitori e gli ormoni usati.
Quindi sì, filosofia e coscienza sono intimamente collegate, ma anche questo post e la mia coscienza sono intimamente collegati.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

Citazione di: green demetr il 29 Aprile 2019, 02:09:45 AM

Ossia il fantasma accompagna da sempre ciò che io disvelo rispetto alla physis.

E quindi è per me stra-ovvio che la coscienza faccia parte dell'originario. La coscienza è il fantasma (la narrazione del soggetto).

La differenza tra la mia posizione metafisica e la psicanalisi è che l'originario non sia solo però solo il fantasma, ma anche DIO.

Quindi l'originario è physis di cui la coscienza è il fantasma di cui Dio è il fantasma: il doppio del doppio, il riflesso del riflesso. Secondo una metafisica altra, ovviamente.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

odradek

#10
a Jacopus

Leggere post come il tuo è rinfrancante. La chiusa poi è quasi perfezione. Non riesco a seguire con attenzione più di un topic per volta, ma certi commenti suscitano l' "obbligo" di adesione.
Io non riesco a comprendere come le cose che hai scritto ( perchè, da altri tuoi scritti "conosco" la tua fede ) possano (nel ragionamento di molte persone) minare o sminuire la fede in Dio.
In qualsiasi momento della storia naturale può essere individuato un "istante" in cui possa essere riconosciuto il "miracolo" o l'" intervento", ed anche più di uno.
In nessun modo "qualsiasi" evidenza scientifica può minare la fede in Dio.  Il peggior scientismo è quello che in ragione del progresso scientifico svaluta il "concetto" od il "sentimento" di Dio.
Il progresso scientifico può smontare le superstizione più grossolane, e con risultati tutt'altro che completi (in senso dialettico non in senso ontologico) tra l'altro; non un gran successo nel confronto con il concetto di Dio, ed anche nel confronto con le religioni.
I problemi con la visione "religiosa" iniziano solo e solamente in sede accademica, quando le rispettive "corazzate" si impegnano (deliberatamente e volontariamente) nelle rispettive crociate ideologiche.
Non è sul terreno filosofico che si gioca la "partita" tra atei e credenti e nemmeno su quello scientifico; non si gioca su nessun terreno proprio, è una polemica inesistente, sollevata per mancanza di argomenti e reciproco astio.
Dimostrami che c'è. Dimostrami che non c'è. Dio non si tocca, ne per confutarlo ne per negarlo.

Se non si fosse capito sono "biologicamente" ateo, ci sono nato, non ci sono diventato. Ma so anche che la verità molto spesso è una questione statistica, e facendo i conti (su scala mondiale e su scala temporale) mi trovo in schiacciante minoranza. Non è poi così spassoso e "godurioso" come i credenti pensano possa esserlo.

Ipazia

#11
Siamo noi la dimostrazione dell'inesistenza, o assenza, di Dio. Prova pensare ad una calcolatrice che sbaglia tutti i calcoli. La religione ha funzionato così per millenni. Ed ha dovuto tamponare le falle con quintalate di teologia. Senza mai trovare la quadra. Qui si aprono svariate ipotesi:

Dio c'è ma se ne sta altrove e l'uomo ha fatto tutto da solo, inclusa la favolistica su Dio
Dio c'è ma le sue creature più pensanti, predilette secondo i testi sacri, non ne hanno azzeccata una sul suo conto
Dio c'è, ma è malvagio e si diverte a confondere mica gli atei miscredenti, ma proprio i suoi più devoti fedeli con testi e profeti farlocchi
Dio non c'è
...
Detto ciò, le corazzate te le trovi anche col tritolo addosso o coi panini e le fotografie dei feti fuori dagli ospedali, mica solo nelle accademie, per cui la dialettica ha risvolti pratici che costringono a prendere posizione sulla questione Dio. Sulla quale, in realtà, l'ateismo ha già vinto: oggi anche i teisti credono più alla scienza medica che alla preghiera. Per cui hai ragione tu: disinneschiamo la bomba. Ma i primi a farlo dovrebbero essere proprio i bellicosi teisti. Let it be.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

Citaz.Oxdeadbeef
Ma, mi chiedo, la tua è l'affermazione di una "necessità" (come nella "struttura originaria" di
Severino) o soltanto di una "possibilità" (in fondo ciò che dici è: "può")?

 
E' una necessità a livello metafisico ed una possibilità a livello pratico.
Tutto inizia, come personale percorso, dalla politica, economia, psicologia a metà anni Settanta.
Da una parte ho visto una esponenziale crescita della Tecnica, e dall'altra una decadenza in termini umani, di relazioni, di organizzazioni, di morale, di istituti e valori come Stato ,democrazia, libertà.
Penso che sia il clima culturale a determinare le condizioni e gli ambiti di vivibilità dentro un sistema e il postmodernismo è più una presa d'atto che una risposta   per come costruire una società "migliore".
Mi rendo conto che sono solo "parole" su cui fiumi di inchiostro hanno sporcato o dettato qualcosa.
Quella metafisica deve necessariamente aiutare a vivere in un sistema  questo è il mio personale scopo.
Quindi , Severino, ma non solo, scrive tre regole importanti:
1) La verità è incontrovertibile
2) Le regole logiche di identità e di contraddizione ne sono il "movimento" la dinamica fra eterno e divenire. Ma io direi , non solo
3) La tecnica nasce nel momento in cui la cultura umana ha ritenuto che il dominio dei fatti degli eventi in divenire sia il giustificativo, il dimostrabile per l'accertamento di una verità.
 
Capisco anche che la metafisica sia invisa. Perché la si ritiene "conformistica", assolutistica, autoritaristica ,
reazionaria, soprattutto nelle prassi. E in parte è storicamente vero.
Ma non arretrata e superata, perché la cultura antropologica nella modernità  ha implicito il concetto di linearità storica ,di evoluzione biologica,  quindi  di progresso dalle quali fuoriescono o le stesse contraddizioni o nuove. E se viene spacciato come giustificativo il livello acquisito di materialità ,in quanto la tecnica scopre e inventa, anche questo lo si poteva attuare prima della modernità.
Ma è un falso problema l'antitesi fra scienze moderne e metafisica.
Il vero problema è nella gerarchia fra i domini.
Il secondo passo è smascherare  il dispositivo  culturali che per mimesi sono ambigui nella contemporaneità.
Ad esempio, il concetto di sovranità, come nel post precedente avevo descritto, nasce dalla metafisica e viene  introdotto nelle prassi. Attenzione al processo di "incarnazione" del processo metafisico.
Per essere chiari e diretti, un umano non può stare al di sopra della legge, questo è confondere materia e forma, e porsi come inviolabile, indiscutibile. Tutt'oggi esistono persone che nei vari istituti giuridici economici, politici, sono dichiarati al di sopra della legalità e accettati giuridicamente.
E si ripropone il nomos come dialettica fra dike, giustizia e bia, violenza. Perché lo stato comunque è armato verso  i cittadini che lo formano.
Perché le prassi storiche, grazie anche a teoretiche diverse dalle originali, hanno modificato le forme metafisiche prima svuotandole e poi inserendovi nuovi contenuti, ma anche di fatto violano l'originaria forma.
Quando questo accade saltano le relazioni dirette e indirette, come i valori morali, come  le istituzioni, come lo  Stato, come processi come democrazia. La comunità si disgrega, ma l'involucro formale serve a tenere unita la comunità, divenendo figura retorica.
Non è possibile dalla stessa cultura modificarne le forme. Per questo falliscono le rivoluzioni,  in quanto ogni mutamento viene riacquisito e riassorbito dentro una medesima cultura sia come  teoretica e sia come di prassi .
Il problema è smascherare gli "alibi", per questo ritengo necessaria la verità incontrovertibile come struttura originaria. Si necessita di un punto di riferimento inalienabile, logico e razionale e non opinabile dove alla fine contano  i rapporti di forza e non la ragione, la logica, la razionalità.

0xdeadbeef

#13
Ciao Viator
A parer mio complichi troppo il discorso...
Mi chiedevi: "c'è forse qualcosa che possiamo decidere o sentire (dico sentire, non percepire) senza
utilizzare la coscienza pur considerata anche solo come serbatoio mnemonico?".
Secondo me no. E semplicemente perchè la coscienza è, dicevo, il "luogo originario dove avviene la
decisione" (quindi non possiamo decidere nulla al di fuori di essa).
Ora, è chiaro che io dò a questo verbo, "decidere", un significato ben preciso; un significato
strettamente correlato al "giudizio" (per cui si decide sulla base di un giudizio).
Naturalmente, se si prendono in considerazione altre espressioni, come "sentire" o "percepire",
bisogna vedere se queste hanno, col giudizio, la medesima relazione che vi ha la decisione.
saluti

viator

Salve Ox. Grazie per il tuo ultimo intervento. Ma sai che ho tirato un profondo sospiro di soddisfazione nel vedere che qualcuno mi dice che riesco a complicare troppo certi argomenti ? Altro che certe altre trattazioni tuttora in corso all'interno di questa sezione, infarcite di chilometriche tirate citanti quasi tutto lo scibile filosofico classico, antico, moderno e contemporaneo ( e nessuna conclusione originale fuori dalle diverse dottrine). Salutoni.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.