La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.

Aperto da Carlo Pierini, 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM

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Carlo Pierini

#60
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 17:38:36 PM
Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PM
Quanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni.

CARLO
Non solo <<descrivono molto bene i fenomeni>>, ma la seconda legge della dinamica (come le altre leggi della natura) è stata scoperta proprio grazie ad essi. Cioè, solo in seguito all'applicazione ai fenomeni fisici di <<quelle cose soggettive create da noi>> che si chiamano "matematica" e "logica", l'uomo ha cominciato a scoprire le prime leggi della natura e a conoscere in profondità il mondo fisico; e io dubito fortemente che senza di esse sarebbe giunto a tanto. Per cui l'apporto soggettivo della logica e della matematica non va visto come un limite ma, al contrario, come uno dei DUE pilastri FONDANTI della conoscenza, quello METAFISICO; l'altro è quello FISICO dei fenomeni.
Per questo insisto spesso sull'idea di "conoscenza" intesa ONTOLOGICAMENTE come complementarità degli enti opposti metafisica/fisica, soggetto/oggetto, mente/materia, numero/cosa, ecc., laddove entrambi i termini dell'opposizione sono indispensabili e reciprocamente confermativi-rafforzativi. Infatti la logica/matematica si è evoluta grazie alla nascita della Fisica e la Fisica è diventata una scienza rigorosa grazie all'applicazione metodica della matematica ai fenomeni fisici.

Insomma, dovremmo finirla con questo frignare continuo sulla "soggettività" intesa come arbitrarietà, sulla "mappa che non è il territorio", sulla "cosa" che non è  "in sé" ma "per noi", sulla verità che non è assoluta ma relativa a noi, ...e altri piagnistei del genere, e cominciare a considerare come una autentica fortuna che "la mappa non sia il territorio" (le leggi non sono scritte nel territorio), che la "cosa" sia "per noi" (che siamo in grado di esplorarla e di cogliere le sue relazioni con altre cose) e che la verità sia "relativa a noi" (che possiamo distinguerla dalle false apparenze).

0xdeadbeef

A Davintro (come a tutti gli altri)
Ora, come ho spesso ripetuto, la filosofia di Kant dal punto di vista gnoseologico può essere
discussa e criticata sotto vari aspetti (mai però dicendo sciocchezze come quelle troppe volte lette in questo
post).
Ma trovo sarebbe oltremodo esagerato, ed ingiusto verso il filosofo, fare un discorso in cui sembra
presupposta la tesi per cui Kant debba essere considerato, diciamo, il filosofo "definitivo".
No, ripeto, da un certo punto di vista l'enorme importanza che per la filosofia rivestono i concetti di
"fenomeno" e di "cosa in sè" risiede nel fatto che, per la prima volta, è il soggetto ad assumere un ruolo
"centrale" in quello che, prima di Kant, era un mondo in cui invece la centralità era dell'oggetto (e mi
sembra che su questo punto anche Davintro sia d'accordo - pur precisando, e giustamente, che vi erano state delle
importanti anticipazioni, soprattutto nel pensiero di Cartesio).
La questione, che Davintro acutamente pone, e cioè se non si possa conoscere che fenomeni oppure se non si
possa conoscere che tramite i fenomeni trovo sia ancora aperta (ed ormai secoli dopo Kant...).
Del resto a me sembra che Kant, pur non certo "risolvendo" il problema, da questo punto di vista abbia comunque
detto qualcosa di "importante". E lo ha detto nel concetto di "trascendentalità".
Se il "trascendente" è la proprietà che tutte le cose hanno in comune (in quanto trascendono la diversità),
allora qualcosa di simile è da ricercare nel rapporto fra "fenomeno" e "cosa in sè". Perchè da un certo
punto di vista la "cosa in sè" è quella cosa che "trascende" la diversità dei "fenomeni" con cui la "cosa
in sè" si presenta ai vari soggetti che la interpretano.
Ora, chiaramente Kant definisce "trascendentale": "ogni conoscenza che si occupa non degli oggetti, ma del
nostro modo di conoscere gli oggetti". Quindi, diciamo, sembrerebbe ad un primo sguardo che poco o nulla cambi
nello "status ontologico", per così dire, di una "cosa in sè" che rimane, apparentemente in maniera irrimediabile,
"fuori" dalla possibilità di una conoscenza che sia "in sè" da parte del soggetto che la interpreta.
Tuttavia, Kant prosegue nel suo discorso sostenendo la possibilità A PRIORI del nostro modo di conoscere gli
oggetti, che altro non vuol dire se non la possibilità (certa o esperibile, su questo punto Kant non sembra
essere molto chiaro) della conoscenza degli oggetti e delle cose in se stesse.
Molto altro in proposito ci sarebbe da dire, come Davintro giustamente suggerisce, sugli sviluppi di questo discorso
nei campi della Fenonenologia (e io vi aggiungerei anche dell'Idealismo...).
saluti

Phil

Citazione di: davintro il 07 Luglio 2018, 20:36:10 PM
Il dualismo, gnoseologicamente impostato, tra una sfera di fenomeni (conoscibili) e una noumenica (inconoscibile), rende impossibile qualunque tipo di scienza, compresa la scienza della critica stessa, perché ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza, e la presunzione di verità resta puramente arbitraria. Ora, ridurre il piano della conoscibilità e della scienza ai "fenomeni" vuol dire negarsi le basi per la possibilità di qualunque scienza, in quanto i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive, non può che condurre a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto manca la possibilità di notare come i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione (al massimo solo per un atto di fede o in virtù di alcune esigenze morali).
Leggendo questo passo mi è sorta una domanda simile a quella di Carlo, che riformulo: perché è impossibile che la scienza sia (sempre stata) una scienza dei soli fenomeni e non degli "oggetti in sé"?

Metaforicamente: quando scrivo sul forum e premo il tasto "v", compare sullo schermo una "v". Questo fenomeno è lo stesso per tutti, è ripetibile e può essere relazionato con altri fenomeni affini che danno origine alla video-scrittura.
Eppure quel fenomeno percettivo che interpreto (centralità del soggetto) non come una macchia di colore insensata, bensì proprio come una lettera "v", non è in sé una "v" (in questo caso lo sappiamo già ;) ). L'"oggetto in sé" di quella "v" sono decine (numero a caso) di minuscoli pixel di un determinato colore, accesi in un determinato ordine, alimentati dallo schermo secondo gli input di un software, installato su un hardware che riceve input da una tastiera (ed è anche più complesso di così, credo). Tuttavia, anche ignorando tutto ciò che quella "v" è (e presuppone), pur non riconoscendo i singoli pixel, posso usare la "v" (causalmente attivata dal tasto corrispondente) in modo funzionale, proprio come accade con le leggi della scienza.
Possiamo affermare che "è veramente una "v"!" e che funziona da "v", solo a causa della nostra interpretazione soggettiva (culturale, etc.) di quei pixel che non distinguiamo, ma di cui vediamo solo l'insieme superficiale.

Secondo me, la verità al livello dei fenomeni è la verità dell'osservazione, dello studio e, soprattutto, della significazione (oltre che segnificazione) dell'aspetto fenomenico della realtà (e delle relazioni fra fenomeni), che è ciò che fa la scienza. Se "sotto" i fenomeni c'è la "cosa in sé", e sotto "la cosa in sé" c'è altro, e poi ancora altri livelli a noi ignoti, resta comunque quasi insignificante per l'uomo (anche qui mi sembra di concordare con Carlo), che "strutturalmente" non può andare epistemologicamente (quindi mistica a parte) oltre al livello dei fenomeni percepiti (e l'escamotage di sostenere che i fenomeni riproducano esattamente la cosa in sé non ha possibilità di essere verificato, al di là della sua autoreferenza).

Certo, nel momento in cui la scienza si presentasse come "scienza dell'oggetto in sé", dimenticando l'inaggirabile mediazione prospettica del soggetto, allora commetterebbe un passo falso (come dicevo, sarebbe come affermare "ho visto la realtà senza farmi condizionare dal mio sguardo"; impossibile direi...).


P.s.
@Carlo La consapevolezza metodologica del ruolo della soggettività e della sua mediazione, mi sembra un elemento importante per parlare di verità, scienza o qualunque altra forma di riflessione umana; anche perché tale mediazione non credo sia sempre la medesima (per rilevanza), e soppesarne ogni volta l'influenza non è (a parer mio) attività né banale né facile.

Carlo Pierini

#63
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Luglio 2018, 10:41:18 AMl'enorme importanza che per la filosofia rivestono i concetti di
"fenomeno" e di "cosa in sè" risiede nel fatto che, per la prima volta, è il soggetto ad assumere un ruolo
"centrale" in quello che, prima di Kant, era un mondo in cui invece la centralità era dell'oggetto

CARLO
L'idea della centralità del linguaggio (soggettivo) logico-matematico nella conoscenza del mondo fisico (già sostenuta da Pitagora) prende piede con Galilei ed è l'idea FONDANTE della "Scientia Nova". Ma Galilei non concepisce un soggetto "centrale" e un oggetto "periferico" (come vuole la metafora copernicana di Kant), bensì una co-centralità di soggetto e oggetto, cioè una pari dignità epistemica tra i due, una equilibrata complementarità tra due enti, entrambi ugualmente indispensabili per la decifrazione del <<grande Libro della Natura>>. Ed è stata questa l'idea vincente che ha trasformato una sparuta setta di eretici in quella potentissima istituzione che oggi chiamiamo Scienza. Questa è stata la vera rivoluzione, non quella di Kant, che è solo uno sterile estremismo concettuale, un puerile rovesciamento dell'estremismo oggettivista.
Se Kant non si fosse limitato a elucubrare astrattamente su una idea SOGGETTIVA di "conoscenza" che non sta né in cielo né in terra (come il suo "trascendent-ale") e avesse cercato conferme in quell'OGGETTO reale chiamato "Scienza" (che già esisteva e prosperava da due secoli), si sarebbe reso conto che un SOGGETTO ipertrofico di fronte ad un OGGETTO marginale ...spara solo minchiate!

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 08 Luglio 2018, 10:42:50 AMPossiamo affermare che "è veramente una "v"!" e che funziona da "v", solo a causa della nostra interpretazione soggettiva (culturale, etc.) di quei pixel che non distinguiamo, ma di cui vediamo solo l'insieme superficiale.

Secondo me, la verità al livello dei fenomeni è la verità dell'osservazione, dello studio e, soprattutto, della significazione (oltre che segnificazione) dell'aspetto fenomenico della realtà (e delle relazioni fra fenomeni), che è ciò che fa la scienza. Se "sotto" i fenomeni c'è la "cosa in sé", e sotto "la cosa in sé" c'è altro, e poi ancora altri livelli a noi ignoti, resta comunque quasi insignificante per l'uomo


Insomma il classico dilemma che pose Whitehead: "l'oggetto su cui siedo è una sedia o una danza di elettroni"?
Comprendo bene come la verità al livello dei fenomeni sia, soprattutto, la verità della significazione e della
segnificazione. In proposito dovremmo a mio parere guardare meglio a ciò che dice l'epistemologia a proposito
dei "paradigmi" (oltre che al detto di Einstein che citavo: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare"),
ma non voglio divagare.
Tornando, per così dire, a bomba su Kant mi sento di non essere troppo d'accordo laddove affermi la "quasi
insignificanza" della "cosa in sè".
Da un punto di vista gnoseologico sì, effettivamente la "cosa in sè" ha anche per me un valore sostanzialmente
metodologico (che ha però una sua indubbia importanza, non foss'altro che per aver "aperto gli occhi" su di
un oggetto fin'allora considerato "svelabile" nella sua fissità). Non però da un punto di vista più generale
e "filosofico tout court", visto che quel concetto serve a Kant come fondamento della sua dottrina morale.
Come potrebbe, ad esempio, Kant istituire il "tribunale della ragione" senza quel fondamento? O come potrebbe,
più in generale, teorizzare quella "filosofia del limite e della finitezza" senza quell'elemento che circoscrive
le possibilità dell'essere umano (e che l'Idealismo rimuoverà con le note conseguenze)?
Non dimentichiamo, insomma, che Kant è stato filosofo a tutto tondo, e che la sua filosofia non è solo gnosi o
episteme...
saluti

sgiombo

Phil:
La relazione cosìddetta "oggettiva" è comunque posta dal soggetto: le grandezze fisiche in questione sono state definite e identificate convenzionalmente dal soggetto, quindi sono soggettive (non nel senso di "opinabili", ma letteralmente: prodotte dal soggetto).
Anche la misurazione di tali grandezze (v. matematica applicata) è in tal senso soggettiva: è un'attività del soggetto secondo idee, strumenti logici e regole da lui formulate. Tali idee sono del soggetto, non dell'oggetto su cui vengono proiettate.
Il che non significa che la scienza più "manifesta" non funzioni in modo regolare e attendibile (è innegabile), ma soltanto che, esempio banale, quando misuro qualcosa in centimetri, tale unità di misura non è oggettiva (dell'oggetto), non appartiene alla "natura" o all'"essere" dell'oggetto, ma è soggettiva, ovvero è del soggetto che "sovrappone" le sua idea di "centimetro" (la sua "griglia") all'oggetto che misura. 

Detto altrimenti, l'oggetto misurato, in quanto tale, non è fatto in/di centimetri, bensì è il soggetto che lo inquadra secondo l'idea astratta di centrimetro, che dà un senso al centrimetro come misura fisica, "leggendo" quindi l'oggetto secondo quella (convenzionale, dunque soggettiva) unità di misura.


Sgiombo:
Di soggettivo e arbitrario vi é solo la scelta dell' unità di misura, non le misure (i rapporti ra grandezze) reali di enti ed eventi fenomenici materiali, le quali invece possono benissimo essere postulate (anche se non dimostrate) essere intersoggettive; e a questa condizione non dimostrabile (ma postulabile: non é dimostrabile nemmeno il contrario, la sua negazione) la realtà fenomenica materiale é conoscibile scientificamente.
Puoi arbitrariamente, soggettivamente decidere di misurare l' altezza del Monte Bianco in pollici, in spanne, in braccia, in anni luce (numero decimale con molti "zero" dopo la virgola), ma il rapporto reale, (ammissibile essere) intersoggettivo fra di esso e la 40 000 parte del meridiano terrestre non può che risultare "sempre" (fino a colossali sconvolgimenti geologici) e per chiunque con buona approssimazione di 4810/1, e non affatto variare ad libitum secondo le soggettive preferenze di chichessia.



Phil:
Per cui, secondo me, descrive una idilliaca (e utopica) simmetria che ignora l'impossibilità di conoscere l'"ordo et connexio rerum" senza l'inevitabile mediazione delle idee: non è possibile conoscere "in sé" qualcosa di empirico se non tramite le nostre idee, le nostre categorie (e la nostra intenzionalità, per dirla con Husserl).


Sgiombo:
Che la conoscenza sia sempre inevitabilmente -per definizione- descrizione almeno limitatamente, relativamente, parzialmente "conforme" o verace della realtà da parte di un soggetto 
(tramite concetti o "idee" suoi propri) é a mio parere un fatto del tutto ovvio e alquanto banale che non toglie la postulabile intersoggettività della realtà fenomenica materiale.




Phil:
Lo stesso concetto di "ordine" è un'astrazione: non possiamo dire sia "reale", poiché è piuttosto una categoria con cui interpretare la realtà; parlare di "ordo rerum" significa dunque utilizzare già l'"ordo idearum" (idea di ordine), che ri
sulta quindi dominante e logicamente primario rispetto all'altro (supposto) "ordo", inglobandolo.

Sgiombo:
Il divenire naturale ordinato della natura (fenomenica) materiale é indimostrabile (Hume).
Ma ciò non toglie che sia postulabile realmente accadere consentendone la conoscenza scientifica (che a quanto pare dalle sue applicazioni tecniche funziona egregiamente, sia nel bene che nel male).




Phil:
Inoltre, possono ovviamente esserci idee che non corrispondono a qualcosa di empirico (ma, in teoria, non può essere il contrario), ed ecco che non c'è quindi quella gaia simmetria fra apporto del soggetto e supporto dell'oggetto   

Questo misterioso "qualcosa di empirico" che sfuggirebbe inevitabilmente al nostro "sguardo" conformante (non possiamo "guardarlo" senza usare i nostri occhi come strumento, e ogni strumento è sempre condizionante) è il (postulato) noumeno kantiano, la cosa-in-sé.


Sgiombo:
Per come la intendo io, la cosa in sé o noumeno kantiano é un' altra cosa: ciò che é reale "oltre" la realtà fenomenica materiale (e secondo me anche mentale), la realtà del quale (del noumeno), contrariamente a qaulla dei fenomeni, non si esaurisce nell' atto dell' apparire alla coscienza.
E infatti Kant ne considera giustamente impossibile una conoscenza da parte della ragion pura (una constatazione empirica), ma solo da parte della ragion pratica (in sostanza, a mio parere, per fede; come comprendente Dio e l' immortalità delle anime umane, a mio modestissimo parere erroneamente).




sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Luglio 2018, 10:31:03 AM
Citazione di: sgiombo il 06 Luglio 2018, 18:49:48 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 17:02:22 PMPerdonami Sgiombo ma ancora credo di non ever capito (capirai bene che l'età avanza...)
Stai dicendo che anche il concetto di "noumeno" è un fenomeno? Certo che lo è, ci mancherebbe.
Il "noumeno", in quanto espresso dal soggetto interpretante Immanuel Kant, è indubitabilmente un fenomeno.
Aggiungerei anzi che persino il pensare (un certo oggetto o un certo concetto), prima ancora che il nominare,
"inserisce" quell'oggetto (con il termine "oggetto" ci si può riferire sia alla "res cogitans" che a quella
"extensa") all'interno di una precisa catena segnica, come afferma acutamente C.S.Peirce.
Questo vuol dire che QUALSIASI pensiero è fenomeno, quindi lo è anche il pensiero del noumeno.
Tuttavia, dice Kant, il noumeno come, diciamo, non-fenomeno è "intuibile" (ed ecco il perchè egli chiama
"noumeno" la cosa in sè).
Trovo che la semiotica abbia in seguito spiegato perfettamente il motivo di questa "intuibilità".
Se pensare è già "segnare", cioè è inserire l'oggetto pensato in un preciso riferimento interpretativo,
deve comunque esistere un "qualcosa" originario cui quel pensiero si è riferito.
La semiotica chiama in vari modi questo "qualcosa originario" ("evento", "primum" etc.). Ed esso è
solo e soltanto "intuibile" (come "assenza" dice la semiotica non del tutto a sproposito - anche se personalmente non sono del tutto d'accordo) appunto perchè già il solo pensarlo ne cambia radicalmente il riferimento.
Boh, spero di averci preso...
saluti

Caro Mauro, anche la mia di età (malgrado la bicicletta, che credo entrambi continuiamo a praticare) avanza, e l' Alzheimer incombe: anzi, nel mio personale caso temo proprio inizi a imperversare...
Ma tant' é: teniamo duro!

A me non interessa tanto un' esegesi di Kant, che per parte mia conosco ben poco, avendolo studiato indirettamente (salvo l' unica lettura originale dei Prolegomeni) nei tempi ahimé ormai lontanissimi del liceo, mentre tu ne sei evidentemente un forte (e appassionato) conoscitore (per lo meno come io lo sono di Hume), quanto piuttosto un' originale riflessione sui problemi della conoscenza e della realtà in generale (gnoseologia e ontologia), anche attraverso "spunti kantiani liberamente -e magari alquanto sgangheratamente e poco o punto fedelmente- intesi e sviluppati".
Quindi il mio uso di concetti come "cosa in sé e "noumeno" potrebbe essere approssimativo e impreciso (quantomeno) e richiederci uno "sforzo di reciproca traduzione" onde intenderci.

Io distinguerei due ordini di questioni circa le quali é facile la confusione.
Il primo é quello generalissimo del "pensiero della realtà (intesa assolutamente in generale, fenomenica, in sé ovvero noumeno, o quant' altro)": la realtà in quanto pensata ed eventualmente conosciuta da parte del soggetto di pensiero (ed eventualmente di conoscenza: predicato o giudizio vero) di essa, la "realtà per il soggetto" di pensiero ed auspicabilmente di conoscenza, e della "realtà effettiva" (realtà sempre intesa assolutamente in generale: fenomenica, in sé ovvero noumeno, o quant' altro), tale indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno, inoltre, anche del pensiero (ed eventualmente della conoscenza o pensiero vero, verità del pensiero) di essa.
A questo proposito mi permetto, in tutta modestia e con tutto il dovuto rispetto (esattamente al contrario di Carlo Pierini, per intenderci), di dissentire da Kant (fra l' altro, che in gran parte probabilmente nemmeno comprendo) circa la possibilità di giudizi sintetici a posteriori.
Per me si danno solo giudizi analitici a priori, certi ma conoscitivamente sterili (circa ciò che realmente é/accade o meno) e giudizi sintetici a poseriori, conoscitivamente fecondi (forse!) ma insuperabilmente incerti, dubbi (per l' appunto, forse conoscitivamente fecondi).

Il secondo ordine di questioni é quello dei rapporti fra fenomeni, soggetto e oggetti dei fenomeni ovvero sensazioni (e non, in questo secondo caso, di pensiero, predicato o giudizio meramente concettuali, mentali circa la realtà di fatto, ciò che realmente accade o meno indipendentemente dal fatto che inoltre, eventualmente, lo si pensi o meno), e cose in sé.
Secondo me di ciò che sentiamo (della realtà, sia materiale sia mentale, cui abbiamo "accesso" sensibile o fenomenico) l' "esse est percipi": accade realmente solo in quanto insiemi e/o successioni di sensazioni fenomeniche coscienti e fintanto che (e non "oltre" tutto ciò) sensazioni fenomeniche coscienti sono presentemente in atto.
Ciò significa che se c' é un soggetto (nota bene: in questo secondo caso non di pensiero -ed eventualmente di conoscenza- circa la realtà di fatto, ma invece di sensazione) e se ci sono oggetti (pure di sensazione), reali anche indipendentemente dall' accadere delle sensazioni fenomeniche stesse, anche se e quando esse non accadono (quando non vedo il solito splendido cedro del libano, che ormai avrete capito invidio al mio vicino di casa; in tutta benevolenza, però... O quando non sono cosciente anche di me stesso, oltre che di altro, come nel sonno senza sogni), allora esso é altro da esse (sarebbe una colossale contraddizione il pretendere che con esse si identifichi, essendo reale anche se e quando esse non sono reali!); e allora é invece qualcosa di "in sé", congetturabile (noumeno) e non sensibilmente (=ai sensi esterni ed interno, alla coscienza) apparente (non fenomeni).

Quindi concordo che qualsiasi pensiero (anche il pensiero del noumeno; ma non il noumeno suo denotato o estensione reale, se effettivamente c' é, cosa indimostrabile e tantomeno -per definizione!- empiricamente ovvero fenomenicamente constatabile) é fenomeno, cioé insieme di sensazioni coscienti, di tipo mentale (e non materiale).
Per me il noumeno é pensabile (e non sensibile, non percepibile coscientemente, al contrario del pensiero -ovviamente fenomenico- del noumeno), "intuibile", certo (in questo credo di concordare con Kant).

Personalmente in fatto di semantica seguo soprattutto Frege (che trovo geniale quasi quanto Hume, che é tutto dire!).
Dunque credo che Se pensare è già "segnare", cioè è inserire l'oggetto pensato in un preciso riferimento interpretativo, non necessariamente deve comunque esistere realmente (indipendentemente dall' eventuale realtà pure del pensiero di esso) un "qualcosa" originario cui quel pensiero si è riferito.
Necessariamente, per definizione, deve esistere una connotazione o intensione (meramente concettuale, "cogitativa") del concetto pensato (la sua arbitraria, di fatto più o meno convenzionale definizione), ma non una sua estensione o denotazione reale (può esistere per esempio nel caso del pensiero di un cavallo, non in quello del pensiero di un da me amatissimo ippogrifo (ma che nostalgia delle discussioni con l' ottimo Maral in proposito!).

Salutoni!

sgiombo

#67
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 11:00:59 AM


CARLO
Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant.
CitazioneBel gioco della minchia davvero (il tuo) !

Infatti apparente, sensibile =/= conoscibile



A me invece fa pensare alla Scienza, laddove il concetto di "legge della fisica" (ordo et connexio rerum ac ordo et connexio ...numerorum) rappresenta un grado superiore di conoscenza (rispetto alla conoscenza pre-scientifica) dal momento che la scoperta di alcune (poche) leggi riguardanti il mondo fisico ci ha permesso di realizzare cose che solo quattro o cinque secoli fa si sarebbero chiamate "magìe" (volare, andare sulla luna, comunicare in tempo reale da distanze enormi, guarire quasi tutte le malattie che affliggono gli uomini e gli animali, ...e le altre migliaia di conquiste della conoscenza).
Di fronte a tutto ciò, l'inconoscibilità della "cosa in sé" di Kant fa ridere i polli.
CitazioneA parte il fatto che le applicazioni tecniche della conoscenza scientifica hanno anche conseguenze dannosissime, oltre che utilissime, all' umanità, fino a farle correre il serio rischio di "estinguersi prematuramente e di sua propria mano" (ma questa é un' altra questione...), sarebbe come dire che, poiché Eddy Merckx é stato un supercampionissimo di ciclismo che é difficile pensare possa essere superato, allora Mark Marquez, o Ayrton Senna, o Pietro Mennea o Szlatan Ibrahimovic fanno ridere i polli (pretesa, questa sì, che fa sbellicare dalle risa qualsiasi gallinaceo e non solo).

Gli straordinari successi delle scienze naturali non scalfiscono minimamente la corposità e l' importanza delle questioni metafisiche (ed etiche, ed estetiche, e gnoseologiche, ecc.) né la genialità delle sue espressioni più elevate (al di là di qualsiasi eventuale dissenso, come da parte mia accade di fatto rispetto a Kant).


CARLO
Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti.
CitazioneCaricaturale fraintendimento di Kant semplicemente osceno.

sgiombo

Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 12:06:52 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
ma le tue sono, invece, solo parole il cui significato "in sé" è inconoscibile. ....Parole al vento...!
Sicuramente per alcuni... tuttavia resto ottimista e, spero, non per tutti! :)

Per esempio non per me (per quel poco che la cosa possa contare), malgrado i nostri reciproci dissensi non da poco.

sgiombo

#69
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 15:30:50 PMla percezione del fenomeno, non è il fenomeno, e il fenomeno della cosa, non è la cosa.

CitazioneDissento:

Fenomeno == (contenuto di) percezione.

Cosa può mai essere il fenomeno (materiale o mentale) di diverso da percezioni (le percezioni, per l' appunto, del fenomeno stesso)?

E cosa mai può essere una cosa, se il fenomeno é il fenomeno della cosa stessa, se non la cosa in sé o noumeno?

Il fenomeno non è oggetto empirico (ma percettivo), l'oggetto in sé invece si suppone lo sia (empirico). Entrambi sono elementi della conoscenza, ma con modalità nettamente differenti: il secondo è, come dicevo, solo postulabile, il primo è studiabile.
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PMDissento: per me fenomeno == oggetto empirico.

E oggetto in sé (per definizione) =/=  oggetto empirico (oggetto empirico == fenomeno =/= oggetto in sé ovvero noumeno).

Per definizione solo i fenomeni (etimologicamente, dal greco, ciò che appare, di cui si ha consapevlezza) sono oggetti della coscienza e non le cose (od oggetti) in sé.

E infatti proprio per questo le cose in sé sono postulabili, mentre i fenomeni (empirici) sono empiricamente (per l' appunto) evidenti e conseguentemente studiabili.



sgiombo

Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 17:38:36 PM

Certo, nel processo della conoscenza il soggetto non è da solo, c'è anche il supporto fondamentale di un "oggetto", un'alterità, che ispira la conoscenza e che innesca i fenomeni percepiti dal soggetto. Per quanto il soggetto si (auto)condizioni nel suo cercare di comprendere l'oggetto, ciò non può comportare l'assoluta indipendenza dall'esser-altro dell'oggetto.

Secondo me, la convenzione è "totale arbitrarietà" non nel senso di puro caso o imprevedibilità o assenza di regole possibili, ma di arbitrarietà degli assiomi (o delle definizioni) da cui deriva la non-arbitrarierà della loro applicazione e della loro coerenza; per questo la scienza funziona, si corregge e si "perfeziona".
Come dire, l'alfabeto e la grammatica di una lingua sono arbitrarie, puramente convenzionali, ma una volta accettate, ogni lingua funziona a meraviglia sul piano intersoggettivo e in modo niente affatto casuale (oppure si potrebbe far l'esempio dei differenti sistemi di misurazione, "centimetri" vs "pollici", ma credo che ci siamo intesi  ;) ).

Concordo con l' esempio delle diverse unità di misura, non con quello delle diverse lingue.

Infatti nel caso delle lingue le definizioni dei vocaboli sono integralmente arbitrarie, si potrebbe chiamare "male" il "bene", "bianco" il "nero", ecc. e viceversa e ci si potrebbe benissimo intendere ugualmente); invece nel caso delle misure arbitraria é solo la scelta dell' unità di misura, non arbitrari ma "intersoggettivamente vincolati" i rapporti quantitativi fra le cose misurate (qualunque unità convenzionalmente, soggettivamente, arbitrariamente si usi, indipendentemente da esse), id es: le misure stesse delle cose (qualsiasi unità di misura si usi per stabilirlo, non si potrebbe mai dire che il Cervino -per quanto molto più qualitativamente bello!- sia più alto del monte Bianco ...a meno di non cambiare arbitrariamente il significato del vocabolo "alto" per attribuirgli quello attualmente di fatto arbitrariamente attribuito al vocabolo "basso").

sgiombo

Citazione di: davintro il 07 Luglio 2018, 20:36:10 PM
Carlo Pierini scrive:

"Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant."

"Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti. "





Al di là dell'uso di alcuni toni, mi pare di poter condividere il senso fondamentale di questi passi, che sembrano avvicinarsi a quelle che sono anche le mie perplessità sulla gnoseologia kantiana. Il dualismo, gnoseologicamente impostato, tra una sfera di fenomeni (conoscibili) e una noumenica (inconoscibile), rende impossibile qualunque tipo di scienza, compresa la scienza della critica stessa, perché ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza, e la presunzione di verità resta puramente arbitraria.

CitazioneDissento dalla tesi che ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza.

Infatti David Hume ci ha mostrato che anche al scienza inevitabilmente richiede di fondarsi si postulati indimostrabili, in linea teorica, di principio degni di dubbio.

Inoltre lo studio filosofico (razionalmente critico, ontologico - gnoseologico) della realtà in generale e delle condizioni, limiti, significato della sua conoscibilità non é la stessa cosa della "scienza" in senso stretto (le scienze naturali) e non é detto sia impossibile senza presupporre (aprioristicamente, acriticamente!) i criteri della verità scientifica.


Ora, ridurre il piano della conoscibilità e della scienza ai "fenomeni" vuol dire negarsi le basi per la possibilità di qualunque scienza, in quanto i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive, non può che condurre a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto manca la possibilità di notare come i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione (al massimo solo per un atto di fede o in virtù di alcune esigenze morali).

Citazione
Essere consapevoli del fatto che i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive non necessariamente conduce a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto che i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione si può, per quanto solo per un atto di fede (ed esserne consapevoli significa essere più conseguentemente razionalisti che ignorarlo coltivando beate illusioni in proposito).
Ma di fatto le sceinze naturali studiano e conoscono la realtà fenomenica materiale naturale (o divenire dei fenomeni materiali naturali).
Davintro:
Eppure la critica kantiana è un impegno teoretico che si è presentato a tutti gli effetti come "scienza", costituita da una serie di affermazioni il cui portato di verità è stato presentato come oggettivo e razionale, cioè indipendente dall'arbitrarietà delle opinioni soggettive. 

CitazioneSgiombo:
Credo (nei limiti della mia scadente conoscenza di Kant) che ciò sia effettivamente ciò che sostiene Kant stesso; ma mi permetto in tutta modestia da dissentirne.


Davintro:
Kant ha potuto sostenere le sue tesi perché convinto di aver oggettivamente ragione, che le sue idee non fossero solo apparenze, ma adeguate alla realtà delle cose, quindi le sue pretese implicano necessariamente un trascendimento dei fenomeni , cioè delle apparenze, come unico riferimento della scienza, ed è qui la sua implicita contraddizione. 

CitazioneSgiombo:
Per quel poco che ne so, qui credo di poter dissentire: solo attraverso la critica della ragion pratica (l' analisi del dovere morale), dunque non razionalmente, non dimostrandolo o empiricamente rilevandolo attraverso la (critica della) ragion pura, Kant crede di attingere alla conoscenza del noumeno trascendendo (quella de-) i fenomeni.

 Davintro:
Trovo in fondo un'ovvietà che ogni conoscenza non possa evitare di basarsi su fenomeni, che necessiti che le cose si manifestino a una coscienza, il problema da porsi è se questi fenomeni restino fermi in se stessi o siano in grado di rispecchiare qualcosa che "fenomeno" non è, ossia le cose nella loro oggettività, il cui manifestarsi a una certa coscienza non è un tratto essenziale del loro essere. Insomma, se la premessa da cui partire è " non possiamo conoscere che fenomeni" allora nessuna scienza, compresa la scienza della critica, è possibile, perché avrebbe a che fare solo con apparenze soggettive, senza la possibilità di individuare una corrispondenza fra tali apparenze soggettive "fenomeni" e le cose stesse,  cioè di formulare un qualsivoglia giudizio vero , vero non solo per me. 


CitazioneSgiombo:
Qui secondo me, come ho cercato di argomentare in risposta ad Oxdeadbeef (risposta #66), bisogna distinguere fra "inseità" degli oggetti di giudizio (eventualmente di conoscenza vera), fenomenici o neumenici che siano, da una parte e "inseità" del noumeno inteso come oggetti (e soggetto) delle sensazioni fenomeniche (e non della conoscenza, di essi o meno), reali anche indipendentemente dalla realtà o meno delle sensazioni stessi (anche allorché, se e quando queste non sono reali).

E la conoscenza dei fenomeni materiali, da parte del senso comune e a un livello di "profondità" o sofisticazione ben maggiore da parte della scienze naturali, é ben possibile a certe condizioni indimostrabili (Hume, a mio parere per niente superato da Kant).


Davintro:
Infatti dei due termini del confronto fra fenomeni o apparenze soggettive e cose stesse o realtà oggettive, potremmo conoscere solo il primo, e dunque il raffronto, la verifica della corrispondenza sarebbe impossibile.
L'esito inevitabile è lo scetticismo più estremo 
CitazioneSgiombo:
Sì, ma non impossibile é invece postulare l' intersoggettività (e non: l' oggettività, che potrebbe essere propria unicamente dalla cosa in sé) dei fenomeni materiali; e alla condizione (indimostrabile) che la fosse, la conoscenza scientifica (e comunque intersoggettiva, anche quella del "senso comune") dei fenomeni materiali stessi sarebbe possibile.

In questo senso l' esito dello scetticismo più estremo effettivamente é razionalisticamente inevitabile (ma non fideisticamente... Ed esserne consapevoli significa essere più conseguentemente razionalisti e sapere, capire di più della "realtà delle cose" che ignorarlo).


Davintro:
Se invece la premessa è "non possiamo conoscere che TRAMITE i fenomeni" allora la possibilità di una scienza, quindi anche della legittimazione razionale della critica kantiana, si riapre. La sfera dei fenomeni non esaurirebbe in sé il complesso del "conoscibile", chiusa in se stessa, ma presenterebbe un certo carattere di dinamicità, nella capacità di rimandare a qualcosa di altro da sé, cioè la realtà oggettiva, che i fenomeni potrebbero adeguatamente a rispecchiare. 

CitazioneSgiombo:

Ma come ? ? ?

Attraverso quali processi gnoseologici?


Davintro:
Quel "TRAMITE" da un lato rende ragione di una relazione fra fenomeno e cosa oggettiva, che eviti ogni dogmatismo che pretenda di fare affermazioni sulla realtà oggettiva senza rendere conto delle forme con cui tale realtà si manifesterebbe alla sua esperienza, rendendosi, appunto, fenomeni, ma dall'altro rompe l'identità fra "fenomeno" e conoscibile", preservando un certo margine di distanza fra i due ambiti, che la razionalità può attraversare passando dall'uno all'altro (questo attraversamento della razionalità è penso ciò che la fenomenologia definirà come "intenzionalità", questa spinta dinamica della coscienza ad andare al di là della propria immanenza attribuendo senso a un mondo oggettivo, aprendosi così ad esso), partendo dalla ricezione dei fenomeni, ma non più fermandosi ad una pura ricezione passiva e indifferenziata, ma attivandosi cercando di interpretandoli, mirando a valutarne il livello di rispecchiamento con le cose stesse, sulla base dei propri criteri fondamentali logici di verità. I fenomeni resterebbero l'indispensabile punto di partenza della conoscenza, ma non più il suo necessario sbocco conclusivo


CitazioneSgiombo:

Ma dov' é, che cos' é quel "TRAMITE" (al di là di una "intenzionalità" intendibile unicamente -a mio parere- come una mera aspirazione soggettiva, una del tutto soggettiva e velleitaria (senza alcun dimostrabile o empiricamente constatabile fondamento oggettivo) spinta dinamica della coscienza ad andare al di là della propria immanenza attribuendo senso a un mondo oggettivo, aprendosi così ad esso?

In questo modo a mio parere non si supera affattio Kant e il suo irrazionale, fideistico ricorso alla ragion pratica.

sgiombo

#72
X Carlo Pierini (in particolare in riferimento all' intervento #58 della presente discussione)

C' é una bella differenza fra "scetticismo", cioé dubbio ritenuto razionalmente insuperabile -e conseguente sospensione del giudizio (per lo meno in teoria, prescindendo da quanto eventualmente sottinteso nella pratica)- circa qualsiasi (eventuale, per l' appunto) conoscenza di come é/diviene la realtà effettiva, indipendentemente dal fatto che sia eventualmente anche (realmente) oggetto di pensiero, giudizio, eventualmente conoscenza o meno da una parte, e "relativismo" (per lo meno quel che correntemente oggi si intende per "relativismo", credo di poter dire "a là Angelo Cannata"; il quale purtroppo si é autoimposto di non potermi più replicare qui nel forum), cioé la pretesa che ogni e qualsiasi predicato o giudizio (compresi quelli reciprocamente contraddittori) che si desse circa la realtà effettiva sia ugualmente vero.

Il primo secondo me é la massima espressione del razionalismo, il secondo dell' irrazionalismo.

Phil

Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 16:06:38 PM
Fenomeno == (contenuto di) percezione.
[...]
fenomeno == oggetto empirico.
C'è qualcosa che non mi quadra: ne risulterebbe che oggetto empirico = (contenuto di) percezione... l'oggetto (esterno al soggetto) non dovrebbe piuttosto essere causa della percezione (e del suo contenuto) del soggetto?
Nel fenomeno, l'empiria è "lato oggetto", la percezione "lato soggetto", no?

Quelle parentesi su "contenuto di", secondo me, rischiano di risultare un po' ambigue: la percezione non è il contenuto di percezione (la vista non è il visto, ciò che si vede).

Non vorrei farne solo una questione di linguaggio, ma (Kant a parte) distinguerei fra percezione, fenomeno e cosa in sé. Se tu leggi un giornale su una panchina e io arrivo camminando verso di te, il contenuto della mia percezione del giornale non sarà identico al tuo (questione di prospettiva ottica), pur essendo entrambi relativi allo stesso fenomeno (il manifestarsi del giornale). C'è poi ciò che è causa del fenomeno-giornale, ovvero il supposto "giornale in sé" (che si manifesta tramite il "fenomeno giornale", che viene percepito dai miei sensi in modo differente dai tuoi).

Per considerazioni sugli altri tuoi commenti, mi permetto di rimandarti al messaggio #62 (@Oxdeadbeef, in quel post mi allontano dal discorso strettamente su Kant, sono considerazioni perlopiù personali ;) ).

sgiombo

#74
Citazione di: Phil il 08 Luglio 2018, 23:13:49 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 16:06:38 PM
Fenomeno == (contenuto di) percezione.
[...]
fenomeno == oggetto empirico.
C'è qualcosa che non mi quadra: ne risulterebbe che oggetto empirico = (contenuto di) percezione... l'oggetto (esterno al soggetto) non dovrebbe piuttosto essere causa della percezione (e del suo contenuto) del soggetto?
Nel fenomeno, l'empiria è "lato oggetto", la percezione "lato soggetto", no?
CitazioneMi scuso per avere usato ambiguamente il termine "oggetto" in due diversi significati.
Nel senso di "cosa" qualsiasi (percepita sensibilmente), cioé di insieme-successione di sensazioni coscienti, ovvero di enti/eventi fenomenici, di "fenomeno".

E nel senso di "oggetto di sensazione fenomenica" distinto dal "soggetto" della stessa" e dalla sensazione fenomenica medesima (distinto dal fenomeno stesso).
Limiterei il termine di "causa" all' ambito fenomenico materiale della realtà, nel quale si possono chiaramente stabilire e quantificare, calcolare relazioni di coesistenza-successione di eventi per induzione (giudizi sintetici a posteriori; dubitabili, non certi: Hume).
Comunque soggetto e oggetto delle sensazioni fenomeniche non possono essere (costituiti da) sensazioni fenomeniche, dal momento che si assumono esistere realmente anche quando le sensazioni fenomeniche stesse non accadono, non esistono realmente (sarebbe una palese contraddizione il pretendere che lo fossero). Non possono dunque che essere "cose in sé" non percepibili sensibilmente, non apparenti ai sensi (= non fenomeni) ma solo congetturabili (noumeno).

Fenomeno, sensazione, percezione (empiriche) secondo me sono sinonimi.

Quelle parentesi su "contenuto di", secondo me, rischiano di risultare un po' ambigue: la percezione non è il contenuto di percezione (la vista non è il visto, ciò che si vede).
CitazionePer "vista" (percezione visiva), nelle considerazioni di cui stiamo parlando, intendo ciò che si vede astrattamente considerato, per "visto" (contenuto di percezione visiva) ciò che concretamente si vede (lo stesso ovviamente vale per la percezione in generale, per qualsiasi tipo, anche diverso da quelle visive, di percezione o sensazione fenomenica cosciente.

Non vorrei farne solo una questione di linguaggio, ma (Kant a parte) distinguerei fra percezione, fenomeno e cosa in sé. Se tu leggi un giornale su una panchina e io arrivo camminando verso di te, il contenuto della mia percezione del giornale non sarà identico al tuo (questione di prospettiva ottica), pur essendo entrambi relativi allo stesso fenomeno (il manifestarsi del giornale). C'è poi ciò che è causa del fenomeno-giornale, ovvero il supposto "giornale in sé" (che si manifesta tramite il "fenomeno giornale", che viene percepito dai miei sensi in modo differente dai tuoi).
CitazioneNon riesco a "vedere" differenze fra "percezione" o "sensazione" (cosciente, sensibilmente apparente alla coscienza) e "fenomeno".

Invece ne vedo fra "fenomeno" (ovvero sinonimi) e "cosa in sé" o "noumeno" (se esiste realmente, cosa indimostrabile e tantomeno -per definizione!- empiricamente constatabile) quali sarebbero i soggetti e gli oggetti delle sensazioni fenomeniche ipotizzati continuare ad esistere realmente anche in assenza delle sensazioni fenomeniche stesse (ciò che c' é anche quando non vedo il cedro del Libano, me stesso che lo vede e che percepisco come miei pensieri anche quando non penso).
Non ha senso cercare di stabilire se le sensazioni (materiali, non mentali) assunte essere intersoggettive mie e tue siano uguali o meno, dal momento che ciascuno di noi non può "sbirciare nella coscienza dell' altro" per verificarlo o falsificarlo; assumere (indimostrabilmente) che siano intersoggettive (ma si può solo di quelle materiali, non di quelle mentali) significa postulare che vi sia una corrispondenza biunivoca fra di esse, cosicchè si possono descrivere verbalmente allo stesso modo: quando tu descrivi il giornale che vedi e io descrivo il giornale che vedo, nell' esempio da te proposto, usiamo le stesse parole.



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