La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.

Aperto da Carlo Pierini, 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM

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0xdeadbeef

Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM

La "rivoluzione copernicana" di Kant è un ennesimo estremismo; un estremismo uguale e contrario a quello che si vuol superare: se quello sacrificava il soggetto sull'altare dell'oggetto, Kant sacrifica l'oggetto sull'altare del soggetto. Due estremismi ugualmente squilibrati, laddove la conoscenza è, invece, la corrispondenza tra due realtà opposte – soggetto e oggetto – di pari dignità ontologica: 1) il fenomeno oggettivo che esiste in sé sul piano FISICO e 2) il paradigma di un soggetto che esiste anch'esso in sé, ma sul piano METAFISICO; quando si realizza una compiuta corrispondenza-complementarità tra le due realtà, esse si confermano reciprocamente e si unificano in un grado superiore di conoscenza,

OXDEADBEEF
Kant, attraverso il metodo detto "trascendentale" (che nulla ha a che vedere con la trascendenza)

CARLO
Certo, il "trascendent-ale"!! Un aggettivo che significa "riferito al trascendente", ma che con il trascendente non ha niente a che vedere! Un capolavoro concettuale, che, insieme al "soggetto", è altresì privo di una sua sostanzialità ontologica.  
...Mirabile filosofia, o insensata ciarlataneria?


No, tutt'altro. Kant non "sacrifica nessun oggetto sull'altare del soggetto" (l'oggetto è mantenuto,
pur nell'inconoscibilità ultima, nella cosa in sè). Lo farà semmai l'Idealismo, che in pratica
teorizza un soggetto creatore (dell'oggetto).
E, cosa importante, lo farà tutto il pensiero post-idealistico fino ai nostri giorni (che io reputo
gravemente infetti del mortale veleno idealista).
Ma diciamo anche che, a tal proposito, sarebbe oltremodo interessante conoscere a quali pensatori
moderni il pensiero di Carlo Pierini si avvicina...
Lo dico perchè quella tesi per cui soggetto e oggetto: "si unificano in un grado superiore di
conoscenza" mi fa proprio pensare all'Idealismo; un Idealismo perlomeno nella sua versione "post",
del tipo di quella "ircocervica" di Croce, tanto per intenderci.
Certo che, da un tal punto di vista, sarebbe davvero paradossale quell'accusa a Kant...
Per quanto riguarda il "trascendentale" trovo davvero grottesco e semplicistico che si usi un tal giudizio
per le parole e la terminologia in genere di un uomo del XVIII secolo senza VOLER capire a fondo
il significato, per lui, di tali termini.
Se si avesse UN MINIMO di conoscenza del pensiero di Kant si saprebbe infatti molto bene che quel
termine è da lui inteso in tal modo: "chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non degli
oggetti, ma del nostro modo di conoscere gli oggetti".
saluti

0xdeadbeef

#46
Citazione di: sgiombo il 06 Luglio 2018, 18:49:48 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 17:02:22 PMDunque la cosa fisica "magnifico Cedro del Libano" é un fenomeno (o insieme-successone di fenomeni) mentre il noumeno (intuibile solo nella sua presenza) non lo è; ma anche la cosa mentale "miei pensieri, sentimenti ecc." sono fenomeni (però mentali e non fisici - materiali), mentre il noumeno che esiste anche quando non sento pensieri o sentimenti (l' "io"; me stesso) non é fenomeno (apparenza sensibile cosciente (mentale in quest' ultimo caso): se pretendessi che lo fosse, cioé che esistesse in quando pensieri, sentimenti ecc., anche quando pensieri, sentimenti, ecc. non ci sono, mi contraddirei platealmente!
Perdonami Sgiombo ma ancora credo di non ever capito (capirai bene che l'età avanza...)
Stai dicendo che anche il concetto di "noumeno" è un fenomeno? Certo che lo è, ci mancherebbe.
Il "noumeno", in quanto espresso dal soggetto interpretante Immanuel Kant, è indubitabilmente un fenomeno.
Aggiungerei anzi che persino il pensare (un certo oggetto o un certo concetto), prima ancora che il nominare,
"inserisce" quell'oggetto (con il termine "oggetto" ci si può riferire sia alla "res cogitans" che a quella
"extensa") all'interno di una precisa catena segnica, come afferma acutamente C.S.Peirce.
Questo vuol dire che QUALSIASI pensiero è fenomeno, quindi lo è anche il pensiero del noumeno.
Tuttavia, dice Kant, il noumeno come, diciamo, non-fenomeno è "intuibile" (ed ecco il perchè egli chiama
"noumeno" la cosa in sè).
Trovo che la semiotica abbia in seguito spiegato perfettamente il motivo di questa "intuibilità".
Se pensare è già "segnare", cioè è inserire l'oggetto pensato in un preciso riferimento interpretativo,
deve comunque esistere un "qualcosa" originario cui quel pensiero si è riferito.
La semiotica chiama in vari modi questo "qualcosa originario" ("evento", "primum" etc.). Ed esso è
solo e soltanto "intuibile" (come "assenza" dice la semiotica non del tutto a sproposito - anche se personalmente non sono del tutto d'accordo) appunto perchè già il solo pensarlo ne cambia radicalmente il riferimento.
Boh, spero di averci preso...
saluti

Carlo Pierini

#47
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Luglio 2018, 09:56:48 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM

La "rivoluzione copernicana" di Kant è un ennesimo estremismo; un estremismo uguale e contrario a quello che si vuol superare: se quello sacrificava il soggetto sull'altare dell'oggetto, Kant sacrifica l'oggetto sull'altare del soggetto. Due estremismi ugualmente squilibrati, laddove la conoscenza è, invece, la corrispondenza tra due realtà opposte – soggetto e oggetto – di pari dignità ontologica: 1) il fenomeno oggettivo che esiste in sé sul piano FISICO e 2) il paradigma di un soggetto che esiste anch'esso in sé, ma sul piano METAFISICO; quando si realizza una compiuta corrispondenza-complementarità tra le due realtà, esse si confermano reciprocamente e si unificano in un grado superiore di conoscenza,

OXDEADBEEF
Kant, attraverso il metodo detto "trascendentale" (che nulla ha a che vedere con la trascendenza)

CARLO
Certo, il "trascendent-ale"!! Un aggettivo che significa "riferito al trascendente", ma che con il trascendente non ha niente a che vedere! Un capolavoro concettuale, che, insieme al "soggetto", è altresì privo di una sua sostanzialità ontologica.  
...Mirabile filosofia, o insensata ciarlataneria?
No, tutt'altro. Kant non "sacrifica nessun oggetto sull'altare del soggetto" (l'oggetto è mantenuto,
pur nell'inconoscibilità ultima, nella cosa in sè).

CARLO
Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant.

OXDEADBEEF
Ma diciamo anche che, a tal proposito, sarebbe oltremodo interessante conoscere a quali pensatori
moderni il pensiero di Carlo Pierini si avvicina...
Lo dico perchè quella tesi per cui soggetto e oggetto: "si unificano in un grado superiore di
conoscenza" mi fa proprio pensare all'Idealismo;

CARLO
A me invece fa pensare alla Scienza, laddove il concetto di "legge della fisica" (ordo et connexio rerum ac ordo et connexio ...numerorum) rappresenta un grado superiore di conoscenza (rispetto alla conoscenza pre-scientifica) dal momento che la scoperta di alcune (poche) leggi riguardanti il mondo fisico ci ha permesso di realizzare cose che solo quattro o cinque secoli fa si sarebbero chiamate "magìe" (volare, andare sulla luna, comunicare in tempo reale da distanze enormi, guarire quasi tutte le malattie che affliggono gli uomini e gli animali, ...e le altre migliaia di conquiste della conoscenza).
Di fronte a tutto ciò, l'inconoscibilità della "cosa in sé" di Kant fa ridere i polli.

OXDEADBEEF
Se si avesse UN MINIMO di conoscenza del pensiero di Kant si saprebbe infatti molto bene che quel
termine è da lui inteso in tal modo: "chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non degli
oggetti, ma del nostro modo di conoscere gli oggetti".
saluti

CARLO
Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti.

Phil

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Davvero?  ...E io che credevo  che le unità di misura fossero dei prodotti naturali!!!
Chiaramente no, ma dato che avevi salomonicamente affermato
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
Il soggetto, cioè, NON "determina" l'oggetto PIÙ DI QUANTO l'oggetto non "determini" il paradigma soggettivo-metafisico, ma entrambi contribuiranno in egual misura alla costruzione del sapere, in una CORRISPONDENZA equilibrata
ho provato a suggerirti alcuni motivi per cui forse non è una relazione così bilanciata (e concordo che sarebbe bello lo fosse).
Ovviamente, siamo pur sempre in un forum, non sei certo costretto a contro-argomentare  :)

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Non posso conoscere "in sé" il significato di quello che hai appena scritto
Colgo il sarcasmo, eppure mi concederai che l'"in sé" empirico non è proprio equivalente all'"in sè" semantico...

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Tu ti illudi di aver detto la verità
Di certo ho le mie illusioni, ma riguardo a questa (ti auguro di aver di meglio da fare) puoi divertirti a leggere quello che ho scritto sul topic "la verità è ciò che si dice" o su altri con tematiche affini. Credo proprio cambierai idea  ;)

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Il concetto stesso di "impossibilità di conoscere" è una astrazione, una tua interpretazione della conoscenza
Si parlava di Kant (più che di me) e credo concorderebbe (anche se, purtroppo, non lo dico a scopo di lucro ;D ).

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
ma le tue sono, invece, solo parole il cui significato "in sé" è inconoscibile. ....Parole al vento...!
Sicuramente per alcuni... tuttavia resto ottimista e, spero, non per tutti! :)

Carlo Pierini

Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 12:06:52 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Davvero?  ...E io che credevo  che le unità di misura fossero dei prodotti naturali!!!

Chiaramente no, ma dato che avevi salomonicamente affermato:

Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
Il soggetto, cioè, NON "determina" l'oggetto PIÙ DI QUANTO l'oggetto non "determini" il paradigma soggettivo-metafisico, ma entrambi contribuiranno in egual misura alla costruzione del sapere, in una CORRISPONDENZA equilibrata
ho provato a suggerirti alcuni motivi per cui forse non è una relazione così bilanciata (e concordo che sarebbe bello lo fosse).
CARLO
...Ma è sicuramente più bilanciata dell'idea kantiana che pone, non più l'oggetto, ma il soggetto al centro del processo conoscitivo. Kant, cioè, sostituisce un estremismo squilibrato con un altro estremismo altrettanto squilibrato. 
Per questo ho portato come esempio REALE di conoscenza (tra i tanti possibili) la seconda legge di Newton, nella quale non è centrale né il soggetto né l'oggetto, ma la CORRISPONDENZA equilibrata (dialettica) tra un paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO (F=ma) e  un insieme di fenomeni OGGETTIVI-FISICI che in esso si unificano.
Ed è su questa tipologia di processi epistemici che si è costruita la Scienza, cioè, la più rivoluzionaria ed efficace forma di conoscenza che l'uomo abbia mai concepito, non sulle chiacchiere inconcludenti di Kant.

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Non posso conoscere "in sé" il significato di quello che hai appena scritto 


Colgo il sarcasmo, eppure mi concederai che l'"in sé" empirico non è proprio equivalente all'"in sè" semantico...

CARLO
La semantica è l'arte di associare dei segni a dei contenuti provenienti dall'esperienza (contenuti empirici). Quindi non esiste un "in sé" semantico separato da un "in sé" empirico.  Il "significante" trova il proprio "significato" esclusivamente nell'esperienza, altrimenti non è altro che un flatus vocis, un rumore fine a se stesso.
Cosicché, la verità non è <<ciò che si dice>>, come avventatamente sostieni tu, ma la corrispondenza tra ciò che si dice e ciò che è empiricamente, tra l'ordine dei fatti empirici e l'ordine dei segni che rispecchiano quei fatti nel linguaggio.
Se la "cosa in sé" non è conoscibile, TANTOMENO saranno conoscibili le chiacchiere in sé, separate da contenuti empirici di cui esse sono espressione.

Come dicevo a Oxdeadbeef, affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso stupido gioco, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant.

0xdeadbeef

#50
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 11:00:59 AM


CARLO
A me invece fa pensare alla Scienza, laddove il concetto di "legge della fisica" (ordo et connexio rerum ac ordo et connexio ...numerorum) rappresenta un grado superiore di conoscenza (rispetto alla conoscenza pre-scientifica) dal momento che la scoperta di alcune (poche) leggi riguardanti il mondo fisico ci ha permesso di realizzare cose che solo quattro o cinque secoli fa si sarebbero chiamate "magìe" (volare, andare sulla luna, comunicare in tempo reale da distanze enormi, guarire quasi tutte le malattie che affliggono gli uomini e gli animali, ...e le altre migliaia di conquiste della conoscenza).
Di fronte a tutto ciò, l'inconoscibilità della "cosa in sé" di Kant fa ridere i polli.


CARLO
Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti.


Beh, direi che mi confermi appieno quanto sospettavo, e cioè che ragioni in termini idealistici.
O più precisamente, che hai della scienza una visione idealistica (la vedi cioè come una specie di
"spirito del mondo").
Dimentichi cioè, e colpevolmente, che la scienza è SOLO una branca specifica di quel sapere che
la filosofia abbraccia nella sua interezza; e di cui essa cerca le "relazioni" che intercorrono
fra le specificità.
Sarebbe, a tal proposito, interessante sapere come tu ti rapporti, "scientificamente", ai problemi
della politica, della morale o di quant'altro (informandoti preventivamente che la "cosa in sè"
kantiana vi si rapporta eccome).
In realtà il tuo modo di vedere le cose, il tuo "ordo", è ben conosciuto. Si chiama "scientismo".
Ed è appunto l'estensione indebita di una branca della filosofia, appunto la scienza, all'intera
filosofia in modo del tutto analogo a quanto l'Idealismo fa con un "io" che a se riduce l'intero
universo.
Chiaramente non sei solo a ragionare in questo modo, tutt'altro.
Oggi tutto è scienza, e CON la scienza si pretenderebbe di rispondere a qualsiasi interrogativo.
"Magari morirete", dice l'alter ego ad Ivan Karamazov nell'immortale capolavoro di Dostoevskij,
"ma almeno saprete con esattezza la malattia che vi sta uccidendo".
Non che, per carità, la filosofia abbia mai avuto una risposta consolatoria verso il pensiero della
morte, ma almeno ha avuto verso di essa un atteggiamento "serio", non come quello di certi scientisti
che, ultimamenti, parlano allegramente di vita fino a 120 e più (quando non addirittura fanno trapelare
l'idea della possibilità dell'immortalità).
Ma non divaghiamo.
Ciò che mi rende difficile il dialogo con te, Carlo Pierini, non è tanto il fatto che tu abbia una
opinione difforme dalla mia (che sarebbe cosa sacrosanta), quanto che ti rifiuti di ragionare in
termini filosofici (cioè in termini che presuppongono, sempre, una visione più "larga").
Hai dapprima detto un mucchio di sciocchezze sull'"idea" platonica (che hai allegramente accomunato
alla cosa in sè di Kant) poi su molto altro (e quando te lo si fa notare semplicemente fai finta di nulla
e cambi discorso - del resto anche altri hanno notato come, spesso, non contro-argomenti).
Non che io pensi tu sia uno sciocco, intendiamoci. Ma penso tu abbia una posizione filosofica (forse
tuo malgrado) ben precisa, che è appunto quella scientista.
La quale ti porta ad avere un atteggiamento da conservatore (così come il conservatore è descritto
da Platone); un atteggiamento per cui si abbandona il dialogo quando esso mette in discussione le
proprie radicate convinzioni.
A mio modo di vedere, semplicemente, sei convinto di sapere (ovvero non sai di non sapere).
La stessa terminologia che usi, in verità piuttosto volgarotta, ne è dimostrazione.
Eppure, dicevo, proprio la fisica relativistica dovrebbe indurti a grande cautela prima di esprimere certe
certezze assolute, o riproporre pari pari certi assiomi della meccanica newtoniana (che fra l'altro
Kant dava per certissimi).
Non era certo Kant, ma quella "sega di scienziato" di Einstein, a dire: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare". E che
altro vuol dire questo se non che è il soggetto ad essere "centrale"?

saluti (senza alcuna acredine)

Phil

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
...Ma è sicuramente più bilanciata dell'idea kantiana che pone, non più l'oggetto, ma il soggetto al centro del processo conoscitivo. Kant, cioè, sostituisce un estremismo squilibrato con un altro estremismo altrettanto squilibrato.
Chiedo: il "gioco filosofico" è trovare la prospettiva più bella, quella in cui più si bilanciano alla perfezione soggetto e oggetto, oppure cercare di capire come funziona davvero la conoscenza umana, accettando eventuali asimmetrie?

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
Per questo ho portato come esempio REALE di conoscenza (tra i tanti possibili) la seconda legge di Newton, nella quale non è centrale né il soggetto né l'oggetto, ma la CORRISPONDENZA equilibrata (dialettica) tra un paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO (F=ma) e  un insieme di fenomeni OGGETTIVI-FISICI che in esso si unificano.
In quella legge, come già accennavo, è centrale il soggetto: il soggetto definisce e identifica "F", "m" e "a", stabilisce la relazione fra loro e ne verifica la ripetibilità con esperimenti.
Non a caso, "F", "m" e "a" sono concetti, non cose... funzionano come chiave di lettura, ma non sono il libro (così come la percezione del fenomeno, non è il fenomeno, e il fenomeno della cosa, non è la cosa).

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
La semantica è l'arte di associare dei segni a dei contenuti provenienti dall'esperienza (contenuti empirici). Quindi non esiste un "in sé" semantico separato da un "in sé" empirico.  Il "significante" trova il proprio "significato" esclusivamente nell'esperienza, altrimenti non è altro che un flatus vocis, un rumore fine a se stesso.
Articoli, aggettivi e avverbi sono dunque tutti "flatus vocis"? Comunque piuttosto utili direi... ;)

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
Cosicché, la verità non è <<ciò che si dice>>, come avventatamente sostieni tu, ma la corrispondenza tra ciò che si dice e ciò che è empiricamente, tra l'ordine dei fatti empirici e l'ordine dei segni che rispecchiano quei fatti nel linguaggio.
L'isomorfismo è una delle concezioni possibili della verità, ma non l'unica... provare a ponderare anche le altre può essere di giovamento.

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
Se la "cosa in sé" non è conoscibile, TANTOMENO saranno conoscibili le chiacchiere in sé, separate da contenuti empirici di cui esse sono espressione.
Se non erro, le chiacchiere si capiscono, la cosa si conosce.
Semantico ed empirico mi sembrano proprio due livelli distinti: la relazione fra gli oggetti non è gli oggetti (e il discorso sulla relazione degli oggetti lo è ancora meno...).

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza,
Il fenomeno non è oggetto empirico (ma percettivo), l'oggetto in sé invece si suppone lo sia (empirico). Entrambi sono elementi della conoscenza, ma con modalità nettamente differenti: il secondo è, come dicevo, solo postulabile, il primo è studiabile.

Sulla differenza fra "fenomeno" e "oggetto in sé", se non ti fidi di me (e fai bene ;D ) puoi interrogare tanto la dottrina buddhista della percezione (duemila anni fa) quanto la citata fenomenologia husserliana (secolo scorso) e più in generale la storia della scienza mondiale, oppure (per far prima) qualche pagina di wikipedia.
Il che non significa che tu debba concordare con loro, ma certamente aiuta a chiarire come si intende tale differenza e, soprattutto, come mai ancora oggi non sia archiviata come mero sofisma (né dai filosofi, né dagli scienziati).

Apeiron

#52
Rispondo al messaggio di Carlo Pierini numero #32:


Citazione
Supponiamo che X (la "cosa in sé") sia il modello dinamico del Sistema Solare.

No, per Kant non puoi farlo, visto che il Sistema Solare è nel reame dei fenomeni o apparenze.

CitazioneEbbene, sia la teoria tolemaica (geocentrismo) che quella copernicano-kepleriana-newtoniana (eliocentrismo) erano entrambe "conoscenze di X viste da noi"; eppure con la teoria tolemaica noi non saremmo MAI stati in grado di inviare delle sonde su Marte, o intorno a Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone, o sulla cometa 67p, come invece siamo riusciti a fare sulla base di quella "conoscenza di X vista da noi" che chiamiamo teoria eliocentrica. Qual'è la differenza tra le due? Che la prima era essenzialmente FALSA, mentre la seconda era essenzialmente e DEFINITIVAMENTE VERA. Ormai, cioè, non ci sono più dubbi che i pianeti del Sistema Solare girano intorno al Sole e non intorno alla Terra.
Kant ha inteso la sua filosofia come una giustificazione della scienza. Ed, effettivamente, la scienza può semplicemente descrivere il mondo dei fenomeni, delle apparenze. Non c'è bisogno di postulare che la scienza descriva la "realtà in sé". Questo non significa essere "relativisti" perchè comunque si riescono a trovare (almeno approssimazioni di) verità intersoggettive, valide per diversi soggetti (visto che la struttura della nostra mente è simile).

CitazioneAllora, di fronte a una tale verità definitiva dell'eliocentrismo, che importanza ha il fatto che sia anch'esso una "X vista da noi"? NESSUNA, perché l'importante è la verità delle cose, non che essa sia vista da noi o da chiunque altro.
Ok! Però dal punto di vista intellettuale mi piacerebbe sapere con certezza se vedo "la realtà così come è" oppure se il come la vedo perchè la mia mente è strutturata in un certo modo. Ovvero: le cose come appaiono a noi sono la "realtà in sé"? Se la risposta è "no", quali sono le leggi della "realtà in sé"? Per avere una risposta sicura, credo che ci vorrebbe tipo un "risveglio" o una "conoscenza sovrumana", qualcosa che ci permette di sfondare i nostri limiti facendoceli comprendere "dall'esterno", per così dire. Molti ritengono che Kant abbia distrutto la metafisica. Rimango dell'idea che la metafisica sia possibile, ma dopo Kant è più difficile affermare di avere la "sicurezza" nella metafisica. Ma, personalmente, per ora mi accontento di speculare nell'incertezza  ;)

CitazioneE questa stessa riflessione può essere estesa alla totalità delle X della Scienza, le quali sono SEMPRE, inizialmente, poco più che delle X incognite, ma che col passare dei secoli, grazie all'osservazione metodica e alla verifica sperimentale, si vanno progressivamente avvicinando alla verità.
Insomma non esiste alcun motivo fondato per escludere a priori la conoscibilità delle "cose", visto che la conoscenza umana ha GIA' prodotto decine di migliaia di verità definitive sul mondo, e che questo processo evolutivo è ben lungi dall'essersi arrestato. L'evoluzione del sapere e della tecnologia che da esso discende non si fonda sulle chiacchiere, ma ESCLUSIVAMENTE sulle verità accertate. Non si costruisce una sonda spaziale o un semplice computer su opinioni filosofiche, ma su conoscenze assolutamente certe, altrimenti non funzionerà né l'una né l'altro.
La scienza ci può fornire (approssimazioni di) verità sul mondo fenomenico. Queste verità sono intersoggettive (valgono per vari soggetti). Se poi non c'è la realtà-così-come-è coincide con la realtà vista da noi, non si può esserne sicuri. Forse, per te, è così. Ma, personalmente non ne sarei così sicuro  ;)

Commento, ora, il messaggio #51 di Phil (è un "commento", non una vera e propria risposta diretta):


CitazioneChiedo: il "gioco filosofico" è trovare la prospettiva più bella, quella in cui più si bilanciano alla perfezione soggetto e oggetto, oppure cercare di capire come funziona davvero la conoscenza umana, accettando eventuali asimmetrie?
Vero!

CitazioneIn quella legge, come già accennavo, è centrale il soggetto: il soggetto definisce e identifica "F", "m" e "a", stabilisce la relazione fra loro e ne verifica la ripetibilità con esperimenti.
Non a caso, "F", "m" e "a" sono concetti, non cose... funzionano come chiave di lettura, ma non sono il libro (così come la percezione del fenomeno, non è il fenomeno, e il fenomeno della cosa, non è la cosa).

Qui mi permetto di fare una precisazione. Quanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni. Quindi ci è possibile arrivare ad approssimazioni di verità intersoggettive (la teoria di Einstein è "più vera" di quella di Newton ecc). Sull'errore di confondere il concetto di "convenzione" con quello di "totale arbirarietà" si fonda il grosso errore in cui sono cadute scuole di pensiero come il "relativismo estremo", "la filosofia di Protagora", "post-modernismo", "post-strutturalismo", "decostruzione" (Derrida), "iper-scetticismo" ecc. Siccome la scienza ci ha permesso di descrivere in modo estrememante accurato i nostri fenomeni e siccome ciò vale per tutti i soggetti, o è una sorta di "mega colpo di fortuna" oppure un motivo c'è. Ma se accettiamo che la teoria di Einstein è migliore di quella di Newton, dobbiamo ammettere che ci sono verità inter-soggettive. Quindi il soggetto conta fino ad un certo punto! Su questo si è ben espresso anche Eco, come ci ha fatto sapere @epicurus in questo post https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-verita-e-cio-che-si-dice/msg21746/#msg21746. Anche se la mia posizione su ciò è diversa, si veda https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-verita-e-cio-che-si-dice/msg21749/#msg21749.

CitazioneL'isomorfismo è una delle concezioni possibili della verità, ma non l'unica... provare a ponderare anche le altre può essere di giovamento.
Vero. Ma a volte potrebbe essere la concezione giusta di verità. Concordo sul fatto che bisgona avere una mente aperta su tutte!

CitazioneIl fenomeno non è oggetto empirico (ma percettivo), l'oggetto in sé invece si suppone lo sia (empirico). Entrambi sono elementi della conoscenza, ma con modalità nettamente differenti: il secondo è, come dicevo, solo postulabile, il primo è studiabile.

Sulla differenza fra "fenomeno" e "oggetto in sé", se non ti fidi di me (e fai bene ) puoi interrogare tanto la dottrina buddhista della percezione (duemila anni fa) quanto la citata fenomenologia husserliana (secolo scorso) e più in generale la storia della scienza mondiale, oppure (per far prima) qualche pagina di wikipedia.
Il che non significa che tu debba concordare con loro, ma certamente aiuta a chiarire come si intende tale differenza e, soprattutto, come mai ancora oggi non sia archiviata come mero sofisma (né dai filosofi, né dagli scienziati).
Totalmente d'accordo!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Phil

Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PM
Quanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni. Quindi ci è possibile arrivare ad approssimazioni di verità intersoggettive (la teoria di Einstein è "più vera" di quella di Newton ecc). Sull'errore di confondere il concetto di "convenzione" con quello di "totale arbirarietà" si fonda il grosso errore in cui sono cadute scuole di pensiero come il "relativismo estremo", "la filosofia di Protagora", "post-modernismo", "post-strutturalismo", "decostruzione" (Derrida), "iper-scetticismo" ecc. Siccome la scienza ci ha permesso di descrivere in modo estrememante accurato i nostri fenomeni e siccome ciò vale per tutti i soggetti, o è una sorta di "mega colpo di fortuna" oppure un motivo c'è. Ma se accettiamo che la teoria di Einstein è migliore di quella di Newton, dobbiamo ammettere che ci sono verità inter-soggettive. Quindi il soggetto conta fino ad un certo punto!
Certo, nel processo della conoscenza il soggetto non è da solo, c'è anche il supporto fondamentale di un "oggetto", un'alterità, che ispira la conoscenza e che innesca i fenomeni percepiti dal soggetto. Per quanto il soggetto si (auto)condizioni nel suo cercare di comprendere l'oggetto, ciò non può comportare l'assoluta indipendenza dall'esser-altro dell'oggetto.

Secondo me, la convenzione è "totale arbitrarietà" non nel senso di puro caso o imprevedibilità o assenza di regole possibili, ma di arbitrarietà degli assiomi (o delle definizioni) da cui deriva la non-arbitrarierà della loro applicazione e della loro coerenza; per questo la scienza funziona, si corregge e si "perfeziona".
Come dire, l'alfabeto e la grammatica di una lingua sono arbitrarie, puramente convenzionali, ma una volta accettate, ogni lingua funziona a meraviglia sul piano intersoggettivo e in modo niente affatto casuale (oppure si potrebbe far l'esempio dei differenti sistemi di misurazione, "centimetri" vs "pollici", ma credo che ci siamo intesi  ;) ).

Apeiron

Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 17:38:36 PM
Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PMQuanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni. Quindi ci è possibile arrivare ad approssimazioni di verità intersoggettive (la teoria di Einstein è "più vera" di quella di Newton ecc). Sull'errore di confondere il concetto di "convenzione" con quello di "totale arbirarietà" si fonda il grosso errore in cui sono cadute scuole di pensiero come il "relativismo estremo", "la filosofia di Protagora", "post-modernismo", "post-strutturalismo", "decostruzione" (Derrida), "iper-scetticismo" ecc. Siccome la scienza ci ha permesso di descrivere in modo estrememante accurato i nostri fenomeni e siccome ciò vale per tutti i soggetti, o è una sorta di "mega colpo di fortuna" oppure un motivo c'è. Ma se accettiamo che la teoria di Einstein è migliore di quella di Newton, dobbiamo ammettere che ci sono verità inter-soggettive. Quindi il soggetto conta fino ad un certo punto!
Certo, nel processo della conoscenza il soggetto non è da solo, c'è anche il supporto fondamentale di un "oggetto", un'alterità, che ispira la conoscenza e che innesca i fenomeni percepiti dal soggetto. Per quanto il soggetto si (auto)condizioni nel suo cercare di comprendere l'oggetto, ciò non può comportare l'assoluta indipendenza dall'esser-altro dell'oggetto. Secondo me, la convenzione è "totale arbitrarietà" non nel senso di puro caso o imprevedibilità o assenza di regole possibili, ma di arbitrarietà degli assiomi (o delle definizioni) da cui deriva la non-arbitrarierà della loro applicazione e della loro coerenza; per questo la scienza funziona, si corregge e si "perfeziona". Come dire, l'alfabeto e la grammatica di una lingua sono arbitrarie, puramente convenzionali, ma una volta accettate, ogni lingua funziona a meraviglia sul piano intersoggettivo e in modo niente affatto casuale (oppure si potrebbe far l'esempio dei differenti sistemi di misurazione, "centimetri" vs "pollici", ma credo che ci siamo intesi ;) ).

Ben detto!  ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: davintro il 06 Luglio 2018, 17:56:17 PM
Per Sgiombo



Sono d'accordo sul fatto di non dover considerare le categorie a priori nella mente come reali di fatto, ciò che sostengo è che, anche se consistenti in enti non fattuali ma concettuali, sono comunque, evidentemente, oggetto di una conoscenza (altrimenti come potrebbe la critica kantiana accorgersi della loro presenza come strutture costitutive e necessarie della mente umana?), ma dovrà essere di un tipo di conoscenza diverso da quello sufficiente a ricevere i fenomeni degli oggetti sensibili, cioè dovrà fondarsi su un'intuizione intellettuale, appropriata a cogliere delle strutture e giudizi riconoscibili come validi aprioristicamente e universali. E questo tipo di conoscenza dovrà essere considerata "scienza" a tutti gli effetti, altrimenti la critica stessa, oggettivante questo nucleo aprioristico, dovrebbe negarsi come "scienza", per legittimare se stessa dunque dovrà allargare il campo della "scienza" al di là del campo ristretto del materiale consistente solo in fenomeni sensibili, riconducibili alle categorie estetiche di "spazio" e "tempo", cioè empirici. Insomma nel momento in cui Kant parla di "apriori", "trascendentale" questi concetti non possono più solo essere "forme", "funzioni", ma a tutti gli effetti "materia", "oggetto" di una specifica scienza, cioè la scienza critica, senza per forza bisogno di associarli a realtà fattuali o sostanziali. Del resto se si condivide l'assunto che qualunque cosa per essere conosciuta debba essere oggetto immanente di vissuti coscienti, indipendentemente dall'associarli a fatti reali (ed è per questo che dell'ippogrifo possiamo averne una conoscenza, cioè possiamo averne una rappresentazione e porlo come soggetto di giudizi anche consapevoli della non corrispondenza del concetto con un'esistenza fattuale), allora non vedo il problema di sostenere l'idea di una conoscenza, una scienza, oggettivante una sfera intelligibile, noumenica, identificabile con il complesso delle strutture necessarie, trascendentali della mente umana, senza per forza pretendere che tale sfera sia proiettabile come esistenza fuori dalla nostra mente, considerata come "realtà" o "sostanza"
Citazione
Ma una cosa é la conoscenza*** di un racconto inventato, con una trama arbitrariamente stabilita indipendentemente da ciò che realmente é/accade o meno (per esempio l' Orlando Furioso, nell' ambito del quale esistono gli ippogrifi), oppure la conoscenza** di ciò che analiticamente a priori può essere ricavato da un insieme di definizioni, postulati, assiomi arbitrariamente stabiliti indipendentemente da ciò che realmente é/accade o meno (per esempio le vaie geometrie, a cominciare da quelle euclidea), un' altra ben diversa cosa é la conoscenza* (necessariamente attraverso giudizi sintetici a posteriori) di ciò che realmente é/accade o meno anche indipendentemente dall' eventuale essere pure pensato, predicato accadere o meno.

La conoscenza** logica-matematica (giudizi analitici a priori) é sì un tipo di conoscenza diverso da quello sufficiente a ricevere i fenomeni de- (più correttamente: i fenomeni, id est) -gli oggetti sensibili (i quali sono enti e/o eventi reali indipendentemente dal fatto che li si pensi, che li si predichi o giudichi sinteticamente a posteriori o meno), che dovrà fondarsi su ragionamenti appropriati a cogliere delle strutture e giudizi riconoscibili come validi aprioristicamente e universali ma che comunque nulla ci dicono di ciò che realmente é/accade o meno anche indipendentemente dal fatto eventuale che lo si pensi o meno.
E che si chiami anche questo tipo di conoscenza (logica o logico-matematica) "scienza" o meno é solo una questione terminologica arbitraria, convenzionale, sulla quale in linea di principio ci si può sempre accordare, ma che non inficia minimamente il fatto a mio parere estremamente importante che essa, al contrario delle scienze naturali costituite da giudizi sintetici a posteriori (constatazioni empiriche e induzioni e ipotesi teoriche empiricamente testate e induttivamente estese) gravati da un' insuperabile incertezza nulla ci dice di ciò che realmente é/accade o meno anche indipendentemente dal fatto eventuale che lo si pensi o meno.
Questo che scrivo in grassetto é per me "il problema" di una conoscenza, una scienza, oggettivante (?) una sfera intelligibile, noumenica (ma solo nel senso di non esserefenomenicamente percepita e non nel senso di essere qualcosa di reale -di proiettabile come esistenza fuori dalla nostra mente, di considerabile come "realtà"- anche indipendentemente dal fatto eventuale di essere pure oggetto di considerazione teorica, di pensiero o meno.





I fenomeni intesi come "essenza" vanno visti come il residuo della messa tra parentesi di tutti gli aspetti del fenomeno, contingenti, cioè relativi alla condizione individuale del singolo soggetto che ne fa esperienza. Ciò che resta dopo la riduzione è ciò che del fenomeno resta tale indipendentemente dalle circostanze particolari, il nucleo costantemente e necessariamente presente in ogni sua possibile manifestazione empirica che accade in una certa coscienza individuale, un nucleo che vale per ogni individualità possibile. Così si passa dal soggetto empirico, questo singolo Io individuale con certe particolari proprietà, al soggetto trascendentale, il complesso delle strutture necessarie e fondamentali di ogni coscienza, del resto lo stesso ambito che Kant, a suo modo, ha provato a individuare nella sua critica. Questo "fenomeno-essenza", certamente, è un'astrazione, un concetto, non esistono autonomamente nella nostra realtà psichica, ma solo come comprendenti le determinazioni particolari inerenti le individualità, cioè nessuno concretamente ricorda il "ricordo in sé", l'essenza del ricordo, ma i SUOI ricordi, legati alla propria storia individuale. Eppure per un altro aspetto queste essenze non sono in assoluto astrazioni, ma possono essere considerate come "concrete" perché consistono nel senso generale che specifica una certa serie di fenomeni distinguendola dalle altre, un senso che riconosciamo come qualità dell'esperienza vissuta, che se non fosse esperita non potrebbe permettere di distinguere una specie di fenomeni dalle altre, e conseguentemente anche poterla definire in un certo modo. Nessuno ricorda il "ricordo in sé" in forma pura e autonoma, ma ci rendiamo conto di un senso, che ci consente di riconoscere il nostro particolare ricordo come appunto un "ricordo", e non una percezione presente o un aspettativa futura, dunque abbiamo un'intuizione intellettuale dell'essenza del fenomeno "ricordo", non realmente psichica a tutti gli effetti, perché psichicamente abbiamo esperienza di un particolare ricordo, ma comunque come qualità esperibile, quindi a suo modo concreta, in base a cui possiamo avere una nozione dell'idea di ricordo in generale.
Citazione
Allora mi pare che tu semplicemente intenda per "essenza" gli aspetti generali e astratti (considerabili come tali da parte del pensiero che li distingue dal resto particolare e concreto) della realtà fenomenica.
Ma non comprendo come in ciò (che riguarda i fenomeni e non l' eventuale loro soggetto e gli eventuali loro oggetti in sé) si possa passare dal soggetto empirico, questo singolo Io individuale con certe particolari proprietà, al soggetto trascendentale, il complesso delle strutture necessarie e fondamentali di ogni coscienza (che non capisco che cosa possano essere).
I fenomeni sono integralmente appartenenti alla coscienza "individuale" in cui accadono (ovvero vengono esperiti, sentiti) e così pure i loro aspetti generali astratti considerabili dal pensiero, anche se i fenomeni materiali possono essere postulati (non dimostrati) essere intersoggettivi (cioè biunivocamente corrispondenti fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti, pure postulabili e non dimostrabili essere reali, salvo la "propria" immediatamente sentita, apparente); e ciò é anzi necessario da postularsi perché se ne possa dare conoscenza scientifica.
 
Nessuno concretamente ricorda il "ricordo in sé", l'essenza del ricordo, ma i SUOI ricordi, legati alla propria storia individuale e tuttavia tutti possono avere la nozione astratta di che cosa sono i ricordi, di che cosa é ciascun ricordo, pensarci sopra, predicarne sensatamente e più o meno veracemente.
 
E non vedo proprio come queste astrazioni (nell' ambito dei fenomeni) possano non essere in assoluto astrazioni, ma possano essere considerate come "concrete" per il fatto che consistono nel senso generale che specifica una certa serie di fenomeni distinguendola dalle altre, un senso(unicamente nell' ambito dell' esperienza cosciente di chi le pensa e i rispettivi sensi ne stabilisce arbitrariamente) che riconosciamo come qualità dell'esperienza vissuta, che se non fosse esperita non potrebbe permettere di distinguere una specie di fenomeni dalle altre, e conseguentemente anche poterla definire in un certo modo: il fatto che i concetti astratti, arbitrariamente definiti in un certo medo per convenzione, consentano di distinguere le varie specie di fenomeni non vedo come possa renderli in un qualche modo sensato "concreti" (per esempio come possa rendere "concreto" il concetto astratto di "ricordo").






davintro

#56
Carlo Pierini scrive:

"Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant."

"Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti. "





Al di là dell'uso di alcuni toni, mi pare di poter condividere il senso fondamentale di questi passi, che sembrano avvicinarsi a quelle che sono anche le mie perplessità sulla gnoseologia kantiana. Il dualismo, gnoseologicamente impostato, tra una sfera di fenomeni (conoscibili) e una noumenica (inconoscibile), rende impossibile qualunque tipo di scienza, compresa la scienza della critica stessa, perché ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza, e la presunzione di verità resta puramente arbitraria. Ora, ridurre il piano della conoscibilità e della scienza ai "fenomeni" vuol dire negarsi le basi per la possibilità di qualunque scienza, in quanto i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive, non può che condurre a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto manca la possibilità di notare come i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione (al massimo solo per un atto di fede o in virtù di alcune esigenze morali). Eppure la critica kantiana è un impegno teoretico che si è presentato a tutti gli effetti come "scienza", costituita da una serie di affermazioni il cui portato di verità è stato presentato come oggettivo e razionale, cioè indipendente dall'arbitrarietà delle opinioni soggettive. Kant ha potuto sostenere le sue tesi perché convinto di aver oggettivamente ragione, che le sue idee non fossero solo apparenze, ma adeguate alla realtà delle cose, quindi le sue pretese implicano necessariamente un trascendimento dei fenomeni , cioè delle apparenze, come unico riferimento della scienza, ed è qui la sua implicita contraddizione. Perché le tesi della critica siano legittimate a essere valide dal punto di vista della verità è stato necessario rompere l'equivoca ed errata identificazione tra "oggettività" ed "esteriorità", e questo, a mio avviso è stato il grande merito di Kant (anche se già ampiamente preparato dalla svolta moderna del dubbio metodico e dal primato metodologico del cogito cartesiano). Nell'individuare come compito della critica l'individuazione delle strutture necessarie e apriori della conoscenza, egli ha riconosciuto un piano di oggettività non coincidente con l'oggettività naturalistica della realtà fisica dell'esperienza esteriore (a cui invece si ferma il realismo ingenuo che pretende in modo induttivo di far coincidere necessariamente le percezioni sensibili con le cose stesse fidando di una certa costanza quantitativa di ciò che le percezioni mostrerebbero come "reale fuori di noi"), bensì con la dimensione interna della mente, dei suoi meccanismi conoscitivi, ha trattato la questione della soggettività pur considerandola non soggettivisticamente, ma in un punto di vista oggettivo, scientifico. La sua critica non implica l'annullamento della cosa in sé" come conoscibile, solo il suo trasferimento tematico dal mondo esterno, fisico, a quello mentale, interno. Ma, sia che tematizzi il mondo esterno o quello interno, in ogni caso la scienza necessita di mostrare, argomentando, la corrispondenza fra i fenomeni e le "cose stesse", anche se queste non sono cose fisiche ma giudizi e categorie dell'intelletto e dell'estetica. Trovo in fondo un'ovvietà che ogni conoscenza non possa evitare di basarsi su fenomeni, che necessiti che le cose si manifestino a una coscienza, il problema da porsi è se questi fenomeni restino fermi in se stessi o siano in grado di rispecchiare qualcosa che "fenomeno" non è, ossia le cose nella loro oggettività, il cui manifestarsi a una certa coscienza non è un tratto essenziale del loro essere. Insomma, se la premessa da cui partire è " non possiamo conoscere che fenomeni" allora nessuna scienza, compresa la scienza della critica, è possibile, perché avrebbe a che fare solo con apparenze soggettive, senza la possibilità di individuare una corrispondenza fra tali apparenze soggettive "fenomeni" e le cose stesse,  cioè di formulare un qualsivoglia giudizio vero , vero non solo per me. Infatti dei due termini del confronto fra fenomeni o apparenze soggettive e cose stesse o realtà oggettive, potremmo conoscere solo il primo, e dunque il raffronto, la verifica della corrispondenza sarebbe impossibile. L'esito inevitabile è lo scetticismo più estremo Se invece la premessa è "non possiamo conoscere che TRAMITE i fenomeni" allora la possibilità di una scienza, quindi anche della legittimazione razionale della critica kantiana, si riapre. La sfera dei fenomeni non esaurirebbe in sé il complesso del "conoscibile", chiusa in se stessa, ma presenterebbe un certo carattere di dinamicità, nella capacità di rimandare a qualcosa di altro da sé, cioè la realtà oggettiva, che i fenomeni potrebbero adeguatamente a rispecchiare. Quel "TRAMITE" da un lato rende ragione di una relazione fra fenomeno e cosa oggettiva, che eviti ogni dogmatismo che pretenda di fare affermazioni sulla realtà oggettiva senza rendere conto delle forme con cui tale realtà si manifesterebbe alla sua esperienza, rendendosi, appunto, fenomeni, ma dall'altro rompe l'identità fra "fenomeno" e conoscibile", preservando un certo margine di distanza fra i due ambiti, che la razionalità può attraversare passando dall'uno all'altro (questo attraversamento della razionalità è penso ciò che la fenomenologia definirà come "intenzionalità", questa spinta dinamica della coscienza ad andare al di là della propria immanenza attribuendo senso a un mondo oggettivo, aprendosi così ad esso), partendo dalla ricezione dei fenomeni, ma non più fermandosi ad una pura ricezione passiva e indifferenziata, ma attivandosi cercando di interpretandoli, mirando a valutarne il livello di rispecchiamento con le cose stesse, sulla base dei propri criteri fondamentali logici di verità. I fenomeni resterebbero l'indispensabile punto di partenza della conoscenza, ma non più il suo necessario sbocco conclusivo

Carlo Pierini

#57
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Luglio 2018, 14:26:30 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 11:00:59 AM


CARLO
A me invece fa pensare alla Scienza, laddove il concetto di "legge della fisica" (ordo et connexio rerum ac ordo et connexio ...numerorum) rappresenta un grado superiore di conoscenza (rispetto alla conoscenza pre-scientifica) dal momento che la scoperta di alcune (poche) leggi riguardanti il mondo fisico ci ha permesso di realizzare cose che solo quattro o cinque secoli fa si sarebbero chiamate "magìe" (volare, andare sulla luna, comunicare in tempo reale da distanze enormi, guarire quasi tutte le malattie che affliggono gli uomini e gli animali, ...e le altre migliaia di conquiste della conoscenza).
Di fronte a tutto ciò, l'inconoscibilità della "cosa in sé" di Kant fa ridere i polli.


CARLO
Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti.
Beh, direi che mi confermi appieno quanto sospettavo, e cioè che ragioni in termini idealistici.
O più precisamente, che hai della scienza una visione idealistica (la vedi cioè come una specie di
"spirito del mondo").
Dimentichi cioè, e colpevolmente, che la scienza è SOLO una branca specifica di quel sapere che
la filosofia abbraccia nella sua interezza; e di cui essa cerca le "relazioni" che intercorrono
fra le specificità.
Sarebbe, a tal proposito, interessante sapere come tu ti rapporti, "scientificamente", ai problemi
della politica, della morale o di quant'altro (informandoti preventivamente che la "cosa in sè"
kantiana vi si rapporta eccome).
In realtà il tuo modo di vedere le cose, il tuo "ordo", è ben conosciuto. Si chiama "scientismo".
Ed è appunto l'estensione indebita di una branca della filosofia, appunto la scienza, all'intera
filosofia in modo del tutto analogo a quanto l'Idealismo fa con un "io" che a se riduce l'intero
universo.

CARLO
Dovresti limitarti a commentare quello che scrivo, invece di distribuire etichette superficiali e prive di fondamento. Giusto l'anno scorso scrivevo in un'altra sezione di questo NG:

<<...nel campo della cosiddetta "fenomenologia dello spirito umano" il metodo scientifico (descrizione matematica e verifica sperimentale) si rivela assolutamente inadeguato e infruttuoso. Pertanto, qualunque investigazione tesa a dare risposte alle domande di cui sopra, metterebbe in chiara luce la non universalità del metodo scientifico e la limitatezza del suo dominio di ricerca. In definitiva, scoprirebbe gli altarini della provincialità della Scienza, il suo essere regina NON del Sapere, ma solo di UNA delle DUE polarità di esso, quella rivolta al mondo materiale. >>

Ti sembrano le parole di uno "scientista"?
Se vuoi leggere l'intero post, lo trovi qui:

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/la-scienza-la-metafisica-e-la-favola-di-biancaneve/msg14057/#msg14057

OXDEADBEFF
Hai dapprima detto un mucchio di sciocchezze sull'"idea" platonica (che hai allegramente accomunato alla cosa in sè di Kant).

CARLO
Leggi meglio ciò che ho scritto: ho parlato di manipolazione da parte di Kant del concetto platonico di "noumeno"!
Insomma, se continui a emanare sentenze senza celebrare processi, il dialogo con te diventa ben difficile.

OXDEADBEFF
(e quando te lo si fa notare semplicemente fai finta di nulla e cambi discorso - del resto anche altri hanno notato come, spesso, non contro-argomenti).

CARLO
Io rispondo solo a chi critica ciò che scrivo, non a chi critica ciò che lui crede che io pensi.

Carlo Pierini

#58
Citazione di: davintro il 07 Luglio 2018, 20:36:10 PM
Carlo Pierini scrive:

"Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant."


Al di là dell'uso di alcuni toni, mi pare di poter condividere il senso fondamentale di questi passi, che sembrano avvicinarsi a quelle che sono anche le mie perplessità sulla gnoseologia kantiana. Il dualismo, gnoseologicamente impostato, tra una sfera di fenomeni (conoscibili) e una noumenica (inconoscibile), rende impossibile qualunque tipo di scienza, compresa la scienza della critica stessa, perché ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza, e la presunzione di verità resta puramente arbitraria. Ora, ridurre il piano della conoscibilità e della scienza ai "fenomeni" vuol dire negarsi le basi per la possibilità di qualunque scienza, in quanto i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive, non può che condurre a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto manca la possibilità di notare come i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione (al massimo solo per un atto di fede o in virtù di alcune esigenze morali). Eppure la critica kantiana è un impegno teoretico che si è presentato a tutti gli effetti come "scienza", costituita da una serie di affermazioni il cui portato di verità è stato presentato come oggettivo e razionale, cioè indipendente dall'arbitrarietà delle opinioni soggettive. Kant ha potuto sostenere le sue tesi perché convinto di aver oggettivamente ragione, che le sue idee non fossero solo apparenze, ma adeguate alla realtà delle cose, quindi le sue pretese implicano necessariamente un trascendimento dei fenomeni , cioè delle apparenze, come unico riferimento della scienza, ed è qui la sua implicita contraddizione. Perché le tesi della critica siano legittimate a essere valide dal punto di vista della verità è stato necessario rompere l'equivoca ed errata identificazione tra "oggettività" ed "esteriorità", e questo, a mio avviso è stato il grande merito di Kant (anche se già ampiamente preparato dalla svolta moderna del dubbio metodico e dal primato metodologico del cogito cartesiano). Nell'individuare come compito della critica l'individuazione delle strutture necessarie e apriori della conoscenza, egli ha riconosciuto un piano di oggettività non coincidente con l'oggettività naturalistica della realtà fisica dell'esperienza esteriore (a cui invece si ferma il realismo ingenuo che pretende in modo induttivo di far coincidere necessariamente le percezioni sensibili con le cose stesse fidando di una certa costanza quantitativa di ciò che le percezione mostrerebbero come "reale fuori di noi), bensì con la dimensione interna della mente, dei suoi meccanismi conoscitivi, ha trattato la questione della soggettività pur considerandola non soggettivisticamente, ma in un punto di vista oggettivistico, scientifico. La sua critica non implica l'annullamento della cosa in sé" come conoscibile, solo il suo trasferimento tematico dal mondo esterno, fisico, a quello mentale, interno. Ma, sia che tematizzi il mondo esterno o quello interno, in ogni caso la scienza necessita di mostrare, argomentando, la corrispondenza fra i fenomeni e le "cose stesse", anche se queste non sono cose fisiche ma giudizi e categorie dell'intelletto e dell'estetica. Trovo in fondo un'ovvietà che ogni conoscenza non possa evitare di basarsi su fenomeni, che necessiti che le cose si manifestino a una coscienza, il problema da porsi è se questi fenomeni restino fermi in se stessi o siano in grado di rispecchiare qualcosa che "fenomeno" non è, ossia le cose nella loro oggettività, il cui manifestarsi a una certa coscienza non è un tratto essenziale del loro essere. Insomma, se la premessa da cui partire è " non possiamo conoscere che fenomeni" allora nessuna scienza, compresa la scienza della critica, è possibile, perché avrebbe a che fare solo con apparenze soggettive, senza la possibilità di individuare una corrispondenza fra tali apparenze soggettive "fenomeni" e le cose stesse,  cioè di formulare un qualsivoglia giudizio vero , vero non solo per me. Infatti dei due termini del confronto fra fenomeni o apparenze soggettive e cose stesse o realtà oggettive, potremmo conoscere solo il primo, e dunque il raffronto, la verifica della corrispondenza sarebbe impossibile. L'esito inevitabile è lo scetticismo più estremo Se invece la premessa è "non possiamo conoscere che TRAMITE i fenomeni" allora la possibilità di una scienza, quindi anche della legittimazione razionale della critica kantiana, si riapre. La sfera dei fenomeni non esaurirebbe in sé il complesso del "conoscibile", chiusa in se stessa, ma presenterebbe un certo carattere di dinamicità, nella capacità di rimandare a qualcosa di altro da sé, cioè la realtà oggettiva, che i fenomeni potrebbero adeguatamente a rispecchiare. Quel "TRAMITE" da un lato rende ragione di una relazione fra fenomeno e cosa oggettiva, che eviti ogni dogmatismo che pretenda di fare affermazioni sulla realtà oggettiva senza rendere conto delle forme con cui tale realtà si manifesterebbe alla sua esperienza, rendendosi, appunto, fenomeni, ma dall'altro rompe l'identità fra "fenomeno" e conoscibile", preservando un certo margine di distanza fra i due ambiti, che la razionalità può attraversare passando dall'uno all'altro (questo attraversamento della razionalità è penso ciò che la fenomenologia definirà come "intenzionalità", questa spinta dinamica della coscienza ad andare al di là della propria immanenza attribuendo senso a un mondo oggettivo, aprendosi così ad esso), partendo dalla ricezione dei fenomeni, ma non più fermandosi ad una pura ricezione passiva e indifferenziata, ma attivandosi cercando di interpretandoli, mirando a valutarne il livello di rispecchiamento con le cose stesse, sulla base dei propri criteri fondamentali logici di verità. I fenomeni resterebbero l'indispensabile punto di partenza della conoscenza, ma non più il suo necessario sbocco conclusivo

CARLO
Sottoscrivo pressoché tutto ciò che hai scritto (non senza un briciolo di invidia per il tempo che hai di trattare il nostro tema così per esteso  :)  )
In fondo, quella di Kant non è che una variante della tesi relativista (anzi la madre storica di ogni successiva forma di relativismo): <<la verità è in sé inconoscibile>>, alla quale K.O. Apel risponde con una riflessione molto simile, anzi, parallela alla tua:

<<Come scrive Apel, chi sostenesse che noi dobbiamo ammettere che noi non possiamo giungere a verità indubitabili, cadrebbe in una «autocontraddizione performativa», poiché nel primo noi afferma ciò che nega nel secondo. Analogamente, chi tentasse di negare argomentativamente l'esistenza e le regole della situazione argomentativa, cadrebbe anche lui in una autocontraddizione performativa, in quanto negherebbe nella parte proposizionale ciò che nell'atto argomentativo necessariamente ammette o presuppone. [...]
Ma se la situazione argomentativa implica l'esistenza di verità «incontestabili» e di credenze «apodittiche», vuol dire che UNA FONDAZIONE ULTIMA RISULTA FILOSOFICAMENTE POSSIBILE. [...]
La costruzione di una semiotica trascendentale si accompagna a una polemica incessante contro gli aspetti relativistici, scettici e nichilistici del pensiero contemporaneo e a un rifiuto delle odierne prospettive di indebolimento della ragione. Prospettive alle quali Apel ha inteso contrapporre una rinnovata «fondazione della razionalità nei suoi aspetti teoretici, etici ed epistemologici» (S.PETRUCCIANI: Etica dell'argomentazione. Ragione, scienza e prassi nel pensiero di Karl Otto Apel) . Infatti, contro coloro per i quali non vi sono pretese di validità «ma solo narrazioni o conversazioni o qualcosa del genere», Apel sentenzia che «la pretesa di validità è per il filosofo, come aveva visto correttamente Hegel, una condanna inevitabile».
Del resto, le stesse tesi antifondative «continuano ad essere sostenute come tesi che rientrano nel contesto argomentativo,  vengono cioè sostenute con una pretesa universale di validità, esigenza che però dal punto di vista performativo è contraddittoria»".   [N. ABBAGNANO: Storia della filosofia, vol.IX - pp.224/227]

Carlo Pierini

#59
Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PM
Rispondo al messaggio di Carlo Pierini numero #32:


Citazione
Supponiamo che X (la "cosa in sé") sia il modello dinamico del Sistema Solare.

No, per Kant non puoi farlo, visto che il Sistema Solare è nel reame dei fenomeni o apparenze.

CARLO
A dire il vero, il moto apparente era quello descritto dalla teoria tolemaica (geocentrismo), mentre il vero moto in sé è quello di Keplero-Newton-Einstein (eliocentrismo).

Ma, comunque sia, se grazie alla sola conoscenza dei fenomeni, la scienza in soli tre secoli ha fatto i "miracoli" che tutti sappiamo (almeno sul piano materiale) e continua a progredire e a svilupparsi, allora mi domando:
1 - non sarà che la "cosa in sé" è solo un falso problema, e che l'essenziale della conoscenza sta semplicemente nella corretta interpretazione dei fenomeni?
2 - ammesso e non concesso che "la cosa in sé" sia un problema della conoscenza attuale, cos'è che ci obbliga a pensare che esso sia irrisolvibile in futuro?

Ecco, in attesa di risposte affidabili a questi miei interrogativi, io continuo a pensare alla "cosa in sé" come a una CAUSA X di fenomeni osservabili e conoscibili, quindi anch'essa VIRTUALMENTE conoscibile; e al "noumeno" come al concetto ESPRIMIBILE nel quale TUTTI i fenomeni riferibili a questa "causa x" (le sue proprietà) trovano la propria unità e la propria corrispondenza rigorosa.
Del resto, è su queste basi che funziona la scienza ...che funziona. E al di fuori del dominio materiale della scienza, la logica è la stessa: cambia solo la natura della "cosa": fisica nel dominio della scienza, e metafisica nel dominio delle discipline cosiddette dello spirito (o della cultura).

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