La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.

Aperto da Carlo Pierini, 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM

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Apeiron

#30
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Luglio 2018, 20:29:18 PM
Andiamo al concreto, senza impiccarci con circonvoluzioni verbali.
Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la CAUSA di un insieme di fenomeni - osservabili e misurabili - riconducibili ad essa. Pertanto la "cosa" e la "cosa in sé" si riferiscono entrambe a quella "X",  cioè, sono SINONIMI (l'"in sé" aggiunto alla "cosa" non è che una ridondanza verbale).
Domanda: si tratta di una "X" assolutamente e totalmente inconoscibile?
Risposta: se per "conoscenza" di una "cosa" intendiamo la conoscenza delle sue proprietà osservabili, allora quella "X" è *conoscibile*; se invece per "conoscenza" intendiamo l'ONNISCIENZA (cioè la conoscenza di TUTTE le sue proprietà), allora potremmo parlare di *inconoscibilità*, ma SOLO SE fossimo certi che il numero delle sue proprietà sia infinito. Tuttavia, questa certezza non ce l'abbiamo, quindi non si può escludere a-priori nemmeno l'onniscienza.
Ergo, è del tutto arbitrario sentenziare l'inconoscibilità della "cosa in sé"


@Carlo, grazie per la speigazione del tuo punto di vista!

Secondo me Kant ti direbbe (e qui in parte sono d'accordo) che si può distinguere tra "la X come la vedi tu" e la "X". Il punto è che noi possiamo vedere la X come la vediamo perchè la nostra mente è strutturata in un certo modo e quindi, in un certo senso, almeno una parte di quanto noi diciamo essere "conoscenza della X" in realtà è semplicemente "conoscenza della X vista da noi". A priori, quindi per conoscere "X" non abbiamo bisogno di conoscere tutte le proprietà che ascriviamo ad X (comprese le proprietà di "X vista da noi"). Quindi più che "onniscienza", la "X" verrebbe conosciuta con una "conoscenza vera".  

Dico di essere d'accordo "in parte" con Kant per due motivi. 1) per Kant noi non abbiamo la possibilità di vedere la "X" in modo diverso dal modo in cui la vediamo. Quindi noi vediamo sempre "la X come la vediamo noi".  Ovvero in linguaggio kantiano tramite le categorie dell'intelletto, lo spazio, il tempo e così via. Secondo me, invece, le categorie non sono così rigide. 2) secondo Kant non possiamo stabilire che la conoscenza della "X come la vediamo noi" ci può dare una conoscenza anche parziale della "X". Viceversa, secondo me il semplice fatto che possiamo parlare di "X come la vediamo noi" significa che una conoscenza parziale della X possiamo averla. Magari non possiamo avere la "conoscenza vera", ma almeno una conoscenza parziale sì.  


CitazioneIn altre parole, quella "X" è la "cosa in sé" compiuta, completa di TUTTE le sue proprietà conosciute e non ancora conosciute.
Il noumeno, invece, da almeno duemila anni, NON indica "X", NON indica la "cosa in sé", ma indica il modello METAFISICO di "X", della cosa (o della "cosa in sé), il suo archetipo, l'idea originaria che la esprime in TUTTA la sua compiutezza.
Questo significa che tra "noumeno" e "cosa in sé" non c'è IDENTITA', ma CORRISPONDENZA-COMPLEMENTARITA', come quella che esiste tra l'espressione METAFISICA (matematica) di una legge (p.es.: F=ma) e l'insieme dei fenomeni FISICI che quella legge governa.
Ergo, è illegittimo FONDERE (cioè, CON-FONDERE) una legge FISICA (che riguarda l'ordine con cui si relazionano delle grandezze fisiche) con la sua espressione METAFISICA (che riguarda l'ordine logico con cui si relazionano i numeri e i concetti).
Torniamo, cioè, alla dialettica spinoziano-platonica tra idea e cosa, che si sintetizza nel motto: <<Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>.

Il punto è che le proprietà che noi ascriviamo alla "X" come dicevo prima potrebbero non essere della "X" ma solo della "X come la vediamo noi" e quindi l'onniscienza di cui parli sarebbe erronea perchè in linea di principio ascriverebbe delle proprietà della "X come la vediamo noi" alla "X" anche se la "X" non ha tali proprietà.
Sono d'accordo con l'idea che Kant non ha usato nel modo corretto la parola "noumeno".

Riguardo alla relazione tra fenomeni e leggi ho una opinione simile alla tua, credo (differisco però nel linguaggio usato e quindi forse c'è anche una differenza di idee - anche se indubbiamente ci sono analogie). In sostanza, secondo me, i fenomeni si "manifestano" (in realtà la parola stessa "fenomeno" significa "apparenza" nel senso di "cosa che si manifesta, che appare". Non significa necessariamente "illusione"). Questi fenomeni però si manifestano in un certo modo. Il "modo" è la "regolarità" o "legge". Siccome le regolarità non "appaiono" (almeno nello stesso senso in cui lo fanno i fenomeni), secondo le  regolarità sono l'aspetto "non manifesto" dei fenomeni.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

viator

Salve. Scusate, ma se la cosa produce degli effetti da noi riconoscibili, potremmo sostenere che certamente esistono almeno due cose : la cosa in sè in quanto essa produce degli effetti e la cosa che noi chiamiamo tale e che non consiste in ciò che pruce gli effetti da noi percepiti, ma in ciò che percepiamo.
Quindi ogni singola cosa, per noi che non potremo mai capacitarci dell'unicità ma solamente - al minimo - della duplicità con cui siamo condannati a relazionarci, non può che risultare sdoppiata in cosa percepita e cosa concepita (la cosa concepita è quella che produce comunque degli  effetti (l'essere effetto di una causa ed il produrre degli effetti rappreseno le condizioni fondamentali dell'essere) che però non risultano da noi percepiti, e che quindi esiste senza poterci riguardare fisicamente).
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Carlo Pierini

#32
Citazione di: Apeiron il 05 Luglio 2018, 19:41:23 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Luglio 2018, 20:29:18 PM
Andiamo al concreto, senza impiccarci con circonvoluzioni verbali.
Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la CAUSA di un insieme di fenomeni - osservabili e misurabili - riconducibili ad essa. Pertanto la "cosa" e la "cosa in sé" si riferiscono entrambe a quella "X",  cioè, sono SINONIMI (l'"in sé" aggiunto alla "cosa" non è che una ridondanza verbale).
Domanda: si tratta di una "X" assolutamente e totalmente inconoscibile?
Risposta: se per "conoscenza" di una "cosa" intendiamo la conoscenza delle sue proprietà osservabili, allora quella "X" è *conoscibile*; se invece per "conoscenza" intendiamo l'ONNISCIENZA (cioè la conoscenza di TUTTE le sue proprietà), allora potremmo parlare di *inconoscibilità*, ma SOLO SE fossimo certi che il numero delle sue proprietà sia infinito. Tuttavia, questa certezza non ce l'abbiamo, quindi non si può escludere a-priori nemmeno l'onniscienza.
Ergo, è del tutto arbitrario sentenziare l'inconoscibilità della "cosa in sé"


@Carlo, grazie per la speigazione del tuo punto di vista!

Secondo me Kant ti direbbe (e qui in parte sono d'accordo) che si può distinguere tra "la X come la vedi tu" e la "X". Il punto è che noi possiamo vedere la X come la vediamo perchè la nostra mente è strutturata in un certo modo e quindi, in un certo senso, almeno una parte di quanto noi diciamo essere "conoscenza della X" in realtà è semplicemente "conoscenza della X vista da noi".

CARLO
La tua non è una riflessione, ma un astratto congetturare senza tenere conto di quel fenomeno storico REALE chiamato "Scienza".

Supponiamo che X (la "cosa in sé") sia il modello dinamico del Sistema Solare. Ebbene, sia la teoria tolemaica (geocentrismo) che quella copernicano-kepleriana-newtoniana (eliocentrismo) erano entrambe "conoscenze di X viste da noi"; eppure con la teoria tolemaica noi non saremmo MAI stati in grado di inviare delle sonde su Marte, o intorno a Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone, o sulla cometa 67p, come invece siamo riusciti a fare sulla base di quella "conoscenza di X vista da noi" che chiamiamo teoria eliocentrica. Qual'è la differenza tra le due? Che la prima era essenzialmente FALSA, mentre la seconda era essenzialmente e DEFINITIVAMENTE VERA. Ormai, cioè, non ci sono più dubbi che i pianeti del Sistema Solare girano intorno al Sole e non intorno alla Terra.
Allora, di fronte a una tale verità definitiva dell'eliocentrismo, che importanza ha il fatto che sia anch'esso una "X vista da noi"? NESSUNA, perché l'importante è la verità delle cose, non che essa sia vista da noi o da chiunque altro.
E questa stessa riflessione può essere estesa alla totalità delle X della Scienza, le quali sono SEMPRE, inizialmente, poco più che delle X incognite, ma che col passare dei secoli, grazie all'osservazione metodica e alla verifica sperimentale, si vanno progressivamente avvicinando alla verità.
Insomma non esiste alcun motivo fondato per escludere a priori la conoscibilità delle "cose", visto che la conoscenza umana ha GIA' prodotto decine di migliaia di verità definitive sul mondo, e che questo processo evolutivo è ben lungi dall'essersi arrestato. L'evoluzione del sapere e della tecnologia che da esso discende non si fonda sulle chiacchiere, ma ESCLUSIVAMENTE sulle verità accertate. Non si costruisce una sonda spaziale o un semplice computer su opinioni filosofiche, ma su conoscenze assolutamente certe, altrimenti non funzionerà né l'una né l'altro.

sgiombo

#33
Secondo me non bisogna confondere la conoscenza sempre insuperabilmente limitata che possiamo avere dei fenomeni, cioé di ciò che possiamo esperire, sentire coscientemente (conoscenza limitata da distinguere rispetto alla loro conoscenza integrale, completa quale "potenzialità limite" cui asintoticamente la nostra conoscenza reale di fatto tende ad avvicinarsi senza mai raggiungerla) da una parte; e dall' altra il carattere, apparente, irriducibilmente appartenente alla nostra coscienza, reale unicamente in quanto insieme-successione di sensazioni in atto ed esclusivmente in quanto tale della realtà fenomenica da noi conoscibile ("esse est percipi", Berkeley e "soprattutto" Hume), da distinguere dalla realtà in sé, da ciò che é reale (se lo é; cosa indimostrabile né tantomeno empiricamente constatabile, mostrabile) anche indipendentemente dalle nostre sensazioni; per esempio ciò che é reale anche mentre non lo é (la visione de-) il magnifico cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa, ragion per cui puntualmente ogni volta che compio le opportune osservazioni lo (ri-) vedo (-la visione de- il magnifico cedro del Libano é -nuovamente- reale).
Quest' ultima "parte della realtà" (se esiste come tale) é solo congetturabile (dal greco: noumeno), mai sensibilmente, coscientemente apparente, empiricamente constatabile (dal greco: fenomeno); mentre la "parte fenomenica", i contenuti della nostra coscienza, oltre che pensabili, predicabili (più o meno veracemente) accadere realmente (o meno), sono anche apparenti, empiricamente constatabili.
L' altra é oggetto di conoscenza da "senso comune" e limitatamente alla sua componente materiale (res extensa), misurabile e postulabile essere intersoggettiva, anche di conoscenza scientifica: una conoscenza caratterizzata da un livello di maggiore sofisticazione ma senza differenza "qualitative sostanziali" (sia il senso comune che la scienza conoscono, sia pure con ben diversa "profondità", "le stesse cose" fenomeniche); invece il noumeno, se reale, può essere oggetto di (eventuale) conoscenza non scientifica ma filosofica (metafisica; letteralmente, cioé conoscenza di ciò che sta oltre la fisicità materiale coscientemente apparente; e pure oltre quella mentale -res cogitans-, altrettanto coscientemente apparente della res extensa, ed al mondo fenomenico materiale stesso non riducibile, non sopravveniente, da esso non emergente, qualsiasi cosa questi concetti possano significare).

0xdeadbeef

#34
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Luglio 2018, 20:29:18 PM

Andiamo al concreto, senza impiccarci con circonvoluzioni verbali.
Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la CAUSA di un insieme di fenomeni - osservabili e misurabili - riconducibili ad essa. Pertanto la "cosa" e la "cosa in sé" si riferiscono entrambe a quella "X",  cioè, sono SINONIMI (l'"in sé" aggiunto alla "cosa" non è che una ridondanza verbale).
Domanda: si tratta di una "X" assolutamente e totalmente inconoscibile?
Risposta: se per "conoscenza" di una "cosa" intendiamo la conoscenza delle sue proprietà osservabili, allora quella "X" è *conoscibile*; se invece per "conoscenza" intendiamo l'ONNISCIENZA (cioè la conoscenza di TUTTE le sue proprietà), allora potremmo parlare di *inconoscibilità*, ma SOLO SE fossimo certi che il numero delle sue proprietà sia infinito. Tuttavia, questa certezza non ce l'abbiamo, quindi non si può escludere a-priori nemmeno l'onniscienza.
Ergo, è del tutto arbitrario sentenziare l'inconoscibilità della "cosa in sé".




E' chiarissimo che Kant, con la teoria della "cosa in sè", anticipa la teoria della relatività, ed in
particolare quel principio di indeterminazione, di Heisemberg, che così in sostanza recita: "l'osservato
dipende dall'osservatore".
E' cioè chiarissimo che quell'"osservato", senza l'interpretazione che ad esso dà l'osservatore, non
può che rimanere un concetto meramente "intuibile", ovvero una "cosa in sè".
E allora ripeto: il concetto della cosa in sè, come del resto tutta la filosofia di Kant, può essere
discusso e criticato sotto vari aspetti; ma di esso NON SI POTRA' MAI DIRE che rappresenta la "fusione"
di una cosa fisica (il fenomeno) e di una metafisica (la cosa in sè).
"Conoscere" la cosa in sè vorrebbe semplicemente dire che l'osservato è conoscibile da un punto di vista
privilegiato, "oggettivo" nel senso che a questo termine veniva dato prima della "rivoluzione copernicana"
operata da Kant, che pone "al centro" non più l'oggetto ma il soggetto.
Con questo, la pretesa di tale conoscenza si porrebbe, essa, in un piano metafisico, non il contrario.
Per cui, tanto per: "andare al concreto senza impiccarci con circonvoluzioni verbali", l'oggetto X
NON E' AFFATTO "totalmente ed assolutamente inconoscibile"; MA LO E' nella sua "veste" di oggetto
"ab-soluto", cioè che si pone "saldamente fuori" dall'interpretazione di un soggetto/osservatore
(chiaramente qui il termine "ab-soluto" è usato come aggettivo, non come sostantivo).
Non comprendere questo, prima ancora della filosofia di Kant, vuol innanzitutto dire non comprendere
la fisica relativistica (come acutamente evidenziava Carnap).
saluti

sgiombo

#35
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 10:27:37 AM


E' chiarissimo che Kant, con la teoria della "cosa in sè", anticipa la teoria della relatività, ed in
particolare quel principio di indeterminazione, di Heisemberg, che così in sostanza recita: "l'osservato
dipende dall'osservatore".
E' cioè chiarissimo che quell'"osservato", senza l'interpretazione che ad esso dà l'osservatore, non
può che rimanere un concetto meramente "intuibile", ovvero una "cosa in sè".
E allora ripeto: il concetto della cosa in sè, come del resto tutta la filosofia di Kant, può essere
discusso e criticato sotto vari aspetti; ma di esso NON SI POTRA' MAI DIRE che rappresenta la "fusione"
di una cosa fisica (il fenomeno) e di una metafisica (la cosa in sè).
"Conoscere" la cosa in sè vorrebbe semplicemente dire che l'osservato è conoscibile da un punto di vista
privilegiato, "oggettivo" nel senso che a questo termine veniva dato prima della "rivoluzione copernicana"
operata da Kant, che pone "al centro" non più l'oggetto ma il soggetto.
Con questo, la pretesa di tale conoscenza si porrebbe, essa, in un piano metafisico, non il contrario.
Per cui, tanto per: "andare al concreto senza impiccarci con circonvoluzioni verbali", l'oggetto X
NON E' AFFATTO "totalmente ed assolutamente inconoscibile"; MA LO E' nella sua "veste" di oggetto
"ab-soluto", cioè che si pone "saldamente fuori" dall'interpretazione di un soggetto/osservatore
(chiaramente qui il termine "ab-soluto" è usato come aggettivo, non come sostantivo).
Non comprendere questo, prima ancora della filosofia di Kant, vuol innanzitutto dire non comprendere
la fisica relativistica (come acutamente evidenziava Carnap).
saluti

Veramente il pr. di indeterminazione di Haisenberg recita che nelle particelle-onde subatomiche vi sono coppie di caratteristiche reciprocamente correlate (misure) conoscibili con approssimazione limitata in modo tale che il loro prodotto é costante (la costante di Plank) (cosicché la loro precisione é inversamente proporzionale), e dunque se si conosce (misura) l' una con elevata precisione la conoscenza (per misurazione diretta) che può aversi dell' altra é pessima (praticamente come dire che se di una una palla da tennis si sa che ha in un certo istante una velocità compresa fra 10 e 10,00000001 Km all' ora -"ottima" misura, precisissima!- allora si può rilevare che si trova in punto indeterminato della via lattea e oltre, cioé in pratica non si sa proprio dove sia -misura "pessima", imprecisissima- e viceversa; tanto per dare un' idea. L' interpretazione conformistica, corrente fra la maggioranza "bulgara" degli scienziati, spesso detta "di Copenhagen", pretende irrazionalmente di dedurne che effettivamente, realmente la pallina da tennis, o meglio la particella-onda subatomica di cui la pallina é metafora -e non solo la sua conoscenza da parte nostra- sarebbe in qualche insensato modo "spalmata in tutta la via lattea e oltre", cosa a mio modesto parere definitivamente confutata fin dai tempi del grande Erwin Schroedinger, col suo celebre esperimento mentale "del gatto"; ma questo é un altro discorso).

Ma la conoscenza fisica, prima e dopo Kant, prima e dopo la relatività e la meccanica quantistica é sempre e comunque conoscenza dei fenomeni, di ciò che ci appare alla coscienza (reale solo in quanto e fintanto che appare alla coscienza) e non della realtà in sé, esistenteindipendentemente dalle sensazioni fenomeniche che se ne possono avere o meno (se effettivamente esiste, come Kant ricava -a mio modesto parere pretende erroneamente di ricavare- dalla ragion pratica; infatti non é dimostrabile razionalmente -ragion pura- né tantomeno, per definizione, constatabile empiricamente).

Per me dunque la kantiana cosa in sé o noumeno (se c' é) é letteralmente metafisica (reale oltre la, al di là della, realtà fisica materiale fenomenica, della quale é l' oggetto; ma anche metapsichica, reale oltre la realtà mentale altrettanto fenomenica, della quale é l' oggetto e riflessivamente il soggetto, come lo é ma irriflessivamente -soggetto diverso dall' oggetto- anche di quella materiale).

Ciao!

Carlo Pierini

Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 10:27:37 AM
Per cui, tanto per: "andare al concreto senza impiccarci con circonvoluzioni verbali", l'oggetto X
NON E' AFFATTO "totalmente ed assolutamente inconoscibile"; MA LO E' nella sua "veste" di oggetto
"ab-soluto", cioè che si pone "saldamente fuori" dall'interpretazione di un soggetto/osservatore
(chiaramente qui il termine "ab-soluto" è usato come aggettivo, non come sostantivo).

...Quindi, se "l'oggetto" è, per esempio, il moto dei corpi all'interno del Sistema Solare, l'interpretazione del "soggetto Tolomeo" e quella dei "soggetti Keplero-Newton", essendo entrambe "interpretazioni soggettive", hanno lo stesso valore epistemico?
- Non è decidibile se sia la Terra a girare intorno al Sole, o se sia il Sole a girare intorno alla Terra?
- Il suddetto moto è "in sé" inconoscibile?
- E se la "cosa in sé" (l'"oggetto assoluto") è COMUNQUE inconoscibile, perché la Scienza rappresenta un salto evolutivo immenso rispetto alla conoscenza pre-scientifica? Le "cose in sé" della Scienza sono forse più conoscibili di quelle della conoscenza prescientifica?
La mia risposta (triviale) è: perché la "cosa in sé", l'"oggetto assoluto" (kantianamente intesi) sono pippe mentali allo stato puro, flatus vocis, fantasmi concettuali <<...con i quali e senza i quali il mondo rimane tale e quale>>, come dicevano un tempo gli studenti delle facoltà scientifiche a proposito dei concetti della filosofia. Infatti, la "cosa in sé" è inosservabile e inconoscibile semplicemente perché NON ESISTE. Esistono solo "cose" o "oggetti" virtualmente conoscibili e concetti costruiti sulle loro proprietà osservabili; e tutto ciò che è inconoscibile NON PUO' essere né una "cosa" né un "oggetto", ma solo un fonema privo di significato. <<Ciò di cui non si può parlare si deve tacere>> diceva il logico Wittgenstein.

La conoscenza umana è per definizione UMANA, cioè, PER NOI, non "in sé".
Non ci sono ragioni per credere che un muro fatto di mattoni PER NOI, sia fatto di ghiaccio per i pipistrelli e, nel caso, che siano loro ad avere ragione e noi torto. Le leggi della fisica, SE SONO TALI, valgono per noi, per i pipistrelli, per i lamellibranchi e per i batteri. Quindi, fino a prova contraria, "per noi" significa "per tutti". Se "per noi" è certo che la Terra gira intorno al Sole, non vedo che importanza possa avere il fatto che dei coleotteri o dei licheni la pensino diversamente. E anche soltanto porsi questo problema dimostra l'oziosità e l'insipienza del pensiero di Kant e di chi gli dà credito.

0xdeadbeef

Ciò che nel nostro discorso è in questione non è tanto, dicevo, la discutibilità e la criticabilità
della filosofia di Kant in generale e del concetto di "cosa in sè", quanto il fatto che tu sostieni
che Kant abbia effettuato una "fusione" fra una cosa fisica, il "fenomeno", ed una metafisica, la
"cosa in sè" (e che su questo tu abbia parlato di "truffa filosofica", di scopo di lucro etc.).
Ciò che io sostengo, ma non tanto io quanto i fatti, è invece che in Kant la "cosa in sè" sia da
intendersi come cosa fisica allo stesso modo del fenomeno (perchè di fatto sono la medesima cosa).
Per venire alla tua ultima risposta, no. La conoscenza PRIMA di Kant e per tutta l'antichità era
una conoscenza di oggetti "dati" ai soggetti (i quali li "svelavano" nella loro indiscutibile e
ferma "oggettività").
Kant invece intuisce, in maniera assolutamente mirabile, che l'oggetto "conosciuto" non è semplicemente
"dato" al soggetto "conoscente"; ma che questo soggetto assume un "ruolo" che va ad incidere non solo
nella conoscenza, ma nella stessa "essenza" (dico così per comodità) dell'oggetto stesso.
Tale processo è la cosiddetta "rivoluzione copernicana del pensiero" (per evidente analogia con la
tesi di Copernico).
Proprio l'esistenza della "cosa in sè", e vengo alla tua seconda risposta/domanda, rappresenta un
argine contro quel relativismo che, indirettamente, viene introdotto dall'Idealismo (e che trova
nel celebre detto di Nietzsche: "non ci sono fatti ma solo interpretazioni" una delle sue
formulazioni più estreme e coerenti).
Kant, attraverso il metodo detto "trascendentale" (che nulla ha a che vedere con la trascendenza)
intravede una via verso una conoscenza "certa"; una conoscenza che, proprio per aver mantenuto saldo
il concetto di "fatto" (pur inconoscibile nella "cosa in sè"), non si arrende alla mera interpretatività
del relativismo.
Ma non divaghiamo oltre, perchè sarebbe oltremodo fuori luogo tirare in ballo Kant per gli sviluppi nei
secoli seguenti alla sua vita ed alla sua filosofia (non dimentichiamo che stiamo parlando di un uomo
del 700).
Quanto agli studenti delle facoltà scientifiche, che parlano di pippe mentali, flatus vocis, fantasmi
concettuali etc, io non so che farci se non posseggono profondità di pensiero a sufficienza per
comprendere certi concetti.
Del resto, lo stesso Wittgenstein che da giovane diceva quella cosa lì da più maturo si accorse che
"ciò di cui non si può parlare" era l'unica cosa che veramente contava...
saluti

0xdeadbeef

#38
Citazione di: sgiombo il 02 Luglio 2018, 17:49:19 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PM



Per poterci intendere io distinguerei fra denotazione o estensione reale (quando c'é; non sempre necessariamente, contrariamente al significato inteso come connotazione o intensione teorica, mentale) di un concetto da una parte e noumeno o cosa in sé dall' altra.

Comunemente le denotazioni o intensioni reali dei concetti sono "oggetti (enti o eventi) fenomenici".
Oggetti fenomenici materiali (res extensa) come per esempio un cavallo realmente esistente (denotazione o estensione reale del concetto di "cavallo" la cui connotazione o intensione é la definizione " grosso mammifero erbivoro con testa lunga, collo diritto rivestito di criniera coda corta con peli lunghissimi, orecchie corte e diritte, arti con un solo dito coperto dallo zoccolo"; mentre invece per esempio il concetto di "ippogrifo" non ha alcuna denotazione o estensione reale ma solo la connotazione o intensione "cavallo alato").
Oppure oggetti fenomenici mentali (res cogitans) come per esempio un sentimento (odio, amore, ecc. che realmente si provino, denotazioni o estensioni reali dei rispettivi concetti), un immaginazione (il fatto di realmente pensare a un ippogrifo, denotazione o estensione reale del concetto di "pensiero o immaginazione fantastica di un ippogrifo, ovvero di un cavallo alato"), un concetto o una qualità astratta (la denotazione o estensione reale -per quanto stratta- del concetto di "mammifero" o di quello di "intelligenza"; mentre i concetti di "mammiferi a sangue freddo" o di "cavallo alato" o di "angelo" non hanno denotazioni o estensioni reali), un predicato (l' affermazione o pensiero -reale, se accade realmente- "esiste un cavallo", denotazione o estensione reale del concetto di "predicazione dell' esistenza reale di un cavallo"), ecc.

Ma esiste anche il concetto di "cose in sé" o "noumeno", di cui non é possibile dimostrare, né men che meno (per definizione!) mostrare empiricamente, che esistano e nemmeno che non esistano denotazioni o estensioni reali, oltre al significato nel senso di connotazione o estensione: "ciò che é reale indipendentemente dal fatto che sia pure realmente oggetto di sensazioni fenomeniche; ovvero dal fatto che siano reali anche le corrispondenti sensazioni fenomeniche".
Per esempio ciò che continua ad esistere -se realmente esiste, e non é come gli ippogrifi o gli angeli- anche allorché non vedo il magnifico cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa e che fa sì che ogni volta che mi colloco nella giusta posizione e guardo dalla parte giusta (oppure semplicemente riapro gli occhi dopo averli chiusi) puntualmente (ri-) vedo lo splendido albero (=torna puntualmente ad esistere quell' insieme di sensazioni fenomeniche -verde fogliame, tronco e rami marroni, stormire del vento fra la fronde, odore di resina, ecc.- che costituisce quel cedro del Libano e che quando avevo gli occhi e gli orecchi e il naso chiusi o ero altrove non esisteva punto realmente; tutt' al più potevo immaginare esistesse, ovvero poteva esistere il mero pensiero di esso: ben altra cosa!).


Francamente Sgiombo ho capito ben poco di quel che vuoi dire.
Perchè mai tirare in ballo questa cosa della distinzione fra "res cogitans" e "res extensa"? Sembra quasi
tu voglia dire, alla maniera di Carlo Pierini, che il fenomeno è una cosa fisica (res extensa) e il
noumeno un concetto (res cogitans)...
Quel magnifico Cedro del Libano che vedi nel giardino del tuo vicino è "fenomeno" nel tuo vederlo magnifico,
nel tuo nominarlo "Cedro del Libano" etc. Ma esso è ANCHE noumeno, nel senso che è un qualcosa di
indipendente dalle tue sensazioni (ad esempio, da appassionato di giardini ti potrei dire che i Giapponesi
hanno un senso estetico delle piante assai diverso dal nostro - per cui, che so, magari non lo vedrebbero poi
tanto magnifico) e dalle tue denominazioni.
Cioè voglio dire, non è che il fenomeno "magnifico Cedro del Libano" sia una cosa fisica mentre il
noumeno (intuibile solo nella sua presenza - la semiotica parla addirittura di assenza) non lo è.
Insomma, questo ho capito ma può darsi io abbia capito male...
saluti
PS
In altre parole il noumeno kantiano non è altro che una straordinaria anticipazione di quel concetto
di "relativo" a noi ormai tanto familiare.
E' da tener ben presente che fino a Kant il mondo era un mondo di oggetti "dati". Per cui, che so, un
quadro era bello "in sè", e non in relazione a chi lo osservava.
Kant, per primo, disse che non l'oggetto era "in sè", ma piuttosto lo era il soggetto, il quale
interpretava l'oggetto che A LUI si "dava" in un certo modo, secondo quelle che erano le sue
sensazioni, le sue idee e i suoi gusti particolari.

davintro

Per Sgiombo

 

Sono d'accordo sul fatto di non dover considerare le categorie a priori nella mente come reali di fatto, ciò che sostengo è che, anche se consistenti in enti non fattuali ma concettuali, sono comunque, evidentemente, oggetto di una conoscenza (altrimenti come potrebbe la critica kantiana accorgersi della loro presenza come strutture costitutive e necessarie della mente umana?), ma dovrà essere di un tipo di conoscenza diverso da quello sufficiente a ricevere i fenomeni degli oggetti sensibili, cioè dovrà fondarsi su un'intuizione intellettuale, appropriata a cogliere delle strutture e giudizi riconoscibili come validi aprioristicamente e universali. E questo tipo di conoscenza dovrà essere considerata "scienza" a tutti gli effetti, altrimenti la critica stessa, oggettivante questo nucleo aprioristico, dovrebbe negarsi come "scienza", per legittimare se stessa dunque dovrà allargare il campo della "scienza" al di là del campo ristretto del materiale consistente solo in fenomeni sensibili, riconducibili alle categorie estetiche di "spazio" e "tempo", cioè empirici. Insomma nel momento in cui Kant parla di "apriori", "trascendentale" questi concetti non possono più solo essere "forme", "funzioni", ma a tutti gli effetti "materia", "oggetto" di una specifica scienza, cioè la scienza critica, senza per forza bisogno di associarli a realtà fattuali o sostanziali. Del resto se si condivide l'assunto che qualunque cosa per essere conosciuta debba essere oggetto immanente di vissuti coscienti, indipendentemente dall'associarli a fatti reali (ed è per questo che dell'ippogrifo possiamo averne una conoscenza, cioè possiamo averne una rappresentazione e porlo come soggetto di giudizi anche consapevoli della non corrispondenza del concetto con un'esistenza fattuale), allora non vedo il problema di sostenere l'idea di una conoscenza, una scienza, oggettivante una sfera intelligibile, noumenica, identificabile con il complesso delle strutture necessarie, trascendentali della mente umana, senza per forza pretendere che tale sfera sia proiettabile come esistenza fuori dalla nostra mente, considerata come "realtà" o "sostanza"

 

 

I fenomeni intesi come "essenza" vanno visti come il residuo della messa tra parentesi di tutti gli aspetti del fenomeno, contingenti, cioè relativi alla condizione individuale del singolo soggetto che ne fa esperienza. Ciò che resta dopo la riduzione è ciò che del fenomeno resta tale indipendentemente dalle circostanze particolari, il nucleo costantemente e necessariamente presente in ogni sua possibile manifestazione empirica che accade in una certa coscienza individuale, un nucleo che vale per ogni individualità possibile. Così si passa dal soggetto empirico, questo singolo Io individuale con certe particolari proprietà, al soggetto trascendentale, il complesso delle strutture necessarie e fondamentali di ogni coscienza, del resto lo stesso ambito che Kant, a suo modo, ha provato a individuare nella sua critica. Questo "fenomeno-essenza", certamente, è un'astrazione, un concetto, non esistono autonomamente nella nostra realtà psichica, ma solo come comprendenti le determinazioni particolari inerenti le individualità, cioè nessuno concretamente ricorda il "ricordo in sé", l'essenza del ricordo, ma i SUOI ricordi, legati alla propria storia individuale. Eppure per un altro aspetto queste essenze non sono in assoluto astrazioni, ma possono essere considerate come "concrete" perché consistono nel senso generale che specifica una certa serie di fenomeni distinguendola dalle altre, un senso che riconosciamo come qualità dell'esperienza vissuta, che se non fosse esperita non potrebbe permettere di distinguere una specie di fenomeni dalle altre, e conseguentemente anche poterla definire in un certo modo. Nessuno ricorda il "ricordo in sé" in forma pura e autonoma, ma ci rendiamo conto di un senso, che ci consente di riconoscere il nostro particolare ricordo come appunto un "ricordo", e non una percezione presente o un aspettativa futura, dunque abbiamo un'intuizione intellettuale dell'essenza del fenomeno "ricordo", non realmente psichica a tutti gli effetti, perché psichicamente abbiamo esperienza di un particolare ricordo, ma comunque come qualità esperibile, quindi a suo modo concreta, in base a cui possiamo avere una nozione dell'idea di ricordo in generale.

 

 

Ricambio volentieri il saluto di Oxdeadbeef, e sottolineo come la fenomenologia, anche se da me studiata in alcuni suoi aspetti e "parti", mantiene anche per me molte zone d'ombre, pur non considerandomi un esperto la trovo comunque un filone di pensiero estremamente costruttivo per la riproposizione di un discorso filosofico realmente forte e razionalmente rigoroso, in contrapposizione con certe derive disfattiste nichiliste, oppure ingenuamente scientiste, purtroppo molto presenti nel panorama contemporaneo. Certamente, sarà un piacere discuterne, anche in altre discussioni

sgiombo

Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 12:23:46 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 10:27:37 AM
Per cui, tanto per: "andare al concreto senza impiccarci con circonvoluzioni verbali", l'oggetto X
NON E' AFFATTO "totalmente ed assolutamente inconoscibile"; MA LO E' nella sua "veste" di oggetto
"ab-soluto", cioè che si pone "saldamente fuori" dall'interpretazione di un soggetto/osservatore
(chiaramente qui il termine "ab-soluto" è usato come aggettivo, non come sostantivo).

Citazione...Quindi, se "l'oggetto" è, per esempio, il moto dei corpi all'interno del Sistema Solare, l'interpretazione del "soggetto Tolomeo" e quella dei "soggetti Keplero-Newton", essendo entrambe "interpretazioni soggettive", hanno lo stesso valore epistemico? 
- Non è decidibile se sia la Terra a girare intorno al Sole, o se sia il Sole a girare intorno alla Terra?
- Il suddetto moto è "in sé" inconoscibile?
- E se la "cosa in sé" (l'"oggetto assoluto") è COMUNQUE inconoscibile, perché la Scienza rappresenta un salto evolutivo immenso rispetto alla conoscenza pre-scientifica? Le "cose in sé" della Scienza sono forse più conoscibili di quelle della conoscenza prescientifica?
La mia risposta (triviale) è: perché la "cosa in sé", l'"oggetto assoluto" (kantianamente intesi) sono pippe mentali allo stato puro, flatus vocis, fantasmi concettuali <<...con i quali e senza i quali il mondo rimane tale e quale>>, come dicevano un tempo gli studenti delle facoltà scientifiche a proposito dei concetti della filosofia. Infatti, la "cosa in sé" è inosservabile e inconoscibile semplicemente perché NON ESISTE. Esistono solo "cose" o "oggetti" virtualmente conoscibili e concetti costruiti sulle loro proprietà osservabili; e tutto ciò che è inconoscibile NON PUO' essere né una "cosa" né un "oggetto", ma solo un fonema privo di significato. <<Ciò di cui non si può parlare si deve tacere>> diceva il logico Wittgenstein.

La conoscenza umana è per definizione UMANA, cioè, PER NOI, non "in sé".
Non ci sono ragioni per credere che un muro fatto di mattoni PER NOI, sia fatto di ghiaccio per i pipistrelli e, nel caso, che siano loro ad avere ragione e noi torto. Le leggi della fisica, SE SONO TALI, valgono per noi, per i pipistrelli, per i lamellibranchi e per i batteri. Quindi, fino a prova contraria, "per noi" significa "per tutti". Se "per noi" è certo che la Terra gira intorno al Sole, non vedo che importanza possa avere il fatto che dei coleotteri o dei licheni la pensino diversamente. E anche soltanto porsi questo problema dimostra l'oziosità e l'insipienza del pensiero di Kant e di chi gli dà credito.
Faccio mie le parole di Oxdeadbeef:

Quanto agli studenti delle facoltà scientifiche, che parlano di pippe mentali, flatus vocis, fantasmi
concettuali etc, io non so che farci se non posseggono profondità di pensiero a sufficienza per
comprendere certi concetti.
Del resto, lo stesso Wittgenstein che da giovane diceva quella cosa lì da più maturo si accorse che
"ciò di cui non si può parlare" era l'unica cosa che veramente contava...

Quei segaioli mentali (per lo meno...) di studenti delle facoltà scientifiche, essendo molto scarsi in filosofia, non si rendevano conto che della realtà materiale naturale studiata e conosciuta dalle scienze naturali (e anche di quella mentale non studiabile scientificamente) l' "esse est percipi" (Berkeley e "soprattutto" Hume), e dunque essa é reale unicamente in quanto e fintanto che esiste come meri insiemi e successioni di sensazioni.
E che é postulabile ma non dimostrabile (credibile per mera fede; anche se i segaioli di cui sopra non se ne rendevano conto, essendo scarsi in filosofia) che le sensazioni fenomeniche materiali siano intersoggettive e che divengano secondo modalità o leggi universali e costanti (e queste sono le due conditiones sine qua non -indimostrabili né mostrabili empiricamente o constatabili della conoscibilità scientifica del mondo fenomenico fisico-materiale-naturale stesso- e non, per lo meno nel senso stretto di "conoscenza scientifica, del mondo fenomenico mentale).

La conoscenza umana (di "senso comune" o anche, limitatamente alla materia, scientifica, é unicamente limitata al mondo fenomenico, alle sensazioni coscienti che proviamo).
Ma ciò non significa che necessariamente non sia/accada realmente nient' altro che esse; e l' ipotetica realtà di un mondo in sè, congetturabile ma non sensibile, non apparente ai sensi (esterni ed interno) in divenire biunivocamente correlato ai fenomeni (ma questa é farina del mio modestissimo sacco, non di Kant) é un' ottima spiegazione de:

l' intersoggettività della realtà fenomenica materiale naturale (indimostrabile ma inelubibile conditio sine qua non della sua conoscibilità scinetifica);

il puntuale "ri-" accadere ell' esistenza di certi aspetti (enti od eventi) relativamente costanti dei fenomeni materiali e mentali allorché si osserva nella maniera "appropriata" (cedro del Libano del mio vicino di casa, me stesso come mi autosento in quanto "miei pensieri e sentimenti");

la corrispondenza biunivoca (e non affatto l' identità, né la sopravvenienza a o l' emergenza da, qualsiasi cosa questi concetti possano significare) dimostrata dalle moderne neuroscienza fra determinati eventi neurofisiologici in determinati cervelli (attualmente o per lo meno potenzialmente nell' ambito delle coscienze* di osservatori) e determinati eventi di coscienza** (di un' altra diversa coscienza**, quella** del titolare del cervello osservato e non quelle altre* degli osservatori nelle quali si trova il cervello in questione).

Carlo Pierini

#41
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 13:34:52 PM
Kant invece intuisce, in maniera assolutamente mirabile, che l'oggetto "conosciuto" non è semplicemente
"dato" al soggetto "conoscente"; ma che questo soggetto assume un "ruolo" che va ad incidere non solo
nella conoscenza, ma nella stessa "essenza" (dico così per comodità) dell'oggetto stesso.
Tale processo è la cosiddetta "rivoluzione copernicana del pensiero" (per evidente analogia con la
tesi di Copernico).

La "rivoluzione copernicana" di Kant è un ennesimo estremismo; un estremismo uguale e contrario a quello che si vuol superare: se quello sacrificava il soggetto sull'altare dell'oggetto, Kant sacrifica l'oggetto sull'altare del soggetto. Due estremismi ugualmente squilibrati, laddove la conoscenza è, invece, la corrispondenza tra due realtà opposte – soggetto e oggetto – di pari dignità ontologica: 1) il fenomeno oggettivo che esiste in sé sul piano FISICO e 2) il paradigma di un soggetto che esiste anch'esso in sé, ma sul piano METAFISICO; quando si realizza una compiuta corrispondenza-complementarità tra le due realtà, esse si confermano reciprocamente e si unificano in un grado superiore di conoscenza, così come vuole il Principio di Complementarità degli opposti.
Per esempio, la seconda legge di Newton è la corrispondenza tra il paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO "F=ma" e la relazione OGGETTIVA che intercorre tra le grandezze FISICHE "massa", "forza" e "accelerazione".
Torniamo, cioè all'equilibrio del motto spinoziano: <<Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>.

QUESTA è la vera rivoluzione della conoscenza. In essa, tra i due criteri opposti: "adaequatio intellectus ad rem" e "adaequatio rei ad intellectus", noi NON privilegiamo l'uno a detrimento dell'altro, ma li unifichiamo nella formula "adaequatio rei ET intellectus", cioè li complementarizziamo in una corrispondenza rigorosa tra METAFISICA (Logica dei concetti e Matematica dei numeri) e FISICA (relazioni tra grandezze fisiche). Il soggetto, cioè, NON "determina" l'oggetto PIÙ DI QUANTO l'oggetto non "determini" il paradigma soggettivo-metafisico, ma entrambi contribuiranno in egual misura alla costruzione del sapere, in una CORRISPONDENZA equilibrata tra un soggetto e un oggetto che hanno la stessa "massa ontologica" e che gravitano attorno a un medesimo "centro di massa" chiamato "verità".


OXDEADBEEF
Kant, attraverso il metodo detto "trascendentale" (che nulla ha a che vedere con la trascendenza)

CARLO
Certo, il "trascendent-ale"!! Un aggettivo che significa "riferito al trascendente", ma che con il trascendente non ha niente a che vedere! Un capolavoro concettuale, che, insieme al "soggetto", è altresì privo di una sua sostanzialità ontologica.  
...Mirabile filosofia, o insensata ciarlataneria?

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 17:02:22 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Luglio 2018, 17:49:19 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PMFrancamente Sgiombo ho capito ben poco di quel che vuoi dire.
Perchè mai tirare in ballo questa cosa della distinzione fra "res cogitans" e "res extensa"? Sembra quasi
tu voglia dire, alla maniera di Carlo Pierini, che il fenomeno è una cosa fisica (res extensa) e il
noumeno un concetto (res cogitans)...
Quel magnifico Cedro del Libano che vedi nel giardino del tuo vicino è "fenomeno" nel tuo vederlo magnifico,
nel tuo nominarlo "Cedro del Libano" etc. Ma esso è ANCHE noumeno, nel senso che è un qualcosa di
indipendente dalle tue sensazioni (ad esempio, da appassionato di giardini ti potrei dire che i Giapponesi
hanno un senso estetico delle piante assai diverso dal nostro - per cui, che so, magari non lo vedrebbero poi
tanto magnifico) e dalle tue denominazioni.
Cioè voglio dire, non è che il fenomeno "magnifico Cedro del Libano" sia una cosa fisica mentre il
noumeno (intuibile solo nella sua presenza - la semiotica parla addirittura di assenza) non lo è.
Insomma, questo ho capito ma può darsi io abbia capito male...
saluti
PS
In altre parole il noumeno kantiano non è altro che una straordinaria anticipazione di quel concetto
di "relativo" a noi ormai tanto familiare.
E' da tener ben presente che fino a Kant il mondo era un mondo di oggetti "dati". Per cui, che so, un
quadro era bello "in sè", e non in relazione a chi lo osservava.
Kant, per primo, disse che non l'oggetto era "in sè", ma piuttosto lo era il soggetto, il quale
interpretava l'oggetto che A LUI si "dava" in un certo modo, secondo quelle che erano le sue
sensazioni, le sue idee e i suoi gusti particolari.

Sia la res extensa che la res cogitans, sia la materia che il pensiero, sono fenomeni dei quali l' "esse est percipi": sono reali unicamente in quanto e fintanto che accadono come insiemi e successioni di sensazioni coscienti, di dati di coscienza.
Infatti pretendere che il solito cedro del Libano o io stesso siano reali in quanto tali (insiemi-successioni di sensazioni rispettivamente materiali e mentali) anche in quando tali sensazioni realmente non accadono (= il cedro del Libano e io non siamo reali) sarebbe una patente contraddizione; se qualcosa di reale é/accade anche quando tali fenomeni (sensazioni) non sono reali così da spiegare il puntuale ri-essere reale del cedro e di me stesso allorché compio le opportune osservazioni, esso (per non contraddirsi) deve essere inteso come qualcosa di non fenomenico-apparente alla coscienza (non un insieme-successione di sensazioni, che altrimenti sarebbero/accadrebbero realmente anche quando non sono/non accadono realmente -!- ma invece come qualcosa di congetturabile: noumeno o cose in sé). 

Dunque la cosa fisica "magnifico Cedro del Libano" é un fenomeno (o insieme-successone di fenomeni) mentre il noumeno (intuibile solo nella sua presenza) non lo è; ma anche la cosa mentale "miei pensieri, sentimenti ecc." sono fenomeni (però mentali e non fisici - materiali), mentre il noumeno che esiste anche quando non sento pensieri o sentimenti (l' "io"; me stesso) non é fenomeno (apparenza sensibile cosciente (mentale in quest' ultimo caso): se pretendessi che lo fosse, cioé che esistesse in quando pensieri, sentimenti ecc., anche quando pensieri, sentimenti, ecc. non ci sono, mi contraddirei platealmente!

Phil

Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
Per esempio, la seconda legge di Newton è la corrispondenza tra il [/font][/size]paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO "F=ma" e la relazione OGGETTIVA che intercorre tra le grandezze FISICHE "massa", "forza" e "accelerazione".
La relazione cosìddetta "oggettiva" è comunque posta dal soggetto: le grandezze fisiche in questione sono state definite e identificate convenzionalmente dal soggetto, quindi sono soggettive (non nel senso di "opinabili", ma letteralmente: prodotte dal soggetto).
Anche la misurazione di tali grandezze (v. matematica applicata) è in tal senso soggettiva: è un'attività del soggetto secondo idee, strumenti logici e regole da lui formulate. Tali idee sono del soggetto, non dell'oggetto su cui vengono proiettate.
Il che non significa che la scienza più "manifesta" non funzioni in modo regolare e attendibile (è innegabile), ma soltanto che, esempio banale, quando misuro qualcosa in centimetri, tale unità di misura non è oggettiva (dell'oggetto), non appartiene alla "natura" o all'"essere" dell'oggetto, ma è soggettiva, ovvero è del soggetto che "sovrappone" le sua idea di "centimetro" (la sua "griglia") all'oggetto che misura.

Detto altrimenti, l'oggetto misurato, in quanto tale, non è fatto in/di centimetri, bensì è il soggetto che lo inquadra secondo l'idea astratta di centrimetro, che dà un senso al centrimetro come misura fisica, "leggendo" quindi l'oggetto secondo quella (convenzionale, dunque soggettiva) unità di misura.
Per cui, secondo me,
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
l'equilibrio del motto spinoziano: <<Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>.
descrive una idilliaca (e utopica) simmetria che ignora l'impossibilità di conoscere l'"ordo et connexio rerum" senza l'inevitabile mediazione delle idee: non è possibile conoscere "in sé" qualcosa di empirico se non tramite le nostre idee, le nostre categorie (e la nostra intenzionalità, per dirla con Husserl).

Lo stesso concetto di "ordine" è un'astrazione: non possiamo dire sia "reale", poiché è piuttosto una categoria con cui interpretare la realtà; parlare di "ordo rerum" significa dunque utilizzare già l'"ordo idearum" (idea di ordine), che risulta quindi dominante e logicamente primario rispetto all'altro (supposto) "ordo", inglobandolo.

Inoltre, possono ovviamente esserci idee che non corrispondono a qualcosa di empirico (ma, in teoria, non può essere il contrario), ed ecco che non c'è quindi quella gaia simmetria fra apporto del soggetto e supporto dell'oggetto  ;)

Questo misterioso "qualcosa di empirico" che sfuggirebbe inevitabilmente al nostro "sguardo" conformante (non possiamo "guardarlo" senza usare i nostri occhi come strumento, e ogni strumento è sempre condizionante) è il (postulato) noumeno kantiano, la cosa-in-sé.

Carlo Pierini

#44
Citazione di: Phil il 06 Luglio 2018, 20:14:03 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
Per esempio, la seconda legge di Newton è la corrispondenza tra il [/font][/size]paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO "F=ma" e la relazione OGGETTIVA che intercorre tra le grandezze FISICHE "massa", "forza" e "accelerazione".

PHILL
La relazione cosìddetta "oggettiva" è comunque posta dal soggetto: le grandezze fisiche in questione sono state definite e identificate convenzionalmentedal soggetto, quindi sono soggettive (non nel senso di "opinabili", ma letteralmente: prodotte dal soggetto).
Anche la misurazione di tali grandezze (v. matematica applicata) è in tal senso soggettiva: è un'attività del soggetto secondo idee, strumenti logici e regole da lui formulate. Tali idee sono del soggetto, non dell'oggetto su cui vengono proiettate.
Il che non significa che la scienza più "manifesta" non funzioni in modo regolare e attendibile (è innegabile), ma soltanto che, esempio banale, quando misuro qualcosa in centimetri, tale unità di misura non è oggettiva (dell'oggetto), non appartiene alla "natura" o all'"essere" dell'oggetto, ma è soggettiva, ovvero è del soggetto che "sovrappone" le sua idea di "centimetro" (la sua "griglia") all'oggetto che misura.

Detto altrimenti, l'oggetto misurato, in quanto tale, non è fatto in/di centimetri, bensì è il soggetto che lo inquadra secondo l'idea astratta di centrimetro, che dà un senso al centrimetro come misura fisica, "leggendo" quindi l'oggetto secondo quella (convenzionale, dunque soggettiva) unità di misura.

CARLO
...Davvero?  ...E io che credevo  che le unità di misura fossero dei prodotti naturali!!!

Citazione da: Carlo Pierini - 06 Luglio 2018, 18:33:50 pm
Citazionel'equilibrio del motto spinoziano: <<Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>.

PHIL

[Questo motto] descrive una idilliaca (e utopica) simmetria che ignora l'impossibilità di conoscere l'"ordo et connexio rerum" senza l'inevitabile mediazione delle idee: non è possibile conoscere "in sé" qualcosa di empirico se non tramite le nostre idee, le nostre categorie (e la nostra intenzionalità, per dirla con Husserl).
Lo stesso concetto di "ordine" è un'astrazione: non possiamo dire sia "reale", poiché è piuttosto una categoria con cui interpretare la realtà; parlare di "ordo rerum" significa dunque utilizzare già l'"ordo idearum" (idea di ordine), che risulta quindi dominante e logicamente primario rispetto all'altro (supposto) "ordo", inglobandolo.

CARLO
Non posso conoscere "in sé" il significato di quello che hai appena scritto. Tu ti illudi di aver detto la verità, ma la verità è solo una questione soggettiva. Il concetto stesso di "impossibilità di conoscere" è una astrazione, una tua interpretazione della conoscenza; pre-suppone una idilliaca (e utopica) corrispondenza tra ciò che dici e la verità, ma le tue sono, invece, solo parole il cui significato "in sé" è inconoscibile. ....Parole al vento...!

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