La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.

Aperto da Carlo Pierini, 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM

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Carlo Pierini

Il "noumenon" platonico è l'idea originaria, eterna, divina, il modello metafisico della cosa creata. 
In tal senso, la conoscenza di una cosa è un risalire al "noumenon" che la fonda, al suo paradigma o archetipo originario, che è ALTRO dalla cosa, ma conoscibile, intelligibile, proprio in quanto "idea" commensurabile alle idee umane ordinarie.
Kant lo ha manipolato fondendolo con la cosa e ottenendo un aborto concettuale: "la cosa in sé", che non ha alcun significato, con il solo scopo di contrapporre dualisticamente "fenomeno" e "noumeno" e dichiarare il primo conoscibile, e il secondo (al pari del "Trascendente") assolutamente inconoscibile.
Con questa mossa oscena ha costruito a tavolino una filosofia da vendere sia ai materialisti che ai mistici sostenitori dell'ineffabilità di Dio. 
Un vero mercante truffatore mascherato da filosofo. L'iniziatore della frattura inconciliabile e cruenta tra scienza e fede.

sgiombo

Penosa pretesa liquidazione di Kant senza averlo capito.

Carlo Pierini

Citazione di: sgiombo il 29 Giugno 2018, 22:15:17 PM
Penosa pretesa liquidazione di Kant senza averlo capito.

Se tu l'hai capito, spiegami dov'è che mi sbaglio.

sgiombo

Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 23:35:49 PM
Citazione di: sgiombo il 29 Giugno 2018, 22:15:17 PM
Penosa pretesa liquidazione di Kant senza averlo capito.

Se tu l'hai capito, spiegami dov'è che mi sbaglio.
Citazione
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 23:35:49 PM

PAROLE DI SGIOMBO E NON DI CARLO PIERINI

Eh, caro mio, ci vorrebbe troppo tempo.
Se non capisci che cosa sia la cosa in sé kantiana e la consideri un "aborto concettuale" dovresti cominciare col rileggere (o più verosimilmente col leggere) le sue Critiche, soprattutto la prima.

Posso solo accennare al fatto che il concetto kantiano di "noumeno" é un costrutto teorico originale e non affatto una "manipolazione" delle idee platoniche", col quale ha ben poco o piuttosto nulla a che fare, che é perfettamente ovvio che qualunque pensatore (anche Platone e qualsiasi altro) ricavi consenso (con malevola metafora -decisamente ridicola e penosa nel caso di Kant, come d' altra parte le taccie di operatore di "mosse oscene", di elaboratore di una "filosofia costruita a tavolino" e di "mercante truffatore travestito da filosofo"- denominabile "lucro") dalle sua proposte teoriche; ovviamente nella misura in cui siano e presso coloro per i quali siano convincenti.
Ma, contrariamente a Kant, Platone, se é vero quanto ci racconta il solitamente attendibile Diogene Laerzio, non si limitò a "lucrare lecitamente" consenso alle sue tesi, bensì cercò anche di imporlo forzatamente e in maniera intellettualmente disonesta, attraverso il tentativo di far distruggere -irreversibilmente censurare!- le opere chi chi, come Democrito, ne dissentiva e le criticava).

Quella di Kant come presunto "iniziatore della frattura inconciliabile e cruenta -sic!- tra scienza e fede" é un' altra penosissima e tragicomicissima sciocchezza.

Apeiron

#4
Forse può aiutare anche considerare che:
1) Kant era sosteneva il "realismo empirico", ovvero che il mondo fenomenico è reale e che noi abbiamo conoscenza di esso. Questo lo distingue dall'idealismo Berkeleyano. Da questo Kant deduce che non ci può essere conoscenza senza un "datum" ("i pensieri senza contenuto sono vuoti; le intuizioni [sensazioni, il "datum"] senza concetti sono vuoti"). Dunque non ci può una nemmeno una metafisica tipica dei "Razionalisti" ovvero, visto che la conoscenza delle cose "reali" viene dall'esperienza (dal "datum") non possiamo utilizzare i concetti per descrivere "altro" (sarebbero pensieri senza contenuto). Kant però riconosce che ci sono varie porte di accesso per la nostra conoscenza: le sensazioni fisiche, il senso morale, del bello ecc. Faccio notare che qui Kant si distanzia però anche dal materialismo o dal realismo "naive" visto che in fin dei conti il datum sono le sensazioni e non le "cose". "Realismo" = "indipendente dalla mia esistenza soggettiva", "empirismo" = "immanente nell'esperienza"
2) Kant sostiene l' "idealismo trascendentale", ovvero che abbiamo un particolare modo di conoscere che dipende da noi. Quindi noi "rappresentiamo" le cose ad esempio con la categoria della causalità, nello spazio e nel tempo. Notare che queste "categorie" sono indipendenti dalla particolare esperienza ("trascendentale") e dipendono dall'esistenza soggettiva ("idealismo"). Berkeley era un "idealista empirico", ovvero riteneva che conosciamo gli oggetti della nostra esperienza i quali dipendono da noi. Differisce anche da Hegel visto che le sensazioni non nascono dalla coscienza. Le "idee trascendentali" sono quindi idee che condizionano a priori tutta la nostra esperienza. Quindi secondo Kant ci sono idee in campo conoscitivo come la causalità che noi a priori imponiamo sul modo in cui rappresentiamo l'esperienza. Oppure i postulati della Ragion pratica condizionano il nostro senso morale (ovviamente "Dio" non dipende dall'esistenza soggettiva secondo Kant però l'idea dell'esistenza di Dio sì).  

Non possiamo però conoscere le cose senza intuizione, quindi il "noumeno" ci è inaccessibile, visto che la nostra facoltà di conoscere si basa sull'esperienza e sulle categorie. Dunque, mentre noi conosciamo le sensazioni e le "categorie", non possiamo conoscere le cose indipendentemente dalle nostre categorie. Vorrei far notare però che per Kant il "noumeno" è un concetto limite, visto che per noi è impossibile conoscere le cose al di fuori delle nostre categorie. La nostra mente non è una "tabula rasa", ma ha una sua "struttura di base", la quale condiziona la nostra esperienza (ovvero noi rappresentiamo l'esperienza in un certo modo - es: l'esperienza fenomenica è sempre nello spazio e nel tempo). Inoltre, per Kant, non ci è possibile "mutare" questa struttura di base (o almeno una parte di essa).

P.S. Dissento totalmente dal giudizio negativo su Kant. Riguardo all'altrettanto negativo giudizio su Platone espresso da Diogene Laerzio, possiamo solo speculare. Ad ogni modo Platone fa dire a Socrate* che il filosofo ha il piacere di essere confutato quando tale confutazione porta dalla falsità alla verità. Quindi, almeno negli scritti non dice di sopprimere il dissenso, anzi. Che poi in vita sia stato incoerente, non si può dire. Può esserlo stato, visto che incoerenze e ipocrisie varie purtroppo sono difficilmente separabili dalla nostra natura umana  :( ad ogni modo anche se è vero che Aristotele ha lasciato la sua accademia fondando una sua scuola, Speusippo diventò il successore di Platone alla guida dell'Accademia pur non condividendo la teoria platonica delle Forme. Quindi, è difficile dire quanto Platone era consono a sopprimere il dissenso.  



*"A che genere di uomini appartengo? A quello di chi prova piacere nell'essere confutato, se dice cosa non vera, e nel confutare, se qualcuno non dice il vero, e che, senza dubbio, accetta d'esser confutato con un piacere non minore di quello che prova confutando. Infatti, io ritengo che l'esser confutati sia un bene maggiore, nel senso che è meglio essere liberati dal male più grande piuttosto che liberarne altri. Niente, difatti, è per l'uomo un male tanto grande quanto una falsa opinione sulle questioni di cui ora stiamo discutendo. Se dunque anche tu sostieni di essere un uomo di questo genere, discutiamo pure; altrimenti, se credi sia meglio smettere, lasciamo perdere e chiudiamo il discorso." (Platone, Gorgia)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

davintro

#5
penso che il limite della gnoseologia kantiana sia stato quello di costituirsi come di fatto una troppo rigida dualità fra "forme" con cui l'intelletto ordina e organizza i dati dell'esperienza sensibile, e una materia identificabile con i contenuti dell'esperienza intesa solo dal punto di vista degli oggetti fisici, che cadono primariamente sotto le categorie estetiche di spazio e tempo. Private di una propria specifica materialità, le categorie apriori dell'intelletto, cioè la componente di intelligibilità insita nella nostra mente, dovrebbero limitarsi ad essere "funzioni", ad operare nella loro attività di organizzazione e unificazione dei dati senza poter essere posti come oggetto di uno specifico sapere (di qui la squalifica della metafisica e dell'ontologia come scienza autonoma). Ma a questo punto la riduzione delle categorie presenti a priori nell'intelletto a "funzioni" impossibili da oggettivare dovrebbe limitarsi a spiegare il meccanismo della conoscenza del mondo esterno, ma sarebbe impossibilitata a giustificare le possibilità di una critica della conoscenza, cioè lo schema kantiano potrebbe bene spiegare come si sviluppa il processo conoscitivo, ma non riuscirebbe a rendere conto di sé, della possibilità di oggettivare in una riflessione ad hoc i fondamenti trascendentali dell'intelletto, dato che questi fondamenti essendo, per Kant, solo forme e funzioni, non potrebbero assurgere a materiale e oggetto di uno specifico tipo di intuizione e conoscenza. Come potrebbe Kant accorgersi dell'esistenza di strutture trascendentali se poi sulla base della sua concezione di "conoscenza" questa potrebbe solo ricevere un materiale sensibile, circoscrivibile a "spazio" e "tempo"? Se l'intuizione che fornisce sinteticamente i contenuti della conoscenza poi ordinata dalle "forme" può essere solo di natura sensibile, che tipo di intuizione ha utilizzato Kant per parlare di "apriori", "causalità", "spazio", "tempo", tutto ciò strutturalmente presente nella mente a livello trascendentale, cioè indipendentemente dalle condizioni empiriche di un certo tempo e spazio? E questo limite esplicativo si riflette poi sullo stesso dualismo fenomeno-noumeno: se il noumeno fosse del tutto inconoscibile sarebbe impossibile persino riconoscerne la distinzione rispetto al fenomeno, in quanto ogni riconoscimento di un limite, presuppone sempre una certa, seppur confusa e parziale, rappresentazione di ciò che sta al di là del limite stesso. La riflessione sui limiti della conoscenza sensibile è cioè resa possibile dall'individuazione di un "al di là" intelligibile, e solo in relazione ad esso la conoscenza sensibile può apparirmi come limitata, e quindi concepire una dualità, ma questo "al di là" intelligibile dovrebbe comunque in qualche misura essere oggetto di conoscenza. Altrimenti dovremmo limitarci a ricevere dati sensibili senza la possibilità di intraprendere una critica tesa a delimitare i confini di questo ambito. La mia impressione è che il dualismo fenomeno-noumeno in Kant sia il prodotto di un indebito passaggio dal rilevamento di una dualità tra la cosa come oggetto di esperienze, e la "cosa in sé" posta indipendentemente dal fatto di averne un'esperienza soggettiva, una dualità in un'accezione logica-formale, al rilevamento di una dualità gnoseologica e anche ontologico tra "fenomeno" e "noumeno", non considerando che, un conto è distinguere tra ciò che si può conoscere e ciò che non si può conoscere, un altro tra ciò che una cosa è oggettivamente, e ciò che è relativo a una mente soggettiva che ne fa esperienza. La confusione tra il piano logico (oggettività o inseità della cosa) e piano gnoseologico (inconoscibilità) conduce necessariamente al relativismo e solipsismo in quanto si fa coincidere la "cosa in sé", l'oggettività, con ciò che è al di là del fenomeno e dunque contenuto di un sapere scientifico, condizione da cui Kant spera di trarsene fuori con l'individuazione di una sfera di verità universali, quella dei giudizi sintetici a-priori. Ma l'errore sta nel ritenere che la nozione di "a priori" sia scindibile da quella di noumeno, di poter salvare la prima (come proprietà dei giudizi e delle categorie che si riconoscono nella nostra mente) relegando la seconda nell'ignoto. Perché nel momento in cui, criticamente, riconosco l'esistenza di strutture necessariamente presenti nell'intelletto e conseguentemente ne deduco un ambito di giudizi aprioristicamente veri, mi  sto riferendo a un correlato oggettivo di tale sfera di categorie e giudizi di cui colgo dei caratteri di universalità, cioè di indipendenza rispetto alla contingenza delle esperienze particolari, dunque a un nucleo noumenico, universale, che regge la possibilità di conoscere strutture a loro volta aprioriste, cioè universali, indipendentemente dal fatto che tale universalità non riguardi più il mondo esterno, ma il mondo interiore della nostra soggettività. Insomma, il limite della critica kantiana a mio avviso sta nel delineare un modello di meccanismo conoscitivo parziale, perché strutturalmente incapace di rendere ragione della critica stessa, perché il tipo di conoscenza che la critica utilizza non può essere lo stesso che pone come limite entro cui una scienza è possibile, dato che le strutture a priori dell'intelletto, nel momento in cui le riconosco in me, non possono più essere solo forme e funzioni al servizio di un materiale sensibile-estetico, ma devono essere a loro volta a tutti gli effetti "materia" e "oggetto" di scienza. Manca un momento autoriflessivo, "metacritico" nelle quali l'apriori sia oggetto di una modalità d'apprensione specifica, che non potrebbe che essere una sorta di intuizione intellettuale, autonoma rispetto a quella sensibile (anche se complementare ad essa nel concreto dell'esperienza) adeguata all'intelligibilità delle categorie apriori che la critica scopre, e che dunque renda possibile la critica stessa. Questa mancanza sarà poi un problema che la fenomenologia nel novecento proverà a colmare con il concetto di "intuizione eidetica", tramite cui rendere ragione della struttura universale, cioè essenziale dei fenomeni della coscienza, e risalire alle condizioni originarie dell'esperienza del mondo, riconnettendo il pensiero all' oggettività dell'essere, per superare il relativismo, e dunque recuperare a suo modo un'idea di ontologia, anche se in un'ottica diversa da quelle di tipo classico

Carlo Pierini

Citazione di: Apeiron il 30 Giugno 2018, 10:53:17 AMP.S. Dissento totalmente dal giudizio negativo su Kant. 

Lo so che dissenti, ma tutto ciò che hai scritto è un monologo che nemmeno sfiora il contenuto della mia critica.

0xdeadbeef

#7
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM
Il "noumenon" platonico è l'idea originaria, eterna, divina, il modello metafisico della cosa creata.
In tal senso, la conoscenza di una cosa è un risalire al "noumenon" che la fonda, al suo paradigma o archetipo originario, che è ALTRO dalla cosa, ma conoscibile, intelligibile, proprio in quanto "idea" commensurabile alle idee umane ordinarie.
Kant lo ha manipolato fondendolo con la cosa e ottenendo un aborto concettuale: "la cosa in sé", che non ha alcun significato, con il solo scopo di contrapporre dualisticamente "fenomeno" e "noumeno" e dichiarare il primo conoscibile, e il secondo (al pari del "Trascendente") assolutamente inconoscibile.
Con questa mossa oscena ha costruito a tavolino una filosofia da vendere sia ai materialisti che ai mistici sostenitori dell'ineffabilità di Dio.
Un vero mercante truffatore mascherato da filosofo. L'iniziatore della frattura inconciliabile e cruenta tra scienza e fede.

Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto
primo" che dir si voglia".
Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant.
Voglio dire, che c'entra l'idea platonica? Mica la "cosa in sè" è eterna, incorruttibile, paradigmatica
etc. etc.
La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto
per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile
al trascendente.
Quanto alla frattura inconciliabile fra scienza e fede perchè non indicare S.Francesco come il, diciamo,
"progenitore"?
Mi sembra che le prime ricerche sul naturalismo, così come le prime università, sono sorte in
Inghilterra proprio ad opera dei Francescani...
saluti

Apeiron

Citazione di: Carlo Pierini il 30 Giugno 2018, 16:50:26 PM
Citazione di: Apeiron il 30 Giugno 2018, 10:53:17 AMP.S. Dissento totalmente dal giudizio negativo su Kant.

Lo so che dissenti, ma tutto ciò che hai scritto è un monologo che nemmeno sfiora il contenuto della mia critica.
@Carlo,

Capisco. Direi che nemmeno tu hai spiegato bene cosa critichi di Kant visto che non hai parlato del motivo per cui secondo Kant il noumeno sarebbe inconoscibile, fornendo una controargomentazione a riguardo. Certamente hai fatto una polemica ma non hai fatto una critica filosofica ben argomentata (o almeno così penso io)... per questo motivo ho fatto il "monologo", nel quale mi sembrava di essere rimasto in tema , spiegando quali sono (da quanto ho potuto capire io) le tesi di Kant:

Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PMIl "noumenon" platonico è l'idea originaria, eterna, divina, il modello metafisico della cosa creata.

Ok, su questo hai ragione.

Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM
In tal senso, la conoscenza di una cosa è un risalire al "noumenon" che la fonda, al suo paradigma o archetipo originario, che è ALTRO dalla cosa,
ma conoscibile, intelligibile, proprio in quanto "idea" commensurabile alle idee umane ordinarie.

In un certo senso questa è la soluzione di Platone visto che non ci è possibile davvero conoscere il mondo sensibile, non avendo veri oggetti di conoscenza.


Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM
Kant lo ha manipolato fondendolo con la cosa e ottenendo un aborto concettuale: "la cosa in sé", che non ha alcun significato, con il solo scopo di contrapporre dualisticamente "fenomeno" e "noumeno" e dichiarare il primo conoscibile, e il secondo (al pari del "Trascendente") assolutamente inconoscibile.

Nella mia risposta cercavo di spiegare perchè secondo Kant il noumeno non è conoscibile. Il motivo è che noi possiamo conoscere solo i fenomeni attraverso le categorie dell'intelletto, che sono a-priori. Ma parlare delle "cose-in-sé" utilizzando l'intelletto è, secondo Kant, errato perchè si "esce" dall'"isola" fenomenica, ovvero dal limite di applicabilità dei fenomeni.  Per esempio la causalità si applica al mondo fenomenico, visto che la causalità è una categoria dell'intelletto che "rappresenta" il mondo fenomenico. Il "noumeno" per Kant è semplicemente un concetto limite che nasce dal riconoscere che essendo la nostra mente una tabula rasa e quindi non può avere una conoscenza "immediata" delle cose.

ho anche io le mie reticenze su Kant (almeno il "Kant interpretato da me"). Per esempio ritengo che possiamo dire che le nostre "concettualizzazioni" del mondo fenomenico sono approssimazioni e quindi possiamo avere una conoscenza approssimata come ho detto altrove ;)  se non fosse così, secondo me, nemmeno le rappresentazioni stesse sarebbero possibili. Però il "noumeno" è in parte non conoscibile da una mente concettuale. Ma certamente possiamo averne una conoscenza approssimata. Per Kant, invece, le categorie dell'intelletto hanno la loro validità solo in ambito fenomenico. E per certi versi ha ragione... in fin dei conti possiamo veramente fare una ontologia "perfetta"?Possiamo veramente comprendere in toto la realtà con i nostri concetti e le nostre categorie o hanno un limite di validità (oltre al quale non possiamo dire se valgono ancora o no)? Un kantiano potrebbe dirti: puoi dimostrare che puoi usare le categorie dell'intelletto all'infuori del "mondo fenomenico"? O anche: puoi dimostrare che ragionamenti fatti utilizzando le categorie dell'intelletto all'infuori del "mondo fenomenico" non producano ragionamenti senza contenuto? Se sì quali sono i contenuti?

Ah, comunque personalmente ritengo che quelli che tu chiami archetipi, un filosofo (quasi-)kantiano potrebbe considerarli "forme a priori dell'intelletto", come ad esempio la matematica. In sostanza, questi "archetipi" non stanno in un mondo a parte ma sono da trovare nella struttura della nostra stessa mente.

Leggi anche il messaggio di @davidintro, col quale sono abbastanza d'accordo  ;)

Ora per qualche giorno non risponderò... Spero di averti dato una risposta che reputi "in tema"...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Carlo Pierini

#9
APEIRON
Direi che nemmeno tu hai spiegato bene cosa critichi di Kant visto che non hai parlato del motivo per cui secondo Kant il noumeno sarebbe inconoscibile, fornendo una controargomentazione a riguardo.

CARLO
E' Kant, non io, che considera il "noumeno" - come "cosa in sé" - inconoscibile. Quindi è a lui che devi chiedere giustificazione di questa inconoscibilità, non a me.

Citazione da: Carlo Pierini - 29 Giugno 2018, 19:25:21 pm
CitazioneIn tal senso, la conoscenza di una cosa è un risalire al "noumenon" che la fonda, al suo paradigma o archetipo originario, che è ALTRO dalla cosa,
ma conoscibile, intelligibile, proprio in quanto "idea" commensurabile alle idee umane ordinarie.


APEIRON
In un certo senso questa è la soluzione di Platone visto che non ci è possibile davvero conoscere il mondo sensibile, non avendo veri oggetti di conoscenza.

CARLO
1 - Non si può usare un medesimo termine (noumeno) per riferirsi a due significati inconciliabili come quello platonico e quello kantiano. Quindi Kant avrebbe dovuto SOSTITUIRE il concetto di noumeno con quello di "cosa in se", invece di renderli SINONIMI.

2 - Se non possiamo conoscere il mondo sensibile, cos'altro possiamo conoscere?

Citazione da: Carlo Pierini - 29 Giugno 2018, 19:25:21 pm
CitazioneKant lo ha manipolato fondendolo con la cosa e ottenendo un aborto concettuale: "la cosa in sé", che non ha alcun significato, con il solo scopo di contrapporre dualisticamente "fenomeno" e "noumeno" e dichiarare il primo conoscibile, e il secondo (al pari del "Trascendente") assolutamente inconoscibile.

APEIRON
Nella mia risposta cercavo di spiegare perchè secondo Kant il noumeno non è conoscibile. Il motivo è che noi possiamo conoscere solo i fenomeni attraverso le categorie dell'intelletto, che sono a-priori.

CARLO
1 - Devi decidere: se mi dici, come hai fatto qualche riga fa, che <<il mondo sensibile non è conoscibile>> adesso non puoi dirmi che <<noi possiamo conoscere solo i fenomeni>>; che altro sarebbero i fenomeni, se non manifestazioni del mondo sensibile?

2 - <<Conoscere i fenomeni secondo le categorie a-priori dell'intelletto>> è ciò che sostiene anche Platone, se per <<categorie a-priori>> si intendono le categorie del noumeno (i modelli archetipi a-priori, le idee platoniche) e per <<fenomeni>> si intendono le platoniche <<cose sensibili>>.  E non è un caso che il "platonico" Jung interpreti l'a-priori kantiano negli stessi termini:

"L'idea, in quanto astrazione, appare come un prodotto della funzione del pensare. [...] Ma considerata psicologicamente, essa esiste a priori come una possibilità, già data, di connessioni di pensieri in genere. Perciò l'idea nella sua essenza (non nella sua formulazione) è un'entità psicologica esistente a priori e determinante. In questo senso essa è per Platone l'immagine originaria delle cose, per Kant  «l'immagine originaria dell'uso dell'intelletto»".     [JUNG: Tipi psicologici - pg.485]

Insomma, dov'è la differenza tra le <<categorie a-priori>> di Kant e i modelli archetipi di Platone? E per quale motivo Kant avrebbe stabilito questa differenza?


Mi fermo qui, perché ogni discussione ulteriore creerebbe solo ulteriore confusione, se prima non chiariamo questi concetti-base

Carlo Pierini

Citazione di: davintro il 30 Giugno 2018, 16:14:04 PM
penso che il limite della gnoseologia kantiana sia stato quello di costituirsi come di fatto una troppo rigida dualità fra "forme" con cui l'intelletto ordina e organizza i dati dell'esperienza sensibile, e una materia identificabile con i contenuti dell'esperienza intesa solo dal punto di vista degli oggetti fisici, che cadono primariamente sotto le categorie estetiche di spazio e tempo. Private di una propria specifica materialità, le categorie apriori dell'intelletto, cioè la componente di intelligibilità insita nella nostra mente, dovrebbero limitarsi ad essere "funzioni", ad operare nella loro attività di organizzazione e unificazione dei dati senza poter essere posti come oggetto di uno specifico sapere (di qui la squalifica della metafisica e dell'ontologia come scienza autonoma). Ma a questo punto la riduzione delle categorie presenti a priori nell'intelletto a "funzioni" impossibili da oggettivare dovrebbe limitarsi a spiegare il meccanismo della conoscenza del mondo esterno, ma sarebbe impossibilitata a giustificare le possibilità di una critica della conoscenza, cioè lo schema kantiano potrebbe bene spiegare come si sviluppa il processo conoscitivo, ma non riuscirebbe a rendere conto di sé, della possibilità di oggettivare in una riflessione ad hoc i fondamenti trascendentali dell'intelletto, dato che questi fondamenti essendo, per Kant, solo forme e funzioni, non potrebbero assurgere a materiale e oggetto di uno specifico tipo di intuizione e conoscenza. Come potrebbe Kant accorgersi dell'esistenza di strutture trascendentali se poi sulla base della sua concezione di "conoscenza" questa potrebbe solo ricevere un materiale sensibile, circoscrivibile a "spazio" e "tempo"? Se l'intuizione che fornisce sinteticamente i contenuti della conoscenza poi ordinata dalle "forme" può essere solo di natura sensibile, che tipo di intuizione ha utilizzato Kant per parlare di "apriori", "causalità", "spazio", "tempo", tutto ciò strutturalmente presente nella mente a livello trascendentale, cioè indipendentemente dalle condizioni empiriche di un certo tempo e spazio? E questo limite esplicativo si riflette poi sullo stesso dualismo fenomeno-noumeno: se il noumeno fosse del tutto inconoscibile sarebbe impossibile persino riconoscerne la distinzione rispetto al fenomeno, in quanto ogni riconoscimento di un limite, presuppone sempre una certa, seppur confusa e parziale, rappresentazione di ciò che sta al di là del limite stesso. La riflessione sui limiti della conoscenza sensibile è cioè resa possibile dall'individuazione di un "al di là" intelligibile, e solo in relazione ad esso la conoscenza sensibile può apparirmi come limitata, e quindi concepire una dualità, ma questo "al di là" intelligibile dovrebbe comunque in qualche misura essere oggetto di conoscenza. Altrimenti dovremmo limitarci a ricevere dati sensibili senza la possibilità di intraprendere una critica tesa a delimitare i confini di questo ambito. La mia impressione è che il dualismo fenomeno-noumeno in Kant sia il prodotto di un indebito passaggio dal rilevamento di una dualità tra la cosa come oggetto di esperienze, e la "cosa in sé" posta indipendentemente dal fatto di averne un'esperienza soggettiva, una dualità in un'accezione logica-formale, al rilevamento di una dualità gnoseologica e anche ontologico tra "fenomeno" e "noumeno", non considerando che, un conto è distinguere tra ciò che si può conoscere e ciò che non si può conoscere, un altro tra ciò che una cosa è oggettivamente, e ciò che è relativo a una mente soggettiva che ne fa esperienza. La confusione tra il piano logico (oggettività o inseità della cosa) e piano gnoseologico (inconoscibilità) conduce necessariamente al relativismo e solipsismo in quanto si fa coincidere la "cosa in sé", l'oggettività, con ciò che è al di là del fenomeno e dunque contenuto di un sapere scientifico, condizione da cui Kant spera di trarsene fuori con l'individuazione di una sfera di verità universali, quella dei giudizi sintetici a-priori. Ma l'errore sta nel ritenere che la nozione di "a priori" sia scindibile da quella di noumeno, di poter salvare la prima (come proprietà dei giudizi e delle categorie che si riconoscono nella nostra mente) relegando la seconda nell'ignoto. Perché nel momento in cui, criticamente, riconosco l'esistenza di strutture necessariamente presenti nell'intelletto e conseguentemente ne deduco un ambito di giudizi aprioristicamente veri, mi  sto riferendo a un correlato oggettivo di tale sfera di categorie e giudizi di cui colgo dei caratteri di universalità, cioè di indipendenza rispetto alla contingenza delle esperienze particolari, dunque a un nucleo noumenico, universale, che regge la possibilità di conoscere strutture a loro volta aprioriste, cioè universali, indipendentemente dal fatto che tale universalità non riguardi più il mondo esterno, ma il mondo interiore della nostra soggettività. Insomma, il limite della critica kantiana a mio avviso sta nel delineare un modello di meccanismo conoscitivo parziale, perché strutturalmente incapace di rendere ragione della critica stessa, perché il tipo di conoscenza che la critica utilizza non può essere lo stesso che pone come limite entro cui una scienza è possibile, dato che le strutture a priori dell'intelletto, nel momento in cui le riconosco in me, non possono più essere solo forme e funzioni al servizio di un materiale sensibile-estetico, ma devono essere a loro volta a tutti gli effetti "materia" e "oggetto" di scienza. Manca un momento autoriflessivo, "metacritico" nelle quali l'apriori sia oggetto di una modalità d'apprensione specifica, che non potrebbe che essere una sorta di intuizione intellettuale, autonoma rispetto a quella sensibile (anche se complementare ad essa nel concreto dell'esperienza) adeguata all'intelligibilità delle categorie apriori che la critica scopre, e che dunque renda possibile la critica stessa. Questa mancanza sarà poi un problema che la fenomenologia nel novecento proverà a colmare con il concetto di "intuizione eidetica", tramite cui rendere ragione della struttura universale, cioè essenziale dei fenomeni della coscienza, e risalire alle condizioni originarie dell'esperienza del mondo, riconnettendo il pensiero all' oggettività dell'essere, per superare il relativismo, e dunque recuperare a suo modo un'idea di ontologia, anche se in un'ottica diversa da quelle di tipo classico

CARLO
Sono d'accordo con te. E ciò che scrivi è perfettamente conforme con quanto "mi è stato mostrato" nell'esperienza "estatica" di cui ho parlato nel seguente thread (sul quale gradirei un tuo eventuale pronunciamento):

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/gli-archetipi-esistono-io-li-ho-'visti'!/

Carlo Pierini

OXDEADBEEF
Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto
primo" che dir si voglia". 
Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant.
Voglio dire, che c'entra l'idea platonica?


CARLO
L'idea platonica è "l'oggetto primo", il "primum" assoluto, l'"evento semiotico";  cioè, è il "noumenon". Quindi c'entra!

OXDEADBEEF
La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto
per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile
al trascendente.


CARLO
E' proprio ciò che ho scritto io: la cosa non è associabile al trascendente. E la "cosa in sé" è un concetto privo di senso, perché la conoscenza è la conoscenza della cosa fenomenica, non della "cosa in sé", che non vuol dir nulla.
<<La Terra gira intorno al Sole, e non viceversa>> è un elemento di conoscenza che ha rivoluzionato la cultura umana senza alcuna necessità di ricorrere a puttanate come la "Terra in sé", o il "Sole in sé" o il "girare in sé". E questo vale per TUTTE le altre migliaia e migliaia di cose o fenomeni che sono entrati a far parte della conoscenza. Esso, cioè, è solo un FALSO CONCETTO, utile solo alla ciarlataneria relativista.

0xdeadbeef

Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 02:42:15 AM
OXDEADBEEF
Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto
primo" che dir si voglia".
Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant.
Voglio dire, che c'entra l'idea platonica?


CARLO
L'idea platonica è "l'oggetto primo", il "primum" assoluto, l'"evento semiotico";  cioè, è il "noumenon". Quindi c'entra!

OXDEADBEEF
La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto
per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile
al trascendente.


CARLO
E' proprio ciò che ho scritto io: la cosa non è associabile al trascendente. E la "cosa in sé" è un concetto privo di senso, perché la conoscenza è la conoscenza della cosa fenomenica, non della "cosa in sé", che non vuol dir nulla.
<<La Terra gira intorno al Sole, e non viceversa>> è un elemento di conoscenza che ha rivoluzionato la cultura umana senza alcuna necessità di ricorrere a puttanate come la "Terra in sé", o il "Sole in sé" o il "girare in sé". E questo vale per TUTTE le altre migliaia e migliaia di cose o fenomeni che sono entrati a far parte della conoscenza. Esso, cioè, è solo un FALSO CONCETTO, utile solo alla ciarlataneria relativista.



L'idea platonica non è affatto l'oggetto primo della semiotica (o la "cosa in sè" kantiana).
Non lo è per il semplice motivo che essa, l'idea platonica, è la sostanza essenziale, l'ideale, il modello
unitario che possiamo riscontrare nella molteplicità.
Con ogni evidenza non è questo che Kant intende per "cosa in sè". In essa, nella "cosa in sè", non vi è
nessun richiamo alla "sostanza", al modello, all'ideale (così come pure ai concetti di unità e di molteplicità
intesi in maniera "greca" - in Kant una unità siffatta non è concepita, e la molteplicità è intesa come
molteplicità di interpretazioni).
Se la "cosa in sè" fosse un concetto privo di senso, come tu affermi, il "fenomeno" assumerebbe, come in
Husserl, la connotazione di "essenza". Ma per così dire ancor più a monte, il soggetto diverebbe "creatore",
come di fatto avviene nell'Idealismo.
Tralascio, almeno per il momento, di approfondire sul quanto queste tesi (di Husserl e dell'Idealismo) siano
illogiche, errate, ed anche se vogliamo molto pericolose dal punto di vista morale, in quanto conducono,
dritte, ad una concezione "assolutistica" per cui la mia verità è la verità in sè ("la verità è ciò che dico
io", rifacendomi ad un mio precedente post su una affermazione di U.Eco).
Attenderei, in conclusione, di sentire qualcosa anche sulla "colpa", che tu attribuisci a Kant, di aver
provocato una "frattura inconciliabile" fra scienza e fede (per la qual cosa io ti ho rimandato a San
Francesco - o all'agostinismo in generale, potrei aggiungere).
saluti

Carlo Pierini

#13
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 10:45:59 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 02:42:15 AM
OXDEADBEEF
Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto
primo" che dir si voglia".
Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant.
Voglio dire, che c'entra l'idea platonica?


CARLO
L'idea platonica è "l'oggetto primo", il "primum" assoluto, l'"evento semiotico";  cioè, è il "noumenon". Quindi c'entra!

OXDEADBEEF
La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto
per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile
al trascendente.


CARLO
E' proprio ciò che ho scritto io: la cosa non è associabile al trascendente. E la "cosa in sé" è un concetto privo di senso, perché la conoscenza è la conoscenza della cosa fenomenica, non della "cosa in sé", che non vuol dir nulla.
<<La Terra gira intorno al Sole, e non viceversa>> è un elemento di conoscenza che ha rivoluzionato la cultura umana senza alcuna necessità di ricorrere a puttanate come la "Terra in sé", o il "Sole in sé" o il "girare in sé". E questo vale per TUTTE le altre migliaia e migliaia di cose o fenomeni che sono entrati a far parte della conoscenza. Esso, cioè, è solo un FALSO CONCETTO, utile solo alla ciarlataneria relativista.


...
Non lo è per il semplice motivo che essa, l'idea platonica, è la sostanza essenziale, l'ideale, il modello
unitario che possiamo riscontrare nella molteplicità.



CARLO
Platone non fonde insieme - identificandoli - il modello ideale METAFISICO (il noumeno) e la cosa FISICA di cui il noumeno è "modello celeste". Quindi non è vero che, come scrivi: <<l'idea platonica è ...il modello che possiamo riscontrare nella molteplicità>>

OXDEADBEEF
Con ogni evidenza non è questo che Kant intende per "cosa in sè". In essa, nella "cosa in sè", non vi è nessun richiamo alla "sostanza", al modello, all'ideale (così come pure ai concetti di unità e di molteplicità intesi in maniera "greca" - in Kant una unità siffatta non è concepita, e la molteplicità è intesa come
molteplicità di interpretazioni).

CARLO
Esattamente: la "cosa in sé" non si riferisce né alla "sostanza" della cosa né a qualcosa di conoscibile che possa essere chiamato "essenza" della cosa, ma si riferisce al NULLA, come ogni concetto privo di significato.

OXDEADBEEF
Se la "cosa in sè" fosse un concetto privo di senso, come tu affermi, il "fenomeno" assumerebbe, come in Husserl, la connotazione di "essenza".

CARLO
Non in una prospettiva platonica, secondo la quale l'"essenza" della cosa coinciderebbe con l'idea originaria su cui essa si fonda e la "sostanza" con il fenomeno che la rende manifesta. Cioé: il noumeno come essenza METAFISICA (inosservabile, ma intelligibile),  e il fenomeno come sostanza FISICA (osservabile e intelligibile). In questa prospettiva, per esempio, la formulazione matematica (metafisica) di un fenomeno rappresenta il noumeno (o una sua componente essenziale). Ma non c'è una fusione-identificazione tra il fenomeno e il noumeno, ma solo una corrispondenza biunivoca tra DUE realtà distinte e complementari, proprio come sosteneva Spinoza nel suo motto <<ordo et connexio rerum ac ordo et connexio idearum>> e come ribadiva Leibniz nella sua idea di <<armonia prestabilita>> tra idea e cosa.

OXDEADBEEF
Attenderei, in conclusione, di sentire qualcosa anche sulla "colpa", che tu attribuisci a Kant, di aver
provocato una "frattura inconciliabile" fra scienza e fede (per la qual cosa io ti ho rimandato a San
Francesco - o all'agostinismo in generale, potrei aggiungere).

CARLO
Esistono due forme di agnosticismo: quello ateo-materialista (<<Dio è solo un'idea insostanziale, quindi indimostrabile, quindi inessenziale alla conoscenza>>) e quello teista (<<Dio esiste, ma è inconoscibile, quindi oggetto solo di fede e non di conoscenza>>). Kant è il pilastro principale dell'agnosticismo materialista, mentre Francesco, insieme alla maggior parte dei mistici di ogni religione, è uno dei sostenitori di quello teista. Entrambi contribuiscono alla separazione schizofrenica e all'incomunicabilità tra le due "polarità" della cultura: quella scientifica e quella religiosa.

davintro

Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 10:45:59 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 02:42:15 AMOXDEADBEEF Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto primo" che dir si voglia". Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant. Voglio dire, che c'entra l'idea platonica? CARLO L'idea platonica è "l'oggetto primo", il "primum" assoluto, l'"evento semiotico"; cioè, è il "noumenon". Quindi c'entra! OXDEADBEEF La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile al trascendente. CARLO E' proprio ciò che ho scritto io: la cosa non è associabile al trascendente. E la "cosa in sé" è un concetto privo di senso, perché la conoscenza è la conoscenza della cosa fenomenica, non della "cosa in sé", che non vuol dir nulla. <> è un elemento di conoscenza che ha rivoluzionato la cultura umana senza alcuna necessità di ricorrere a puttanate come la "Terra in sé", o il "Sole in sé" o il "girare in sé". E questo vale per TUTTE le altre migliaia e migliaia di cose o fenomeni che sono entrati a far parte della conoscenza. Esso, cioè, è solo un FALSO CONCETTO, utile solo alla ciarlataneria relativista.
L'idea platonica non è affatto l'oggetto primo della semiotica (o la "cosa in sè" kantiana). Non lo è per il semplice motivo che essa, l'idea platonica, è la sostanza essenziale, l'ideale, il modello unitario che possiamo riscontrare nella molteplicità. Con ogni evidenza non è questo che Kant intende per "cosa in sè". In essa, nella "cosa in sè", non vi è nessun richiamo alla "sostanza", al modello, all'ideale (così come pure ai concetti di unità e di molteplicità intesi in maniera "greca" - in Kant una unità siffatta non è concepita, e la molteplicità è intesa come molteplicità di interpretazioni). Se la "cosa in sè" fosse un concetto privo di senso, come tu affermi, il "fenomeno" assumerebbe, come in Husserl, la connotazione di "essenza". Ma per così dire ancor più a monte, il soggetto diverebbe "creatore", come di fatto avviene nell'Idealismo. Tralascio, almeno per il momento, di approfondire sul quanto queste tesi (di Husserl e dell'Idealismo) siano illogiche, errate, ed anche se vogliamo molto pericolose dal punto di vista morale, in quanto conducono, dritte, ad una concezione "assolutistica" per cui la mia verità è la verità in sè ("la verità è ciò che dico io", rifacendomi ad un mio precedente post su una affermazione di U.Eco). Attenderei, in conclusione, di sentire qualcosa anche sulla "colpa", che tu attribuisci a Kant, di aver provocato una "frattura inconciliabile" fra scienza e fede (per la qual cosa io ti ho rimandato a San Francesco - o all'agostinismo in generale, potrei aggiungere). saluti

uscendo probabilmente per un attimo dal seminato del topic, mi interesserebbe chiarire che secondo me la coincidenza fenomenologica fra essenza e fenomeno non ha a che fare con un idealismo soggettivista per cui la realtà oggettiva diverrebbe una proiezione del pensiero soggettivo, nel quale "la verità per me" finirebbe col coincidere con "la verità in assoluto". Che l'essenza delle cose coincida con il suo darsi come fenomeno a una coscienza non implica che le cose siano un prodotto del pensiero, ma che il loro senso universale, al di là delle particolari determinazioni con cui si esistenziano, può essere colto nel momento in cui non sono più concepiti come "fatti reali", la cui esistenza in un determinato spazio-tempo è solo accidentale, ma come contenuti di un vivere cosciente, che è l'ambito, non nel quale le cose esistono (come sarebbe in un'ottica idealista), ma dove possono essere riconosciute ad un livello pieno di evidenza e necessarietà, facendo leva sul fatto che, mentre i giudizi sull'esistenza delle cose in un'oggettività trascendente possono sempre essere messi in dubbio in base a eventuali disfunzioni delle nostre capacità percettive, l'esperienza cosciente soggettiva delle cose resta un residuo indiscutibile indipendentemente dal fatto che al "fenomeno" nella coscienza coincida una realtà effettivamente esistente nel mondo. Cioè, va distinto il piano metodologico da quello ontologico: metodologicamente la ricerca parte considerando l'evidenza del darsi dei fenomeni a una coscienza che ne fa esperienza, ma all'interno di questa evidenza si cerca di mettere alla luce un modo d'essere degli oggetti correlati agli atti coscienziali che resta tale al di là del fatto che se ne abbia esperienza o meno. Se la preservazione dell'autonomia dell'oggettivo cadesse in questa prospettiva non avrebbe senso il lavoro dell' epochè, nel quale il soggetto mira a eliminare tutta la serie di pregiudizi e filtri legata alla sua condizione storica per lasciare trasparire il senso dei fenomeni. Nella "messa tra parentesi" di tutto ciò che lascerebbe l'esperienza nell'arbitrarietà soggettiva è implicito il rispetto dell'autonomia della realtà, da recepire senza proiezioni soggettive. Il riferimento alla coscienza cioè è strumentale a guadagnare una posizione di oggettività più forte, perché è l'ambito nel quale le cose possono manifestarsi nella loro evidenza, mentre il rischio della proiezione soggettivista c'è fintanto che pretendo di associare il mio vissuto a un'esistenza trascendente. Il fenomeno che coincide con l'essenza non è il vissuto che ingenuamente penso di poter far coincidere con una realtà oggettiva, ma è il senso della cosa che lascio risaltare dopo che autocriticamente riconosco l'arbitrareità dei pregiudizi della visione del mondo dovuti alla finitezza e imperfezione del mio essere soggetto empirico

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