L'Io è presente sin dalla nascita o si sviluppa dopo?

Aperto da Socrate78, 20 Luglio 2023, 09:25:50 AM

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Socrate78

Apro questo thread per discutere su una tematica che ho sempre trovato interessante: la percezione dell'Io individuale è presente sin dalla nascita oppure si sviluppa successivamente? Molti pensatori e anche psicologi hanno affermato che il neonato avrebbe una percezione indifferenziata del mondo, non distinguerebbe insomma l'Io dal Tu: la percezione dell'Io soggettivo si svilupperebbe quindi con le interazioni sociali con il mondo esterno. Ma resta il fatto che, almeno secondo me, si tratta sempre di supposizioni arbitriare: noi non possiamo sapere con assoluta certezza come l'uomo, alla nascita veda il mondo, perché quella percezione non viene più ricordata dalla persona e quindi non può essere recuperata.
Il filosofo Hume sosteneva che l'Io è illusione, perché sarebbe solo un fascio di percezioni che vengono attribuite, falsamente, ad un soggetto immaginario, che è la coscienza individuale.
Inoltre è possibile che le interazioni con il mondo esterno non facciano altro che portare alla consapevolezza quello che già però esiste comunque, cioé l'Io: se l'Io non ci fosse secondo me non emergerebbe mai, nonostante le relazioni del soggetto con il mondo esterno. Quindi ciò mi porta a concludere che in realtà l'Io alla nascita è già presente, solo che il soggetto ne acquisisca consapevolezza successivamente. Voi che cosa pensate a riguardo? 

atomista non pentito

Immagino il neonato come una lavagna ( sofisticata ovviamente) . Su quella lavagna scrive ogni esperienza , dal ruttino al giochino sospeso sulla culla , al mal di pancia , ecc ecc. Penso che un neonato in deprivazione sensoriale totale svilupperebbe molto dopo e parzialmente le potenzialita' dell'io , ma sono mie convinzioni non so se supportabili o meno. Ovviamente la "lavagna" c'e' comunque , sia che qualcosa ci scriva come che no.

anthonyi

L'io é coscienza di sè, chi non è cosciente non ha io, quindi finchè il bambino non ha coscienza , non ha io.

Alberto Knox

c'è sempre un divenire nell essere, di automatico, di già bello che definito, non c'è niente.
Noi siamo ciò che diventiamo e così vale per tutto il resto dell universo. Siamo lavoro, non c'è niente in natura che non sia il risultato di un lavoro.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Ipazia

#4
Il s.n.c. si forma nell'utero materno ed è già predisposto geneticamente a produrre un'autocoscienza. La quale è modulata inizialmente solo su pulsioni fisiologiche, ma  individualizzate fin dai vagiti di richiesta di alimentazione o contatto con un altro corpo umano.

L'uso degli arti, la deambulazione e la ricerca della posizione eretta sono esercizi che implicano una rudimentale autocoscienza e si sviluppano evolutivamente fin dalla nascita insieme allo spettro delle percezioni e manifestazioni sensoriali, inclusa la più antropologica di tutte, la fonazione.

L'autocoscienza è un tutt'uno con l'unità psicosomatica e si sviluppa a prescindere dalla formazione razionale della memoria, come dimostra l'attività onirica in cui persiste la dimensione dell'io e dell'altro, retrodatabile forse fino alla condizione fetale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

davintro

l'Io è innato anche se latente. L'idea sia qualcosa che si sviluppa a posteriori sulla base della serie di stimoli provenienti dal mondo esterno presuppone un'errata concezione dell'Io, visto in termini quantitativi come mera sommatoria di esperienze del mondo che si accumulano progressivamente. Non è così, l'Io ha un proprio specifico oggetto a cui riferire la propria intenzionalità, il Sè, gli atti di coscienza (non a caso si parla di auto-coscienza, coscienza riferita a se stessa), e il riferimento al proprio sé come realtà è un atto specifico, sui generis, rispetto a quelli rivolti a contenuti di esperienza esteriori. In linea teorica si può immaginare un soggetto che fa esperienza di oggetti esteriori come pietre, alberi, senza per questo necessariamente attribuirgli un Io, una coscienza di sé come soggetto dell'esperienza degli alberi, delle pietre ecc. Se io posso immaginare un'esperienza del mondo esterno senza necessariamente essere accompagnata dall'Io, allora se ne deduce che la presenza dell'Io non debba essere fondata su tale esperienza come sua ragion sufficiente. L'esperienza esteriore arricchisce l'io, ma non lo produce dal nulla. Anzi, capovolgendo il discorso, è l'Io che consente all'esperienza del mondo il passaggio dalla mera sensazione, l'insieme degli stimoli fisici che impattano sui nostri organi percettivi, alla percezione in senso proprio, l'inizio dell'intenzionalità vera e propria della coscienza nel rapporto col mondo: percepire una pietra vuol dire immaginare dei lati nascosti rispetto a quello attualmente stimolante i nostri sensi corporei, ciò che consente all'esperienza della pietra di avvertirla non solo come immagine ma oggetto concreto tridimensionale, laddove la sensazione è sempre e solo bidimensionale Per fare questo è necessaria la memoria, cioè il ricordo delle precedenti esperienze delle associazioni in cui il contenuto attuale della sensazione risultava accompagnato dagli altri lati che ora sono in ombra ma che immagino, e la memoria presuppone l'Io: per ricordare, necessito di un Io che ricorda relativamente ai suoi atti passati, cioè un soggetto capace di rapportarsi a se stesso e non solo determinato passivamente da stimoli esterni. In questo senso l'idea kantiana dell'Io penso come presupposto della sintesi delle intuizioni sensibili che consente di organizzare il materiale in delle unità lo reputo un valido spunto (e scrive uno che di solito non è affatto tenero con Kant, in particolare con la sua gnoseologia). Insomma l'Io non va visto come la somma o l'insieme di esperienze esteriori, che si svilupperebbe e ingrandirebbe man mano che queste si accumulano, bensì come lo sfondo originario entro cui ogni contenuto esperito assume un senso, una posizione all'interno di una visione del mondo, cioè in cui passa dall'esser mero contenuto di qualcosa di passivo come la sensazione a qualcosa in cui inizia la vita di coscienza intenzionale, la percezione, in cui l'oggetto acquisisce una prima forma, una prima interpretazione.

L'Io di cui si sta parlando non è quello riflessivo, l'Io che riconosce se stesso in termini espliciti e pienamente consapevoli, che dice di se stesso, linguisticamente, "Io", che si riconosce allo specchio ecc., ma l'Io latente, atto entro cui la coscienza vive se stessa, i propri contenuti, avverte se stesso come soggetto dei propri atti, anche se magari non sa "riempire" questa intuizione originaria di un nome, di un volto. Il bambino può iniziare a dare "Io", a riconoscersi allo specchio (autocoscienza riflessa) molto tempo dopo la nascita, ma quell'atto vago generico di riferimento a stesso è già presente in modo latente sin da primo passaggio dalla sensazione alla percezione, presupponente la continuità temporale delle esperienze entro cui l'Io del presente si connette all'Io del passato. La tesi anti-innatista nasce dalla confusione tra queste due accezioni, si ricava dall'osservazione del comportamento esteriore del bambino segni di un inizio dell'attività dell'autocoscienza successivo alla nascita, quando in realtà, tale premessa epistemologica (osservazione dall'esterno) presuppone in partenza la tesi che si vorrebbe sostenere, la riduzione dell'essere umano ai suoi aspetti superficiali, esteriormente studiabili, entro cui l'autocoscienza riflessa si sviluppa sulla base degli stimoli provenienti dal mondo, ignorando una profondità interiore, che invece è l'implicazione correlata ad ogni innatismo, che è lo spazio presenza latente, pre-linguistica e pre-riflessiva in nuce che gli stimoli esterni "svegliano", sviluppano, portano alla luce, ma non creano.

Ipazia

L'innatismo dimostrabile è il dna dei viventi. Altre teorie sono congetture. È vero però che l'idea della tabula rasa è sbagliata, proprio a causa dei processi biologici già memorizzati nel dna, inclusa l'attività del snc che è la sede organica dell'autocoscienza.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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