L' assurda negazione della Verità

Aperto da bobmax, 22 Febbraio 2024, 13:05:08 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Ipazia

Anche la logica si evolve in base alla strumentazione pratica e teorica (matematica) che va ad aggiungersi agli organi e sensorialità forniti dall'evoluzione naturale.

(Il "mondo" e i "fatti" sono cresciuti dai tempi di LW, ma l'approccio filosofico non ne è stato intaccato in pari grado)

Strumentario che permette sempre più di anteporre la magica "a" al Lethe, nell'unico cammino che io conosca verso la verità.

Lasciando tutto lo spazio che compete all'eterno ritornante ethos e doxa dell'umano, variamente prefissato.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Koba II

La formula tomistica della verità come "adaequatio rei et intellectus" ha un problema teorico importante che gli antichi non potevano vedere, ma che noi siamo costretti ad affrontare.
È il termine "adaequatio" ad essere il problema.
Nel processo della conoscenza io mi faccio varie copie dell'oggetto che voglio conoscere. Poter dire quale delle copie, delle rappresentazioni, sia la più adeguata significa potersi mettere di fronte all'oggetto originale e stabilire un confronto.
Ma, questo è il punto, nel momento stesso in cui io mi pongo di fronte all'originale per iniziare il confronto, mentre osservo l'originale, ecco che ho già costruito una nuova copia.
Non esistendo l'osservazione pura non c'è modo di stabilire quale delle copie di cui dispongo sia la più adeguata.
Eppure la nostra esperienza, i nostri successi nella conoscenza del mondo che ci circonda, sembrano garantirci che tale confronto si può stabilire, eccome!
Bisogna allora capire che io mi pongo di fronte all'oggetto sempre da un punto di vista particolare. Quindi l'adeguatezza, in generale impossibile da stabilire, è, nel concreto, funzione di quel mio interesse di partenza. Se sono interessato a manipolare l'oggetto l'approccio più adeguato sarà quello che ricerca i dati quantitativi e maggiore sarà la precisione delle misurazioni e delle leggi utilizzate, e maggiore sarà l'adeguatezza di questa conoscenza. Ecco perché la fisica di Galileo e Newton è più adeguata di quella aristotelica.
L'adeguatezza maggiore si riferisce agli interessi del soggetto che conosce, non all'oggetto conosciuto. Dal punto di vista della ragione scientifica sarà senz'altro più vera la conoscenza che offrono Newton e Galileo a quella che proponeva Aristotele. Ma non si può dire che tali rappresentazioni siano in generale più vere. Appunto, come dicevo prima, non esiste un punto di vista generale.

Ora però ribaltiamo quello che ho detto sopra.
Le critiche che sono state avanzate, per esempio l'impossibilità dell'osservazione pura, sono state costruite storicamente per colpire la scienza non tanto nel suo normale procedere di accumulazione di nuove conoscenze, ma nel suo porsi come nuova episteme, nuovo sapere incontrovertibile. La scienza cioè nella sua tendenza a presentarsi come metafisica.
Ora, di fatto, queste stesse critiche si sono rovesciate sulla filosofia, sul logos. Logos che però non è ragione strumentale (come lo è la ratio scientifica). Che è piuttosto orientato al tutto. Disinteressato, quindi?
Prendiamo per esempio Platone. Nietzsche vuole vedere nel platonismo una strategia che ha come obiettivo proteggersi dal mondo sensibile, nel mondo intellegibile eterno, immutabile. Ma la soluzione di Platone, le idee eterne, per quanto possa essere ritenuta sbagliata, esprime in realtà la  comune esperienza di universalità del logos. Perché di fatto, quando cerchiamo di fare filosofia, nel nostro piccolo, tutti ci sentiamo distaccati, capaci di uno sguardo magnanimo, diciamo così.

Concludo: è corretto che quel reticolo di argomentazioni critiche nei confronti di metafisica e scienza, le cui ragioni stavano nel liberarsi da teologie invasive e dal predominio della tecnica, si siano rovesciate sulla filosofia?
Mi si dirà: quell'esperienza di universalità del logos è un residuo dell'approccio metafisico che è ancora presente in te.
E se invece non fosse così? Se fosse vero, piuttosto, che di metafisica ci può essere soluzione storica specifica mentre lo sguardo, lo stesso di Anassimandro, Eraclito, etc., ne è immune?

bobmax

#47
Non esiste una "ragione scientifica".
Vi è invece semplicemente l'inoltrarsi nel mondo.
E per inoltrarsi, occorre cercare di comprendere come il mondo funziona.

L'interesse che anima la scienza è semplicemente questo.
Perciò la fisica di Newton descrive meglio il funzionamento della realtà.
Così come la teoria della relatività lo descrive ancor meglio.
Tutto qui.

Non vi è alcun interesse, nella scienza, che il riuscire a comprendere come il mondo funziona.

Keplero era più "vero" di Tolomeo, e Einstein più vero ancora.
Tutto qui.

La scienza non ha alcun interesse a diventare metafisica.
Per la semplice ragione che la scienza si fonda sulla rinuncia alla Verità assoluta!
È stata proprio la rinuncia a possedere la Verità a permettere lo straordinario progresso scientifico.

E il progresso è avvenuto... proprio per la fede nella Verità!

Rinuncia alla Verità, fede nella Verità.
Questi sono i cardini della scienza.

Un autentico scienziato, è tale solo in quanto non pretende di conoscere il Vero e, allo stesso tempo, ha fede nella Verità!

Se non si ha presente questo, non si ha idea di cosa la scienza sia.

Pseudo scienziati che vagheggiano su una ipotetica teoria del tutto, non sono affatto scienziati. Perché inconsapevoli di cosa la scienza sia.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Alberto Knox

Citazione di: Ipazia il 26 Febbraio 2024, 07:13:49 AMAnche la logica si evolve in base alla strumentazione pratica e teorica (matematica) che va ad aggiungersi agli organi e sensorialità forniti dall'evoluzione naturale.
la logica evolvendosi, grazie anche alla strumentazione pratica come i telescopi che ho citato, inventa o scopre una matematica da applicare alla fisica?
Citazione di: Ipazia il 26 Febbraio 2024, 07:13:49 AMStrumentario che permette sempre più di anteporre la magica "a" al Lethe, nell'unico cammino che io conosca verso la verità.
sarà ma l aletheia appare sempre più equivalente al santo grall per i fisici teorici e i filosofi
Citazione di: Ipazia il 26 Febbraio 2024, 07:13:49 AM(Il "mondo" e i "fatti" sono cresciuti dai tempi di LW, ma l'approccio filosofico non ne è stato intaccato in pari grado)
io penso che sia molto profondo anche il secondo  Wittgestein , dove non tratta più il linguaggio in maniera puramente logica e matematica ma per come esso si manifesta nel mondo , ovvero come giochi linguistici. "quello che siamo e quello che facciamo, questo è il linguaggio ed è prettamente un affare pubblico", "i confini del mio linguaggio sono i confini del mio mondo" , "Per poter essere in grado di porre un limite al pensiero, dovremmo trovare entrambi gli estremi del  limite pensabile (cioè dovremmo essere in grado di pensare  quello che non può essere pensato).
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Citazione di: Koba II il 26 Febbraio 2024, 11:22:51 AMLa formula tomistica della verità come "adaequatio rei et intellectus" ha un problema teorico importante che gli antichi non potevano vedere, ma che noi siamo costretti ad affrontare.
È il termine "adaequatio" ad essere il problema.
Nel processo della conoscenza io mi faccio varie copie dell'oggetto che voglio conoscere. Poter dire quale delle copie, delle rappresentazioni, sia la più adeguata significa potersi mettere di fronte all'oggetto originale e stabilire un confronto.
Ma, questo è il punto, nel momento stesso in cui io mi pongo di fronte all'originale per iniziare il confronto, mentre osservo l'originale, ecco che ho già costruito una nuova copia.
mentre osservo l'originale, ecco che ho già costruito una nuova copia. Quello che hai costruito è qualcosa di nuovo che non c'era prima ma che adesso c'è e che noi chiamiamo conoscenza di un oggetto reale.
Quello che qui chiami copia per la fisica teorica viene denominata "modello" e il modello consiste in un lavoro di astrazione , solitamente di natura matematica . Ma invece di cercare adeguazioni si parla di analogie. Diciamo che per ogni volta che si pensa ad una analogia gia esiste nella nostra mente un modello astratto della realta che poi cerchiamo di rappresentare con un modello. Quello che conosciamo è il fenomeno o il modello costruito per rappresentare il fenomeno? e quando diciamo di saper spiegare un fenomeno che cosa spieghiamo? il modello o il fenomeno? dire che il modello rappresenta il fenomeno , quello si che sarebbe metafisica applicata. Perchè non ci sarebbe più nessuna differenza fra il modello e il fenomeno. Itendo dire che bisogna fare una distinzione fra modelli e fenomeni reali perchè i modelli non sono mai perfettamente analoghi o adeguati ai fenomeni.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Ipazia

#50
Citazione di: Koba II il 26 Febbraio 2024, 11:22:51 AMLa formula tomistica della verità come "adaequatio rei et intellectus" ha un problema teorico importante che gli antichi non potevano vedere, ma che noi siamo costretti ad affrontare.
È il termine "adaequatio" ad essere il problema.
Nel processo della conoscenza io mi faccio varie copie dell'oggetto che voglio conoscere. Poter dire quale delle copie, delle rappresentazioni, sia la più adeguata significa potersi mettere di fronte all'oggetto originale e stabilire un confronto.
Ma, questo è il punto, nel momento stesso in cui io mi pongo di fronte all'originale per iniziare il confronto, mentre osservo l'originale, ecco che ho già costruito una nuova copia.
Non esistendo l'osservazione pura non c'è modo di stabilire quale delle copie di cui dispongo sia la più adeguata.
Eppure la nostra esperienza, i nostri successi nella conoscenza del mondo che ci circonda, sembrano garantirci che tale confronto si può stabilire, eccome!
Bisogna allora capire che io mi pongo di fronte all'oggetto sempre da un punto di vista particolare. Quindi l'adeguatezza, in generale impossibile da stabilire, è, nel concreto, funzione di quel mio interesse di partenza. Se sono interessato a manipolare l'oggetto l'approccio più adeguato sarà quello che ricerca i dati quantitativi e maggiore sarà la precisione delle misurazioni e delle leggi utilizzate, e maggiore sarà l'adeguatezza di questa conoscenza. Ecco perché la fisica di Galileo e Newton è più adeguata di quella aristotelica.
L'adeguatezza maggiore si riferisce agli interessi del soggetto che conosce, non all'oggetto conosciuto. Dal punto di vista della ragione scientifica sarà senz'altro più vera la conoscenza che offrono Newton e Galileo a quella che proponeva Aristotele. Ma non si può dire che tali rappresentazioni siano in generale più vere. Appunto, come dicevo prima, non esiste un punto di vista generale.

Questo linguaggio "metafisico" non aiuta a capire l'essenza della questione e mi associo all'obiezione di Knox e alla spiegazione di Bobmax sul senso e modo di procedere della ricerca scientifica. Un po' di esperienza di laboratorio aiuterebbe nelle controversie epistemologiche. La verifica sperimentale di un fenomeno oltrepassa tutti i modelli teorici e resta valida anche nelle repliche aggiornate di quei modelli: quali l'inserimento di una costante o di grandezze aggiuntive nella formula.

CitazioneOra però ribaltiamo quello che ho detto sopra.
Le critiche che sono state avanzate, per esempio l'impossibilità dell'osservazione pura, sono state costruite storicamente per colpire la scienza non tanto nel suo normale procedere di accumulazione di nuove conoscenze, ma nel suo porsi come nuova episteme, nuovo sapere incontrovertibile. La scienza cioè nella sua tendenza a presentarsi come metafisica.

Il trasferimento dell'ontologia nel campo delle scienze naturali le ha rese episteme. Può piacere o non piacere, ma è così, senza con ciò porsi su un piano metafisico eccedente quello della legittima speculazione scientifica, la quale nega l'approccio metafisico nella ricerca, ma pretende riscontri sperimentali.

CitazioneOra, di fatto, queste stesse critiche si sono rovesciate sulla filosofia, sul logos. Logos che però non è ragione strumentale (come lo è la ratio scientifica). Che è piuttosto orientato al tutto. Disinteressato, quindi?
Prendiamo per esempio Platone. Nietzsche vuole vedere nel platonismo una strategia che ha come obiettivo proteggersi dal mondo sensibile, nel mondo intellegibile eterno, immutabile. Ma la soluzione di Platone, le idee eterne, per quanto possa essere ritenuta sbagliata, esprime in realtà la  comune esperienza di universalità del logos. Perché di fatto, quando cerchiamo di fare filosofia, nel nostro piccolo, tutti ci sentiamo distaccati, capaci di uno sguardo magnanimo, diciamo così.

Qui torniamo nel campo metafisico, inclusa la critica sacrosanta al platonismo. Il logos è discorso in generale, ed in quanto tale travalica i confini della ricerca scientifica, fino a pretendere, malinteso dall'idealismo, di essere lui il primo motore immobile di tutto. Il che non è.

CitazioneConcludo: è corretto che quel reticolo di argomentazioni critiche nei confronti di metafisica e scienza, le cui ragioni stavano nel liberarsi da teologie invasive e dal predominio della tecnica, si siano rovesciate sulla filosofia?

Se le premesse sono fallaci può succedere, ma vanno cambiate le premesse non la filosofia

CitazioneMi si dirà: quell'esperienza di universalità del logos è un residuo dell'approccio metafisico che è ancora presente in te.

Certamente. Un logos troppo platonico (neoplatonico, cristianeggiante) e poco eracliteo (Spinoza, Nietzsche)

CitazioneE se invece non fosse così? Se fosse vero, piuttosto, che di metafisica ci può essere soluzione storica specifica mentre lo sguardo, lo stesso di Anassimandro, Eraclito, etc., ne è immune?

??? Spiega meglio: non vorrei illazionare troppo. Propendo sempre per l'immunità degli ionici nel loro sguardo rivolto al mondo esente da orpelli metafisici, ma vorrei capire meglio dove para la tua conclusione.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

#51
Citazione di: Alberto Knox il 26 Febbraio 2024, 15:11:02 PMla logica evolvendosi, grazie anche alla strumentazione pratica come i telescopi che ho citato, inventa o scopre una matematica da applicare alla fisica?

Inventa. Non esiste matematica in natura, con buona pace dei platonici. Esistono ricorrenze costanti, descrivibili in funzioni matematiche. Tutte da inventare per chi ha talento matematico.

Citazionesarà ma l aletheia appare sempre più equivalente al santo grall per i fisici teorici e i filosofi

aletheia significa verità in greco. E' un Santo Graal solo per chi non vuole spartire nulla con le porcate della sedicente "comunità scientifica" e filosofica embedded. Vi si affida solo una minoranza in via di estinzione.

Citazioneio penso che sia molto profondo anche il secondo  Wittgestein , dove non tratta più il linguaggio in maniera puramente logica e matematica ma per come esso si manifesta nel mondo , ovvero come giochi linguistici. "quello che siamo e quello che facciamo, questo è il linguaggio ed è prettamente un affare pubblico", "i confini del mio linguaggio sono i confini del mio mondo" , "Per poter essere in grado di porre un limite al pensiero, dovremmo trovare entrambi gli estremi del  limite pensabile (cioè dovremmo essere in grado di pensare  quello che non può essere pensato).

Il linguaggio di cui si occupa nel Tractatus è quello scientifico, che non può non rispettare l'ultimo aforisma. Le tue citazioni sono incluse nel Tractatus: c'era già arrivato a capire che il pensabile sconfina infinitamente rispetto al dicibile nei limiti della decenza scientifica epistemica.

Per cui non lascia vie di fuga:

7. Wovon man nicht sprechen kann, darüber muss man schweigen.


pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#52
@ Koba II
Discorsi troppo complicati.
Il rasoio di Occam ha fin qui funzionato.
Può la filosofia continuare ad avvitarsi su se stessa ignorandolo?
Ognuno può proporre le sue ipotesi, ma devono mirare alla semplificazione.
Faccio un esempio.
Ipotesi 1:
Il ''fare'' dell'uomo non è cambiato nella sostanza, ma solo nei modi.

Ne segue che la scienza è un modo diverso del fare umano che non ne cambia la sostanza.

Il tuo discorso  sui diversi modelli fra cui scegliere da dove salta fuori?
Non ne capisco la ratio.

Ipotesi 2:
Tutto ciò che và oltre i fatti è metafisica.
Quindi le teorie scientifiche si basano sui fatti, ma non sono fatti, sono quindi metafisica.
Non c'è un solo modo di andare oltre i fatti.
Allora si, qui c'è da scegliere, sottoponendo continuamente a verifica la propria scelta.

Ipotesi 3:
Tutto ciò che l'uomo fà usando coscienza l'ha già fatto senza usarla.

Ne segue che la coscienza non è essenziale al fare, ma è un diverso modo di fare, e la scienza è un fare altamente cosciente.

La fisica di Aristotele non nasce dal nulla.
Aristotele ha messo su carta il senso comune del suo tempo, e questo equivale ad averne preso coscienza.
Non bisogna avere la laurea in senso comune per applicarlo.
Ma prendere coscienza di starlo applicando, mettendolo nero su bianco, significa esporlo a critica.
Perchè tutto ciò che viene portato alla nostra coscienza verrà criticato, e dopo la critica non sarà più la stesso.
Finché non viene portato alla coscienza, equivale di fatto ad una verità, cioè a ciò che non può essere negato.
Lavoro simile ha fatto Euclide con la matematica.
La geometria una volta messa nero su bianco non poteva che essere criticata, da cui le geometrie non euclidee, e giù un ulteriore colpo al senso comune che con quella geometria andava a nozze.
Da quel momento in poi il mondo non è stato più lo stesso, a dimostrazione che il nostro mondo è una costruzione che può essere cambiata.

Ipotesi 4:
I fatti sono il prodotto della nostra interazione con la realtà.

Ma probabilmente non equivalgono a una goccia che cade, ma al solco che scava.
La goccia che cade è la realtà, il solco che scava è il fatto che ne ricaviamo interagendo con essa.

Con la scienza siamo capaci di prevedere e ripetere i fatti, ma la ripetizione, il non essere un evento a tutti gli effetti casuale, sporadico, diventa un fatto.
La ripetibilità dei fatti è già insita nell'essere un fatto, quindi.
Etc...

Infine, la scienza è fatta della stessa sostanza di cui è fatto il senso comune, anche se è nata a partire dalla sua critica, perchè la critica del fare, quando si attiva attraverso la presa di coscienza, modifica il fare nei modi, ma nella sostanza è sempre un fare dell'uomo-

Sembra inevitabile raccontare la storia dell'uomo sottolineandone quelle che sembrano svolte rivoluzionarie, ma il racconto, una volta presane maggior coscienza, dovrebbe essere modificato notandone invece la continuità.



Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#53
Comprendere la fisica moderna significa ridurla a senso comune, ma ciò richiede un eternità durante la quale la ripetizione, banalizzando, rendendo l'agire ovvio ed evidente per confidenza presa, si riduce appunto a senso comune.
Oggi non è più possibile farlo. Non abbiamo il tempo.
Ma ciò non compromette il ''fare'' e questo è ciò che conta.
La scienza è un modo diverso di fare ma nella sostanza non è diversa dal senso comune.
Il Probema è che noi continuiamo ad usare il senso comune, e non è sbagliato farlo, ma dobbiamo accettare che ci siano diversi modi di fare che possono entrare in contraddizione, che però è solo teorica, in quanto di fatto continuiamo a fare quel che dobbiamo, anche in diversi modi.
la nuova scienza, a differenza del senso comune, non produrranno mai più un senso di realtà, l'illusione cioè di una rapporto diretto con la realtà, ma questo rapporto diretto nei fatti non c'è mai stato, appunto, se non come illusione.

La meccanica quantistica collide col senso comune.
Non c'era da aspettarselo col senno di poi?
Come ha detto Niels Bohr, chi dice di aver compreso la meccanica quantistica allora non l'ha capita.
Non ha capito cioè che non c'è niente da capire.
Il problema della filosofia oggi è che continua ad usare il senso comune in modo esclusivo, e in base a quello cerca di spiegare ciò che col senso comune non è spiegabile. e l'ultimo ad averlo potuto fare è stato Aristotele.
Non ho detto ''vecchio senso comune'' perchè rimane unico e dobbiamo tenercelo caro, ma non come si tiene caro un reperto archeologico.
Sarebbe assurdo smettere di usarlo, perdendo il nostro senso di realtà, rinunciando alla realtà come ci appare, solo perchè adesso sappiamo, o dovremmo sapere, che è una costruzione, perchè le teorie fisiche pure lo sono, illusione di realtà.
Non sono la realtà, ma il nostro nuovo modo di interagire con essa, come lo è stato, e può continuare ad essere, il senso comune.
Significa vivere contemporaneamente in mondi diversi, ma non è impossibile da fare, una volta compreso che quei mondi nascono dalla realtà, e quindi non sono gratuiti, ma non perciò sono la realtà.
Quindi non siamo obbligati a scegliere fra un mondo e l'altro, perchè essi, per funzionare, non abbisognano dell'esclusiva.
Unica ed esclusiva rimane solo la realtà.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alberto Knox

Citazione di: iano il 26 Febbraio 2024, 19:49:22 PMCon la scienza siamo capaci di prevedere e ripetere i fatti, ma la ripetizione, il non essere un evento a tutti gli effetti casuale, sporadico, diventa un fatto.
La ripetibilità dei fatti è già insita nell'essere un fatto, quindi.
già qui caschi nel senso comune , fuori da sta logica!
ripeti il fatto che sulla luna ci sono montagne alte piu di 4000 metri.
Non tutti è ripetibile, io non lo sono ad esempio.
Altro senso comune  e ritenere che si diano casi identici.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

green demetr

Citazione di: Ipazia il 25 Febbraio 2024, 06:47:01 AMLa formulazione migliore di verità, ripresa da koba è la tomistica "adaequatio rei et intellectus".

In base a ciò derivano molte conseguenze filosofiche che sanciscono la maggiore veridicità dell'approccio materialista sull'idealista, che persegue il percorso opposto: "adaequatio intellectus et rei".

Superiorità della forma aristotelica sulla forma ideale platonica ( mi spiace green, ma è cosi e rischi di infognarti con un altro, per quanto geniale, cattivo maestro !)

Il materialismo (non "scientista", detto dai classici: "volgare") non nega l'autonomia della dimensione psichica, ma sostituisce all'ideale, ipostatico e autocefalo, l'ideazione, che apporta un suo valore aggiunto alla realtà.

Idea-azione che ben si coniuga con il superamento della (vetero)metafisica nella filosofia della prassi, realizzazione del logos eracliteo sempre in divenire, senza nostalgie noumeniche e nichilistici blocchi, o angosce, per dirla alla green.


Sei tu che ti sei sempre sbagliata cara Ipazia.
Aristotele crede che la verità stia sulla terra.
Ma la terra genera solo mostri.
Uno storicista che non lo sa mi pare molto grave.
Il futuro storicista è colui che illumina le mostruosità del passato per far vedere quelle del moderno.
In questo la filosofia a martello di Nietzche aiuterà le future generazioni, che nel frattempo avranno capito quanto l'eredità di aristotele sia stata tossica.
Ragionare con Platone è molto, molto, molto difficile.
Forse si può capire l'apologia, ma poi come si può sbiellare così crassamente sul critone?
L'intera tradizione filosofia occidentale non ha capito niente. ciaveva ragione il vituperato heidegger.
non l'ontologia (sempre presunta, sempre fantastica) ma la politica (sempre a che fare con l'animale fantastico aristotelico) è il faro del futuro, una volta che l'umanità sarà sull'orlo dell'estinzione.
Che per ora è di carattere "solo" intellettuale.  :D
Vai avanti tu che mi vien da ridere

iano

#56
Citazione di: Alberto Knox il 26 Febbraio 2024, 23:28:05 PMgià qui caschi nel senso comune , fuori da sta logica!
ripeti il fatto che sulla luna ci sono montagne alte piu di 4000 metri.
Non tutti è ripetibile, io non lo sono ad esempio.
Altro senso comune  e ritenere che si diano casi identici.
Non ho compreso bene la tua critica, ma in generale io non detto che non bisogna usare  il senso comune, ma che non bisogna usarlo in modo esclusivo.
Mentre possiamo invece continuare ad usarlo nella vita di tutti i giorni.
Ad esempio, la ''cosa in sè'' che fonda la vecchia filosofia fa anche parte parte del senso comune, ma non si può più fondare su essa la nuova filosofia.
Il problema della filosofia oggi è che considera la vecchia filosofia come attuale, come se il ''nostro mondo'' non fosse cambiato nel frattempo,mltiplicandosi.
Continuiamo a discutere su quali vecchi autori filosofici siano ancora attuali, quando da essi dovremmo solo prendere norma su come si costruisce una filosofia.
Siccome le vecchie filosofie si fondano sul senso comune, gli storici della filosofia dovrebbero considerare una fortuna di possedere ancora quel senso comune.
Diversamente comprendere la storia della filosofia sarebbe per loro un impresa impossibile.
Ecco quindi un altro campo in cui usarlo, oltre alla vitta di tutti i giorni.
Diversamente non si potrà fare altro che rimasticare a vuoto vecchia filosofia.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#57
Comprensibilmente abbiamo ripudiato Aristotele, ma adesso è arrivato il momento di rivalutarlo, non perchè la sua visione del mondo sia ancora attuale, ma perchè è un esempio insuperabile di come si costruisce una filosofia.
Tenendo pur conto che non è facile ripetere l'impresa, al punto che forse non sarà più possibile farlo, perchè non c'è un nuovo senso comune su cui basarla.
Su cosa dovremmo basarla allora?
Forse non troveremo la risposta, ma l'importante è uscire dall'illusione che rimasticare vecchia filosofia a vuoto significhi far filosofia. Bisogna continuare a farlo , ma significa fare storia della filosofia, e l'unica cosa che possiamo spremere da questa storia è come si fà filosofia, per capire se allo stesso modo si possa continuare a fare.
Ma avere il forte dubbio che ciò sia ancora possibile farla dovrebbe essere parte del nostro nuovo senso comune ancora da costruire.
Non cè dubbio per me comunque che fare filosofia sia ancora una irrinunciabile necessità, ma più che creare una nuova metafisica penso che dovremmo comprendere meglio come essa abbia agito sotto le false spoglie della fisica.
In tal senso ho suggerito che le leggi della fisica siano già da considerare una metafisica mascherata da fisica.
La fisica in senso stretto sono i fatti, e magari scavando sulla loro origine chissà quanta altra metafisica sepolta dentro al nostro senso comune salterà fuori.
Intanto il lavoro del filosofo oggi potrebbe essere simile a quello di un archeologo, che trovandosi di fronte alle piramidi del pensiero dovrebbe chiedersi non se sono attuali, ma come sia stato possibile costruirle.
Rispetto agli egittologi esso comunque ha un vantaggio che gli egittologi non hanno: il senso comune dei vecchi egiziani non è da ricostruire, perchè è in lui ancora attuale.
Una bella fortuna tutto sommato.

In generale la mia impressione è che il confine fra fisica e metafisica sia da ridefinire e non  cosa facile, perchè non è così preciso come ci è piaciuto pensare, al punto tale che ci è parso possibile poterci schierare da una parte o dall'altra del confine.
In tal senso sarebbe arrivato il momento di considerare il materialismo e l'idealismo come reperti archeologici di inestimabile valore il cui studio ci dirà molto su chi eravamo e che ancora ci illudiamo di essere, idealisti o materialisti, per una malintesa fedeltà a un partito preso.

Siamo ancora qui a parlare di verità come cosa attuale.
Questo si che è assurdo.
Essa fa parte di un senso comune ancora attuale era tenersi stretto. è vero, ma altri mondi ad esso si sono affiancati nel frattempo, fra i quali non esiste la stretta necessità di fare una scelta esclusiva nella misura in cui ciò non compromette il ''nostro fare''.
La realtà è una , ma non è unico il modo di rapportarsi ad essa.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#58
La realtà è una , ma non è unico il modo di rapportarsi ad essa.
E' arrivato il momento di chiedersi se vale la pena ancora di cercare di fare una scelta esclusiva fra questi diversi modi, dividendo l'umanità, o convivere con questi diversi modi, facendoli tutti propri, preservando la nostra unità.
Chiediamoci se vale ancora la pena insistere in modo così ossessivo nella ricerca della verità, che non può che essere divisa,  essendo unica, o se volgiamo invece preservare la nostra unità.
Vale la pena continuare a insistere in ciò, sopratutto avendo preso ormai coscienza del risultato di questa ricerca, che altro non è che il seguente:
''Chi non è con me è contro di me''.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Koba II

La formula tomistica descrive la verità come adeguamento dell'intelletto alla realtà.
Il soggetto conoscente per conoscere l'oggetto si costruisce delle immagini mentali, delle rappresentazioni.
Ipotizziamo che se ne costruisca tre, diverse.
Come può decidere quale sia quella più vera, cioè quella più adeguata all'oggetto reale?
Per poterlo fare dovrebbe potersi porre di fronte all'oggetto secondo un punto di vista neutro.
Ma questo non è possibile. Non esiste un punto di vista neutro, non esiste l'osservazione pura.
Per esempio se volessimo conoscere la tazza che sta sul tavolo di fronte a noi, cioè se dopo averla riconosciuta come tazza volessimo apprendere i dettagli della sua particolarità, averne quindi una conoscenza più approfondita, e facessimo tre descrizioni, cambiando posizione, distanza, momento della giornata etc., alla fine potremmo chiederci quale delle tre è la più adeguata.
Per deciderlo dovremmo quindi porci di fronte alla tazza, quindi con la tazza da una parte e le tre rappresentazioni dall'altra, e confrontare ciascuna delle tre con l'oggetto.
Ma perché questa posizione dovrebbe essere neutra? Quella da cui stabilire il confronto decisivo con l'oggetto?
In realtà questa posizione non è altro che un ulteriore punto di vista possibile, il quarto punto di vista, che produce la quarta rappresentazione.

La formula tomistica presuppone cioè uno sguardo panoramico, metafisico, la possibilità di porsi di fronte all'oggetto come farebbe dio.

Quello che ho descritto è il problema teorico di cui parlavo nel precedente post.
Dopodiché proponevo di guardare al fatto che ogni nostro punto di vista, quando ci poniamo di fronte all'oggetto da conoscere, è ineluttabilmente interessato.
L'adeguatezza sarebbe così legata allo specifico interesse del soggetto conoscitivo, il quale si ricollega a tradizioni etc.
Infine riprendevo alcune aspirazioni (probabilmente illusorie) del tipo di quelle proposte dalla fenomenologia.

Discussioni simili (5)