L'origine della socialità umana.

Aperto da Socrate78, 06 Gennaio 2019, 13:51:44 PM

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Socrate78

Il thread che intendo aprire riguarda una mia riflessione sull'origine della socialità dell'uomo, della sua attitudine a stare in genere con gli altri piuttosto che in disparte. Il concetto di socialità è già presente nella filosofia antica greca, infatti Aristotele riteneva l'uomo un animale "sociale" (usava anche il termine "politico") e tale definizione è stata poi ripresa, forse anche in modo piuttosto dogmatico, da molti altri pensatori. Ora, io tuttavia mi chiedo quale sia davvero l'origine della socialità e soprattutto se si possa veramente parlare di vera ed innata attitudine sociale o di qualcos'altro. E' evidente che i primi esseri umani vivevano in un contesto ambientale ostile: erano soggetti a cambiamenti climatici imponenti, minacciati dalle belve feroci, da tribù nemiche e non avevano la certezza che le risorse, il cibo che con fatica erano riusciti a procacciare, durasse anche il giorno dopo. In un contesto del genere, quindi, ecco che si fa strada l'idea che senza gli altri sia praticamente impossibile vivere: un ipotetico misantropo nell'epoca della preistoria assai difficilmente avrebbe visto l'età adulta, scegliere la solitudine significava di fatto scegliere la morte. La socialità, quindi, non si rivela qualcosa di innato e di connaturato all'uomo, ma di strumentale, di imposto dalle circostanze e dalle gravi limitazioni dell'ambiente: più che di vera socialità si può parlare di convenienza a stare in gruppo, di interesse e di calcolo, ci si serve degli altri ma non è affetto detto che si provi simpatia e affetto istintivi per i propri simili di cui si ha bisogno. Se, per pura ipotesi, le condizioni in cui i primi uomini si fossero trovati a vivere fossero state molto migliori e semplici, con facilità a trovare le risorse e mancanza di pericoli, molto probabilmente anche i contatti sarebbero stati più sporadici, selezionati, e quindi l'essere umano sarebbe stato ben meno sociale. La vera socialità si può invece rintracciare semmai in insetti come le api, che sembrano davvero programmati dalla natura per stare in gruppo a prescindere da qualsiasi circostanza.
E' giusto secondo voi considerare la socialità umana come qualcosa di strumentale oppure effettivamente vi è anche un'attitudine innata?


Ipazia

Gli animali evolutivamente più prossimi all'animale umano sono animali sociali che vivono in branco. La condizione di mammiferi con cure parentali prolungate rafforza la necessità della vita in branco per proteggere la prole e garantire la sopravvivenza della specie. Tutto spiegabile in maniera evoluzionistica  e genetica naturali.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

InVerno

Non penso siano le "gravi condizioni dell'ambiente" a rendere strumentale la socialità, anche in condizioni idilliache se si lavora a contatto con la natura e con pochi o pochissimi artifici tecnici, si ci rende conto all'istante di come quattro mani riescano a svolgere molto meglio anche la più semplice delle mansioni, a tal punto che l'idea di fare la stessa mansione da soli è "controintuitiva". Sono più convinto come dice Ipazia che le gravi condizioni a cui la socialità fa fronte siano altre (per esempio la gestazione), ovvero elementi della vita umana in se, più di quanto lo sia l'interazione con un ambiente favorevole o meno. In fondo la socialità organizzata si è sviluppata prima proprio dove le condizioni dell'ambiente erano più favorevoli e allo stesso tempo ha avuto un drastico mutamento negativo quando le condizioni sono gravemente peggiorate (esempio glaciazione).
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

0xdeadbeef

Ciao Socrate78
Mi chiedo perchè cercare sempre queste contrapposizioni dicotomiche...
Siamo sempre al medesimo punto: natura o cultura? Ma perchè non entrambe, dico io...
Se persino gli animali cambiano con il cambiare delle condizioni ambientali, figuriamoci gli uomini.
saluti

everlost

Citazione di: InVerno il 06 Gennaio 2019, 16:28:24 PM
Non penso siano le "gravi condizioni dell'ambiente" a rendere strumentale la socialità, anche in condizioni idilliache se si lavora a contatto con la natura e con pochi o pochissimi artifici tecnici, si ci rende conto all'istante di come quattro mani riescano a svolgere molto meglio anche la più semplice delle mansioni, a tal punto che l'idea di fare la stessa mansione da soli è "controintuitiva". Sono più convinto come dice Ipazia che le gravi condizioni a cui la socialità fa fronte siano altre (per esempio la gestazione), ovvero elementi della vita umana in se, più di quanto lo sia l'interazione con un ambiente favorevole o meno. In fondo la socialità organizzata si è sviluppata prima proprio dove le condizioni dell'ambiente erano più favorevoli e allo stesso tempo ha avuto un drastico mutamento negativo quando le condizioni sono gravemente peggiorate (esempio glaciazione).
Avevo letto che le condizioni ambientali estreme rendono le persone più collaborative e socievoli, e viceversa.
Nei climi miti e in ambienti favorevoli dove il cibo abbonda, secondo questa interpretazione gli uomini sarebbero meno altruisti e meno disposti alla condivisione. 
Sembra sorprendente, invece pensandoci ha una sua logica: se ti puoi procurare il cibo con poco sforzo, se non rischi di morire congelato o assetato e rispettivamente lo stesso vale per me, perché dovrei perdere tempo a considerare le tue necessità? Dunque cavatela da solo così come faccio io.
Una prova di questo forse la si può trovare osservando la trasformazione delle piccole città italiane nell'ultimo secolo: da comunità coese a luoghi disgregati dove la socialità si riscopre solo a messa, la domenica e nei giorni di festa (se va bene). Forse perché appunto, grazie alle pensioni sociali e al fatto che ormai quasi tutti ormai vivono in case di proprietà, si dipende meno dagli altri. 
Comunque è rimasto identico l'antico bisogno di ascoltare discorsi, canzoni, vedere luoghi e volti. Suppliscono la televisione, internet e i social.

Socrate78

Sì, ma non è detto che chi preferisce la solitudine rispetto alla socialità debba essere per forza considerato "peggiore" rispetto a chi sente un forte bisogno di aggregazione e sta male da solo. In effetti la socialità se è motivata dal bisogno non è altro che interesse, convenienza, quindi il suo valore morale si perde, diventa di fatto un "usare" l'altro per il proprio tornaconto.

InVerno

Citazione di: everlost il 08 Gennaio 2019, 00:34:04 AMAvevo letto che le condizioni ambientali estreme rendono le persone più collaborative e socievoli, e viceversa.
Nei climi miti e in ambienti favorevoli dove il cibo abbonda, secondo questa interpretazione gli uomini sarebbero meno altruisti e meno disposti alla condivisione.
La relazione tra uomo e ambiente è fatta penso di tanti strati diversi con diverse letture, per esempio io potrei notare che il culto della "privacy" (che è una forma di antisocialità regolata) è tutto di origine nordica, cosi come le idee riguardanti la responsabilità individuale e la sua "salvezza". Chi vive nelle zone temperate (che sono in assoluto l'ambiente più favorevole alla vita umana) invece vive una socialità spesso più aperta, "finestra contro finestra" , e dove resistono forme di collettivismo e l'idea di benessere è ancora più importante del prodotto dell'individuo. L'origine della socialità organizzata (società) è intorno ai quattro grandi gruppi fluviali, zone di estrema ricchezza biologica, non vicino al circolo polare artico... Questi sono pochi esempi che si possono fare della tesi opposta, proprio perchè come dice oxdeadbeef vedere questo aspetto attraverso un binomio non le fa giustizia.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Sariputra

Gli esseri umani corrono senza posa di qua e di là, come se avessero il fuoco sotto al sedere; tutti in cerca di qualcosa che non si trova. Credo si tratti fondamentalmente di paura: la paura di stare soli e dover così affrontare se stessi. Questa paura è chiamata anche socialità...Si sta insieme per paura, paura di essere soli.
Personalmente invece ho spesso paura della folla, in special modo quando ci sono troppi volti da osservare, troppe voci da rincorrere in spazi troppo angusti...quando l'eccessivo brusio ti pesa "come un coperchio" sull'anima... 

La solitudine è come una lente d'ingrandimento: se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male stai malissimo.
(Giacomo Leopardi)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Ipazia

#8
Anche in Leopardi, seppur per lo più in negativo, si scopre come, a differenza di quanto sostenuto da lady Macbeth Thatcher, non esistono gli individui, esiste solo la società. E gli specifici individui, il loro pensiero, ne sono il risultato quasi speculare.

P.S. Leopardi era un nobile e poteva contemplare l'infinito in perfetta e armonica solitudine dal cortile di un palazzo principesco. Anche in seguito la sua vita raminga fu comunque garantita da una piccola rendita nobiliare. Per cui riscriverei, declinandola irriverentemente (di cui mi scuso col poeta) sul sociale, quella bellissima e psicologicamente acuta frase finale così:

La solitudine è come una lente d'ingrandimento sociale: se sei solo e sei ricco stai benissimo, se sei solo e sei povero stai malissimo.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

mtt94

Mera questione evoluzionistica; la socialità permette all'essere umano di portare avanti la specie in modo ottimale e funzionale. Il nostro corpo ha delle funzioni psicofisiologiche che non possono prescindere dalla socialità come il linguaggio, comunicazione non verbale, empatia, feedback dell'altro. L'individuo si sviluppa nel sè, e poi si completa socializzando con l'altro.

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