L'origine della diseguaglianza

Aperto da InVerno, 25 Settembre 2018, 08:20:08 AM

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sgiombo

Citazione di: anthonyi il 25 Dicembre 2018, 19:19:17 PM
Citazione di: sgiombo il 25 Dicembre 2018, 18:42:33 PM




Da allora la storia umana é iniziata come "ramo peculiare" della storia naturale ed é proseguita sostanzialmente come storia di lotte di classe.

Ciao sgiombo, capisco le tue pulsioni ideologiche ma non ti sembra di esagerare? Le società si strutturano in classi, ma ordinariamente le classi hanno funzioni specifiche che svolgono in equilibrio con le altre classi. A volte è vero che l'equilibrio si rompe, ma anche in questo caso certi rapporti funzionali vengono mantenuti. In particolare ogni società ha bisogno di classi dirigenti, per cui anche se il popolo vuol fare la rivoluzione, la farà guidato da coloro che poi diventeranno classe dirigente, e se non saranno in grado di esserlo allora povero quel popolo.
La gran parte dei conflitti che nascono nelle società non sono inquadrabili in una lotta di classe, ma sono legati a quello che accade all'interno delle stesse classi dirigenti, o al tentativo di chi tenta di diventare classe dirigente, e magari per diventarlo si inventa la lotta di classe.

Il fatto é che secondo me, pur dandosi anche conflitti e contraddizioni non di classe, sono quelle classiste a determinare in sostanza l' evoluzione (e le rivoluzioni)  storica dell' umanità.

Secondo il materialismo storico, nelle fasi di "sviluppo ordinario" effettivamente le classi hanno funzioni specifiche che svolgono in sostanziale  equilibrio (comunque innegabilmente conflittuale: basta guardarsi intorno per accorgersene) con le altre classi.

Quando gli equilibri si rompono irrimediabilmente vengono ricomposti -in generale- in termini diversi (altrimenti non si sarebbero rotti irrimediabilmente).
Ma nulla vieta a priori, in particolare dopo la rivoluzione industriale e lo sviluppo del capitalismo,  che si ricompongano nel superamento della proprietà privata e della divisione della società in classi antagonistiche (certo, come per ogni e qualsiasi altra conquista umana, sociale e solitamente anche individuale, bisogna pagare dei prezzi; in generale e salvo errori od omissioni ben diversi per oppressi e oppressori!).
O meglio: potrebbe vietarlo il compimento dell' irreversibile deterioramento della condizioni fisico - chimiche biologiche della sopravvivenza umana cui sta portando il capitalismo (anche per la tendenza di molti, di fronte a questo problema enorme, agli scenari apocalittici che prepara, a mettere la testa sotto la terra come gli struzzi, anziché rimboccarsi le maniche e disporsi ad affrontare i necessari grossi sacrifici, anche per i non possidenti, anche per i non superprivilegiati).


P.S.: più che "pulsioni ideologiche" direi di avere convinzioni teoriche (più o meno fondate, discutibilissime, ovviamente).

Ipazia

Citazione di: anthonyi il 25 Dicembre 2018, 19:19:17 PM
La gran parte dei conflitti che nascono nelle società non sono inquadrabili in una lotta di classe, ma sono legati a quello che accade all'interno delle stesse classi dirigenti, o al tentativo di chi tenta di diventare classe dirigente, e magari per diventarlo si inventa la lotta di classe.

I conflitti epocali, che hanno cambiato la storia, sono legati a lotte di classe. La globalizzazione è la risposta di classe alle lotte operaie degli anni 70 che avevano ridistribuito i profitti a vantaggio delle classi subalterne. L'attacco al welfare state (privatizzazioni) e la distruzione delle garanzie del posto di lavoro sono atti espliciti di lotta di classe. Così come il movimento dei gilet gialli in Francia. Che all'interno della borghesia dominante si scatenino lotte intestine per arraffare il più possibile del malloppo è altrettanto vero. Oggi a vincere è la borghesia finanziaria. Sempre in pole position la produzione bellica. Arrembante la IT (Information Technology). Ultima sacca di bene comune bilionario da espropriare: sanità e previdenza, laddove non siano ancora state privatizzate: lotta di classe al calor bianco.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 25 Dicembre 2018, 18:32:07 PM
I diritti fondamentali non sono arbitrari perchè non sono negoziabili in quanto la loro alienazione comporta un danno irreversibile per l'individuo.
Intendi i bisogni primari? Se la risposta è «no», tale irreversibilità appartiene alla sfera del naturale oppure a quella sociale-culturale (quindi è inserita nelle convenzioni sociali che diamo ormai per inalienabili, ma restano, stando alla storia, convenzioni arbitrarie)?

Citazione di: Ipazia il 25 Dicembre 2018, 18:32:07 PM
In natura il branco difende e fornisce risorse di sopravvivenza ai suoi componenti e ai suoi piccoli indifesi. Si chiama diritto naturale
Credo si chiami piuttosto «istinto» (quasi il contrario del diritto); l'esemplare di lupo adulto non disserta su questioni di diritto, prima di agire in branco, così come la lupa non allatta i figli perché ritiene fermamente sia loro diritto essere nutriti. «Diritto naturale» è per me un ossimoro, che confonde biologia e cultura (antropomorfizzare le dinamiche naturali è sempre un gesto interpretativo, un ulteriore passo indietro dalla presunta "oggettività").

Citazione di: Ipazia il 25 Dicembre 2018, 18:49:23 PM
Le diseguaglianze derivanti da scelte personali non sono di tipo oppressivo. Ma quelle derivanti da diseguaglianza dei fatidici blocchi di partenza sono sempre inique.
L'iniquità dipende dai «blocchi di partenza» della propria interpretazione del mondo (e ammetto di essere un po' allergico ai «sempre»  ;) ). Personalmente, mi limito al «no, grazie» allo scenario che l'abbandono di tale "iniquità" mi suggerisce («oppressione congiunta fra un totalitarismo già visto e una distopica neuroprogrammazione di massa»... spero comunque di sbagliarmi).

P.s.
Nessuna idiosincrasia verso il diritto (anzi, per fortuna che c'è!), tuttavia non me la sento di ossequiarlo fino a spacciarlo per «naturale»; accettare che non venga né dai numi né dalla natura, ma semplicemente da altri uomini, non mi imbarazza affatto.

Jacopus

Phil. La relazione fra diritto naturale e diritto positivo non è così semplice. Accettare che venga da altri uomini è il primo passo, ma se gli altri uomini che possono fare le leggi, fanno leggi oppressive e disumane? Si può continuare ad applicarle? E se vengono disattese sulla base di quale principio possono essere disattese? Per questo motivo il diritto dovrà sempre fare i conti con una istanza esterna ad esso, diritto naturale o opinione pubblica o Grundnorm, o fondamenti costituzionali, o lineamenti filosofici o etico-religiosi o quant'altro. Per quanto questa relazione possa essere problematica e incerta, essa sola permette di non considerare il diritto positivo come sempre valido. Ovviamente senza fare l'errore contrario, e cioè credere in un diritto naturale, o meglio nella interpretazione di comodo del diritto naturale da parte di chi detiene il potere, come accaduto nel secolo scorso con i vari totalitarismi, che alternavano a proprio vantaggio, lo sviluppo del diritto positivo o del diritto naturale, variamente declinato come Volksrecht o diritto popolare.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Phil

Citazione di: Jacopus il 25 Dicembre 2018, 23:09:28 PM
se gli altri uomini che possono fare le leggi, fanno leggi oppressive e disumane? Si può continuare ad applicarle?
Qui la mia opinione non conta; la storia insegna e dice di sì (fermo restando che si parla del «si può», non del «si deve»).

Citazione di: Jacopus il 25 Dicembre 2018, 23:09:28 PM
E se vengono disattese sulla base di quale principio possono essere disattese?
Sulla base di altri principi (giuridici o morali) e il fatto stesso che esistano altri principi, persino contraddittori ai principi che contrastano, dimostra l'arbitrarietà dei principi del diritto (a differenza di quelli della natura, né contraddittori né arbitrari).

Citazione di: Jacopus il 25 Dicembre 2018, 23:09:28 PM
Per questo motivo il diritto dovrà sempre fare i conti con una istanza esterna ad esso, diritto naturale o opinione pubblica o Grundnorm, o fondamenti costituzionali, o lineamenti filosofici o etico-religiosi o quant'altro.
Certo, e tale istanza esterna si è dimostrata storicamente mutevole, culturale, relativa... in una parola «arbitraria» (se fosse istanza assoluta, non essendo naturale, dovremmo riappellarci alla legge divina; tutta da dimostrare o, nel "migliore" dei casi, da interpretare e attualizzare... e, come la teologia vaticana dimostra, non è sempre impresa facile  ;) ).

InVerno

Citazione di: sgiombo il 25 Dicembre 2018, 18:42:33 PM
Secondo me (e come già evidenziato da Ipazia e da altri) il punto di partenza della diseguaglianza sociale (non ineluttabile e non necessariamente oppressiva, almeno in ultima analisi, in linea puramente teorica, di principio; cioè considerando la cosa molto astrattamente, prescindendo da tanti aspetti particolari e concreti della realtà) si identifica con il punto di passaggio dalla storia naturale alla storia umana, dalla natura alla cultura (o meglio: piuttosto che di "passaggio da a" si dovrebbe parlare di "sviluppo nell' ambito di", posto che la cultura in nessun modo può prescindere dalla natura, ignorarne o men che meno violarne le modalità del divenire ordinato secondo leggi universali e costanti; id est -non riesco a evitare di sottolinearlo- il determinismo).
Se cosi fosse, non ineluttabile, come spieghi le gerarchie del mondo animale? La diseguaglianza non pare proprio un elemento esclusivamente antropico, essa è presente anche  in natura non solamente tra i famosi animali sociali dove comunque è prominente? I ratti non sono animali prettamente sociali, eppure diversi studi di laboratorio hanno dimostrato come essi riescano a stabilire relazioni gerarchiche e come siano capaci di comportamenti "etici" all'interno di esse. Per esempio se un ratto molto grande e un ratto molto piccolo cominciano a giocare, il ratto grande avrà la meglio nel gioco, e il piccolo ad un certo punto stufo di perdere smetterà di giocare. Allora il ratto più grande incomincia a perdere di proposito pur di invogliare al gioco il piccolo, cioè agisce in termini di "riequilibrio gerarchico", facendo sano "populismo tra ratti". Purtuttavia le gerarchie e la "diseguaglianza" è visibile anche in animali ancora più lontani da noi, come i crostacei, rendendo difficile isolarla anche al solo mondo dei mammiferi. Se c'è qualcosa qui che è un artifizio antropico è l'eguaglianza, non la diseguaglianza gerarchica, essendo che è impossibile individuarla nel mondo animale.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

sgiombo

#81
Citazione di: InVerno il 26 Dicembre 2018, 08:49:47 AM
Citazione di: sgiombo il 25 Dicembre 2018, 18:42:33 PM
Secondo me (e come già evidenziato da Ipazia e da altri) il punto di partenza della diseguaglianza sociale (non ineluttabile e non necessariamente oppressiva, almeno in ultima analisi, in linea puramente teorica, di principio; cioè considerando la cosa molto astrattamente, prescindendo da tanti aspetti particolari e concreti della realtà) si identifica con il punto di passaggio dalla storia naturale alla storia umana, dalla natura alla cultura (o meglio: piuttosto che di "passaggio da a" si dovrebbe parlare di "sviluppo nell' ambito di", posto che la cultura in nessun modo può prescindere dalla natura, ignorarne o men che meno violarne le modalità del divenire ordinato secondo leggi universali e costanti; id est -non riesco a evitare di sottolinearlo- il determinismo).
Se cosi fosse, non ineluttabile, come spieghi le gerarchie del mondo animale? La diseguaglianza non pare proprio un elemento esclusivamente antropico, essa è presente anche  in natura non solamente tra i famosi animali sociali dove comunque è prominente? I ratti non sono animali prettamente sociali, eppure diversi studi di laboratorio hanno dimostrato come essi riescano a stabilire relazioni gerarchiche e come siano capaci di comportamenti "etici" all'interno di esse. Per esempio se un ratto molto grande e un ratto molto piccolo cominciano a giocare, il ratto grande avrà la meglio nel gioco, e il piccolo ad un certo punto stufo di perdere smetterà di giocare. Allora il ratto più grande incomincia a perdere di proposito pur di invogliare al gioco il piccolo, cioè agisce in termini di "riequilibrio gerarchico", facendo sano "populismo tra ratti". Purtuttavia le gerarchie e la "diseguaglianza" è visibile anche in animali ancora più lontani da noi, come i crostacei, rendendo difficile isolarla anche al solo mondo dei mammiferi. Se c'è qualcosa qui che è un artifizio antropico è l'eguaglianza, non la diseguaglianza gerarchica, essendo che è impossibile individuarla nel mondo animale.

Ma tutte queste disuguaglianze naturali si realizzano "a posteriori" a partire da "blocchi di partenza equamente allineati".

Il ratto più forte non nasce dominante a priori, non eredita questa funzione nel branco dal padre o dalla ben più certa madre, ma se la conquista a posteriori confrontandosi "lealmente", "secondo regole eque", e non "in una corsa ad handicap" (per nessuno) con gli altri ratti meno forti.
Che poi possa gestire "più o meno populisticamente (metafora per metafora, preferirei dire "democraticamente") il suo ruolo doi dominate conquistato "partendo da blocchi equi, bene allineati". mi sembra un altro discorso.
Non mi sembra che nessuno in questa discussione abbia negato le diseguaglianze in natura, ma casomai le diseguaglianze "da privilegi a priori", ovvero "nei blocchi di partenza".

MI sembra una ben misera deformazione caricaturale e fraintendimento innaturalistico dell' uguaglianza sociale (e in particolare del' uguaglianza nel socialismo e nel comunismo) identificarla, anziché con lo stato in cui la realizzazione umana di ciascuno é la condizione della realizzazione umana degli altri, un una ridicola uniformità conformistica.

Ipazia

Il relativismo etico pone sullo stesso piano il codice della strada con il fatto che senza cibo si muore. In ciò dimostra la sua incapacità di leggere, in nome della gerarchia naturalistica, la gerarchia dei valori imposti dalla dura lex naturale. Incapacità che non ritengo dovuta a carenze intellettuali, ma alla scelta ideologica di omologazione sociale propria di una koinè inumanizzante fondata sull'accumulazione capitalistica. Anche una razza di cannibali capisce la differenza tra alcuni diritti fondamentali inalienabili e le sue convenzioni. Il capitalismo, no, proprio perchè è inumano e deve rendere tutto convenzionale, anche la vita umana. Soprattutto la vita umana, perchè la sua non calcolabilità negherebbe alla radice l'universalismo valoriale preteso da, e necessario a, l'"etica" capitalistica. Questa sì totalmente arbitraria e convenzionale.

L'assoluto antropologico si regge sulla non calcolabilità del valore della vita umana. Su questo assoluto si fonda un'etica non relativistica che è totalmente immanente, umana, laica. A priori di ogni metafisica celeste. Cui toglie ogni dubbio metafisico convenzionalistico, arbitrario, il fatto oggettivo della morte individuale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 26 Dicembre 2018, 09:54:44 AM
Il relativismo etico pone sullo stesso piano il codice della strada con il fatto che senza cibo si muore. In ciò dimostra la sua incapacità di leggere, in nome della gerarchia naturalistica, la gerarchia dei valori imposti dalla dura lex naturale. Incapacità che non ritengo dovuta a carenze intellettuali, ma alla scelta ideologica di omologazione sociale propria di una koinè inumanizzante fondata sull'accumulazione capitalistica. Anche una razza di cannibali capisce la differenza tra alcuni diritti fondamentali inalienabili e le sue convenzioni. Il capitalismo, no, proprio perchè è inumano e deve rendere tutto convenzionale, anche la vita umana. Soprattutto la vita umana, perchè la sua non calcolabilità negherebbe alla radice l'universalismo valoriale preteso da, e necessario a, l'"etica" capitalistica. Questa sì totalmente arbitraria e convenzionale.

L'assoluto antropologico si regge sulla non calcolabilità del valore della vita umana. Su questo assoluto si fonda un'etica non relativistica che è totalmente immanente, umana, laica. A priori di ogni metafisica celeste. Cui toglie ogni dubbio metafisico convenzionalistico, arbitrario, il fatto oggettivo della morte individuale.


Piccola richiesta di chiarimenti (nel convinto accordo da parte mia ...di essere un rompiballe lo sapevo già).

"A priori" o "a prescindere" da ogni metafisica celeste (a me sembrerebbe un lapsus calami; o meglio "tastierae")?

Soprattutto non capisco la considerazione finale sulla morte (individuale, credo, rispetto al sopravvivervi della società umana) che supera ogni possibile dubbio metafisico convenzionalistico arbitrario circa l' etica umana).

Scocciatura più, scocciatura meno (comunque non per far dispetto a una "radicalfighetta", quale mai ti ho considerato), da che ci sono ti chiederei:
per sentito dire, da deliberato ignorante in materia, mi sembrerebbe che Nietzche neghi l' esistenza di qualsiasi etica immanente, (universalisticamente) umana, laica (mi sembra che distingua fra una in qualche modo "superiore" etica dei "signori", prepotenti, oppressori, privilegiati e una in qualche modo "inferiore" etica delle da lui disprezzatissime "plebi" biologicamente inferiori, giustamente e meritatamente sfruttate e oppresse (ma non vorrei avere sparato delle grosse cazzate).
Se é così, mi pare che almeno in questo tu non segua affatto il Friederich.2, ma ne sia anzi agli antipodi.

Grazie per l' attenzione e le auspicate spiegazioni.

Sariputra

Che relativismo etico e capitalismo vadano a braccetto mi sembra un a cosa ovvia, evidente ( se non si ha il famoso salame sugli occhi...). Infatti le società in cui il relativismo etico è dominante sono quelle a capitalismo più avanzato (direi più "sfrenato"...). Il benessere materiale consumistico ha bisogno di una dose via via maggiore di relativismo etico, ma mano che aumenta (ed infatti è più sviluppato nelle classi più agiate...), soprattutto per 'proteggere' la propria condizione di superiorità (nell'agiatezza...) dalla massa di persone i cui bisogni essenziali non sono certo "relativi". Se è 'relativo' che tutti quanti abbiano una vita decorosa e dignitosa posso stare 'relativamente' tranquillo nella mia posizione di superiorità...posso non vergognarmi del fatto di desiderare fino all'ingordigia...perché no?..Ogni tanto posso concedere l'illusione, funzionale al sistema, che qualcuno "ce la faccia" ad entrare nel cerchio di coloro che godono...magari una lotteria, una startup (concetto di 'scalabilità'...), ecc..Non serve 'cambiare il mondo' perché..."tutti ce la possono fare"!...
Il vuoto, lasciato dalla  caduta di un'etica pensata come 'immortale' è stato colmato dal denaro, la "nuova divinità" della civiltà dei consumi,e da delle divinità 'minori' ossia dal dio "Crescita Economica" e da quello chiamato "Sviluppo", che cozzano contro l'ideologia relativistica, confinata  nel campo della sessualità, di fatto.... L'elevazione dell'economia e della finanza a nuovi sistemi di valori universali ha però provocato aridità morale e sterilità culturale. E' importante solo ciò che è 'merce', includendo in questa anche il corpo e gli stati mentali che infatti si "vendono" anch'essi oggigiorno...L'importante è quindi solamente ciò che è 'utile' e soprattutto di un'utilità che produca denaro...questo ovviamente svilisce la relazione che cerca autenticità e la cultura; cose che permettono di sperimentare l'"Utilità dell'inutile"...La crisi attuale ha però messo in crisi anche questi nuovi 'dei', soprattutto tra i giovani disorientati e nelle masse sedotte dal dio denaro e subito da esso abbandonati ( e anche il dio Progresso non gode più di buona salute tra loro...). Questo disagio nei giovani apre la porta, più che al relativismo etico, ad un vero e proprio nichilismo esistenziale con tendenze autodistruttive; in presenza di un autentico "smarrimento" dovuto a mancanza di scopo e di direzione...
Stiamo entrando, a mio parere, con tutti e due i piedi in una società di "nichilismo passivo" (Massimo Donà), che afferma il declino dei 'valori' e la loro finitezza in quanto creazione umana, ma continua disperatamente a vivere sulla base di questi anche se percepiti come svuotati di ogni significato reale. Incapace, o sfiduciata e indifferente, nel proporne di nuovi...
Il rifugio nella fantasia e nell'irrazionale diventa inevitabile farmaco contro l'alienazione nichilistica (e quindi forte ascesa di tutte quelle forme di esperienze che entrano nella definizione di "neospiritualismo" e che, secondo me, attecchiranno sempre più in profondità...forse fino a diventare l'unica realistica speranza di 'cambiamento', seppur irrazionale...).
Namaste
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Ipazia

Citazione di: Phil il 25 Dicembre 2018, 22:53:27 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Dicembre 2018, 18:32:07 PM
I diritti fondamentali non sono arbitrari perchè non sono negoziabili in quanto la loro alienazione comporta un danno irreversibile per l'individuo.
Intendi i bisogni primari? Se la risposta è «no», tale irreversibilità appartiene alla sfera del naturale oppure a quella sociale-culturale (quindi è inserita nelle convenzioni sociali che diamo ormai per inalienabili, ma restano, stando alla storia, convenzioni arbitrarie)?

Se la risposta è "sì" ?

Citazione di: Phil il 25 Dicembre 2018, 22:53:27 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Dicembre 2018, 18:32:07 PM
In natura il branco difende e fornisce risorse di sopravvivenza ai suoi componenti e ai suoi piccoli indifesi. Si chiama diritto naturale

Credo si chiami piuttosto «istinto» (quasi il contrario del diritto); l'esemplare di lupo adulto non disserta su questioni di diritto, prima di agire in branco, così come la lupa non allatta i figli perché ritiene fermamente sia loro diritto essere nutriti. «Diritto naturale» è per me un ossimoro, che confonde biologia e cultura (antropomorfizzare le dinamiche naturali è sempre un gesto interpretativo, un ulteriore passo indietro dalla presunta "oggettività").

Mi sovviene il sospetto che per "istinto" si spacci in certe correnti di pensiero quello che i pregiudizi meccanicistici nascondono. Laddove vi sono cure parentali e assetti sociali non vi è mero meccanicismo biologico.

Citazione di: Phil il 25 Dicembre 2018, 22:53:27 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Dicembre 2018, 18:49:23 PM
Le diseguaglianze derivanti da scelte personali non sono di tipo oppressivo. Ma quelle derivanti da diseguaglianza dei fatidici blocchi di partenza sono sempre inique.
L'iniquità dipende dai «blocchi di partenza» della propria interpretazione del mondo (e ammetto di essere un po' allergico ai «sempre»  ;) ). Personalmente, mi limito al «no, grazie» allo scenario che l'abbandono di tale "iniquità" mi suggerisce («oppressione congiunta fra un totalitarismo già visto e una distopica neuroprogrammazione di massa»... spero comunque di sbagliarmi).

Per tal motivo cerco di ancorare i miei blocchi di partenza ideologici a solidi argomenti naturali che mi permettano di discriminare l'arbitrario dal necessario. Senza farmi condizionare troppo dalle imperfezioni dell'agire umano e dalla urticante eterogenesi dei fini, che va analizzata e corretta.

Citazione di: Phil il 25 Dicembre 2018, 22:53:27 PM
P.s.
Nessuna idiosincrasia verso il diritto (anzi, per fortuna che c'è!), tuttavia non me la sento di ossequiarlo fino a spacciarlo per «naturale»; accettare che non venga né dai numi né dalla natura, ma semplicemente da altri uomini, non mi imbarazza affatto.

Neppure io spaccio tutto il diritto per naturale. Ma ci tengo a fissare i paletti etici e giuridici nella natura per contrastare iperboli come il valore sub specie capitalis: se tutto è arbitrario lo è anche la vita di un umano. Ci tengo assai a non arrivare, come spesso è accaduto anche prima della teologia capitalistica, a questo. Certamente non arrivo a considerare diritto naturale il codice della strada. Anche se i suoi fondamenti lo sono (e da lì non si scappa): la tutela della vita umana e dei suoi beni materiali.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2018, 11:34:30 AM

Piccola richiesta di chiarimenti (nel convinto accordo da parte mia ...di essere un rompiballe lo sapevo già).

"A priori" o "a prescindere" da ogni metafisica celeste (a me sembrerebbe un lapsus calami; o meglio "tastierae")?

Era in risposta alla tesi di phil che un'etica non relativistica potesse essere basata solo su una metafisica teistica

Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2018, 11:34:30 AM

Soprattutto non capisco la considerazione finale sulla morte (individuale, credo, rispetto al sopravvivervi della società umana) che supera ogni possibile dubbio metafisico convenzionalistico arbitrario circa l' etica umana).

L'arco temporale della vita umana (individuale), la nostra vulnerabilità e mortalità, pone un fondamento assoluto al discorso etico capace di superare ogni convenzionalismo e arbitrio nello stabilire il valore, non calcolabile in termini quantitativi, della vita umana. Su ciò si basa ogni umanesimo, compreso quello marxista. Sul sopravvivere della società umana si pone l'unico correttivo al fondamento della vita individuale, ma è di tipo trascendentale, non arbitrario-convenzionale. E sempre incarnato nella natura umana e nella sua evoluzione valoriale.

Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2018, 11:34:30 AM

Scocciatura più, scocciatura meno (comunque non per far dispetto a una "radicalfighetta", quale mai ti ho considerato), da che ci sono ti chiederei:
per sentito dire, da deliberato ignorante in materia, mi sembrerebbe che Nietzche neghi l' esistenza di qualsiasi etica immanente, (universalisticamente) umana, laica (mi sembra che distingua fra una in qualche modo "superiore" etica dei "signori", prepotenti, oppressori, privilegiati e una in qualche modo "inferiore" etica delle da lui disprezzatissime "plebi" biologicamente inferiori, giustamente e meritatamente sfruttate e oppresse (ma non vorrei avere sparato delle grosse cazzate).
Se é così, mi pare che almeno in questo tu non segua affatto il Friederich.2, ma ne sia anzi agli antipodi.


FN è tutto il contrario di un relativista etico. Egli afferma il diritto assoluto degli aristoi (ἄριστοι) di prevalere sulla plebe. Su ciò fonda la sua etica aristocratica mischiando superiorità naturale, di sangue (con forte sfumatura sociodarwinistica), e intellettuale (philosophisch). La sua Umwertung è trasvalutazione, non negazione, dei valori. I suoi, contro quelli "degenerati" della morale degli schiavi che li trae dal mondo dietro il mondo. Mentre lui li tra(rreb)e dal mondo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Sariputra. Condivido pienamente quanto hai presentato qui sopra alle ore 11 e rotti.

Ciascuna delle classi dominanti od aspiranti tali usa le armi del suo tempo.

Si è passati dalla clava alla spada alla suggestione fideistica alla tecnologia. Ora siamo alla comunicazione drogata. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 25 Dicembre 2018, 16:09:27 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Dicembre 2018, 10:19:15 AM
Von Mises (o era Von Hayek?) diceva che l'operaio moderno vive fra lussi e comodità sconosciute al Faraone
d'Egitto...
Aveva ragione? Beh, sì e no; ritengo che il discorso inquadrato in questi termini sia semplicemente inquadrato
male. Come penso sia inquadrato male il tuo...
Il Von che hai citato confrontava epoche differenti, con buona pace delle peculiarità contestuali; nel mio piccolo, resto invece sull'attualità sincronica, ma non certo per negare l'innegabile disuguaglianza (l'esistenza di pensioni misere, di lavoratori precati, etc.), piuttosto per interrogare su fino a che punto essa sia funzionale e quando diventi invece oppressione: il pensionato povero è diseguale dai pensionati ricchi, ma è anche oppresso?
Si tratta di chiarire le categorie coinvolte e, secodo me (lo chiedo comunque ad altri), diseguaglianza e oppressione, pur essendo spesso ma non sempre correlate, non sono esattamente la medesima.


Ciao Phil
Mi sembra che in un precedente intervento tu abbia affermato: "la "sensibilità" dell'uomo (post)moderno in merito
è spesso piuttosto elevata, al punto che talvolta (e qui non mi riferisco ad utenti del forum) si scambiano per
«oppressione» la depressione (dovuta all'essere invidiosi del benessere altrui".
Perdonami ma trovo che le tue ultime affermazioni siano in netto contrasto con queste.
Ti dicevo che a parer mio non si tratta di percezioni, ma di condizioni oggettive.
Il pensionato povero che deve centellinare gli spiccioli per la spesa alimentare e non può pagarsi le visite
mediche specialistiche non è in una condizione solo percettiva, ma anche oggettiva.
Questo pensionato non è solo "diseguale" al ricco finanziere (per dire), ma è anche oppresso (almeno ove
a tale termine dessimo questo significato: "http://www.treccani.it/vocabolario/oppressione/".
Lo è in quanto fortemente limitato nella sua libertà, esattamente come diceva Roosevelt: "libertà
è innanzitutto libertà dal bisogno".
saluti e auguri

Phil

Citazione di: 0xdeadbeef il 26 Dicembre 2018, 13:14:42 PM
Mi sembra che in un precedente intervento tu abbia affermato: "la "sensibilità" dell'uomo (post)moderno in merito
è spesso piuttosto elevata, al punto che talvolta (e qui non mi riferisco ad utenti del forum) si scambiano per
«oppressione» la depressione (dovuta all'essere invidiosi del benessere altrui".
Perdonami ma trovo che le tue ultime affermazioni siano in netto contrasto con queste.
Per risolvere l'apparente contrasto, la chiave di lettura sono quello «spesso» e quel «talvolta», che non valgono «sempre».
Talvolta oppressione e diseguaglianza vanno a braccetto, non sempre; spesso, si considera per oppressione ciò che non le è, ma non sempre (speravo gli esempi aiutassero...).
Cerc(av)o di lasciare il discorso aperto anche alle differenze presenti nel tema, soppresse le quali, ne deriva una lettura parziale e generalista; ridurre tutto a «si» e «no» oppure a «sempre» e «mai», non fa per la mia logica "debole"  :)

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