L'origine della diseguaglianza

Aperto da InVerno, 25 Settembre 2018, 08:20:08 AM

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0xdeadbeef

A Ipazia
Non vorrei che quella citazione di Hobbes mi abbia "marchiato" per l'eternità come un sostenitore
della monarchia assoluta...
Nei miei precedenti interventi dicevo di come, nella storia, si siano viste società improntate all'
egualitarismo soprattutto fra quelle comunità umane nelle quali vigevano le cosiddette "virtù guerriere".
Viceversa, mi sembra si siano visti numerosi esempi di "assolutismo" in società molli e prossime alla
decadenza.
La politica come "arte di governo della polis" mi sembra si sia vista, per paradossale che possa
sembrare, più a Sparta che ad Atene. Più nella Roma del periodo repubblicano che in quella imperiale.
Più nelle comunità Gote o Vichinghe che nel successivo periodo denominato "Rinascimento".
Quanto alla contemporaneità, la monarchia assoluta del Mercato mi sembra poggiarsi proprio su una
consapevolezza che poi, tanto, nessuno si ribellerà...
C'è un aneddoto che ho sempre trovato meraviglioso.
A Firenze, in Santa Maria del Fiore, nella navata di sinistra (mi sembra...) c'è un affresco raffigurante
Giovanni Acuto (John Hawkwood), mercenario anglo diventato generale dell'esercito mediceo.
Si narra che dopo la presa di una città un soldato anglo abbia preso prigioniera una bellissima ragazza.
L'Acuto, vedendola, disse al soldato: "quella ragazza mi appartiene". Il soldato rispose: "mio generale,
la ragazza è una mia preda, e io me la terrò". Acuto pensò acutamente (si spera)...
E rispose: "mio prode soldato, per l'antica legge degli Angli la preda è tua, ma io sono il tuo generale,
dunque è anche mia". E, si dice, la tagliò in due con la spada...
Ora, è chiaro che solo un soldato immerso in una forte tradizione comunitaria avrebbe potuto opporsi in
quel modo al potente generale. Il quale, uomo diviso fra due culture (quella degli Angli e quella italiana-
rinascimentale), non trova di meglio che optare per la soluzione più irrazionale.
Con questo voglio dire, su cosa si basa la rivendicazione di libertà del semplice soldato? Quella
rivendicazione avrebbe potuto aver luogo senza avere alla spalle, oltre che una forte tradizione di popolo,
una solida "virtù guerriera"?
Mi dici, in definitiva, come facciamo a pretendere rispetto e libertà se siamo dei rammolliti?
saluti

viator

Salve. La responsabilità delle diatribe che animano questa discussione è di chi l'ha aperta,
Avrebbe dovuto titolarla "l'origine dell'egualitarismo".

Infatti gli uomini nascono uguali (in diritti naturali e dignità) ma, una volta nati, cercano di affermare la propria individualità. Sarebbe questa l'origine della diseguaglianza, a parità di altre condizioni esterne alla volontà dell'individuo.

L'egualitarismo (che non è l'eguaglianza in sè ma solo ciò che dovrebbe promuoverla) è stato concepito per realizzare non tanto la parità di condizioni esistenziali (non deve e non può occuparsi di dare la vista ai ciechi dalla nascita o l'intelligenza agli imbecilli) è nato quando in gruppo sociale si è fatta strada la convinzione che esistesse un interesse collettivo superiore (in quelle determinate circostanze) all'interesse dei singoli (sempre in quella determinate circostanze), convinzione accompagnata dalla percezione che quel certo interesse collettivo si sarebbe potuto perseguire in MODO PIU' EFFICIENTE, operando tutti insieme invece che ciascuno per conto proprio.

E' la necessità ( non certo l'ideale) della cooperazione che ha generato l'egualitarismo.

Purtroppo l'egualitarismo funziona sono a certe condizioni ed in circostanze abbastanza precise.

Sgiombo ha affermato che un esempio di società egualitaristiche sia quello delle tribù guerriere.

Giusto. Infatti la necessità guerresca è quella che sempre ha visto affermarsi la creazione  di nuclei, unità il più possibile omogenee (il termine "uniforme" di dice qualcosa ?) mosse dalla cooperazione tattica e strategica.
Inconcepibile fare la guerra o costruire le piramidi AGENDO ciascuno per conto proprio. Non sarebbe EFFICIENTE.

Il problema della cooperazione però, col procedere dell'organizzazione umana, finì con lo scontrarsi con l'economia di scala della propria efficienza.

Aumentando a dismisura il numero dei coinvolti nell'erganizzazione egualitaristica, si ebbe purtroppo che la percezione del singolo della superiore utilità collettivistica tese ad indebolirsi, a sfumare nell'indistinto, nel remoto, nel discutibile.
Gli interessi comuni diventarono così lontani dalla propria esperienza immediata chel'individuo non riuscì più a riconoscerli ed a valutare la necessità della propria partecipazione utilitaria.

Inoltre, sempre per ragioni di "scala" degli eventi, l'interesse comune ormai remoto dovette venir coordinato da un qualche genere di gerarchia, rappresentata da individui che vennero a costituire una "èlite" e dei quali ora magari non si conosceva neppure il volto.
Naturalmente la gerarchia come venne costruita ? Ovvio, selezionando o permettendo di autoselezionarsi qualcuno tra i meno egualitari, cioè i più forti, furbi,sagaci.

Quindi la demografia ed il "progresso" lavorano a discapito dell'egualitarismo.

Di qui il fatto che più una comunità egualitaristca si fa numerosa e "progredita" (cioè complessa), più perderà quel grado di efficienza che magari possedeva quando risultava meno popolata e più vicina alle cosiddette (condizioni di natura". Amen e saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Dicembre 2018, 17:27:43 PM
.
La politica come "arte di governo della polis" mi sembra si sia vista, per paradossale che possa sembrare, più a Sparta che ad Atene. Più nella Roma del periodo repubblicano che in quella imperiale. Più nelle comunità Gote o Vichinghe che nel successivo periodo denominato "Rinascimento".
....
Mi dici, in definitiva, come facciamo a pretendere rispetto e libertà se siamo dei rammolliti?
saluti

Platone, estensore della prima utopia comunista, era un grande estimatore di Sparta, dove persino le donne ricevevano un'educazione militare in comunanza con gli uomini, con il corrispettivo grado di emancipazione sociale. Davvero un caso di uguaglianza rara nel mondo antico !
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

#48
Citazione di: viator il 23 Dicembre 2018, 22:31:54 PM
Salve. La responsabilità delle diatribe che animano questa discussione è di chi l'ha aperta,
Avrebbe dovuto titolarla "l'origine dell'egualitarismo".

Infatti gli uomini nascono uguali (in diritti naturali e dignità) ma, una volta nati, cercano di affermare la propria individualità. Sarebbe questa l'origine della diseguaglianza, a parità di altre condizioni esterne alla volontà dell'individuo.

L'egualitarismo (che non è l'eguaglianza in sè ma solo ciò che dovrebbe promuoverla) è stato concepito per realizzare non tanto la parità di condizioni esistenziali (non deve e non può occuparsi di dare la vista ai ciechi dalla nascita o l'intelligenza agli imbecilli) è nato quando in gruppo sociale si è fatta strada la convinzione che esistesse un interesse collettivo superiore (in quelle determinate circostanze) all'interesse dei singoli (sempre in quella determinate circostanze), convinzione accompagnata dalla percezione che quel certo interesse collettivo si sarebbe potuto perseguire in MODO PIU' EFFICIENTE, operando tutti insieme invece che ciascuno per conto proprio.

E' la necessità ( non certo l'ideale) della cooperazione che ha generato l'egualitarismo.

Purtroppo l'egualitarismo funziona sono a certe condizioni ed in circostanze abbastanza precise.

Sgiombo ha affermato che un esempio di società egualitaristiche sia quello delle tribù guerriere.

Giusto. Infatti la necessità guerresca è quella che sempre ha visto affermarsi la creazione  di nuclei, unità il più possibile omogenee (il termine "uniforme" di dice qualcosa ?) mosse dalla cooperazione tattica e strategica.
Inconcepibile fare la guerra o costruire le piramidi AGENDO ciascuno per conto proprio. Non sarebbe EFFICIENTE.

Il problema della cooperazione però, col procedere dell'organizzazione umana, finì con lo scontrarsi con l'economia di scala della propria efficienza.

Aumentando a dismisura il numero dei coinvolti nell'erganizzazione egualitaristica, si ebbe purtroppo che la percezione del singolo della superiore utilità collettivistica tese ad indebolirsi, a sfumare nell'indistinto, nel remoto, nel discutibile.
Gli interessi comuni diventarono così lontani dalla propria esperienza immediata chel'individuo non riuscì più a riconoscerli ed a valutare la necessità della propria partecipazione utilitaria.

Inoltre, sempre per ragioni di "scala" degli eventi, l'interesse comune ormai remoto dovette venir coordinato da un qualche genere di gerarchia, rappresentata da individui che vennero a costituire una "èlite" e dei quali ora magari non si conosceva neppure il volto.
Naturalmente la gerarchia come venne costruita ? Ovvio, selezionando o permettendo di autoselezionarsi qualcuno tra i meno egualitari, cioè i più forti, furbi,sagaci.

Quindi la demografia ed il "progresso" lavorano a discapito dell'egualitarismo.

Di qui il fatto che più una comunità egualitaristca si fa numerosa e "progredita" (cioè complessa), più perderà quel grado di efficienza che magari possedeva quando risultava meno popolata e più vicina alle cosiddette (condizioni di natura". Amen e saluti.

In effetti è andata proprio così ma, se possibile, lo esprimerei focalizzando con più sintesi la questione centrale. La teoria dei due soli è molto più antica del pensatore medioevale che la formulò ed è anche più prosaica. Fin dagli albori dello sviluppo della divisione del lavoro si selezionarono due specie di predatori, il gatto e la volpe, interessate entrambe alla conquista del pollaio. Essendo animali intelligenti capirono che mettendo in comune gli artigli e agilità dell'uno con l'astuzia dell'altra la cosa avrebbe avuto più possibilità di successo. E così fu: millenni di dominio sul pollaio e cibo con poca fatica a sazietà.

La complessità sociale ha favorito il gatto e la volpe, ma pure il pollaio ha trovato il modo di difendersi meglio. Pertanto ritengo che il "progresso" sia un elemento abbastanza neutro perchè complica la vita tanto alle prede che ai predatori. Un tantino più ai primi, perchè i secondi conservano saldamente il controllo dell'intelligenza sociale, che è un po' la pietra filosofale di tutto l'inciampo (in ciò ha ragione viator e la quotidianità ce lo conferma). Al pollaio non resta altra possibilità che imparare a volare. Difficile, ma non impossibile. Come dicevano i miei profeti: hic Rhodus hic salta  :P
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Citazione di: viator il 23 Dicembre 2018, 22:31:54 PM
Infatti gli uomini nascono uguali (in diritti naturali e dignità) ma, una volta nati, cercano di affermare la propria individualità. Sarebbe questa l'origine della diseguaglianza, a parità di altre condizioni esterne alla volontà dell'individuo.


Ciao Viator
Ecco, proprio questo è il punto su cui non sono affatto d'accordo.
In un'altra discussione (o era questa, non ricordo) dicevo che nella mia attività di podista dilettante
mi trovo sovente a partecipare a gare con atleti kenyani, etiopi e quant'altro.
Adesso, lasciamo perdere le mie "performance" (che dire modeste è un eufemismo), ma NESSUNO dei "bianchi"
ha la benchè minima possibilità di competere con questi "mostri": perchè?
Questione di struttura fisica; muscoli lunghi, baricentro alto, grande capacità cardiaca e polmonare.
Quindi, per prima cosa, non è affatto vero che nasciamo tutti uguali fisicamente.
In secondo luogo, non è vero nemmeno che nasciamo uguali "in diritti naturali e dignità". E semplicemente
perchè questo è un assunto etico (ed in quanto tale presuppone una cultura che lo esprime - non è altresì
frutto di una, chiamiamola, verifica oggettiva: è cioè null'altro che una "opinione").
Sappiamo bene che il "giusnaturalismo", cui la tua visione attinge a piene mani, nasce in un preciso contesto
storico e culturale. La radice è infatti Stoica, poi ripresa dalla filosofia anglosassone.
Ed è proprio nel mondo anglosassone che questa tesi ha avuto quegli sviluppi che attualmente vediamo (cioè
il massimo della diseguaglianza).
Mi sembrerebbe il caso di riflettere un attimo sul motivo per cui gli sviluppi sono stati questi e non altri...
saluti ed auguri

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 24 Dicembre 2018, 00:14:49 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Dicembre 2018, 17:27:43 PM
.
La politica come "arte di governo della polis" mi sembra si sia vista, per paradossale che possa sembrare, più a Sparta che ad Atene. Più nella Roma del periodo repubblicano che in quella imperiale. Più nelle comunità Gote o Vichinghe che nel successivo periodo denominato "Rinascimento".
....
Mi dici, in definitiva, come facciamo a pretendere rispetto e libertà se siamo dei rammolliti?
saluti

Platone, estensore della prima utopia comunista, era un grande estimatore di Sparta, dove persino le donne ricevevano un'educazione militare in comunanza con gli uomini, con il corrispettivo grado di emancipazione sociale. Davvero un caso di uguaglianza rara nel mondo antico !

Ciao Ipazia
Probabilmente gli Spartani alle Termopili erano 300 perchè il re non riuscì a convincere le famiglie spartane
(sembra che il compito più gravoso del re a Sparta fosse quello di "convincere"...).
Lo stesso avveniva fra i Vichinghi (si narra che al primo contatto con essi fu chiesto: "chi è il vostro
padrone?", cui essi risposero: "noi non abbiamo padrone, siamo uomini liberi".
Fra i Franchi o le tribù germaniche in genere il bottino di guerra veniva letteralmente "spezzettato" in
frammenti identici l'uno all'altro, onde evitare che a qualcuno sia toccato un pezzo più grosso o migliore
(sembra fossero permalosissimi...).
Molto belle sono le storie raccontate da Levi Strauss in "Tristi Tropici", Fra i bellicosi Nambikwara
del Brasile sembra che nessuno fosse disposto a fare il capo, perchè quel compito comportava molti oneri
e assai pochi onori.
In genere in queste società dal forte spirito guerriero era distinto il comando militare (proprio di un re,
o di un capo) dal comando politico, spesso formato da un "consiglio" (in genere di anziani).
saluti

baylham

L'eguaglianza/disuguaglianza degli uomini va posta in un prospettiva relativistica.
Le due asserzioni opposte "gli uomini sono uguali" e "gli uomini sono diversi" , approfondendo, si rivelano entrambe autocontraddittorie, la loro validità dipende dal contesto. Ciò che permette di distinguere un uomo da un altro pone in rilievo la loro disuguaglianza. Ma la comune denominazione di uomini evidenzia ciò che li rende uguali.

Se il mondo tratta in modo uguale gli uomini non tenendo conto delle loro differenze, produce nuove differenze tra loro; se il mondo tratta in modo diverso gli uomini non tenendo conto della loro uguaglianza produce ancora nuove differenze.
Questa mi sembra una formulazione ancora più generale della relazione asimmetrica produttiva di disuguaglianze che ho esposto in campo biologico-ecologico ed economico.

Per esempio trattare le donne come uomini ha davvero una valenza egualitaria?

0xdeadbeef

Ciao Baylam
In linea di massima condivido quanto affermi; ma c'è un punto che mi sembra, per così dire, "oscuro".
Quando dici: "la comune denominazione di uomini evidenzia ciò che li rende uguali", intendi forse
supporre una "sostanza", l'umanità, che essendo in tutti gli uomini li rende in un certo
qual modo, tutti uguali?
Credo sia opportuno precisare che, nella conclamata individualità e diversità di ogni essere umano,
ogni dichiarazione di uguaglianza non può poggiare su alcunchè di "reale" (di strutturale, direbbero
gli amici marxisti).
Quindi qualsiasi dichiarazione di uguaglianza non fa parte del piano "fisico", bensì di quello meta-fisico
(tanto per usare una terminologia forte e provocatoria; ma questo è).
Come dico in una precedente risposta all'amico Viator, ogni affermazione di uguaglianza è una affermazione
di carattere etico/morale (e possiede quel tipo di realtà, di strutturalità, di fisicità proprie della
sfera etica e morale).
Le altre tue considerazioni mi sembrano invece molto intelligenti, acute ed assolutamente condivisibili
(soprattutto la domanda finale).
saluti e auguri

Ipazia

Diseguaglianza di che ?

Penso stiamo parlando principalmente di diseguaglianza sociale, diseguaglianza di diritti sociali.

Il modo in cui gli umani sono concepiti e i loro bisogni fisiologici danno ragione ai giusnaturalisti: tutti gli uomini nascono uguali. Ma l'uguaglianza finisce lì. Fattori genetici ereditari e sesso stabiliscono subito una differenza. Le condizioni sociali di una società classista danno la mazzata finale. Quindi la natura aiuta poco a stabilire un principio originario di uguaglianza sociale, che rimane una questione squisitamente et(olog)ica. In tal senso il titolo della discussione è esatto. Si tratta di stabilire l'origine della diseguaglianza (sociale) e dichiarare la propria posizione ideologica di fronte ad essa. Venendo alla mia: ritengo che tutte le differenze di sesso (e predilezione sessuale) e "razza" non giustifichino alcuna subordinazione sociale e che le diseguaglianze sociali su base classista siano inique e prive di qualsiasi fondamento antropologico che non sia la mera violenza di chi possiede in regime di monopolio strumenti di dominio - militari, economici, politici, giuridici - a danno di chi è stato sottomesso. Tale dominio è certamente relativo e tutta la storia, compresa l'attuale, è storia dei suoi stravolgimenti  e delle lotte che li accompagnano.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Magari mi sbaglio, ma fra le righe di alcune considerazioni mi pare di veder aleggiare un fazioso assunto implicito, che condiziona il discorso senza che il discorso lo abbia messo in discussione (non me ne voglia Godel  ;) ): disuguaglianza (sociale) significa necessariamente oppressione?

Anche nelle "esemplari" civiltà citate (Sparta, società guerriere, etc.) sono pronto a scommettere che ci fosse disuguaglianza sociale (fra sessi, classi, etc.), essendo questa (per quel che ci insegna la storia dell'uomo) funzionale e necessaria alla strutturazione organizzativa di una società popolosa. Il che non significa che debba sempre e per forza tradursi con oppressione e "ingiustizia" (uso le virgolette perché è una parola opinabile il cui approfondimento devierebbe il discorso; per quanto anche «oppressione» si presti a personalizzazioni piuttosto divergenti: magari chi ha conosciuto l'oppressione di una dittatura fa fatica a sentirsi oppresso dalla tecnologia imperante...). 


Per le questioni "di nascita" e di contesto, mi allineo a 0xdeadbeef e baylham; per sapere in cosa consiste l'uguaglianza fra membri di una specie, bisogna rivolgersi alla loro natura (e solo fino ad un certo grado di generalità); per le diseguaglianze, basta considerare la particolarità biologiche e tutto il contesto di "branco" in cui l'individuo interagisce. 
Come scrivo sempre, non è necessaria una convenzione "universale" redatta a tavolino da uomini per stabilire la necessità uguale per tutti di respirare, bere, etc. per restare vivi; tale convenzione è invece necessaria per fornire parametri arbitrari e funzionali, volti ad una coabitazione del pianeta sostenibile per la maggioranza di individui (e non sono affatto sicuro che, metaforicamente, il pianeta stesso la sottoscriverebbe...).

baylham

Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Dicembre 2018, 13:05:26 PM
Quando dici: "la comune denominazione di uomini evidenzia ciò che li rende uguali", intendi forse
supporre una "sostanza", l'umanità, che essendo in tutti gli uomini li rende in un certo
qual modo, tutti uguali?

Non ho una grande conoscenza della filosofia classica (e non solo) per cui il concetto di sostanza non mi è chiaro.

Se asserisco che "gli uomini sono diversi" sottolineo gli elementi, le qualità, i caratteri che distinguono gli uomini uno dall'altro. Tuttavia questa asserzione poggia sul fatto che tutti gli esseri di cui si asserisce la diversità hanno degli elementi, qualità, caratteri uguali, identici, che li distinguono da altri esseri o cose e che li fanno appartenere alla classe uomo.  Perciò l'uguaglianza/disuguaglianza degli uomini dipende dal contesto, dagli elementi, caratteri considerati.

Citazione di: Ipazia il 24 Dicembre 2018, 13:23:22 PM
 Quindi la natura aiuta poco a stabilire un principio originario di uguaglianza sociale, che rimane una questione squisitamente et(olog)ica. In tal senso il titolo della discussione è esatto. Si tratta di stabilire l'origine della diseguaglianza (sociale) e dichiarare la propria posizione ideologica di fronte ad essa. Venendo alla mia: ritengo che tutte le differenze di sesso (e predilezione sessuale) e "razza" non giustifichino alcuna subordinazione sociale e che le diseguaglianze sociali su base classista siano inique e prive di qualsiasi fondamento antropologico che non sia la mera violenza di chi possiede in regime di monopolio strumenti di dominio - militari, economici, politici, giuridici - a danno di chi è stato sottomesso. Tale dominio è certamente relativo e tutta la storia, compresa l'attuale, è storia dei suoi stravolgimenti e delle lotte che li accompagnano.

La mia posizione è ovviamente diversa. 
Poiché le disuguaglianze sociali ed economiche poggiano su un originario fondamento biologico esse non sono eliminabili ma modificabili. Non ritengo perciò che la violenza, la forza siano il problema e la soluzione delle disuguaglianze socioeconomiche.
Dal punto di vista etico e politico ritengo che la riduzione delle disuguaglianze socioeconomiche vada comunque perseguita come obiettivo.

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 24 Dicembre 2018, 13:23:22 PM
Il modo in cui gli umani sono concepiti e i loro bisogni fisiologici danno ragione ai giusnaturalisti: tutti gli uomini nascono uguali.

Ciao Ipazia
Beh, ritengo bisogna andar cauti col dire: "hanno ragione i giusnaturalisti" (tutti gli uomini nascono uguali),
perchè il giusnaturalismo "storico" ha una ben precisa collocazione (come dicevo in risposta a Viator la radice
è stoica, poi è ripreso dalla filosofia anglosassone).
Giusnaturalista è anche la visione del diritto canonico, con l'eguaglianza originaria intesa come data dall'essere
creature, o figli, di Dio (un concetto che continua anche nel "laicismo" della filosofia anglosassone).
Insomma, visti gli esiti ritengo si debba prendere il giusnaturalismo con le molle...
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 24 Dicembre 2018, 15:07:04 PM
Magari mi sbaglio, ma fra le righe di alcune considerazioni mi pare di veder aleggiare un fazioso assunto implicito, che condiziona il discorso senza che il discorso lo abbia messo in discussione (non me ne voglia Godel  ;) ): disuguaglianza (sociale) significa necessariamente oppressione?



Ciao Phil
Almeno per quel che mi riguarda, vedi molto bene quando vedi "aleggiare" l'assunto: disuguaglianza sociale
significa oppressione...
Non necessariamente, ma in possibilità sì, senz'altro. Non che la diseguaglianza sia solo e sempre perniciosa;
lo è quando è eccessiva, come si sta delineando nella contemporaneità.
Ma in proposito occorre io faccia una precisazione.
Siamo stati tutti "reindirizzati" su questa discussione dalla mia "Spesa e debito pubblico", perchè l'esaurimento
delle tematiche tecniche ci aveva portato a parlare di capitalismo e massimi sistemi. In quella discussione io
sostenevo appunto l'irrazionalità della crescente "forbice" nella redistribuzione della ricchezza (ora non ricordo
le percentuali esatte, ma insomma un esiguo numero di persone possiede quel che possiedono miliardi di poveri).
Ricordo una bellissima massima di F.D.Roosevelt: "libertà è innanzitutto libertà dal bisogno", che dice
chiaramente come nell'eccesso di diseguaglianza non può che darsi oppressione...
saluti e auguri

Ipazia

@ox

Mi pareva fosse chiaro dove fossi d'accordo col giusnaturalismo: su ció che Phil dà per scontato,  ma che a livello ideologico e politico tanto scontato non è. Vedi ad esempio l'aborto selettivo.  Mentre, al contrario, é scontato che le diseguaglianze nei diritti sociali abbiano origine da sopraffazioni di qualche genere. Attendo esempi del contrario.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Socrate78

La proprietà privata e quindi la conseguente diseguaglianza tra ricchi e poveri, in effetti, non ha un fondamento naturale. La natura ha dato di per sé tutto a tutti, non ha messo steccati per dividere le proprietà: l'uomo, tuttavia, ad un certo punto ha deciso, per sancire un proprio potere sul territorio, di stabilire un confine tra ciò che è proprio e ciò che invece appartiene ad altri. Da qui la diseguaglianza, poiché chi riusciva, con lotte tribali, a sottomettere gli altri, aveva più terre (segno del controllo sul territorio) e quindi più potere, mentre i poveri erano coloro che non erano riusciti nell'intento di diventare i capi della tribù e non potevano far altro che obbedire. Ma tale operazione non è stata il frutto di istinti nobili, ma al contrario meschini, che di fatto trovano le radici nell'animalità dell'uomo, essere territoriale come tante specie animali che lottano per guidare il branco.

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