L'origine della diseguaglianza

Aperto da InVerno, 25 Settembre 2018, 08:20:08 AM

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Phil

Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Dicembre 2018, 16:01:31 PM
Citazione di: Phil il 24 Dicembre 2018, 15:07:04 PM
disuguaglianza (sociale) significa necessariamente oppressione?
Almeno per quel che mi riguarda, vedi molto bene quando vedi "aleggiare" l'assunto: disuguaglianza sociale
significa oppressione...
Non necessariamente, ma in possibilità sì, senz'altro. Non che la diseguaglianza sia solo e sempre perniciosa;
lo è quando è eccessiva,
[corsivi miei] La questione che ponevo era proprio su quel «necessariamente»: distinguerei infatti fra la diseguaglianza come condizione necessaria ma non sufficiente per l'oppressione (ovvero la diseguaglianza funzionale al sistema non oppressivo) dalla diseguaglianza come risultato dell'oppressione (ovvero la diseguaglianza come fondamento dell'ordine oppressivo del sistema).

Anche le diseguaglianze andrebbero, a parer mio, contestualizzate: la diseguaglianza economica, in sé, non comporta sempre oppressione (che il mio Isee non sia quello di Berlusconi, di fatto, non mi opprime economicamente, ho persino agevolazioni per reddito che lui non ha  ;D ); parimenti, la disuguaglianza sociale in sé, non comporta sempre oppressione (che non abbia diritto a concorrere per un alloggio popolare o non goda di immunità parlamentare, non mi opprime socialmente perché è conseguenza, che trovo ragionevole, del mio status sociale, ovvero né indigente né parlamentare).

Ugualmente, l'«oppressione» andrebbe tematizzata adeguatamente, distinguendola in tutte le sue declinazioni; soprattutto considerando che la "sensibilità" dell'uomo (post)moderno in merito è spesso piuttosto elevata, al punto che talvolta (e qui non mi riferisco ad utenti del forum) si scambiano per «oppressione» la depressione (dovuta all'essere invidiosi del benessere altrui), la pressione fiscale (comprendente il pagare le tasse, che per alcuni sono opprimenti a priori), la soppressione di libertà che si consideravano inalienabili (come l'essere liberi di poter fumare ovunque) e la repressione di ciò che viene considerato inopportuno dalla maggioranza (per qualcuno è opprimente avere da rispettare regole sociali che non condivide, seppur approvate dalla maggioranza).
In fondo, l'incontrare una ob-pressione dipende da verso quale direzione si fa pressione... a ciascuno le sue impressioni (e "pressanti" auguri di buon Natale  :) ).

Ipazia

Tematizziamo pure: l'iniquità di Berlusconi e un esodato senza redditi é trasparente. In un contesto di uguaglianza sociale non esisterebbe neppure.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

anthonyi

Citazione di: Socrate78 il 24 Dicembre 2018, 22:25:11 PM
La natura ha dato di per sé tutto a tutti, non ha messo steccati per dividere le proprietà:

Ciao Socrate78, e BUON NATALE, in questi giorni è in atto un conflitto di possesso tra i miei gatti, a causa dell'immissione di una nuova arrivata, gestito anche con l'apposizione di residui liquidi in punti strategici. La natura non ha fatto steccati ma una buona percentuale di mammiferi marca il territorio, e lo difende. Possiamo essere d'accordo che la proprietà, intesa come stato di diritto imposto superiormente dallo stato è un artificio umano, ma l'istinto di possesso del territorio sul quale vivi quello no, e spesso le due cose entrano in conflitto, considera il caso della contestazione al TAP a Melendugno, e alla TAV in Val di Susa, entrambe fondate sul principio che "Sul NOSTRO territorio si fa quello che diciamo noi".

Phil

Citazione di: Ipazia il 24 Dicembre 2018, 23:28:24 PM
Tematizziamo pure: l'iniquità di Berlusconi e un esodato senza redditi é trasparente.
Non decifro se intendi che quei due esempi sono una tematizzazione (un po' sintetica; esemplificare non è tematizzare  ;) ) oppure se mi inviti a tematizzare l'iniquità e l'assenza di redditi altrui (confesso: preferisco badare alla mia iniquità e gioire della mia iniqua presenza di reddito  ;D ).

Nel mio domandare, mi riferisco alla non necessità (logica ed empirica) di identificare sempre diseguaglianza e oppressione, senza negare l'evidenza che le due possano anche "collaborare" fra loro (come ho esplicitamente scritto sopra).

Citazione di: Ipazia il 24 Dicembre 2018, 23:28:24 PM
In un contesto di uguaglianza sociale non esisterebbe neppure.
Se si parla di «origine della diseguaglianza», l'utopia della "società giusta" senza iniqui né privi di reddito, è un tema filosofico letterario collaterale, che mi fa venire in mente lo scenario di un'oppressione congiunta fra un totalitarismo già visto e una distopica neuroprogrammazione di massa; così al volo, direi... no, grazie (ma potrei sempre cambiare idea).


P.s.
Auguri a tutti (una volta per tutte!  :) ).

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 24 Dicembre 2018, 22:50:01 PM
Anche le diseguaglianze andrebbero, a parer mio, contestualizzate: la diseguaglianza economica, in sé, non comporta sempre oppressione (che il mio Isee non sia quello di Berlusconi, di fatto, non mi opprime economicamente, ho persino agevolazioni per reddito che lui non ha  ;D ); parimenti, la disuguaglianza sociale in sé, non comporta sempre oppressione (che non abbia diritto a concorrere per un alloggio popolare o non goda di immunità parlamentare, non mi opprime socialmente perché è conseguenza, che trovo ragionevole, del mio status sociale, ovvero né indigente né parlamentare).

Ugualmente, l'«oppressione» andrebbe tematizzata adeguatamente,
Ciao Phil
Von Mises (o era Von Hayek?) diceva che l'operaio moderno vive fra lussi e comodità sconosciute al Faraone
d'Egitto...
Aveva ragione? Beh, sì e no; ritengo che il discorso inquadrato in questi termini sia semplicemente inquadrato
male. Come penso sia inquadrato male il tuo...
Non sfugga che oggi molti pensionati vivono con cifre da fame (ove tematizzando il termine "fame" si intenda
non poter certo comprare bistecche tutti i giorni). Non sfugga che molti rinuncino persino alle cure mediche.
Non sfugga che molti giovani hanno lavori precari, mal pagati e che MAI gli consentiranno di farsi una
pensione. Non sfugga che molti ultracinquantenni malandati come me saranno costretti a lavorare finchè
morte non sopraggiunga. Non sfuggano molte altre cose, ma finiamola qui.
No, non si tratta più di "percezioni": si tratta di condizioni oggettive.
Qual'è la "soluzione" (ammesso ve ne sia una)? La mia non è quella di Sgiombo o Ipazia (pur se il mio sentire
me li avvicina), cioè l'abolizione della proprietà privata. La mia è quella di Roosevelt e dei sostenitori
dello "stato": ristabilire almeno un minimo di "diritti sociali".
Un sentito augurio di Buon Natale.

Ipazia

La differenza tra gatti e umani è che ogni gatto si deve conquistare il suo territorio e non lo eredita dai genitori. Il diritto naturale allinea i blocchi di partenza per ogni nuovo nato. L'alterazione di tale principio è valida finchè non legittima una violenza (di classe) maggiore di quella prevista dal diritto naturale. Patologia sociale su cui i giusnaturalisti puntarono giustamente il dito.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Citazione di: anthonyi il 25 Dicembre 2018, 08:05:21 AM
Ciao Socrate78, e BUON NATALE, in questi giorni è in atto un conflitto di possesso tra i miei gatti, a causa dell'immissione di una nuova arrivata, gestito anche con l'apposizione di residui liquidi in punti strategici. La natura non ha fatto steccati ma una buona percentuale di mammiferi marca il territorio, e lo difende. Possiamo essere d'accordo che la proprietà, intesa come stato di diritto imposto superiormente dallo stato è un artificio umano, ma l'istinto di possesso del territorio sul quale vivi quello no, e spesso le due cose entrano in conflitto, considera il caso della contestazione al TAP a Melendugno, e alla TAV in Val di Susa, entrambe fondate sul principio che "Sul NOSTRO territorio si fa quello che diciamo noi".


Ciao Anthony
Questa volta, dopo tante diatribe, devo dire di essere d'accordo con te.
Felice di sentire, tra l'altro, che anche tu sei un amante dei gatti (io ne ho tre).
Buone feste

Ipazia

Allora tematizziamo evitando di fare solo letteratura:

L'arbitrario può manifestarsi laddove il non-arbitrario, l'uguale, glielo consente.

1) L'uguale è lo stato di natura coi suoi bisogni certamente non arbitrari, ma neppure banali: aria salubre, cibo in quantità e qualità, tana confortevole, soddisfazione affettiva. Su questa base naturale si fondano il diritto alla vita, salute e affettività. Qui l'arbitrario non si dà (morte, fame, malattia, inaffettività ?). Oppure si dà ma come patologia sociale.

2) Su questo substrato antropologico si innestano diritti meta-naturali a garanzia di quelli naturali: istruzione, lavoro, sicurezza sociale. Anche qui credo che di arbitrario ci sia poco (analfabetismo, miseria, violenza ? Assenza, esclusione, no, off ?).

Questi due livelli completano il quadro gius/meta/naturalistico ove l'uguale (Presenza, inclusione, sì, on) definisce una struttura, un hardware, sempre upgradabile, in cui la società realizza lo spazio - paritario ai blocchi di partenza -  in cui si può muovere

3) la parte arbitraria, libera, dell'universo antropologico, l'inclinazione personale, il gusto. Articolati nella sfera professionale, artistica, erotica, alimentare, hobbistica, spirituale... Quanto più è ugualitario l'hardware sociale, tanto più è libero il software individuale. Quindi arbitrario sì, ma con giudizio. A priori, nel mezzo, e a posteriori.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Dicembre 2018, 10:19:15 AM
Von Mises (o era Von Hayek?) diceva che l'operaio moderno vive fra lussi e comodità sconosciute al Faraone
d'Egitto...
Aveva ragione? Beh, sì e no; ritengo che il discorso inquadrato in questi termini sia semplicemente inquadrato
male. Come penso sia inquadrato male il tuo...
Il Von che hai citato confrontava epoche differenti, con buona pace delle peculiarità contestuali; nel mio piccolo, resto invece sull'attualità sincronica, ma non certo per negare l'innegabile disuguaglianza (l'esistenza di pensioni misere, di lavoratori precati, etc.), piuttosto per interrogare su fino a che punto essa sia funzionale e quando diventi invece oppressione: il pensionato povero è diseguale dai pensionati ricchi, ma è anche oppresso?
Si tratta di chiarire le categorie coinvolte e, secodo me (lo chiedo comunque ad altri), diseguaglianza e oppressione, pur essendo spesso ma non sempre correlate, non sono esattamente la medesima.


Citazione di: Ipazia il 25 Dicembre 2018, 11:01:15 AM
1) L'uguale è lo stato di natura coi suoi bisogni certamente non arbitrari, ma neppure banali: aria salubre, cibo in quantità e qualità, tana confortevole, soddisfazione affettiva. Su questa base naturale si fondano il diritto alla vita, salute e affettività. Qui l'arbitrario non si dà (morte, fame, malattia, inaffettività ?). Oppure si dà ma come patologia sociale.
Secondo me l'arbitrario si dà proprio qui: il momento in cui il bisogno naturale viene convenzionalmente promosso a diritto sociale, coincide con il primo vagito dell'arbitrarietà (del diritto). La natura, per quel che ne so, non è fatta di diritti, ma solo di bisogni, istinti, vita/morte, causa/effetto, etc.

Citazione di: Ipazia il 25 Dicembre 2018, 11:01:15 AM
2) Su questo substrato antropologico si innestano diritti meta-naturali a garanzia di quelli naturali: istruzione, lavoro, sicurezza sociale. Anche qui credo che di arbitrario ci sia poco (analfabetismo, miseria, violenza ? Assenza, esclusione, no, off ?).
Senza arbitrarie convenzioni, il lavoro, la sicurezza sociale, etc. su cosa si fondano? Ad esempio, il denaro, le sovrastrutture varie, sono entità naturali?
Marx scuote la barba nella tomba  ;D

Citazione di: Ipazia il 25 Dicembre 2018, 11:01:15 AM
3) la parte arbitraria, libera, dell'universo antropologico, l'inclinazione personale, il gusto. Articolati nella sfera professionale, artistica, erotica, alimentare, hobbistica, spirituale...
«Arbitrario» non significa solo «soggettivo», ma anche «deciso a prescindere dalla norma»; in questo caso, la norma della natura (che propone una generica uguaglianza biologica di partenza fra gli uomini), quindi lo intendo come «discrezionale», ciò che viene deciso dalla discrezione dell'uomo (proprio perché non risulta naturale).

viator

Salve Ipazia. Certo. Potremmo cancellare il diritto ereditario. Si potrebbe anzi fare che ad ogni generazione il mondo rinasce depurato dalle istituzioni umane (che dal tuo punto di vista sono complessivamente inique) e riparte dalle "condizioni di natura".
Cioè realizzando la perfetta "reazione" e "conservazione", che la sinistra "progressita ed ugualitaria" certo apprezzerà.
Naturalmente tu obietterai che non è necessario un animalesco "ritorno alle origini". Ad ogni generazione il titolo di proprietà verrà restituito alla collettività la quale lo riassegnerà democraticamente ed egualitariamente ai "nuovi".
Purtroppo anche in questo caso saremmo di fronte alla conservazione (dell'inefficienza).
Tante proprietà più o meno identiche non farebbero che eternare costantemente il loro grado di efficienza. Sette miliardi di campicelli e casette sarebbero graziosi. Però i campicelli sarebbero meno efficienti per via delle economie "di scala" e della maggior fatica rischiesta nel coltivarli, le casette pure meno efficienti per quanto riguarda manutanzioni e servizi.

E allora collettivizziamo ! Stop. Argomento già separatamente trattato altrove e da troppi altri. Risaluti e riauguri.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Citazione di: viator il 25 Dicembre 2018, 17:54:20 PM

E allora collettivizziamo ! Stop. Argomento già separatamente trattato altrove e da troppi altri. Risaluti e riauguri.


Certo collettiviziamo. La terra a chi (singolo o cooperativa) la coltiva e la sa far fruttare, ma in usufrutto, non in proprietà. Una abitazione potrebbe anche essere data in proprietà ereditaria in cambio di un tot di lavoro passato o futuro, ma l'intermediazione collettiva garantisce dagli strozzini (banche) e permette a tutti di avere la loro tana senza rischio di espropri. Dovuti per lo più ad una gestione irrazionale degli affari privati. Riducendo i quali si riduce anche la dissipazione delle ricchezze personali. Insomma le soluzioni sono le più svariate, senza dover appendere i propri destini al Capitale.

@phil

Abbiamo un concetto molto diverso di "arbitrario". I diritti fondamentali non sono arbitrari perchè non sono negoziabili in quanto la loro alienazione comporta un danno irreversibile per l'individuo. In natura il branco difende e fornisce risorse di sopravvivenza ai suoi componenti e ai suoi piccoli indifesi. Si chiama diritto naturale e fonda archetipicamente anche il diritto umano. Piaccia o non piaccia a chi ha idiosincrasia per tutto ciò che sa di diritto. Ma se vogliamo fare letteratura o sofistica ...
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

#71
MI suso per la lunghezza di questo intervento (malgrado i miei inauditi "sforzi di stringatezza"); chi si stufa (perché conosce già e meglio la concezione materialistica della storia o (temo in più numerosi casi) perché crede si tratti di elucubrazioni infondate, in qualsiasi momento può cestinarlo con un semplice "click" del mouse (sull' attenzione di almeno qualcuno, per esempio di Socrate78 ci conterei).

Secondo me (e come già evidenziato da Ipazia e da altri) il punto di partenza della diseguaglianza sociale (non ineluttabile e non necessariamente oppressiva, almeno in ultima analisi, in linea puramente teorica, di principio; cioè considerando la cosa molto astrattamente, prescindendo da tanti aspetti particolari e concreti della realtà) si identifica con il punto di passaggio dalla storia naturale alla storia umana, dalla natura alla cultura (o meglio: piuttosto che di "passaggio da a" si dovrebbe parlare di "sviluppo nell' ambito di", posto che la cultura in nessun modo può prescindere dalla natura, ignorarne o men che meno violarne le modalità del divenire ordinato secondo leggi universali e costanti; id est -non riesco a evitare di sottolinearlo- il determinismo).
Questo passaggio si deve secondo me soprattutto a quello che sono anticonformisticamente convinto sia stato un "artifizio", un fatto non meramente naturale ma peculiarmente culturale, ed anzi fondante la cultura, e cioè l' invenzione del linguaggio (che invece secondo le dominanti teorizzazioni chomskyane sarebbe una dotazione naturale, sorta nell' ambito dell' evoluzione biologica: costituirebbe le "fondamenta biologiche" della cultura, mentre per me si tratta già del "piano terreno dell' edificio", le cui fondamenta sarebbero costituite dal generico straordinario sviluppo naturale dell' "intelligenza", o capacità di elaborazione di informazioni, raggiunta nella nostra specie umana.
Come che sia, questo passaggio, come aveva genialmente compreso Karl Marx, coincide (temporalmente e per così dire "ontologicamente") con l' acquisizione della capacità da parte delle primitive società naturali umane di erogare un pluslavoro; ovvero di produrre mezzi di sussistenza -riproduzione che eccedessero quelli necessari e sufficienti al mantenimento e alla riproduzione (biologica) stessa della specie (di fatto l' età neolitica con gli inizi dell' agricoltura, dell' allevamento e dell' artigianato volto innanzitutto alla realizzazione degli strumento di lavoro necessari all' agricoltura e all' allevamento stessi, diversi da quelli necessari alla caccia - raccolta, già da gran tempo realizzati anche da parte di specie di ominidi precedenti la nostra,).
Su questa base l' umanità si é potuta differenziare fra i potenti e privilegiati e i subordinati e oppressi.
I potenti privilegiati, ovvero i "padroni privati" dei mezzi di produzione fondamentali (non più collettivi), cioè coloro che disponevano del potere di controllarne l' uso, la gestione (potere che trasmettevano ereditariamente ai discendenti biologici o al limite a "successori adottivi"), che fossero innanzitutto "intellettuali" (preti, sciamani, stregoni, ecc.) dotati di mezzi di dominio soprattutto teorico e/o "militari" (guerrieri in grado di difendere e le comunità all' esterno, dall' aggressività delle altre comunità e di attaccare queste ultime per aumentare la disponibilità generale di plusprodotto da dividere, nonché in grado di imporre l' ordine sociale e la distribuzione diseguale del plusprodotto all' interno delle comunità stesse) potevano permettersi di mantenersi e riprodursi senza produrre col proprio lavoro i mezzi materiali a ciò necessari grazie all' eccesso di lavoro dei subordinati e oppressi che erano costretti a lavorare sia per sé, sia (di fatto soprattutto; quasi subito in misura larghissimamente prevalente) per i potenti e privilegiati.
Così la primitiva uniformità sociale naturale si trasformava nella divisione storica, culturale in classi contrapposte per funzioni sociali, interessi materiali, ecc.; soprattutto per la diversa possibilità di disporre dell' uso ("letteralmente la "padronanza") degli attrezzi necessari al lavoro produttivo, ovvero i mezzi di produzione.
Da allora la storia umana é iniziata come "ramo peculiare" della storia naturale ed é proseguita sostanzialmente come storia di lotte di classe.
I classici del materialismo storico distinguono nel suo ambito varie fasi caratterizzate da rapporti sociali di produzione (ovvero forme di proprietà dei mezzi di produzione) nelle quali si sviluppavano le forze produttive umane fino a una certa epoca nella quale "entravano in contraddizione" con i rapporti di produzione stessi: fasi rivoluzionarie che si risolvevano o con l' instaurazione rivoluzionaria di "superiori" rapporti di produzione adeguati a consentire l' ulteriore sviluppo delle forze produttive, oppure (Manifesto del 1847) con "la rovina comune delle classi in lotta"; seguita da una lenta ripresa dello sviluppo delle forze produttive con tute le conseguenze del caso
Tutto questo é almeno in parte discutibile e discusso, ed eviterei (anche per carenza di tempo e di spazio) di parlane dettagliatamente per giungere al presente, che mi sembra un momento della storia umana altrettanto fondamentale e "decisivo" di quello del suo inizio 10 000 anni fa o giù di lì (il momento della sua possibile fine e in alternativa di un suo possibile "salto di qualità" verso una ricomposizione ad un livello "superiore", propriamente "civile", dell' originaria "naturale" uguaglianza sociale).
In tutti questi diecimila anni la possibilità umana di modificare il mondo naturale (conoscendone, scientificamente, inevitabilmente rispettandone e applicandone intenzionalmente, nei limiti del possibile, le leggi del divenire naturale stesso) é stata talmente limitata da consentire di considerare "con buona approssimazione" illimitate le risorse naturali disponibili alla trasformazione, e dunque illimitato lo sviluppo quantitativo possibile delle forze produttive.
Da almeno mezzo secolo é però evidente che lo sviluppo delle conoscenze scientifiche ha potenziato le umane capacità trasformative della natura al punto che le risorse naturali impiegabili senza consumare irrimediabilmente le condizioni della sopravvivenza della specie umana (e di tantissime altre) appaiono con tutta evidenza nella (in quella che peraltro sempre oggettivamente era stata la) loro limitatezza.
A questo punto il superamento delle diseguaglianze sociali fra privilegiati oppressori e subordinati oppressi, ovvero fra padroni dei mezzi di produzione e padroni unicamente della loro capacità di lavorare e riprodursi ("proletari") non é più "questione di tempo"; non é "destinata ad accadere prima o poi".
L' attuale fase capitalistica monopolistica (o meglio oligopolistica) della divisione sociale in classi antagonistiche si basa su rapporti di produzione che ineludibilmente impongono la concorrenza fra unità produttive di beni e servizi ("imprese") nella ricerca del rispettivo massimo profitto individuale a breve termine e a qualsiasi costo (pena la fine della loro esistenza e la loro sostituzione da parte di altre analoghe imprese più "efficienti" nella produzione di profitto a breve termine e a qualunque costo); ma questo significa inevitabilmente "segare il ramo sul quale l' umanità é appollaiata", ovvero determinare "l' estinzione prematura e di sua propria mano" dell' umanità (Timpanaro).
A questo punto il presente "bivio" fra instaurazione rivoluzionaria di "superiori rapporti di produzione" appropriati all' ulteriore sviluppo delle forze produttive e "rovina comune delle classi i lotta" si configura di fatto come alternativa fra instaurazione rivoluzionaria di "superiori rapporti di produzione" e fine della storia umana (amputazione dall' "albero della storia naturale" del ramo costituito dalla storia umana): o per tempo si realizzeranno rapporti di produzione in grado di consentire (sulla necessaria ineludibile premessa della proprietà collettiva sociale dei mezzi di produzione: letteralmente una conditio sine qua non) una pianificazione di produzioni e consumi a lungo termine e che possa essere condotta con la necessaria prudenza nel calcolo -estremamente complesso e non risolvibile con certezza ma solo con probabilità- nel rispetto di limiti quantitativi tali da non distruggere irreparabilmente le condizioni fisico-chimiche e biologiche della sopravvivenza della nostra specie (oltre che di molte altre), oppure periremo come umanità "per nostra stessa mano".
Nel primo caso potrà aversi un indefinito ulteriore sviluppo qualitativo delle forze produttive, ovvero della civiltà, della storia umana; nel secondo la storia naturale (l' evoluzione biologica) proseguirà imperterrita, per quanto da noi gravemente mutilata e "selvaggiamente amputata", del tutto indifferente (quale sempre é "leopardianamente" stata) alla nostra misera e direi vergognosa sorte.

Come scrivevo in un precedente intervento in questa discussione, il Concetto marxista "classico" di "sviluppo delle forze produttive", fortemente caratterizzato in senso "quantitativo", a mio parere in seguito a ciò che nel XX secolo si é appreso circa i limiti inderogabili delle risorse naturali realisticamente (e non fantascientificamente o ideologicamente: ideologia scientista) disponibili al' umanità necessita di essere superato in senso piuttosto "qualitativo", analogamente a come, nelle scienze naturali, la relatività ha imposto il superamento della concezione "classica" newtoniana della gravità.

Ai Giobbe che hanno avuto la pazienza di seguirmi fin qui la mia riconoscenza.

Ipazia

Citazione di: Phil il 25 Dicembre 2018, 16:09:27 PM

Si tratta di chiarire le categorie coinvolte e, secondo me (lo chiedo comunque ad altri), diseguaglianza e oppressione, pur essendo spesso ma non sempre correlate, non sono esattamente la medesima.


Le diseguaglianze derivanti da scelte personali non sono di tipo oppressivo. Ma quelle derivanti da diseguaglianza dei fatidici blocchi di partenza sono sempre inique.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

anthonyi

Citazione di: sgiombo il 25 Dicembre 2018, 18:42:33 PM




Da allora la storia umana é iniziata come "ramo peculiare" della storia naturale ed é proseguita sostanzialmente come storia di lotte di classe.

Ciao sgiombo, capisco le tue pulsioni ideologiche ma non ti sembra di esagerare? Le società si strutturano in classi, ma ordinariamente le classi hanno funzioni specifiche che svolgono in equilibrio con le altre classi. A volte è vero che l'equilibrio si rompe, ma anche in questo caso certi rapporti funzionali vengono mantenuti. In particolare ogni società ha bisogno di classi dirigenti, per cui anche se il popolo vuol fare la rivoluzione, la farà guidato da coloro che poi diventeranno classe dirigente, e se non saranno in grado di esserlo allora povero quel popolo.
La gran parte dei conflitti che nascono nelle società non sono inquadrabili in una lotta di classe, ma sono legati a quello che accade all'interno delle stesse classi dirigenti, o al tentativo di chi tenta di diventare classe dirigente, e magari per diventarlo si inventa la lotta di classe.

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 25 Dicembre 2018, 18:49:23 PM
Citazione di: Phil il 25 Dicembre 2018, 16:09:27 PM

Si tratta di chiarire le categorie coinvolte e, secondo me (lo chiedo comunque ad altri), diseguaglianza e oppressione, pur essendo spesso ma non sempre correlate, non sono esattamente la medesima.


Le diseguaglianze derivanti da scelte personali non sono di tipo oppressivo. Ma quelle derivanti da diseguaglianza dei fatidici blocchi di partenza sono sempre inique.

Concordo.

E (prescindendo dalla storia concreta del "socialismo reale"; che aprirebbe un' altra enorme discussione su ciò che concretamente abbia costituito di più o meno equo, più o meno oppressivo, più o meno democratico, ecc.; cioé considerando la cosa in maniera del tutto astratta "per comodità di ragionamento", lasciando temporaneamente in sospeso le questioni complessissime del passaggio dall' astratto al concreto), solo rapporti di produzione fondati sulla proprietà collettiva sociale dei mezzi di produzione (secondo le celebri definizioni della Critica del programma di Gotha e di Stato e Rivoluzione, rapporti di produzione "socialisti"; e non: comunisti)  consente "blocchi di partenza sostanzialmente allineati" (fatta la tara di ovvi e umanamente inevitabili errori, "omissioni", imperfezioni, ecc.).
Soluzioni molto più parziali, o piuttosto "attenuazioni del problema" mi sembrano quelle "riformistiche" proposte da Oxdeadbeef, attuabili comunque nella misura in cui il potere economico e politico della classi possidenti venga per lo meno limitato dalla relativa forza politica di quelle proletarie (= non possidenti mezzi di produzione).

Ma richiamerei l' attenzione degli interlocutori sul fatto che, a parte le questioni della maggiore o minore giustizia sociale (importantissime, ma di fatto molto difformemente intese fra di noi), non mi sembra ragionevolmente dubitabile che il capitalismo, essendo fondato ineludibilmente sulla concorrenza fra unità produttive reciprocamente indipendenti nella ricerca del massimo profitto a breve termine e a qualsiasi costo, impone la produzione e il consumo illimitati di beni e servizi in un mondo realisticamente praticabile dall' uomo le cui risorse naturali (e la correlata disponibilità delle condizioni fisico - chimiche e biologiche necessarie alla spravvivenza umana) sono limitate.

Una conditio sine qua non di un loro utilizzo oculato, prudente, tale da salvaguardare la nostra specie (e molte altre) mi sembra sia costituito da una programmazione complessiva e a lungo termine delle produzioni e dei consumi, che solo la proprietà sociale, collettiva dei mezzi di produzione (oltre a consentire "blocchi di partenza ben allineati per tutti" nei limiti delle possibilità umane) renderebbe possibile (non certa, da sola).

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